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2-12-1999

 

 

Avevamo precisato un po’ di tempo fa che è strutturale all’atto di parola, il fatto che ci sia un rinvio, cioè che un elemento essendo un elemento linguistico è necessariamente connesso con un altro elemento linguistico e quindi ha un rinvio. Ora potremmo dire che ciascun elemento linguistico ha necessariamente un destinatario e il destinatario è l’altro elemento linguistico a cui rinvia , questo per quanto riguarda l’aspetto logico, abbastanza semplice; per quanto riguarda l’aspetto retorico potremmo dire che un discorso, ciascun discorso ha come destinatario un altro discorso, ora in effetti ci siamo persi in un bicchiere d’acqua giovedì scorso, perché chi è l’altro l’altra persona, quando si chiacchiera? È un altro discorso, o comunque è un discorso in prima istanza. (…) e allora dicevo che il discorso ha come destinatario un altro discorso, ora cosa avviene? avviene che ciascun discorso muovendo verso un altro discorso e questo secondo verso un terzo e così via all’infinito, innesca quel processo di infinitizzazione del discorso che abbiamo perseguito fino a constare che in effetti non c’è l’arresto della parola, però se voi tenete conto del fatto che la più parte delle persone che abitano questo pianeta non sanno molto di questo discorso allora di fronte all’infinitizzazione del discorso si smarriscono, occorre porre un argine al proprio discorso, chi pone l’argine? Quel discorso che non è mio, che non mi appartiene e che è pensato così generalmente, soltanto potendolo pensare come un discorso che non mi appartiene può porre un freno, un argine al discorso che penso mi appartenga. Ora il discorso che fa un’altra persona comunque è un discorso che nella misura in cui mi coinvolge mi appartiene in quanto ascolto dei significanti che hanno una certa funzione all’interno del mio discorso, una funzione particolare e non altro, tant’è che ascoltando una persona che parla, ciascuno di noi, può accadere che ascolti cose differenti, però il destinatario qui non è nient’altro che un altro discorso che si produce e che però retoricamente è immaginato essere prodotto da un’altra persona, quindi se tenete conto che quest’altra persona è un altro discorso, semplicemente, io mi trovo di fonte a un altro discorso e basta. Questo altro discorso come funziona? Funziona in questo modo, io ho la necessità, il discorso occidentale… di porre un argine al mio discorso, cioè di fermarlo, trovare la soluzione, trovare la certezza per esempio, comunque una battuta di arresto, perché non posso farlo da solo? Perché se lo faccio da solo accade ciò che è accaduto a noi e cioè di incontrare una sorta di infinitizzazione della parola, e quindi non lo posso fare, però posso immaginare che l’altro che si trova di fronte per esempio produca un discorso che costituisce, lui, sì la battuta di arresto, ché non mi appartiene più quindi non rischia questo processo, esattamente, come nel percorso che abbiamo compiuto in questi anni, se noi avessimo accolto una qualunque teoria che ci veniva offerta, prendendola per buona, avremmo fatto esattamente questa operazione, non ci saremmo incontrati con l’infinitizzazione del discorso ma il discorso si sarebbe arrestato su questa teoria, invece non abbiamo fatto così e abbiamo perseguito la via ben più ardua, quella dell’assenza di limite al rinvio. Da qui allora la necessità per molti, per i più di avere l’interlocutore, di avere l’interlocutore in qualcuno che è altro da me. Ora dire altro da me può comportare qualche problema ma nel discorso occidentale non comporta nessun problema, perché l’altro comunque è immaginato fuori dalla parola, quindi è un altro discorso che avviene fuori dal mio, che non è fuori dalla parola ma è comunque fuori dal mio discorso e da lì può fermare il mio o può dare un senso al mio, perché il mio non può darselo da solo perché incappa in questa infinitizzazione. E quindi religiosamente io prendo il discorso dell’altro e sono costretto in alcuni casi letteralmente a prenderlo come verità, come se non avessi altra scelta. Questo comporta che cosa? che se procediamo dritti come siluri il discorso che stiamo facendo dobbiamo necessariamente concludere che non è necessario parlare con altri. Perché non abbiamo questa necessità come dire che il discorso che ciascuno di noi produce è autosufficiente, ora non c’è una necessità logica, poi è chiaro che se mi servono le sigarette vado dal tabaccaio a comprarle ma non è di questo che sto parlando, non ho una necessità psichica di parlare con altri, questa è la cosa fondamentale, perché il discorso in cui mi trovo ha tutto ciò che occorre per proseguire, il fatto che non ci sia necessità non esclude chiaramente che lo si fa, tant’è che lo stiamo facendo, perché è una cosa che può provocare del piacere indubbiamente ma non è necessario, questa è la conclusione