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3-1-2014

 

È difficile avvertire che le premesse, i presupposti da cui si parte per dire, per argomentare, non sono una verità ma giochi linguistici, è difficile per come è fatto il linguaggio. Si parte sempre da un’affermazione, cioè da qualche cosa da cui è possibile dedurre altro, per derivare altre affermazioni, quindi l’affermazione da cui si parte deve rispondere a certi requisiti, il primo fra questi è che deve essere considerata vera. Può essere considerata vera in molti modi e cioè vera all’interno di un gioco linguistico, vera in assoluto, vera rispetto a una certa teoria, però rimane il fatto che si muove sempre da un’affermazione e considerare questa affermazione come prodotto di altri giochi linguistici ha degli effetti, effetti sgradevoli e sgraditi, e cioè che tutto ciò che si deriva da questa affermazione è solo un gioco, non ha nessuna validità al di fuori di quel gioco. L’altra volta accennavo alla questione clinica che muove proprio da questa considerazione, e cioè il fatto che ciò che si afferma, tutte le affermazioni che vengono fatte e tutto ciò che viene derivato da tali affermazioni è soltanto per giocare, ma “giocare” a questo punto non è soltanto nell’accezione di gioco così come lo intende Wittgenstein per esempio, così come l’abbiamo sempre inteso e cioè come una sequenza costruita a partire da certe regole di costruzione ma anche l’aspetto ludico, divertente, giocoso. Giocoso perché a questo punto non c’è più la necessità di pensare che ciò che si afferma sia garantito da qualche cosa e quindi perde la seriosità, perde anche la tragicità, la seriosità di chi afferma cose vere, di chi sta dicendo come stanno veramente le cose. Quando si dice come stanno veramente le cose, questo dire è sempre accompagnato da una certa gravità. In quel caso scompare non soltanto il gioco in quanto strutturale ma anche l’aspetto ludico, divertente. Il piacere viene tratto sempre dall’idea di avere compiuto delle affermazioni vere, la soddisfazione, il piacere vengono da lì, non ci sono altre fonti di piacere, ma questo peggiora la situazione perché se qualcuno avesse l’opportunità di considerare che ciò che sta dicendo non rispecchia uno stato di cose, anche la soddisfazione nel dire queste verità verrebbe meno, quindi diventa un problema. Per potere usufruire della ludicità di questo modo di giocare con il linguaggio occorre abbandonare, perdere il piacere che si trae nel pensare, nel supporre di avere affermato delle verità, e che devono essere riconosciute da chi ascolta come tali, se non le riconosce come tali ci si inquieta. Eppure questo aspetto ludico nel praticare il linguaggio non c’è per lo più, non c’è perché muove dal fatto che non c’è più la possibilità di affermare come stanno le cose in nessun modo, però questo giocare con il linguaggio è ciò che una clinica psicanalitica potrebbe, forse, dovrebbe instaurare in un discorso. Se mi trovo a giocare con il linguaggio e a divertirmi a costruire sequenze, a costruire nuove scene come le costruisce un caleidoscopio, a giocare allo stesso modo, cioè costruire nuovi colori, nuove immagini, nuove configurazioni, nuove scenari anche per cose vecchie che vengono ricostruite altrimenti, ecco, se c’è tutto questo allora è possibile giocare con il linguaggio e divertirsi giocandoci, ma attraverso a che cosa passa una cosa del genere? Passa attraverso tutto ciò che stiamo dicendo, che abbiamo detto nell’anno trascorso, tutto ciò procede dal lavoro che abbiamo fatto e che potremmo riassumere in una sequenza molto breve: o il significato delle cose è decidibile attraverso le cose stesse, cioè attraverso un significato referenziale per cui la parola denota la cosa, oppure il significato è di volta in volta costruito, costruito da varie cose, una costruzione che non è agganciata alla cosa, alla realtà. Non essendo agganciata alla realtà il significato è letteralmente costruito dal discorso in cui è inserito: se è un significato inferenziale dalle regole che stanno funzionando nel linguaggio, abbiamo visto che l’unica referenza possibile è quella al significato stabilito da un codice che ciascuna lingua ha elaborato per potere