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3-3-2010

 

Sono presenti due amici di Potenza.

 

Si diceva della connessione fra la psicanalisi e la medicina, di fatto non è che ci sia una grossa connessione tecnicamente, lo stesso Freud, che era medico, diceva che i medici erano le persone meno adatte a praticare come psicanalisti proprio a causa della loro formazione; c’è qualcosa che alla medicina sfugge, alla medicina e non solo alla medicina, ma è sfuggita agli umani da sempre e cioè la connessione fra ciò che la persona pensa e come ciò che pensa agisce sul suo corpo. Una questione molto antica che già Aristotele aveva affrontata, però non si è andati molto oltre. Da sempre si sa, questo lo diceva Aristotele, che una persona che è triste, che è avvilita, che è giù di morale è più facile ammalarsi, mentre per esempio una persona che scoppia di gioia, di felicità etc. è più difficile, non è detto che sia sempre così, tuttavia sembra che ci sia una connessione, d’altra parte delle emozioni producono anche a livello chimico degli effetti e queste sostanze chimiche che vengono prodotte agiscono su tutte le frattaglie dentro. Ma in che modo e fino a che punto ciò che una persona pensa intervenga sul corpo, agisca sul corpo questo nessuno lo sa. Molte malattie sembrano avere una connessione abbastanza stretta con il pensiero al punto che come ho raccontato spesso agli amici, un tale George Matè che ha una clinica oncologica vicino a Parigi ha assunto degli psicanalisti nella sua clinica dopo avere rilevato una forte incidenza dei tumori della mammella nelle donne che hanno subito un abbandono. Il pensiero può produrre una malattia? Parrebbe, e il pensiero può togliere una malattia? Forse ...

Intervento: non è certo?

No, non lo è, non lo è però ci sono dei buoni motivi per approfondire la questione della quale come ho detto prima non si sa assolutamente nulla, per cui è un terreno tutto da esplorare, è un lavoro da fare ...

Intervento: ci sarebbe tanto da fare!

