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2-11-2011

 

La volta scorsa dicevamo del linguaggio che produce una realtà, che abbiamo chiamata virtuale, cosa avviene nel momento in cui si incomincia a parlare? Che qualcuno fornisce delle indicazioni, e si incomincia a dare dei nomi a delle cose. Pierino, che non sa che si chiama Pierino, incomincia ad avere anche questa informazione ed è dal momento in cui qualche cosa è nominabile, cioè diventa un elemento linguistico, che accade qualcosa di importante. Questo elemento linguistico non è tale in quanto è lì, da solo, isolato nel nulla, ma è tale perché si aggancia ad altri elementi linguistici a formare una rete, un tessuto, una combinatoria, una serie di connessioni. Questa rete di connessioni che incomincia a essere, costituisce la realtà, realtà che è fatta di questa rete di connessioni perché finché non c’è questa rete di connessioni gli elementi di fatto non esistono. Facevamo un esempio nella conferenza: per un leone nella savana, la savana non esiste, non ci sono gli alberi, non c’è niente, vive così, senza quella che per noi è la consapevolezza delle cose, la consapevolezza presuppone una riflessione, presuppone una decisione, presuppone in poche parole che esista il linguaggio. Dunque vi dicevo che questa realtà, cioè le cose, il mondo che ci circonda, è fatto di una rete di connessioni che sono linguistiche. Il problema che è sorto con il pensiero metafisico, cioè filosofico, quando è incominciato a essere, è stato che la realtà, le cose, gli enti, siccome ne parlo, siccome esistono in ciò che ne dico devono essere qualche cosa perché di fatto io tocco questo tavolo, solo che la domanda, quando il pensiero ha incominciato a essere un po’ più raffinato, un po’ meno rozzo, un po’ meno ingenuo, è stata questa: che cosa tocco di fatto? Cosa sto toccando? Questo tavolo? E che cosa è? Ecco la domanda intorno all’essere. Domanda che non ha mai avuta una risposta soddisfacente. Dopo duemila e cinquecento anni è rimasta la stessa domanda dalla quale è sorta, cioè che cos’è l’Essere? Che cosa è che sto toccando? Sto toccando qualcosa? Come faccio a saperlo? Wittgenstein ha dato una risposta abbastanza ragionevole: perché l’ho imparato. Ho imparato che in base a una certa sensazione questa sensazione, in questo caso tattile, dice che sto toccando un qualche cosa, un corpo più o meno solido ma questa domanda, dicevo, intorno all’Essere delle cose sorge da un equivoco, di cui adesso vi dirò, da un malinteso, un malintendimento, un fraintendimento. Ma torniamo alla questione della realtà virtuale, e cioè creata ad artificio, perché è creata dalle parole che la dicono, che la esprimono, e non solo che la esprimono ma esprimendola la fanno esistere, la fanno esistere nel modo in cui noi intendiamo l’esistenza, come un quid, l’ente. La realtà si produce nel momento in cui incomincia a prodursi il linguaggio, in cui cioè le cose partecipano del discorso, partecipano della parola, qualche cosa incomincia a porsi, è lì perché ne sto parlando, perché lo dico, perché è nella parola; perché incominciano a esistere le cose, immaginando che queste cose siano fuori dal linguaggio? Perché il linguaggio, che è costruito e fatto in un certo modo “costringe” tra virgolette a compiere questa operazione, il linguaggio funziona in questo modo: da un elemento che chiama premessa e attraverso dei passaggi coerenti fra loro giunge alla conclusione, funziona così, non c’è un altro modo, e cioè deve concludere con un’affermazione che afferma appunto qualcosa, che attesta qualcosa, che stabilisce qualcosa, per stabilirla deve essere vera. Cosa significa che deve essere vera all’interno del linguaggio? Che non deve essere autocontraddittoria, non deve contraddire la premessa da cui è partita, nient’altro che questo, se soddisfa queste condizioni è vera, dunque come si attestano le cose nel linguaggio dal momento in cui il linguaggio si avvia? Ha bisogno di stabilire delle cose, delle conclusioni, impara che questo è questo, per esempio che questo accendino è questo accendino, e una volta che l’ha imparato, questa affermazione, questa cosa si è attestata all’interno del mio discorso, ma si attesta per la necessità di trovare qualcosa che sia assolutamente vero perché solo se è vero io posso utilizzare questa cosa, solo se è vera un’affermazione la posso usare per costruire altre affermazioni, se so che è falsa non me ne faccio niente. Ciò che si insegna quando si trasmette il linguaggio è che questa cosa che si chiama in un certo modo, è quella che è, vale a dire che mentre la nomino la faccio esistere e quindi questo qualcosa esiste, l’ho nominato quindi esiste, gli ho dato un nome e quindi c’è. Ma se questo esiste e non mi rendo conto che esiste perché lo nomino, perché lo faccio partecipare del mio discorso, allora esiste di per sé, esiste in quanto tale ed è qui, esattamente su questo che è sorta la metafisica, cioè la filosofia, se questo esiste allora io devo sapere di che cosa è fatto, qual è il suo principio e la sua origine, l’archè e l’aition, l’origine e il principio, e devo saperlo tanto più fortemente tanto più il linguaggio costringe a trovare la verità e cioè a trovare quella cosa che consente di affermare che una certa cosa è vera, perché se no non può funzionare, e quindi ha costretto gli umani, già prima con i miti ovviamente ma ancor più con la metafisica a trovare l’essenza delle cose, l’Essere delle cose, che cosa le cose realmente sono. Gli umani hanno fatto questo per duemila e cinquecento anni e continuano a farlo, non più attraverso la metafisica ma attraverso la tecnica, la tecnica fa questo. Come diceva Heidegger la tecnica consiste nel comprendere, nel manipolare e nell’elaborare gli enti, cioè le cose, che è sempre stato l’obiettivo della metafisica, solo che la metafisica si è fermata prima al “che cos’è, al cos’è l’Essere. l’Essere sarebbe l’essenza dell’ente: questo accendino è un accendino e lo vedo e ne parlo in quanto ente, ma che cosa c’è in questo accendino e in tutti gli altri accendini per cui questo che vedo è un accendino, è qualche cosa che permane in ogni accendino.