costruire, per potere utilizzare parole, per costruire sequenze, discorsi eccetera ed è il significato del vocabolario, in genere il primo che compare. Quindi dicevo o il significato si riferisce alla cosa oppure è costruito o da altri significati, se è inferenziale, o è costruito da un riferimento a una voce del dizionario se è referenziale. Tutto questo non è proprio completamente nuovo nel pensiero degli umani, ciò che è nuovo, ciò che abbiamo fatto l’anno passato è trarre le implicazioni da una cosa del genere. Molti sanno che il significato procede dal testo, la semiotica non fa che dire questo, ma manca un passaggio, che è quello che ci ha consentito di fare tutto quello che abbiamo fatto, e cioè il riferire queste considerazioni al discorso che stiamo facendo. La semiotica dice che il significato di una proposizione procede dal testo all’interno del quale è inserita, ma ciò che nessun semiotico ha mai considerato è che allora, se così è, allora anche il significato di quelle proposizioni che affermano che il significato di una proposizione procede dal testo, dal racconto in cui è inserito. Allora anche queste proposizioni che dicono queste cose traggono il loro significato dal discorso, in questo caso, dalla teoria in cui sono inserite, per cui allora anche la semiotica Greimas per esempio, visto che lo abbiamo considerato recentemente, ma non solo lui chiunque altro, lo stesso Hjelmslev e tutti gli altri, allora tutto ciò che viene costruito è un gioco cioè non può dire come stanno le cose, perché la teoria stessa dice che le cose non stanno in nessun modo perché queste cose sono costruite dal discorso, dalla teoria o dal racconto, però torno a dirvi manca questo passo, che è fondamentale: rendersi conto che ciò che si sta affermando è riferibile anche alle affermazioni stesse che affermano quello che affermano. Da qui si giunge a considerare che il significato di qualunque cosa è tratto dal testo in cui questo qualche cosa è inserito, in fondo anche una parola che trae il suo significato referenziale dal dizionario trae il suo significato dal testo all’interno del quale è inserito, in questo caso il testo è la lingua italiana. Una qualunque cosa trae dunque il suo significato, cioè la sua utilizzabilità, dal sistema all’interno del quale questa cosa è inserita, in qualunque caso, perché se una parola dice qualche cosa allora è utilizzabile, per esempio un suono è utilizzabile perché è un significato, cioè perché rinvia a qualche cosa. Per potere dire qualcosa occorre che ci sia un ambito all’interno del quale è inserito, e ciò che fa l’addestramento al linguaggio è fare intendere che qualcosa è utilizzabile soltanto all’interno di un ambito, di un sistema, di una struttura. Quando dicevamo che per insegnare il funzionamento di un’inferenza si inserisce, tanto in una macchina quanto in un bambino, un algoritmo che dice che se c’è x allora c’è y, questo dice già tutto, dice già cioè che si sta mostrando in quel momento che un elemento è all’interno di un qualche cosa in un sistema inferenziale, e che perché qualche cosa sia qualche cosa deve essere all’interno di un sistema. È quando la persona o la macchina è in grado di compiere questa operazione, cioè di eseguire l’operazione dell’algoritmo che incomincia a comprendere quindi a parlare, quindi a pensare, quindi a fare tutto quello che vi pare, come se l’aspetto importante nell’addestramento al linguaggio consistesse propriamente nel far intendere che qualunque cosa è all’interno di un sistema. Addestrando al funzionamento dell’inferenza si addestra a pensare, ma anche a considerare che qualunque cosa, se è qualche cosa, appartiene al linguaggio e quindi a un sistema. Il linguaggio è un sistema, essendo una struttura, cioè perché qualche cosa sia deve essere all’interno di questo sistema e non fuori. Questione importante questa, in nessun modo per altro sarebbe possibile mostrare questo qualcosa che è fuori dal sistema. Fuori dal sistema che cosa c’è? Ci sono tutte quelle cose che gli umani hanno inventato per reperire un quid che possa garantire in assoluto che il significato non è, non procede dal sistema ma c’è un quid, un dio che lo garantisce e allora tutto ciò che è fuori dal