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3-2-2000

 

Riprendiamo la questione di giovedì scorso abbiamo detto come pensare, il pensiero non sia nient’altro che inesorabilmente una sequenza di proposizioni ricorrenti e connesse fra loro, pertanto abbiamo detto del pensiero che qualunque considerazione si faccia, qualunque conclusione si tragga o non si tragga, questo avviene inesorabilmente attraverso questa struttura inferenziale determinata dalla struttura del linguaggio, quindi parlare del pensiero è come parlare del linguaggio, il pensiero non c’è fuori dal linguaggio, che è fatto della stessa cosa. Ora, mi ripeto questa sera, non c’è pensiero fuori dal linguaggio e quindi necessariamente chiunque si trova necessariamente preso nel pensiero, qualunque cosa faccia pensa, inesorabilmente e questo pensiero, abbiamo detto, non è altro che lo svolgersi del linguaggio con tutte le sue procedure e regole ma questo pensiero che pensa qualcosa compreso, c’è l’eventualità che pensi se stesso, da che cosa muove, chi lo muove, perché, come? Dunque che cosa lo muove e da che cosa muove? incominciamo da che cosa lo muove, qualunque cosa noi diciamo a questo riguardo, qualunque cosa sia alludiamo già alla risposta alla nostra domanda, a qualunque cosa alludiamo per rispondere alla nostra domanda comunque utilizziamo uno strumento, un elemento linguistico, chiamiamolo mezzo per il momento, e quindi abbiamo già risposto alla questione “cosa lo muove il linguaggio?” e il linguaggio chi lo muove? se stesso lo muove, il linguaggio lo avevamo accostato, quella volta famosa in cui Cesare era assente, al motore immoto di Aristotele, sì il linguaggio è il motore immoto, in quanto muove e non è mosso da niente, perché qualunque cosa che noi vogliamo dire che lo muova, comunque lo riutilizzeremo necessariamente, per questo è un motore in moto, volete chiamarlo dio? Chiamatelo dio, non ce ne importa assolutamente niente, si può chiamarlo anche Peppino…..va bene Peppino, dunque il pensiero è questa successione di inferenze, abbiamo visto da dove viene, viene da se stesso, da nient’altro che da se stesso, uno volta che il linguaggio è instaurato non può eliminarsi e procede all’infinito ma qualcuno potrebbe dire “la morte lo ferma” una palla colossale, la morte non ferma assolutamente niente, non ha questo potere, e perché non ce l’ha? perché per potere pensarsi la morte, comunque di nuovo devo usare il linguaggio, e non ne veniamo fuori in nessun modo, senza linguaggio non c’è morte, non solo non c’è ma non c’è mai stata e non ci sarà mai, come qualunque altra cosa…dunque abbiamo visto da dove viene e vediamo come prosegue per cui gli umani non possono non pensare, ciascuno non fa altro che pensare, il pensiero è l’unica cosa che funziona full time, non c’è un solo istante in cui non sia attivata, che non funzioni, e quindi ciascuno che lo voglia o no pensa continuamente, perché gli umani si piccano di sapere pensare? Se lei Cesare interpella chiunque le dirà che comunque sa pensare, cosa intende dire con questo? che sa, da premesse date giungere a conclusioni che siano coerenti e necessarie rispetto a quelle premesse, tuttavia non è esattamente così, dal momento che lei stesso o chiunque altro, molti comunque, potrebbero già dalle stesse premesse giungere a conclusioni diametralmente opposte, quindi gli umani non sanno generalmente pensare, non sono in condizioni di farlo perché non hanno gli strumenti per farlo, immaginano che la premessa sia necessaria e a partire da qui costruiscono conclusioni che ritengono pertanto necessarie, in che cosa noi possiamo intervenire rispetto a questa superstizione? Il fatto che una persona immagini che la conclusione sia corretta è una superstizione, al pari di qualunque altra di quella cioè che afferma che se il gatto nero attraversa la strada allora succederà un malanno, è esattamente la stessa struttura, ho tentato di dirlo moltissime volte, lo dirò ancora non importa, ché qualunque cosa gli umani pensino in linea di massima, dalla cosa più importante, alla cosa cui si attribuisce un valore immenso, come la vita, la morte, la religione …fino alla cosa più banale, più sciocca, ebbene tutte queste costruzioni, sono esattamente delle superstizioni, né più né meno, gli unici che sono riusciti ad affrancarsi da questa sorta di maledizione siamo noi, sì, ebbene sì, allora possiamo affermare che qualunque pensiero che non muova da ciò che abbiamo reperito come necessario, ha inesorabilmente la struttura della superstizione, la quale struttura della superstizione è così fatta, prende