Altroché, per esempio le cosiddette fantasie, come si producono, che effetti hanno, sul corpo anche, le fantasie pilotano la persona, le sue scelte, le sue decisioni possono decidere della sua vita e anche della sua morte in alcuni casi, così come appare in alcuni casi che molti incidenti in realtà siano una sorta di lapsus. Uno viaggia in macchina, c’è sempre stato quel pilastro lì, ad un certo punto guarda caso ci è andato contro, perché? Anche qui è difficile rispondere, però le fantasie hanno una portata, un rilievo immenso in una persona, potremmo dire che è ciò di cui vive per cui merita provare a dire di che cosa si tratta in una fantasia. Ciò che si chiama fantasia, è un’idea, un pensiero, ed è qualche cosa che la persona crede vera generalmente. Con fantasie non intendo soltanto quella serie di pensieri che una persona ha, per esempio, quando sogna a occhi aperti, ma qualcosa di più, anche ciò che la persona ritiene essere la realtà delle cose, il mondo esterno, ciò che lo circonda ha a che fare con le sue fantasie che sono quelle che gli fanno vedere la realtà così come di fatto la vede, tant’è che uno la vede in un modo, l’altro la vede in un altro. Che cosa che possiamo dire con sicurezza delle fantasie? Che sono fatte di pensieri, sono costruzioni e sappiamo come è fatto un pensiero. Il pensiero non è altro che una sequenza di proposizioni che muovono da qualche cosa che si ritiene vero che funziona da premessa e poi, attraverso una serie di passaggi si giunge a una conclusione. Naturalmente la premessa è data come vera, che lo sia o no questo è tutto un altro discorso, quindi la fantasia è un pensiero e come tale merita di essere considerato, come si forma un pensiero? Anche questo non è facile a stabilirsi sempre, si può stabilire tecnicamente, i pensieri sono le cose di cui una persona vive, le cose in cui crede, i suoi cosiddetti valori, le sue decisioni, tutto è dato dalle cose che crede, dalle cose che pensa, è possibile eliminare una fantasia? Altra bella questione, e poi una fantasia è soltanto un’idea o un’idea particolare? Potremmo, in base alle cose che abbiamo acquisite in questi anni forse provare a distinguere un’idea da una fantasia, una distinzione arbitraria certo, però può esserci utile per procedere. Una fantasia è un’idea che muove, potremmo dirla così, da una premessa che non è stata valutata, considerata, indagata, un’idea invece è una sequenza, certo di pensieri, che muove da una premessa che è conosciuta per quello che è, vero o falsa che sia o arbitraria più propriamente. Una fantasia è sostenuta da una premessa che non si è considerata, molto spesso proprio per questo motivo, ignorata, l’idea no, l’idea muove da premesse che comunque sono note, sono conosciute, sono considerate e quindi si sa che tranne rare accezioni questa premessa comunque è arbitraria, questo non significa che venga scartata, viene utilizzata naturalmente ma sapendo che è arbitraria, ed è importante questo. Sapendo che è arbitraria non costringe all’azione, cosa che invece accade se si considera la premessa assolutamente vera, ciò che costringe una persona a muoversi sono le sue fantasie generalmente, le cose che crede, in base alle cose che crede si muoverà per cui è anche abbastanza prevedibile in molti casi. Proprio Freud ha incominciato il suo lavoro tenendo conto delle fantasie, cioè di tutta quella serie di pensieri che le persone si trovano a costruire ininterrottamente, persino di notte quando dormono continuano a pensare, potremmo dire che è l’unica attività che viene svolta ventiquattr’ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni l’anno, dunque è partito da delle fantasie cioè da delle cose che le persone che si rivolgevano a lui credevano essere vere, così come una persona crede di essere abbandonata, un’altra crede di essere la migliore persona del mondo, l’altra crede quelle cose che gli pare però tutte queste cose muovono sempre e necessariamente da delle premesse che funzionano nel discorso come dei principi, come delle verità universali, come fossero delle leggi, e se funzionano così è un problema perché risulta per la persona talmente evidente che non c’è nessun motivo di interrogarle, così come se dicessi “questo è un accendino” perché dovrei mettermi lì a interrogarmi se lo è oppure no? Lo so, lo vedo. La cosa funziona così e quindi non si interroga, con tutte le conseguenze che ha questa cosa ovviamente, le conseguenze sono legate al fatto che ciò che io credo essere vero piloterà la mia condotta, se io credo, per esempio, che Allah sia il dio buono e giusto e che coloro che non credono siano dei miscredenti e dei pericoli per la santità di Allah, allora è giusto che io li elimini per esempio. Ciò che ci interessa è che se una persona crede una certa cosa poi agirà di conseguenza e sarà mosso molte volte