Il linguaggio ha creato la metafisica, ha creato cioè la necessità di sapere che cos’è una certa cosa, il linguaggio ha costretto a questo perché per la sua struttura e per il modo in cui è fatto, per il modo in cui funziona, ha costretto a cercare la verità, perché il linguaggio funziona per verità cioè per conclusioni: questo è stabilito, è attestato, e quindi mi serve per costruire altre cose, perché uno vuole sapere la verità? Perché vuole sapere come muoversi, cosa fare, come comportarsi, che direzione prendere; quando per esempio la fanciullina chiede al suo fanciullino “mi ami?”, vuole sapere se è così oppure no, è solo una questione estetica o c’è qualche altra cosa? In base alla risposta sa che cosa fare, sa come comportarsi, sa che cosa costruire da lì in poi, e in quale direzione e in che modo. La questione della verità è essenziale da intendere perché riguarda innanzi tutto il funzionamento del linguaggio, che è la cosa fondamentale, e poi dice anche che tutto ciò che gli umani fanno, da quando fanno qualcosa cioè da quando esistono in quanto umani, è stato sempre pilotato dalla necessità di affermare qualcosa di vero: affermare qualche cosa di vero è la condizione perché il linguaggio, e quindi gli umani che sono fatti di linguaggio possano procedere, possano proseguire, e il modo di procedere, di proseguire, è fare procedere e proseguire il linguaggio cioè il loro discorso. La loro storia, le loro avventure, le loro questioni, le loro domande, perplessità, ansie, angosce, attese, desideri, tutto ciò che riguarda gli umani da quando esistono, tutto questo è mosso dalla necessità di reperire una verità, cioè di fare in modo che il discorso possa attestarsi su qualche cosa di sicuro per poi da lì, proseguire. Questo movimento verso un qualche cosa che è sempre in atto, continuamente, il linguaggio funziona ventiquattrore su ventiquattro, è ciò che comunemente è stato inteso come il desiderio di qualche cosa: c’è l’idea che mi manchi qualche cosa e quindi io debba raggiungerla, che cosa mi manca di fatto? Un accidente qualunque? Non esattamente, ma considerato che gli umani sono fatti di linguaggio ciò che manca non può che essere una conclusione a qualche cosa, una conclusione di un argomentazione, per esempio la solita fanciullina: devo incontrare il fanciullino quindi devo essere bellissima quindi manca qualcosa che ai suoi occhi (della fanciullina) la renda bellissima, una qualunque cosa che a suo parere la renda idonea a soddisfare questo requisito, e cioè di piacere al fanciullino. In questo caso il desiderio sarebbe questo, ma questo desiderio di che cosa è fatto? Che cosa ci dice di più essenziale o di più proprio? Il discorso ha bisogno di raggiungere un certo obiettivo, cioè “sapere” una certa cosa per poi da lì procedere in una direzione oppure in un'altra, e questo è ciò che gli umani fanno, e naturalmente tutto questo avviene su uno sfondo che per gli umani è la realtà, che è la costruzione che fanno, che hanno incominciato a fare nel momento in cui hanno incominciato a parlare. Come sapete gli umani hanno un orientamento prevalentemente visivo, si orientano con gli occhi generalmente, i cani con l’olfatto per esempio, con l’udito anche in parte, i pipistrelli solo con l’udito, e uno dei motivi potrebbe essere proprio questo, cioè l’orientamento visivo da parte degli umani per cui vedono delle cose e siccome il linguaggio le fa esistere allora ciò che vedo esiste. La realtà dicevo è questa costruzione artificiale, ma