una premessa assolutamente arbitraria e la pone come necessaria, e a questo punto conclude, come concluda non ha nessuna importanza, ma conclude questa conclusione è una superstizione, esattamente come quella del gatto nero che attraversa la strada, avevamo discusso di superstizione a proposito di un testo non mi ricordo più quale, non importa, perché la superstizione? Perché la superstizione dicemmo allora ha la struttura dell’entimema e cioè cosa fa l’entimema? L’entimema è un sillogismo nel quale uno degli elementi è sottaciuto, (non sott’aceto è differente bisogna distinguere se non distinguiamo è un macello) uno dei tre elementi è sottaciuto, generalmente la premessa maggiore, nel caso della superstizione accade proprio così, la premessa maggiore è sottaciuta, cioè non compare, perché non compare? Perché non è provabile in nessun modo, ora prendete un discorso scientifico, quello che vi pare non ha importanza, e consideratelo con attenzione, vi ricorderete che la premessa maggiore su cui tutto è costruito, non è provabile, è un dato così dell’esperienza, la tradizione, l’ha suggerito il medico, l’ha detto la mamma, queste sono le prove, (perché è sottaciuto?) perché non può essere provata, ora se non fosse sottaciuto dovrebbe essere inserito, inserendolo chiederebbe di essere provato, e non lo può fare, sottacendolo si lascia la supposizione, si insinua che sia già stato provato e quindi non abbia bisogno di prove esattamente come la superstizione, il gatto nero che attraversa la strada, la premessa maggiore non viene mai detta, e cioè il fatto che sia necessaria questa connessione tra il gatto nero e l’incidente, e perché non viene detta? Perché non è sostenibile in nessun modo ma tacendo funziona retoricamente (la stessa cosa che funziona nell’induzione) sì in parte, sì, sì ed è anche una funzione retorica (universalizzazione) come dicevano i retori, Bossuè è uno di questi, quando date un ordine o parlate in modo perentorio, deciso ecc. non dovete mai dare le motivazioni delle vostre decisioni o determinazioni, perché se non le date c’è la possibilità che vi credano, se le fornite andate a mettervi nei pasticci, perché poi non potete provarlo, esattamente, e quindi retoricamente è un’operazione che viene fatta sempre questa di non fornire mai motivazioni e la superstizione compie esattamente lo stessa operazione non fornisce motivazioni valide per la premessa maggiore la tace, tutti i discorsi sono costruiti esattamente così, tutti tranne il nostro, dunque questo unico (se sottacio la premessa so che questo implica una prova che non posso dare) può anche non saperlo, in genere funziona così non è saputo proprio, non è saputo perché non si pone la questione, il caso tipico è il discorso scientifico, infatti non si pone la questione, non possono neanche porsela gli scienziati, non arriva neanche e se arriva ne fuggono, perché comporterebbe che tutto ciò su cui appoggia tutta la fisica, per esempio, è il calcolo numerico e il calcolo numerico non è provabile come è noto, però, però funziona lo stesso, psichicamente, una cosa del genere, perché si immagina che comunque ciò che la scienza prova corrisponda a delle leggi che stanno da qualche parte fuori dal linguaggio (come la questione dell’induzione nella scienza parte proprio dall’avere soppresso l’assioma della regolarità dei fenomeni che è presa come assioma e quindi manca la premessa maggiore) sì in che cosa noi facciamo un passo immenso rispetto a quel testo? che anche questa proposizione che afferma che la “scienza muove dall’induzione e quindi non è provabile” appartiene ad un gioco linguistico, cioè questa stessa proposizione non è provabile, però chiaramente se noi prendiamo il gioco che fa la scienza e ci atteniamo alle sue regole lo sovvertiamo perché stando proprio alle sue regole, una delle quali, fondamentale, è che ogni affermazione deve essere provata, può torcersi proprio contro lo stesso discorso scientifico dicendo che l’assioma, la premessa maggiore da cui parte il tutto non può essere provata e quindi crolla ogni cosa così come nella superstizione, però la potenza del nostro discorso è che può contrariamente a tutti gli altri applicarsi anche a se stesso, infatti non stiamo affermando affatto delle verità, in quanto stiamo soltanto rilevando delle regole di un gioco in particolare quello del discorso scientifico nient’altro che questo al di fuori di queste regole ciò che stiamo affermando non significa assolutamente niente, nulla ma all’interno di queste regole rileviamo che il discorso scientifico data la sua struttura