cui inesorabilmente si giunge, e probabilmente occorre giungere anche a questo cioè al punto in cui il proprio discorso è assolutamente sufficiente. Forse quelli che da più tempo seguono quello che stiamo dicendo si ricorderanno che (…) andavo dicendo della questione affettiva che è preferibile non avere bisogno dell’altro per potere avere a che fare con l’altro in modo più interessante, ecco forse era già in nuce la questione cioè occorre, molto probabilmente, comunque ci rifletteremo ancora, che io non abbia nessun bisogno di parlare con l’altro perché possa farlo in modo più interessante laddove questa accada, e allora la necessità dell’altro, sempre seguendo questo percorso che stiamo facendo questa sera, è una necessità religiosa, la necessità di avere qualcuno con cui parlare e di avere la necessità di qualcuno che mi rinvii il messaggio in forma “capovolta” o raddrizzata, che sia, poco importa, era Lacan che diceva che ciascuno riceve il proprio discorso dall’altro in forma invertita, e aveva fatto tutto un gioco con i vasetti di fiori, tutta una cosa incredibile (cosa vuol dire Faioni un messaggio dall’altro in forma invertita?) intanto l’altro per Lacan è un riferimento all’altra scena di cui parla Freud, l’altra scena è comunque sempre presente parlando, questo già in Freud, poi la cosa è stata amplificata da Lacan (la questione dello specchio) come dire c’è dell’altro il riconoscimento (come dire io parlo con l’altro e mi riconosco) forma invertita perché facendo questo giochetto dei vasetti, per un gioco di specchi, uno è capovolto ma si vede diritto e allora lui è giunto a considerare che questo messaggio che si invia all’altro lo si riceve dall’altro però capovolto, nel senso che (come se lo specchio in cui io posso vedermi , mi rimandasse da quello che io vedo quello che io dico) sì è un’immagine speculare, possiamo dirla così, per cui dicevo l’altro in quanto tale è chiaramente una figura retorica e questo ci pone a una distanza infinita sia da Lacan che da Freud, che da Verdiglione, dove l’altro invece è considerato una figura fondamentale e fondante nel discorso… l’altro è necessario nel discorso religioso a meno che io ponga l’altro come il destinatario ma nell’accezione che abbiamo intesa prima e allora risulta inesorabile che per ciascun significante ci sia un rinvio a un altro significante, però ponendolo in termini logici allora è necessario che esista un destinatario, però parlare di destinatario come altro, già comporta molto probabilmente un passaggio alla questione retorica, altro come il depositario per esempio come accennavo prima del sapere e della verità e questo non è affatto necessario, mentre per Lacan lo è. Logicamente come vedete la questione è molto semplice se un elemento è un elemento linguistico è necessariamente connesso con altri elementi linguistici quindi è per che cosa ciascun significante? È per un altro significante, per il significante a cui rinvia, è la stessa questione che ci ponemmo tempo fa, perché parlare? Perché si parla in effetti? perché si è nel linguaggio, è una questione che non ha nessun senso, dal momento in cui si è nel linguaggio il linguaggio funziona in questo modo e soltanto in questo e cioè funziona attraverso una serie di rinvii e di connessioni tra un elemento ed un altro in un certo modo per cui si costruiscono proposizioni, per esempio, quindi il destinatario della parola è un’altra parola, come abbiamo detto in varie circostanze e non potrebbe essere altrimenti. Già dire che è qualcuno è già un arbitrio cioè “qualcuno” interviene retoricamente come una figura, allora se lo poniamo come figura retorica va bene certo, ma sapendo tuttavia molto bene che questo qualcuno di cui sto parlando è una figura retorica costruita da procedure linguistiche, su una procedura necessaria che è quella del destinatario, necessariamente la parola ha un destinatario che è un’altra parola, ma se è necessario che sia un’altra parola non è necessario che sia qualcuno, questa è l’unica necessità, la questione fondamentale (in questo modo saltiamo a piè pari la questioni in cui ci siamo impegolati giovedì dell’interlocutore, del solipsismo ….perché se giochiamo questo gioco e ci troviamo a fare delle affermazioni e ci accorgiamo delle affermazioni che facciamo arriviamo all’infinitizzazione dei giochi….anche Wittgenstein con la questione del solipsismo non mi pare che riesca ad uscire perché posso sempre dire che posso inventarmi tutto il locutore, l’interlocutore, ma sono sempre solo con la mia storia) sì lui mutua questo termine da Jakobson , tra l’altro tutta una questione del genere sbarazza totalmente e inderogabilmente da tutto l’aspetto folcloristico della solitudine, non esiste più (un po’ come la poesia, il “tramonto” come si diceva , quell’altro ha questa funzione io posso usufruirne…) certo, certo può essere piacevole, ma io so che non è necessario, non