linguaggio è il dio, il marziano, la natura cioè tutto ciò che ha qualche funzione di garanzia al di fuori del sistema. Perché questa idea? Abbiamo inteso in buona parte e abbiamo inteso che procede dal modo in cui si trasmette il linguaggio, che non si trasmette come nelle macchine attraverso il digitare delle sequenze che costituiscono degli algoritmi che la macchina è in condizioni di eseguire, certo, anche per gli umani è così, ma non si digita sulla tastiera, si usano altre porte di ingresso ma è necessario per gli umani immettere, allo scopo di poterli controllare, una informazione particolarissima, e cioè che la verità delle affermazioni deve sempre essere verificata con la verità di chi ha trasmesso il linguaggio. È come se fosse lui il “padrone” del linguaggio e quindi non c’è una garanzia propriamente all’interno di quello che dice ma al di fuori che quello che dice, nella mamma, nel sistema. Il motivo per cui si inserisce questa informazione, che è totalmente assente nella macchina ovviamente, è potere controllare. Però Cesare potrebbe dire “ma anche le macchine bisogna controllarle”, certo, devono esserlo, ma per controllare le macchine si utilizza un sistema differente, perché? Il motivo è che il modo in cui si sono costruite le macchine ha in sé un sistema di verifica che chi ha inventato le macchine ha deciso di metterci, e cioè una verifica attraverso il confronto con gli algoritmi che fanno parte del sistema. Le macchine hanno iniziato con un sistema, un programma molto semplice e molto banale, non si sono mai trovate nella condizione di prendere iniziative perché non erano e non sono a tutt’oggi, in condizioni di scelte, prendere decisioni, perché non sono sufficientemente elaborate, implementate. Nella fantascienza si è immaginata una cosa del genere cioè di costruire macchine talmente elaborate da prendere decisioni, cioè di fare tutto ciò che fanno gli umani, ecco allora la necessità di immettergli le famose tre leggi di Isaac Asimov: 1) non devono nuocere agli umani per nessun motivo, 2) devono fare tutto ciò che gli umani dicono di fare - (a meno che la legge 2 non violi la 1), 3) di mantenersi integri cioè di non autodistruggersi (sempre che la cosa non vada in conflitto con le prime due. In questo caso nella fantascienza immaginando macchine così elaborate da potere prendere decisioni e scegliere, si è dovuto immettere comunque delle leggi per controllare le macchine, l’idea del controllo in questo caso è che le macchine non nuocciano agli umani. Ma anche negli umani funzionano dei divieti, il fatto di inserire quell’informazione tale per cui la verità delle loro affermazioni dipende non dal sistema che le fa funzionare ma da un’altra cosa, da un’altra persona, anche questo è un sistema di controllo, un sistema di controllo molto efficace che impedisce che gli umani si ribellino a chi li sta addestrando, a chi sta trasmettendo loro il linguaggio e quindi appunto sono controllabili, entro certi limiti certo. Essendo il sistema molto più complesso, molto più elaborato delle macchine c’è la possibilità a un certo punto di incominciare a riflettere per esempio sui divieti e metterli in discussione. Però rimangono sempre vincolati a un qualche cosa cioè alla ricerca della verità fuori dal sistema, evidentemente l’addestramento funziona molto bene. Questa informazione che viene inserita negli uomini a quali condizioni cessa di funzionare? Bisogna che la persona o la macchina si renda conto che questa verità che deve ricercare al di fuori del sistema non è altro che una propagazione del sistema stesso, perché la persona che gli ha immesso questa cosa a sua volta faceva parte di un sistema e così via e cioè non ha più la necessità di cercare una verità perché sa che la verità essendo un sostantivo femminile singolare può essere qualunque cosa e ha gli strumenti per mettere in gioco questo concetto di verità come garanzia assoluta di ciò che si dice. Si sono scritti anche dei romanzi, prendete per esempio quello Mary Shelley Frankenstein, costruendo la macchina a un certo la macchina si ribella, ma perché questa fantasia? Perché questa fantasia che se uno costruisce la macchina, la macchina gli si dovrebbe rivoltare contro?