da una sorta di furore, quel furore che hanno tutte le persone che sono assolutamente convinte di essere nel giusto, di essere mosse da una verità assoluta, questa verità appare, può apparire assoluta. Quando due anni fa facemmo le conferenze alla circoscrizione Bonhoeffer a proposito del delirio, dissi delle cose che hanno a che fare con le cose che sto dicendo adesso. Il delirio in realtà è assolutamente coerente, la persona che delira, che si suppone che stia delirando non ha torto a pensare quello che pensa, se muove dalle premesse da cui parte. Facevo l’esempio della persona che crede di essere inseguita da agenti del kgb pur non avendo nulla a che fare con l’ex Unione Sovietica né con niente, magari è un impiegato delle poste, però lui dice: mentre venivo in qua delle macchine mi hanno seguito. È vero, se io mi sposto da qualunque parte è sicuro che qualche macchina mi seguirà e quindi non ha torto a dire che delle macchine lo hanno seguito, certo avremmo qualche dubbio a seguirlo quando ci dice che queste macchine erano di agenti del kgb, ma come verificarlo? Supponiamo che noi lo verificassimo, facciamo scendere a forza le persone che sono in macchina dietro di lui, tutte, e chiediamo loro se sono agenti del kgb, queste ci diranno che siamo matti ma lui, quello che sta delirando, non sarà soddisfatto da questo perché sa che un agente del kgb è addestrato a mentire. Questo per dire quanto sia potente una convinzione. Nel caso del delirio è più evidente ma è anche più semplice mostrare il funzionamento: una fantasia funziona esattamente così, ha la stessa certezza, la stessa incrollabile certezza oltretutto supportata anche da quelli che la persona in questione ritiene dei dati di fatto, che in molti casi sono incontrovertibili, solo che sono delle costruzioni che la persona mette in atto per soddisfare una sua fantasia. Se una persona pensa di essere inseguita da agenti del kgb pensa di essere una persona importante per qualche motivo, non credo che agenti del kgb si diano da fare per un impiegato alle poste che non rappresenta nessuna minaccia. Dunque una fantasia è una sequenza coerente di pensieri che muovono però da una premessa che è arbitraria, mentre per la persona non è arbitraria ma è assolutamente vera, anzi direi quasi necessaria, indubitabile, sicura e avvalorata anche da tutta una serie di prove e contro prove. Un’idea è sempre una sequenza di proposizioni ovviamente però è consapevole, cioè se muove da una premessa che è arbitraria sa che è una premessa arbitraria, ora non possiamo dire che una premessa è falsa perché se sa che è falsa non segue quella direzione, però se è arbitraria può farlo pur sapendo e non potendo non sapere che si tratta di una direzione che non lo costringe a credere a quello che sta pensando, non è costretto e se lo fa ne è totalmente responsabile. Per questo mi sono trovato spesso a dire che la psicanalisi è l’occasione, forse l’unica presente sul pianeta, per accorgersi del perché le persone pensano le cose che pensano, se lo sanno allora agiscono il loro pensiero, vale a dire che sanno di che cosa sono fatti i loro pensieri, da che cosa vengono, da che cosa sono supportati, che funzione hanno, dove portano, oppure si subisce il pensiero come nella fantasia, è allora si è sballottati da qualunque cosa venga in mente, da qualunque cosa e il suo contrario. Certo è suggestiva l’ipotesi che ciò che la persona pensa influisca sul suo corpo, già è difficile sapere come una persona vede, sente, immagina il suo corpo; la medicina da sempre tende a trattarlo come una macchina e di rattoppare qualche cosa che ritiene un mal funzionamento, come quando uno in macchina sente un rumorino strano e allora porta la macchina dal meccanico, se sente un dolorino strano porta la macchina dal meccanico adatto che in questo caso è il medico, però forse ci sono delle cose in più. Che vada riparata la macchina questo è fuori di dubbio ma certe volte può accadere che ci sono dei motivi per cui si è guastata, motivi che sfuggono alla persona, accade per esempio di ammalarsi al solo scopo di essere importante. Nel discorso occidentale la malattia ha un’importanza e un valore: una persona malata richiede l’intervento di altri, "sto male e quindi occupatevi di me", e quindi non soltanto ottiene che qualcuno si occupi di lui o di lei ma anche di essere importante perché la malattia è considerata nella nostra cultura un elemento importante, così come è la vita, se non lo fosse il discorso sarebbe diverso ma siccome lo è allora se una persona si ammala da quel momento diventa importante perché tutti sono intorno a lui lo accudiscono, lo coccolano, lo curano, lo manipolano etc. Questo è un esempio banalissimo per dire che in effetti in alcuni casi ciò che una persona pensa può anche produrre dei mal funzionamenti del sistema …