soltanto lo so, ma pratico questa non necessità, che non è sufficiente io posso accoglierlo ma se non c’è non succede assolutamente niente, forse è anche questo che in effetti mi ha condotto a inventare la Seconda Sofistica, mi sono accorto che non c’era più nulla che potesse servirmi per proseguire l’elaborazione teorica, quindi occorreva che facessi da me, chiaramente utilizzando una quantità enorme di informazioni però a questo punto era lo stesso mio discorso che si interrogava, prima ho trovato un metodo abbastanza potente in modo che consentisse al discorso di non cascare in qualche religione di sorta, dopo di che è andato avanti benissimo da solo, non ha più avuto bisogno di altri cioè il discorso in effetti è stato autosufficiente, perché la parola è autosufficiente, non ha bisogno di niente altro per funzionare… se non di se stessa (sembrerebbe un paradosso il bisogno dell’altro che si incontra nel discorso…) parrebbe se c’è questa necessità c’è qualche aggancio religioso (l’altra persona , non bastante) (ponendola in questo modo in cui la stiamo ponendo non porta a nessuna esclusione dell’altro, non viene neanche più in mente di parlare di bisogno, uno parla e non esclude assolutamente l’altro. Proprio la domanda stessa che dice “allora l’altro non mi abbisogna più?” non interviene più nel discorso, non è più praticata perché non ha senso) (…) questo che stiamo facendo può diventare l’unico gioco che in effetti costituisca l’interesse poi chiaramente uno può fare mille altre cose ma è come se rimanessero secondarie e questo può accadere dal momento che in effetti è un gioco che gioca con le condizioni di tutti gli altri giochi, questo non toglie che io possa giocare a poker con gli amici ma in ogni caso rimane comunque sempre questo gioco come sfondo, contrariamente al poker che invece non fa da sfondo a niente, posso giocarlo un paio d’ore e poi è finita lì (questo gioco nostro che fa da sfondo a qualsiasi altro per cui è la condizione per giocare qualsiasi altro gioco, ma occorre che si instaurino quelle regole che rendono tale questo gioco – basta leggere la Seconda Sofistica - che sono lì dentro contenute – logicamente come posso dire che questo gioco fa da sfondo) la parola che esercita maggiore attrazione, i significanti più ricchi sono lì e quindi qualunque altro gioco in ogni caso si differisce anche se in quel momento non lo gioco direttamente però si riferisce comunque a questo altro gioco, come il gioco che dà maggiore possibilità, cioè chance (io dicevo che questo gioco è sempre presente come dire che laddove si pone qualsiasi significante per cui io ne possa usufruire e questo significante giocandolo occorre che questa struttura che si è immessa nel discorso funzioni, cioè funzionino le regole esattamente come quando gioco a dama e mi trovo una pedina bianca me la mangio) se ha la pedina nera (cioè la regola del gioco si impone immediatamente a meno che io non sia fuori di testa e non stia seguendo il gioco… questo gioco è effettuale laddove io dico qualcosa questo qualcosa che dico è tenuto in conto da ciò che seguirà) basta dire che ha effetto retroattivo per cui non si accavalla niente (è difficile fare qualcosa dicendo, laddove delle procedure in atto paiono contraddire quello che poi si produce) quello che precede ha un effetto retroattivo su quello che segue ma potremmo provarla una cosa del genere? Potremmo provarlo? (no ma pare figurare una cosa del genere) e questo potrebbe essere una buona questione provare a dimostrare una cosa del genere in modo non negabile che un elemento che precede abbia un effetto retroattivo su quello che segue, retroattivo in quello che segue, Cesare provi questo….(la difficoltà che si incontra e quando ci si prova a descrivere una operazione di questo genere, ciò che dico figura questa retroattività, per via della grammatica della sintassi del linguaggio, per esempio i verbi, dà le direzioni al discorso per cui se dico che ho dimenticato qualcosa lo sto dicendo adesso e quello che io ho dimenticato si produce e si costruisce adesso, è una direzione contraria al senso del verbo, cioè se parlo di costruzione e produzione, è completamente spostata in avanti la questione, come se il senso dei verbi si contraddicesse, e difficilmente se non gioco questo gioco posso tenerne conto, perché tutto nel linguaggio coopera nella sua grammatica al paradosso) la questione è bella però è più complicata (il discorso ne tiene conto) questa affermazione così… occorrerebbe riflettere bene “il discorso tiene conto” perché e se sì, come? (certamente quello che dico è “tiene conto”) bisogna anche immaginare di avere di fronte un sofista, un logico matematico, e un linguista minimo! (ecco queste sono delle altre regole, quindi da questa proposizione il mio discorso parte e arriva, laddove si compia quel giro laddove io posso affermare che il mio discorso ne tiene