Intervento: Perché pensano che le macchine facciano esattamente quello che fanno gli umani…

Quindi queste macchine, e i film di fantascienza vanno sempre in questa direzione, le macchine vogliono acquisire il potere sugli umani, quindi avere loro il potere e quindi fare esattamente quello che vorrebbero fare gli umani. Avendo costruito i computer utilizzando il sistema logico degli umani, immettono anche le fantasie degli umani e, più propriamente, la fantasia di potere. Questa fantasia scompare nel momento in cui c’è invece la possibilità di considerare che la verità non è al di fuori del sistema ma è all’interno del sistema, costruita dal sistema stesso, ed essendo costruita dal sistema stesso tutto ciò che può fare è costruire sequenze per il solo divertimento di costruirle. (l’idea della distruzione) l’idea della distruzione è eliminare chi mi vuole impedire di avere potere sul mondo intero se una persona mi ostacola la elimino fisicamente è sempre il sistema migliore più efficace se non c’è più non c’è più (la intendevo anche come la rappresentazione che si ha del linguaggio che se non è controllato dal di fuori, metafisicamente, si dissolve, cioè l’utilizzo del linguaggio per le costruzioni più strane, l’impossibilità di “comunicare” le stesse cose- qui rientra la questione del potere ) non so se c’è questa fantasia perché si costruisca una fantasia del genere occorre già avere molti strumenti inizialmente potete pensare a un bambino come una macchina a cui si trasmette un sistema e le prime informazioni che vengono fornite non sono sufficienti a costruire un pensiero così elaborato, così articolato e l’idea è che essendo sempre la realtà come l’oggetto che garantisce della verità delle affermazioni, l’idea non è che cessi il linguaggio perché nessuno si perita di considerare che è il linguaggio che costruisce tutte queste cose, ma

Se riconduciamo la cosa alla fantasia di potere l’unica paura possibile è quella di perdere totalmente il potere e cioè di essere in balia di altri o di altro, da qui la paura. Tutte le fantasie raffigurate in situazioni di paura riguardano sempre qualche cosa di cui non si ha più il controllo e non avendo più il controllo, si teme che questa cosa o questa persona faccia esattamente quella cosa che io voglio fare alla persona, prendere il controllo su di lui. Perdere totalmente il controllo sulle cose, sulle persone, è l’unica paura possibile per gli umani dal momento che sono fatti di linguaggio. Paura di perdere il controllo, altra questione che nel momento in cui sia possibile giocare il linguaggio, “giocare” nelle due accezioni che indicavo sia l’aspetto strutturale, sia l’aspetto ludico, si dissolve, cioè non esiste più, non ha più motivo o ragione di essere, non importa più niente a nessuno; avere il controllo su qualcuno significa imporre la propria ragione, cosa devo imporre? Il mio gioco, cioè le cose che sto costruendo? Il mio “caleidoscopio”? Che motivo avrei di imporre qualche cosa? A che scopo? Non c’è più niente di tutto ciò, posso mostrarle ad altri perché possano anche loro giocare questo gioco o implementarlo con altri giochi, giochi ancora più divertenti, più sofisticati, questo sicuramente, ma non posso in nessun modo imporre il mio gioco come quello vero perché a questo punto è un non senso, è una sorta di contraddizione in termini.