Intervento: io ho avuto male al nervo sciatico nessuno però non è che mi aspettassi granché ...

Era un esempio può accadere certo ...

Intervento: da ragazzo però ...

Esatto, quando si è bambini, allora la mamma è lì, non lascia soli. Come accade in un atto mancato uno scivola, cade e si rompe un braccio, dopo che l’ha rotto bisogna che qualcuno glielo rappezzi però il fatto che se lo sia rotto magari non è casuale, certo ci sono delle situazioni in cui effettivamente poco si può fare, per esempio si sa con buona certezza che un corpo umano esposto a 50.000 gradi cessa di vivere, lei che è medico può confermare, non ha mai fatta la prova ma dovesse farla ha questa certezza e anche in molti altri casi, per esempio se si taglia la testa a un uomo questo cessa di vivere, ma al di là di queste cose banali le fantasie possono effettivamente avere degli effetti, effetti di benessere, di malessere: se una persona è molto tesa, agitata, così cosa produrrà a un certo punto? Un mal funzionamento del suo stomaco, è probabile, non è una legge universale però …

Intervento: le credenze sono deleterie, il problema è disfarsene ...

Tecnicamente non è difficile, è in pratica che è più complicato perché avviene un fenomeno bizzarro che già Freud ai suoi tempi aveva rilevato e cioè che la persona a un certo punto è come se non volesse abbandonare le sue fantasie ...

Intervento: lei lo dice spesso, l’ho letto molte volte nei testi del sito se io abitassi più vicino ...

È possibile sbarazzarsi delle fantasie?

Intervento: io mi sono sbarazzato con voi, con quello che ho letto della paura del buio fin da piccolo io ho sempre avuto paura del buio nonostante i quarant’anni … io l’ho superata ma non solo questo ma alcune cose persistono sono più radicate … fare il discorso a ritroso alle origini ... Non è sempre necessario, è sufficiente sapere come funziona, per esempio, una paura, una fantasia di qualunque genere, un’angoscia, una fobia, un accidente qualunque, o la depressione, tutte queste cose hanno comunque una funzione, quella che Freud chiamava il tornaconto, servono a qualcosa, se servissero a nulla nessuno avrebbe paura di alcunché, perché non avrebbe nessun motivo di farlo così come per esempio in questo momento immagino che nessuno abbia paura che un asteroide colpisca il pianeta e lo spacchi in due, è una possibilità anche quella, però nessuno ne ha paura perché non interessa, pur essendo una possibilità, magari remota ma è una possibilità e magari più concreta di altre costruite dalle fantasie. Dunque sapere a che cosa serve, che funzione ha all’interno del proprio discorso, quali sono le premesse che la sostengono, tutte cose che è possibile reperire dal e nel discorso della persona, a partire dalle cose in cui crede, cose spesso anche banali possono mettere in evidenza, in luce questioni alle quali la persona non ha mai pensato in vita sua e che invece sono di straordinaria importanza perché per esempio possono essere il motivo per cui ha una certa paura, ma la questione centrale è: che cosa se ne fa della paura, o dell’angoscia, di una fobia, di qualunque cosa? Come accade per la persona depressa, se uno volesse avrebbe tutti i motivi per deprimersi quando e come vuole, che problema c’è? Basta pensare a due o tre cosette che già piomba nella depressione più nera se, volesse farlo, ma non succede, perché invece per qualcuno sì? Perché questi pensieri che portano alla depressione hanno una funzione, hanno un utilizzo all’interno del suo discorso e quindi vengono costruiti ed esistono, anche la depressione è retta da argomentazioni il più delle volte più che legittime, d’altra parte uno potrebbe anche dire “con tutto quello che succede da sempre sul pianeta, quali motivi abbiamo per essere allegri? Nessuno!". Se uno volesse potrebbe anche farsi questo discorsetto …

Intervento: questo se lo fanno tutti ..

Forse, ma non per questo sono depressi, magari sono arrabbiati ma non depressi, invece la persona depressa prende tutte queste cose estremamente sul serio cioè dà a queste cose un valore che per altre persone non ha, e in una analisi interessa sapere perché queste cose a un certo punto acquisiscono tanto valore per quella persona. Dare valore a qualche cosa significa ritenere questo qualche cosa assolutamente vero, se no non sarebbe un valore, se fosse falso. L’analisi come dicevo porta a sapere perché una persona pensa le cose che pensa, qualunque cosa pensi, anche cose belle, perché le pensa? È un percorso dove non c’è nulla di scontato, nulla di già dato ma è tutto da incontrare, da inventare, da riconsiderare, da interrogare, sta in questo la sua bellezza, il fatto di trovare continuamente cose nuove e accorgersi anche della ricchezza dei propri pensieri, la sola ricchezza che ciascuno ha in definitiva, può accorgersene oppure no o per esempio mortificare la sua intelligenza come tantissime volte accade: una persona intelligente talvolta si comporta come se fosse stupida, anche in questo caso c’è un motivo comunque se no non lo farebbe. Sbarazzarsi delle fantasie è possibile anzi è auspicabile, non ci si può sbarazzare delle idee, cioè del pensare continuo, questo no fortunatamente, se uno cessasse di pensare cesserebbe anche di vivere tutto sommato perché in effetti se non ci fosse il pensiero una persona non saprebbe neanche di essere viva né potrebbe porsi la questione, non saprebbe neanche di esistere, non saprebbe niente, questo naturalmente ha tutta una serie di implicazioni che vanno molto aldilà di quanto stiamo dicendo. Ora però lei sa, perché ha letto ...