artificiale badate bene non artificiale rispetto a qualche altra cosa che artificiale non è, è artificiale in quanto fatta ad arte, perché esiste un arte, cioè una tecnica ed è il linguaggio, che l’ha costruita, non c’è la realtà virtuale contrapposta a un’altra che non lo è, questa è la superstizione, l’idea che esista qualche cosa che è realtà e che è al di fuori del linguaggio, è quello che la metafisica che ha sempre cercato: l’Essere. Ma non è mai stato trovato ovviamente, non è mai stato possibile definirlo, individuarlo, stabilirlo con certezza, si sono dette un sacco di cose intorno all’Essere, ma sempre intorno, non si può cogliere in quanto tale, perché? Perché se immagino qualche cosa fuori dal linguaggio, è ovvio che non potrò mai comprenderlo, con che cosa lo comprenderò se non con il linguaggio? E cioè con immagini, con argomentazioni, con discorsi, ma se è fuori dal linguaggio, è fuori da ogni cosa, e quindi non potrò mai, letteralmente, strutturalmente, comprenderlo, posso solo immaginare che ci sia, pensare che ci sia, così come si fa con un dio. Il linguaggio può anche costruire una proposizione che afferma, un discorso che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio, può farlo e io l’ho appena affermato, però non può comprenderlo, non potrà comprenderlo mai. Si tratta di concetti che non hanno nessun riferimento, nessun referente da nessuna parte, sono quegli oggetti che non hanno possibilità di esistere al di fuori del linguaggio. Pinocchio esiste? C’è un’ampia letteratura su Pinocchio, quindi esiste, oppure un cerchio quadrato, esiste? No, come fa a esistere? Eppure un tale Meinong ha scritto un trattato su gli oggetti inesistenti, per esempio, e quindi anche quello esiste perché se ne parla. Ma è proprio qui la questione: esiste perché se ne parla, cioè perché è all’interno del linguaggio, perché partecipa di questa struttura, e la realtà, che viene costruita dal linguaggio, ha questa funzione: dal momento in cui qualcosa viene nominato esiste perché partecipa della parola, ma da quel momento è come se fosse sempre esistito, è sempre esistito e quindi è esistito prima che io lo nominassi ma dove viene questa idea, così strana? C’è una conferma a questo, e cioè il fatto che mi si dicono cose che esistevano prima che io esistessi, il pianeta mi si è detto esisteva anche prima che io nascessi, questo conferma quel processo che viene attuato dallo stesso linguaggio per cui quello stesso elemento che il linguaggio fa esistere nominandolo, facendolo partecipare della parola, conferma che questo elemento che non può avere vita propria, invece ha vita propria, esiste di per sé, ma che cos’è questa cosa che si immagina che esista di per sé e che incomincia a esistere nel momento in cui partecipa della parola? Non c’è nessuna possibilità di individuarlo, di identificarlo, di stabilirlo in alcun modo, perché tutti i modi che abbiamo per indicare questo quid, questo qualche cosa, appartengono al linguaggio che lo fa esistere. A questo punto parlare della sua esistenza comunque al di là della sua appartenenza al linguaggio, è un discorso che non ha nessuna possibilità di giungere a una conclusione, in più occasioni ho ripetuto che non c’è nulla fuori dal linguaggio, perché è soltanto con il linguaggio che qualcosa incomincia a essere quello che il linguaggio gli dice di essere, come faccia a dirgli di essere questa è un’altra questione che abbiamo affrontata in altre occasioni parlando di istruzioni, volevo soltanto