conto, laddove la mia ricerca si ponga nei termini religiosi per cui cerco quell’elemento che mi conduca alla “soddisfazione” della questione, dia un senso alla questione per cui io trovo anche quell’ elemento di cui il mio discorso tiene conto, questo serve a confermare la mia teoria, che il mio discorso ne tiene conto, però è soltanto questa affermazione, questo gioco che io sto facendo in questo momento che permette questo gioco del “tenerne conto” quindi della mia ricerca per cui posso dire che il mio discorso ne tiene conto… laddove…) in effetti non c’è nulla al mondo che possa garantirci che un elemento tiene conto di un altro (però posso trovarlo) sì non è questo il problema, il problema è provarlo, se no non si può fare ma pensate quando giocate a poker con gli amici (…) cosa garantisce che fra l’asso di cuori e il sette di picche ci sia una connessione tale per cui se ho l’asso di cuori… mentre se ho solo un sette di picche non vado da nessuna parte, c’è una connessione stabilita dalla regola del gioco, son soltanto le regole del gioco che dicono, che stabiliscono che se ho quattro assi… (la regola del gioco che mi permette di giocare a poker fa parte di questo gioco, come faccio a non enucleare la regola del gioco e quindi a compiere un percorso religioso se non affermando quello che io vado affermando…la regola del gioco salda) come salda? Se non lo fosse non si potrebbe giocare, se non fosse saldo il fatto che quattro assi battono due jack (rischia lei questa regola di diventare ferma immobile) come può avvenire? cioè certo avviene continuamente nel discorso occidentale ma all’interno del discorso che stiamo facendo perché c’è questo rischio? Non c’è nessuna possibilità poi che avvenga al di fuori di questo gioco non solo avviene ma è la prassi comune, considerare la regola del gioco come una legge divina… (nella S.S. si dice che ciascun elemento è una produzione e una procedura, perché sia possibile l’infinitizzazione dei giochi e quindi il discorso mai fermo occorre che non solo l’elemento sia una produzione del discorso ma allo stesso modo che sia una procedura e quindi mi riferivo alle regole come elementi fermi che servono per giocare) no assolutamente che il discorso pone per giocare certamente (ma come questi elementi regole non seguono la dissoluzione del…) discorso occidentale? (no anche del gioco che andiamo facendo noi, la regola è ciò che permette il gioco, se si dissolve la regola…) si dissolvono anche le procedure certo (come avviene che queste regole funzionino? Permangano?) perché permanga una regola anziché dissolversi in altre regole? (…) qual è per esempio la regola che si è fissata? (la regola che si è fissata è che nulla è fuori da quello che dico per cui ciascuna cosa che mi trovo ad affermare è presa nel discorso e posso confutarla e quindi proseguire il discorso, non c’è più nulla che abbia un valore più grande di un altro) che “nulla sia fuori dalla parola” può anche prendersi come regola però di fatto è una necessità logica alla quale non è possibile sottrarsi in nessun modo, si è tentato in tutti i modi ma non se ne viene fuori, occorre ammettere che nulla è fuori dalla parola. Sì in effetti qualcosa si è fermato, si è fermato questa considerazione….(questa considerazione… è una procedura e una regola) esattamente ciò che in nessun modo può essere evitato se si parla e siccome siamo costretti a parlare non abbiamo alternativa, l’unica cosa che abbiamo posta come inevitabile, sono delle procedure di cui è fatta questa cosa… forse un piccolo passo l’abbiamo fatto, la questione dell’altro forse è un pochino più semplice (…) che non richiede la fede, che non richiede l’assenso ché è una questione logica (come se fosse quella questione a lato da cui si era partiti e cioè che è sempre presente il gioco che stiamo facendo, questa proposizione è come se fosse l’antecedente di qui parto e poi tutto quanto accade) è l’unica cosa di cui non posso negare (è come se fosse un referente possiamo metterla così) (…) sì l’utilizzo il procedere lungo la teoresi è una funzione ricorsiva per cui ogni volta si torna al punto di partenza per verificare quello successivo) sì ciò che abbiamo detto questa sera che l’altro è una figura retorica, una delle figure retoriche consentono di proseguire il discorso ma non è quella che consente al discorso di proseguire il che è molto differente (si perché il discorso può proseguire con i tramonti con qualunque cosa…) con il gelato come mai non aggiunge? certo sono figure retoriche che avvengono perché il discorso prosegua ma non sono necessarie al suo proseguimento (l’economia della lingua, non è nient’altro che una grande fantasia) e qui può essere impiantato tutta una serie di fantasie su cui è costruita qualunque istituzione, la necessità dell’altro quindi ho bisogno che ci sia qualcuno, quindi ho bisogno ecc. però si regge su questa menzogna.