è una superstizione, né più né meno così come qualunque altro discorso tranne questo, perché questo no? (questa premessa maggiore viene inserita nella parola) esatto esiste la premessa maggiore ed è provata in modo tale da non poter essere negabile, qual è la prova che abbiamo fornito perché la premessa maggiore non sia in nessun modo negabile? (nulla è fuori dalla parola) questa è un’affermazione che segue, che tipo di prova abbiamo utilizzato? Allora che parliamo a fare? Come è possibile fornire una prova? Qualunque prova si fornisca ci sarà sempre una controprova che la nega, la prova che abbiamo utilizzato, se sempre si può parlare di prova, comunque utilizziamo questo termine, vediamo se ci piace oppure no, è differente, cioè non costruisce una serie di proposizioni che muovono da un assioma e giungono ad una conclusione, lui usa un altro sistema che è molto più potente e cioè afferma risolutamente che qualunque altra via in nessun modo è praticabile cioè dimostra una cosa negando la possibilità di qualunque altra via, nega la possibilità di qualunque altra via mostrandola, come dire che se non accolgo questo e cioè, ecco l’affermazione che nulla è fuori dalla parola, allora qualunque cosa io affermi non è affermabile, per tutta una serie di passaggi che abbiamo fatto ma non è che forniamo una prova propriamente affermiamo che neghiamo qualunque cosa si opponga a questa affermazione in quanto insostenibile e quindi propriamente sì non è propriamente una prova è una reductio ab absurdum, come volevano gli antichi cioè riduciamo all’assurdo qualunque tesi contraria, come dire che l’unica praticabile è questa, non ce ne sono altre non c’è niente da fare, questa è la prova che fornite (…) e quindi incappa in tutte le aporie della scienza della filosofia della logica ecc… (è un comando) in questo caso sì, abbiamo fornito una reductio ab absurdum, definitiva cioè qualunque altra affermazione è assurda, assurda cioè non sostenibile, non sostenibile perché autocontraddittoria, essendo autocontraddittoria non è praticabile, si elimina da sé, do la risposta in modo tale che qualunque obiezione venga fatta questa obiezione si elimini da sé, e se si elimina da sé, si elimina. Ora dunque dopo avere stabilito una cosa del genere allora pensare, pensare che questa serie, questa stringa di proposizioni, questa successione di proposizioni, coerenti fra loro a questo punto può muovere da qualche cosa che non sia necessariamente arbitrario e quindi non abbia la struttura della superstizione, ma sia necessaria, sia necessaria per la stessa necessità che abbiamo rilevata, allora in fondo dei conti la persona ha due modi di pensare l’uno che muove da premesse assolutamente arbitrarie e quindi non stanno in piedi da nessuna parte, cioè negabile assolutamente negabile, dall’altra un pensiero che muove da una premessa che in nessun modo posso negare, questa è la differenza fra il pensiero così come l’abbiamo strutturato e il pensiero così come avviene generalmente, abbiamo cercato di dire che il pensiero che viene pensato generalmente anche dalle menti più attente ha esattamente al struttura della superstizione e questo possiamo insistere, ma lo possiamo provare e come tale non significa niente perché è comunque autocontraddittorio, intendo dire questo, che qualunque pensiero si faccia che non muova dalla premessa che vi ho indicata prima, questo pensiero è autocontraddittorio, cioè si nega da sé. Potete provare a casa a fare esercizio in questo senso, costruite una proposizione e poi la negate, ne costruite un’altra che la nega, altri miliardi di volte abbiamo detto che nessuno penserebbe le cose che pensa se avesse la certezza che la cosa che sta pensando è autocontraddittoria, cioè si nega da sé, non la sosterrebbe più proprio per una struttura grammaticale che impedisce che possa essere creduto vero ciò che si sa essere falso, che è poi una figura retorica della procedura che afferma che A oppure non A, tertium non datur, se si desse, il discorso cioè il linguaggio precipiterebbe nel nulla, non potrebbe farsi, ora quindi parlando del pensiero e quindi anche di religione (non ci sarebbe linguaggio se ci fosse A e non A, cioè non ci sarebbe neanche questa affermazione la cosa non ci sarebbe, o meglio noi non possiamo pensare come potrebbe essere se non funzionasse questa procedura del tertium non datur) proprio così, cosa stavo dicendo, il pensiero religioso certo, certo, sì quindi a questo punto possiamo rispondere alla domanda a cui abbiamo già risposto, cosa muove ciascuno a parlare, cosa muove a fare, ciò che muove