dirvi che questa fabbricazione, letteralmente è una fabbricazione della realtà ad opera del linguaggio, costituisce il mondo entro il quale la persona si muove, pensa, immagina, crede, cosa diceva Wittgenstein a questo riguardo? Una frase appropriata “il linguaggio è il mio mondo”, cioè le cose in cui credo, le cose che ho imparate, le cose che immagino, che spero, che desidero, il passato, tutto questo costituisce il mio mondo, ma tutte queste cose sono discorsi, sono proposizioni, sono argomentazioni e occorre dire a questo punto nient’altro che questo. Dire che tutte queste cose di cui sono fatti gli umani, che definiscono l’umano, non sono nient’altro che linguaggio, costruzioni linguistiche, questo pone delle altre questioni di carattere morale, etico, politico, perché cambia completamente lo scenario, non c’è più un riferimento che funziona da garanzia, l’Essere appunto, ma soltanto discorsi, discorsi che si connettono fra loro, e connettendosi fra loro costituiscono la realtà. Immaginare che qualcosa sia fuori da linguaggio, dal discorso in cui è inserita, è propriamente ciò che comunemente si chiama fantasia, una fantasia, e come tale una fantasia, essendo parte integrante di quelle strutture che chiamiamo proposizioni, racconti, narrazioni eccetera anche la fantasia essendo fatta di linguaggio deve concludere con una cosa vera o, più propriamente ancora, è fatta per costruire una scena, un discorso, un quid, un accidente, un accidente in senso aristotelico naturalmente, tale per cui la scena che si costruisce è una scena che conclude in modo vero, ma cosa significa questo più propriamente? Che è una scena con la quale io controllo la realtà, qualunque fantasia venga costruita di qualunque tipo è riconducibile attraverso una serie di passaggi abbastanza brevi a questo, cioè alla costruzione di una scena che deve concludere in modo tale per cui io ho l’idea di controllare le cose, sono al centro della scena, le cose vanno nel modo in cui voglio io e a questo punto si potrebbe anche inserire un elemento che è tratto dal luogo comune, e cioè la differenza fra realtà e fantasia. Ci si rifugia nella fantasia perché la realtà è insoddisfacente, e perché la realtà è insoddisfacente se è lui stesso, o meglio il suo discorso che poi è la stessa cosa, che l’ha costruita? Mentre la fantasia appare come qualche cosa che sì, ha sempre costruito lui però è soddisfacente, cosa accade in quell’altra fantasia che si chiama realtà per cui risulta così difficile da controllare, da dominare? Perché ci sono gli altri, altri discorsi che non sono il mio e che affermano altre verità, hanno altre convinzioni, pensano altre cose, sperano altre cose eccetera, e naturalmente la persona cerca, fa di tutto per convincere gli altri che la sua ragione è la migliore, cerca di avere ragione dell’altro, fino ai conflitti mondiali, alle guerre, la guerra è un modo violento per imporre la propria ragione sull’altro, se vinco perché ho più carri armati allora ho ragione io, le cose stanno come dico io, e perché ho più carri armati? Perché sono più ricco, e perché sono più ricco? Perché ho saputo fare meglio e perché quindi ciò che faccio è migliore. Perché la fanciullina vuole portare via il fanciullo a un’altra fanciullina? Perché gli interessa lui in quanto tale? Forse, anche, marginalmente, ma soprattutto perché vuole vincere la battaglia, vuole il potere sull’altra, mostrare all’altra e al mondo intero che lei è più brava, le fanciulline sanno bene questo.