Intervento: tutto no perché ce n’è tanto da leggere. Io ho anche discusso con varie altre persone che trovano interessanti queste cose, ma ci sono dei capisaldi che sono intoccabili diventa difficile solo per la persona che soffre può servire ma per chi sta bene, per esempio il concetto di esistenza che lei tratta continuamente “esistono le cose perché noi possiamo concepirle, le interpretiamo insomma” però io ho avuto discussioni addirittura con un paleontologo e con alcuni suoi seguaci “no” dicono “l’esistenza esiste di per sé”, non si può andare fuori dal linguaggio perché non è provabile ...

Questa che lei ha riportata è una delle obiezioni che vengono poste più spesso, e cioè che le cose comunque esistono lo stesso indipendentemente dal fatto che se ne parli oppure no, si può naturalmente contro obiettare una cosa del genere chiedendo alla persona “come lo sa?” naturalmente la risposta immediata è “perché le vedo” e cioè perché sono cose che cadono sotto i suoi sensi, ma allora questa è una decisione che ciò che vedo, tocco eccetera è reale, ma è una mia decisione. Fino a qualche secolo fa le cose esistevano perché dio le teneva in vita, i medioevali per esempio, c’è anche qualcuno che continua a pensarlo. La questione in questi termini potremmo chiamarla un “non senso”, cioè affermare che le cose esisterebbero in assenza di linguaggio è un non senso, cioè non significa niente perché non si può provare in nessun modo e non c’è nessun modo per farlo, io posso, sì, decidere, stabilire che ciò che tocco esiste, ciò che vedo esiste, ma è una mia decisione che magari lascia il tempo che trova, il fatto che sia condivisa da altri non la rende più sicura ed è un non senso perché non c’è nessun modo di provarlo, per farlo io dovrei uscire dal linguaggio e da lì verificare l’esistenza ma non posso farlo perché non ho nessuno strumento per verificarlo e quindi è una cosa che non ha nessuna possibilità di essere verificata, per cui di fatto affermare che le cose esistono anche in assenza di linguaggio di per sé è un’affermazione che non è né vera né falsa, non significa niente. Questo non è facile da intendere, me ne rendo perfettamente conto, ciascuno è stato addestrato fino dai primi vagiti a considerare le cose in un certo modo e non si toglie di lì, anche perché tutto il mondo che lo circonda pensa grosso modo come lui, anche se poi la realtà vede la cosiddetta realtà in un altro modo questo è irrilevante, una delle questioni che sono state poste anche dalla filosofia è questa: ciascuno vede la realtà a modo suo, però c’è, qualcosa vede, l’occhio viene sollecitato da vibrazioni cromatiche per esempio, ma questo è vedere? Una telecamera che registra movimenti, vede? Registra delle variazioni di stato, ma ciò che intendiamo con vedere noi esseri parlanti è un’altra cosa e ciò che vedo è vincolato a ciò che io penso, al momento in cui l’umano incomincia a parlare non può più tornare indietro e quello che vedrà, esperirà, considererà, sentirà, è comunque vincolato a ciò che gli consente di accorgersi di tutte queste cose inesorabilmente. Pensare che le cose esistano fuori dal linguaggio lo si può pensare, molti lo fanno, ma non significa niente, assolutamente niente, è come credere nell’esistenza di dio, molti ci credono ancora più fortemente che nella realtà ma naturalmente non possono provare nulla di quello che affermano, e che cos’è un’affermazione che in nessun modo può essere provata essere vera? È una fantasia ...