ciascuno sono le conclusioni del suo discorso, quando una persona conclude una certa cosa, quando per questa persona le conclusioni che ha raggiunto è vera allora lui si muoverà in quella direzione, sempre per via di una questione grammaticale, che ignora, ma il linguaggio funziona così e non c’è niente da fare che se è vera quella allora tutte le altre sono false e quindi è in quella direzione che deve andare, perché nessuno va nella direzione falsa? perché se è falsa è anche autocontraddittoria, si nega da sé, potremmo indicare il falso qui come ciò che è autocontraddittorio in modo molto kantiano, non abbiamo nulla contro Kant, cos’è vero? diceva Kant “ciò che non è autocontraddittorio e in effetti il linguaggio funziona così, ciò che non si autocontraddice risulta vero, cioè praticabile, dunque dicevo ciò che muove gli umani sono le loro conclusioni ma se questa conclusione è falsa chiaramente una persona si muoverà in una direzione che non ha nessun interesse, solo che non se ne accorge ovviamente ma se se ne accorgesse non lo farebbe, tutta la difficoltà che abbiamo incontrato e che incontriamo rispetto al nostro discorso è fare in modo che qualcuno se ne accorga non ce ne sono altre di difficoltà, se una persona se ne accorge poi non può non praticare questa via perché le altre, non sono barrate, ma assumono immediatamente un altro rilievo, noi possiamo anche leggere la bibbia come un racconto che può essere divertente ma non come il testo, come il libro dei libri, come il testo dove viene raccontata la verità assoluta, questo non lo possiamo più fare, almeno io non lo posso fare neanche se lo volessi proprio non mi viene, ma dicevo tutta la difficoltà e ciò su cui stiamo lavorando è questo fare in modo che sia accessibile una cosa del genere, pare piuttosto difficile, però la religione come si situa in tutto ciò? (rendere automatica la proposizione nulla è fuori dalla parola è come dire integrarla nella parola, nelle sue procedure, un po’ come il tertium non datur, anche retoricamente può dirsi ma funziona logicamente e grammaticalmente, se è una procedura, diventa non usufruibile come proposizione, ma una funzione cioè funziona) questa proposizione che nulla è fuori dalla parola non è fuori dalla parola a sua volta quindi non è fondabile (rendere automatica) sì è questa la questione come instaurare l’automatismo ? (perché fintanto che questa proposizione rimane una regola e basta produce come dei campi semantici per cui può spostare la questione, al momento che diventa automatica si elabora e basta) e allora? Ve ne pongo un’altra, un po’ di esercizio logico, un’altra questione, la proposizione che afferma che nulla è fuori dalla parola è necessariamente nella parola, e quindi non è fondabile e pertanto non può dirsi né vera né falsa e quindi non è praticabile e quindi perché la pratichiamo? (è una regola) il nostro gioco afferma che soltanto affermazioni necessarie possono essere accolte (non può essere negata) Tenendo conto di ciò che abbiamo detto intorno alla religione non ci resta che affermare che o c’è il discorso che stiamo facendo oppure c’è religione non ci sono vie di mezzo pertanto qualunque discorso, dal discorso scientifico, al discorso quotidiano se è posto nei termini che indicavo prima e cioè la superstizione quindi strutturato come un entimema che non può mostrare l’assioma fondamentale e soprattutto non lo può provare l’assioma da cui muove, questa è superstizione e quindi non c’è pensiero, quindi faccio un equivalente fra superstizione e religione tranquillamente, senza nessun problema, è questo il messaggio che occorre che noi facciamo passare, nelle conferenze negli interventi, in varie circostanze, o si pensa in questo modo o si è presi nel discorso religioso cioè un discorso in cui qualunque cosa si affermi è assolutamente risibile qualunque, visto che ormai gli strumenti che abbiamo sono talmente potenti da consentirci di affrontare qualunque contraddittorio senza nessun problema almeno così dovrebbe essere. Dicevo questo per un rilancio del nostro discorso nelle conferenze soprattutto o pensate sia il caso che io prenda dei testi e li distrugga dialetticamente, di Heidegger o di Vattimo? (rendere risibili le verità) il credente si trova a dire “a me non interessa che sia vero o sia falso io credo e basta” ma non potrebbe credere se sapesse falso, per cui lui crede che sia vero (…) sì e quindi che cosa proponiamo in definitiva? un modo di pensare che non sia necessariamente cretino per esempio (sarebbe un titolo?) no è ciò che proponiamo. Va bene ci vediamo martedì.