Ma ci sono due cose che mi premeva fare intendere questa sera, la prima è che la realtà che il linguaggio costruisce può esistere solo perché il linguaggio l’ha costruisce, e quindi questa realtà è virtuale nel senso che è fatta ad arte, è fatta con una tecnica che è la tecnica del linguaggio perché il linguaggio è una tecnica, la prima tecnica immaginabile, e che questa costruzione della realtà, essendo fatta dal linguaggio e proprio per questo motivo deve sempre concludere in modo vero, compresa la realtà, la realtà deve essere vera perché se è costruita dal linguaggio e il linguaggio, essendo fatto in un certo modo, deve concludere con una cosa vera, e allora anche la realtà che è una sua costruzione deve essere vera anche lei. Questo è il motivo per cui la realtà deve essere ed è sempre stata pensata come il vero assoluto, è vero quindi è reale o viceversa, in genere le cose si identificano …

Intervento: quindi tutto ciò che si dice intorno alla realtà, la realtà insoddisfacente è sempre una questione di relazione con il discorso dell’altro?

Con un’altra verità che si contrappone, una situazione che è differente da quella che io voglio per esempio, e quindi se quello che io voglio è la cosa giusta, vera, se la situazione non corrisponde a questa cosa che io voglio ecco che deve essere cambiata per portarla alla verità: perché tutta la metafisica e oggi la tecnica vuole modificare la realtà, attraverso la conoscenza, la manipolazione, l’elaborazione? Questo lo diceva Heidegger …

Intervento: Faioni questo è il discorso paranoico?

La paranoia fa il verso, fa la caricatura, ma anche gli altri discorsi lo fanno, in modo differente, nel discorso paranoico c’è la rappresentazione, la messa in scena, scimmiotta la cosa. La tecnica deve modificare la realtà, a che scopo? Nietzsche l’aveva detto già ai suoi tempi in modo esplicito, anche se non conosceva, nonostante fosse filologo, il modo in cui funziona il linguaggio: la volontà di potenza, dominare l’altro, ma era già presente in Platone, perché il filosofo deve governare la città? Perché vuole governare, per avere potere di vita e di morte sugli altri, avere il potere su tutto, è sempre stato così da quando esiste il linguaggio, perché è il linguaggio che è fatto così. Ma se si sa come funziona, lo si sa e non si può non saperlo, ed è questo uno degli obiettivi di un’analisi, allora lo si agisce, ma se non lo sa allora si subisce, immaginando che tutta questa cosa che è costruita dal linguaggio, queste sequenze, corrispondano a qualche cosa …

Intervento: mi sfugge questa questione … sembra che avvenga lungo la nominazione … questa separazioni ad un certo punto sia considerato fuori dal linguaggio cioè non sono più io responsabile dell’esistenza di qualcosa attraverso il mio dire, il mio pensare ma questa cosa esiste di per sé, mi sfugge come si produce questa separazione di cui parlavo prima …

Cosa accade nel momento in cui la partecipazione al linguaggio fa esistere le cose? Abbiamo detto che da quel momento incominciano a esistere, ma essendo il linguaggio fatto in un certo modo deve stabilire la verità, ora se considerasse le cose come una produzione del linguaggio, mettiamo che possa avere questa possibilità, allora le cose che ha costruite non sono la realtà esterna. Dicevamo tempo fa che una macchina sa che tutto è prodotto dal sistema operativo, che non c’è niente fuori dal sistema operativo cioè dal linguaggio, ma dovendo stabilire la verità delle cose cioè l’Essere, non può trovarle in ciò che ha costruito perché lì non riesce a stabilire l’ultima parola, così come i miti, i miti non ci sono riusciti perché erano costruzioni fantastiche, la stessa metafisica non c’è riuscita perché ha immaginato che ci fosse la possibilità di stabilire l’ultimo elemento della catena, quello che da senso a tutto: l’Essere. Per la metafisica ciò che da senso a tutto non può essere all’interno della parola, se è all’interno della parola è un’altra parola, come faccio a dire che la verità dipende da una parola che sto dicendo? Sarebbe come dire che questo è questo perché è questo, non è sufficiente per potere affermare qualche cosa, sempre chiaramente ignorando come si costruisce il linguaggio e come funziona naturalmente, perché se no il problema non sussiste, però ignorando tutto questo è costretto a cercare una verità che sia assoluta, immobile, eterna come dicevano i medioevali “sub specie æternitate”, una specie dell’eternità, che non cambi mai, e quindi necessariamente non qualche cosa che è presa in un continuo divenire, in un continuo mutare come le parole, come i discorsi, come i pensieri, ma deve essere ferma, immobile. Qui sorge l’idea, con i miti e poi con la filosofia, che questa cosa sia fuori di me, soltanto se è fuori può garantire qualche cosa. Naturalmente si è trattato poi di trovare qualche cosa che garantisse questa cosa che garantisce il mio discorso, e allora ecco le idee di Platone, l’ousia di Aristotele …