Intervento: uno ci crede e poi si rovina l’esistenza ...

Sì, possiamo considerare che affermare che le cose esistono comunque in assenza di linguaggio è una fantasia al pari di qualunque altra, così come affermare che dio esiste o che siano stati colonizzati dai marziani, perché no? Ciascuno può pensare quello che ritiene più opportuno o meglio quello che gli piace di più pensare, e qui torniamo alla questione della fantasia: il fatto che gli piaccia pensare in un certo modo non è del tutto casuale, è connesso con i suoi discorsi, con le cose che crede, con quello che pensa, con le cose che ha date per vere mano a mano che è proceduto lungo il suo cammino, alcune cose le ha considerate vere e altre no, quelle che ha considerate vere rimangono come dei capisaldi, delle premesse su cui costruisce tutto il suo discorso. Il linguaggio d’altra parte funziona così, ha bisogno di una premessa cioè di qualche cosa che funzioni come una verità, non è detto che sia una verità, ma che funzioni come una verità per costruire qualche cosa, infatti se dovesse riconoscerla come falsa l’abbandonerebbe, nessuno può credere vero ciò che sa essere falso, per una questione grammaticale, è impossibile. Ma anche il signore ha letto delle cose? Intervento: qualcosa che mi ha fatto leggere lui ...

Ha tratta qualche considerazione? C’è qualche cosa che l’ha interessata?

Intervento: mi è parso … siccome tutto è una costruzione di questa nostra capacità di pensare alla fine l’unica cosa certa è che uno pensa, mi sembra un cane che si morde la coda ...

Non è proprio così cartesiana la cosa, si è giunti alla considerazione che il linguaggio è il fondamento, ma ci teniamo lontani da tutto ciò che può funzionare da principio indimostrabile. Quando si procede in una ricerca teorica, si cerca la verità di una certa affermazione, di una proposizione, di una serie di fatti, di eventi, di quello che vi pare, la prima cosa di cui occorre è munirsi di un criterio di verità ovviamente per sapere che cosa si intende quando si dice qualcosa è vera, e fin qui non c’è nulla di strano. Le cose si complicano quando si vuole verificare se anche il criterio che si utilizza è vero oppure no, allora lì la cosa diventa più complicata perché effettivamente si trova in una condizione che è quella che lei ha appena enunciata e cioè di un cane che si morde la coda o, come dicevano i medioevali, una regressio ad infinitum, e cioè se ancora non ho stabilito che cos’è la verità come faccio a sapere se qualche cosa è vero oppure no?

Intervento: e in qualsiasi modo lo stabilisca è sempre una verità arbitraria ...