Intervento: sembra quasi una scoperta il linguaggio, ha scoperto qualche cosa …

Infatti ha sempre parlato di scoperta, non di invenzione o di costruzione, come sarebbe più appropriato dire. Potremmo dire che il bambino non scopre il mondo ma lo costruisce, mano a  mano che impara a parlare, mano a mano che il suo discorso viene implementato da altre catene, da altre combinatorie, da altre reti, si implementa e costruisce il mondo che lo circonda, letteralmente, che non esiste in questa accezione prima che lui possa costruirlo. Generalmente invece si considera che esista anche prima di lui, se non altro per via del fatto che qualcuno è esistito prima di lui, che l’ha messo al mondo per esempio, tanto per dirne una, e questo è sempre stato il problema della metafisica: siamo sicuri che sia proprio così, cioè che le cose vadano così necessariamente, e che questa sia la realtà assoluta, ultima delle cose? Si dice: “sono i genitori che l’hanno messo al mondo”, va bene, supponiamo che sia così, ma questi genitori cosa sono realmente? Sono un qualche cosa? Ma che cosa? E qui la metafisica si arresta, si arresta perché non sa rispondere, se non con fantasie di vario genere, però la questione centrale è che questo passaggio di cui diceva Sandro è prodotto dal fatto che il linguaggio ha bisogno di stabilire una verità assoluta, e questa verità assoluta può costruirla, può pensarla soltanto se la immagina fuori di sé, solo a questo punto è immobile ed eterna, se è all’interno del discorso è un problema perché i pensieri divengono, si alterano, si modificano continuamente, non offrono una garanzia. Anche per questo è stata inventata la doxa, contrapposta all’episteme, la doxa, cioè l’opinione contrapposta all’episteme, alla verità scientifica, la certezza argomentata e dimostrata, e questa episteme dove sta? Alètheia episteme, cioè una verità che si manifesta e che è necessariamente quello che è, e questo è stato l’obiettivo della ricerca di tutta la metafisica da quando esiste, contrapposta alla doxa che è l’opinione: penso che sia così, sarà così, chi lo sa? La risposta al “chi lo sa” dovrebbe essere fornita, dicevano i greci, dalla alètheia episteme, e cioè la verità che si manifesta e può garantire di essere quello che è, cosa che non può fare in nessun modo. Una volta che ho posto la verità fuori dal linguaggio, eterna e immobile, da quel momento non ne ho più accesso e non posso più comprenderla, non posso più fare niente, posso soltanto immaginarla appunto come il dio, dio è stato costruito per questo, come quella verità messa lì, immobile ed eterna.

Ciò che abbiamo fatto in questi anni è ricondurre questa cosa là da dove è sorta, e cioè dal linguaggio che l’ha costruita, e vedere come ha potuto costruirla, come continua a costruirla, e come funziona soprattutto, perché se sappiamo come funziona il linguaggio sappiamo come funzionano gli umani, che sono fatti di linguaggio, che non è poco, e questa è quella scienza, a questo punto, che abbiamo chiamata Scienza della parola, ciò a cui la psicanalisi si consegna dopo avere fallito il suo progetto di intendere perché gli umani pensano quello che pensano, lo ha fallito perché si è fermata prima di possedere quegli strumenti che erano indispensabili per fare il passo successivo, che avrebbe consentito appunto di sapere perché gli umani pensano quello che pensano, qualunque cosa sia non ha nessuna importanza.