Bravo, proprio così, allora a questo punto è possibile fare un passo ulteriore e cioè domandarsi a quali condizioni è possibile pensare queste cose? C’è una struttura che lo consente? Qualche cosa che mi permetta di costruire dei pensieri, per esempio quelli che abbiamo appena enunciato? Ebbene c’è qualche cosa che me lo consente, e sono i miei pensieri appunto, ma questi pensieri come si costruiscono, di cosa sono fatti? Questi pensieri seguono delle leggi rigorose oppure sono squinternati? Alcuni elementi, alcune regole di funzionamento sono abbastanza semplici da reperire, per esempio non posso affermare una cosa e il suo contrario, tanto per dirne una, ché se no non vado da nessuna parte, occorre che ciascun elemento sia differente e individuabile rispetto a tutti gli altri, provi per esempio a immaginare una lingua dove un solo termine significhi simultaneamente tutti gli altri, diventerebbe complicato parlare, pensare, quindi questa è un’altra delle regole che occorre che siano presenti perché questa cosa che chiamiamo pensiero funzioni. Ora tutte queste regole che fanno funzionare il pensiero di fatto non sono nient’altro che il linguaggio, il linguaggio è questo: delle regole. Siamo giunti a considerare che il linguaggio non è altro che una logica, in buona parte quella aristotelica. Aristotele aveva colto delle cose poi certo non aveva gli strumenti per andare oltre ma affermare per esempio che non è possibile affermare una cosa e il suo contrario perché altrimenti non si può andare avanti, questo lo aveva già intuito, solo che non è né un principio primo né qualche cosa che si debba dimostrare perché non può dimostrarlo in nessun modo, perché per dimostrarlo dovrà utilizzarlo. Ma se noi anziché considerarli dei principi o delle entità qualsivoglia, le consideriamo delle istruzioni, istruzioni per costruire delle proposizioni, come in un computer, allora un’istruzione di per sé non ha da essere né vera né falsa, è un comando, di là vai, di là no. Il linguaggio appare funzionare esattamente così, come una sequenza di istruzioni, anche abbastanza ridotte in realtà, per costruire proposizioni. La domanda che ci si è posta immediatamente è stata: “da dove vengono queste istruzioni?” e qui però ci si imbatte con un grosso problema e cioè il problema dell’uscita dal linguaggio, sapere cosa c’è prima, con che cosa lo vengo a sapere se non con il linguaggio? E c’è stata utile anche una lettura abbastanza amena di un certo Alan Turing, che ha inventato i computer, praticamente il primo che ha incominciato a costruire quelle che lui chiamava macchine pensanti, e cioè si è trovato nella necessità di stabilire delle istruzioni, dei comandi perché la macchina facesse qualche cosa. È curioso come avesse rilevato che in effetti l’addestramento di una macchina è esattamente lo stesso di un bambino, si forniscono delle istruzioni e attraverso un semplice meccanismo di punizione e premio lo si addestra, di qua vai, di là no. In effetti non c’è nessun motivo perché le macchine non possano pensare come gli umani, e lo faranno sicuramente, ma rimane che il linguaggio costituisce una sorta di arresto, di fine corsa, il limite oltre il quale non si va più, come dire che una volta che si è entrati nel linguaggio cioè si è diventati esseri parlanti e quindi esseri umani non c’è più uscita. Qualcuno potrebbe anche domandarsi: “perché uscirne?” in effetti, visto che il linguaggio è l’unica ricchezza che ha, perché abbandonarla? Ciò che chiamiamo linguaggio si limita a una serie di istruzioni, in effetti è sufficiente porre che degli elementi siano individuabili rispetto ad altri, che ci siano delle regole che impediscano che una cosa valga quanto la sua contraria, e un sistema inferenziale, esattamente come nei computer, per cui se è consentito da un elemento passare a un altro, date certe condizioni, dato questo, è possibile costruire il linguaggio e con il linguaggio tutto: l’arte, la scienza, la letteratura, tutto. È il fondamento, ciò che la filosofia ha cercato da quando esiste, da quando esistono gli umani, trovare quell’elemento che ha consentito tutto e che continua a consentire tutto. Il fondamento non è altro che questa scarna sequenza di istruzioni che di fatto sono il linguaggio, poi distinguiamo, giusto a scopo didattico, il linguaggio dal discorso; intendiamo con linguaggio la una struttura che fa funzionare il tutto, il discorso ciò che costruisce, cioè tutte le infinite cose che mette in atto. Giungere alla considerazione che il linguaggio è il fondamento è stata una considerazione necessaria, non si poteva fare altrimenti, ed è una necessità, non è una dimostrazione, è una necessità logica che è qualche cosa di molto più forte, cioè non può essere altrimenti, tolto il linguaggio in effetti si toglie il pensiero, provi a togliere il pensiero, cosa resta? La possibilità stessa di pensare le cose ...

Intervento: anche la percezione?

Noi la chiamiamo percezione perché abbiamo acquisito una serie di cose, per esempio un cane non sa di percepire qualche cosa, ma la percezione per i parlanti è qualcosa di totalmente differente, non è come un termometro che per esempio che se messo al freddo vediamo che il mercurio si restringe, se lo mettiamo al caldo si dilata, possiamo parlare di percezione? Percepisce il caldo e il freddo il termometro? Certo reagisce a qualche cosa ma mi sembra difficile potere parlare di percezione così come è difficile parlare di dolore per una lampadina che cade e si spacca e dire che soffre mentre si rompe. Ma non è tanto questa la questione quanto il fatto che della percezione comunque noi ne parliamo in quanto esseri parlanti e questo ci vincola alla struttura di cui siamo fatti, certo il corpo degli umani è provvisto di una serie di sensori che segnalano variazioni di movimento, da una carezza a venticinque tonnellate che cascano sulla testa ...

Intervento: però la percezione precede …

Perché dovrebbe precedere? Dice che il linguaggio non funzionerebbe in assenza di percezione? Intervento: no, dico che la percezione funziona anche senza linguaggio ...

In questo caso si torna alla questione precedente, e cioè è una cosa che non saprà mai, ciò che prima indicavo sulla scia di Wittgenstein, che è stato un bravo filosofo del linguaggio, un “non senso” cioè una cosa che non significa niente, affermare che esiste la percezione senza linguaggio è come affermare che le cose comunque esistono in assenza di linguaggio, è la stessa cosa ...

Intervento: se a un neonato mai nessuno gli parla anzi lo si isola … un bambino che non ha mai sentito parlare non parlerà penso?

Suppongo di no ...

Intervento: ma riesce a vivere?

È possibile. Sono tutte cose che noi attribuiamo al bambino, di fatto non sappiamo cosa succede prima che esista il linguaggio, sono solo ipotesi inverificabili ...

Intervento: cos’è che le da coscienza del suo linguaggio? Il linguaggio stesso?

Sì, è il linguaggio che pensa se stesso ...

Intervento: il linguaggio che pensa se stesso?

Sì, può farlo perché ha costruito degli elementi che consentono in questo momento di parlare del linguaggio, cioè di ciò stesso che ci consente di fare queste considerazioni …

Intervento: a se stessa ...

Può farlo, come una macchina può farlo. I computer incominciano anche, gli mettono delle istruzioni tali che incominciano ad essere consapevoli di ciò che fanno e si avvicinano al modo di pensare dell’uomo, che in realtà non ha nient’altro che questo, la possibilità di riflettere su quello che fa, di considerare, di decidere quindi di scegliere in base a una serie di informazioni. Certo il bambino acquisisce una quantità sterminata di informazioni, pensi a quante ne acquisisce nell’arco di una sola giornata, cose che vede, sente, gente che gli dice cose, una macchina no, ma come dicevano taluni in modo interessante se anche la macchina avesse tutte queste opportunità, la stessa quantità di input che ha un bambino …

Intervento: ...

Anche a lei sono state fornite queste istruzioni, dalla sua mamma suppongo ...

Intervento:  ...

Reagisce a delle variazioni di stato ...

Intervento: come osservavo nel gallo i pulcini non sono stati addestrati però questi fanno quello che da sempre fanno i pulcini …

Prenda questo esempio questo suo esempio, perché il gallo ha reagito in questa maniera? Perché esattamente?

Intervento: ha delle istruzioni … il linguaggio se lo inventa ...

Beh, queste sono ipotesi, è molto difficile da considerare, da valutare, però un programma certo, un po’ come il codice genetico, perché le cose si costruiscono in un certo modo? Perché? A che scopo? Potremmo dire, l’unica cosa forse saggia a questo punto, per niente: il codice genetico costruisce in base a delle istruzioni che ha e può costruire appunto un pollo, può costruire un dinosauro, una balena, una bambina, qualunque cosa, perché lo fa? Perché il linguaggio costruisce proposizioni? Forse la risposta è la stessa: per niente. Cosa che ha parecchie implicazioni oltre che complicazioni, infinite implicazioni se si pensa a ciò che gli umani generalmente pensano di sé e della loro importanza.

Intervento: anche perché la domanda “il perché?” è già successiva all’istallarsi del linguaggio ...

Bene, ci fermiamo qui questa sera e vi ringrazio per essere voluti venire a trovarci, mi ha fatto molto piacere e spero che mi scriverà spesso.