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2-10-2013

 

La critica che fa McGinn a Wittgenstein appare incentrarsi soprattutto sull’idea, portante in McGinn, che il significato delle proposizioni, il significato in generale sia, sì, come dice Wittgenstein, o almeno lo segue in parte, l’uso consolidato di un termine, ma che perché questo uso possa darsi occorre che gli umani siano naturalmente inclini a seguire delle regole. Questa critica di McGinn è fondata su questo sulla sua idea che gli umani “siano naturalmente inclini” perché senza tale inclinazione non ci sarebbe da parte degli umani la possibilità di seguire delle regole. A questo punto si pone un problema, e cioè che cosa ci garantisce che gli umani abbiano questa naturale inclinazione a seguire delle regole? Secondo, devono anche avere una inclinazione a sapere che una certa cosa è una regola oppure no? Come faccio “naturalmente” a seguire una regola se non so che una certa cosa è una regola oppure no, e direi che questo è fondamentale, cioè sapere che una certa cosa è una regola oppure non lo è, cioè distinguere una regola da un’altra cosa, da un posacenere per esempio, sono cose diverse. A questo punto la critica che muove lui a Wittgenstein offre il fianco a delle domande prima ancora che a delle obiezioni: l’idea che gli umani seguano delle regole comporta che queste regole ci siano già, da dove arrivano? Chi ce le ha messe?

Intervento: “ciò che io intendo è determinato dal mio uso naturale della parola” dice che lo dice Wittgenstein…

Wittgenstein intende l’uso “naturale” tra virgolette nel senso che si è usi descrivere un orologio come un aggeggio che segna le ore e che quindi è utile per stabilire un appuntamento per esempio, ma non c’è niente di naturale in tutto questo, e infatti Wittgenstein si oppone all’idea che ci sia qualcosa di naturale, cioè che sia fuori dal linguaggio, Wittgenstein si oppone a questo e cioè che ci sia qualcosa di non dicibile, e questo già nel Tractatus. Dunque queste regole a questo punto vengono dalla natura oppure qualcuno le ha stabilite? Adesso non ci interessa stabilire chi esattamente né quando, però il fatto che qualcuno le abbia stabilite comporta che ci sia stato un ragionamento che abbia comportato delle sequenze inferenziali per stabilire delle regole, quindi o il linguaggio è un prodotto della natura, mettiamola così, o dei marziani, di dio, oppure è qualche cosa che è stato costruito dagli umani. Sapere da dove viene il linguaggio, quando è stato costruito eccetera, a questo non abbiamo accesso perché non possiamo uscirne fuori, per cui qualunque disquisizione su che cosa abbia originato il linguaggio è una disquisizione sul sesso degli angeli, nel senso che è possibile dire tutto e il contrario di tutto. Ciò che importa è che in questo testo McGinn non definisce che cosa sia “naturale” né che cosa sia la “mente”, cosa che è abbastanza grave visto che tutto il suo discorso si fonda sulla “naturalità” e sulla “mente”, teoricamente è gravissima una cosa del genere, perché a questo, punto arrivati all’ultima pagina potremo dirgli che ha parlato senza sapere di che cosa in effetti abbia parlando. Aldilà di tutto questo, se supponiamo che quello che lui dice sia verosimile e che cioè ci sia una naturale inclinazione da parte degli umani a seguire delle regole, questa cosa avviene anche nelle macchine oppure no? Questa inclinazione ovviamente non può riguardare le macchine che non hanno inclinazioni propriamente, e quindi come avviene che le macchine comprendano dei significati, usino dei significati, trattino, elaborino dei significati senza nessuna inclinazione? Questa è una domanda legittima, sempre tenendo conto che noi abbiamo ammesso e non concesso a questo McGinn che l’apprendimento avvenga naturalmente, e cioè che ci sia questa naturale inclinazione a seguire delle regole, le macchine non hanno inclinazioni e seguono le regole perfettamente, come è possibile questo fenomeno? Tu a questo punto potresti fare una cosa di grandissimo interesse: dopo avere considerato che questa naturalità non c’è perché le macchine non ce l’hanno ovviamente (e qui c’è sempre quell’obiezione di cui si diceva l’altra volta che comunque chi ha messo dentro alle macchine queste informazioni è un umano e quindi ha questa naturale inclinazione, però anche l’umano è stato costruito da altri umani esattamente come la macchina e se la macchina può procedere senza nessuna inclinazione perché mai gli umani avrebbero bisogno di tale inclinazione? Che in effetti non hanno), e a questo punto puoi innestare il discorso che procedendo dalle macchine torna sulla questione del significato, anche di Wittgenstein, e cioè che le macchine per funzionare hanno bisogno unicamente di informazioni e di istruzioni per processare tali informazioni, non hanno bisogno di altro, e avanzare che gli umani quando imparano a parlare seguono questa stessa direzione, e cioè vengono trasmesse informazioni e istruzioni per elaborale, processarle, e se la cosa funziona in questi termini, e nella macchine funziona benissimo, allora si pone un’altra questione: in che modo le macchine utilizzano dei significati e li processano? Che cos’è un significato per una macchina?

Intervento: un rinvio.

Sì, bravissima, un rinvio predeterminato, perché è un programma, a una qualche altra cosa che è stata stabilita, la macchina procede per rinvii, di connessioni, ora a questo punto se, come appare, per una macchina un significato non è nient’altro che un rinvio codificato, programmato, protocollato a una qualche altra cosa, la domanda è: anche per gli umani è la stessa cosa? Cioè anche per gli umani un significato non è nient’altro che un rinvio stabilito? Ma stabilito da chi? Dal dizionario. Qui la questione si fa per un verso complessa perché se per gli umani, così come per le macchine, il significato è semplicemente un rinvio e cioè un’informazione insieme con un’istruzione per poterla processare, queste istruzioni per poterla processare sono esattamente le stesse istruzioni che fornisce la logica formale per costruire una formula ben formata: connettivi, variabili enunciative, variabili proposizionali, punteggiatura, parentesi, quelle cose e nient’altro che quelle. Questo e nient’altro che questo definisce la formula ben formata, quindi in base a queste informazioni e alle istruzioni per processarle, che sono le istruzioni per costruire una formula ben formata, gli umani possono costruire altre proposizioni quindi altre informazioni e addirittura altre istruzioni, che tuttavia hanno sempre e comunque alla base queste istruzioni fondamentali. Detto questo è dalla macchina a questo punto che può venire, non propriamente dalle macchine ma da chi le ha inventate, costruite, progettate che viene la risposta alla domanda “che cos’è un significato?” domanda che come sappiamo posta in questi termini è una domanda ontologica, chiede qual è l’Essere del significato, ma molti filosofi analitici la pongono in questi termini e cioè qual è il significato? La risposta alla domanda “che cos’è un significato?” viene da questi personaggi, perché? Perché loro, mi riferisco in particolare a Turing, Von Neumann, McCulloch e Pitts, da questi viene la risposta alla domanda che chiede che cos’è un significato. Perché loro hanno dovuto inventarsi un marchingegno che capisse che una certa cosa è un significato e la utilizzasse come un significato, che è quello che fanno le macchine, cosa vuole dire che capisce che è una certa cosa è un significato? Domanda che si pone Marconi abbondantemente nel suo libro sulla competenza lessicale, com’è che si capisce che è un significato? O addirittura che qualcosa è un significato? Da dove viene questa capacità? Lì, come forse vi ho accennato tempo fa, si sono sbizzarriti senza naturalmente approdare a nulla di soddisfacente, come dire che c’è sempre una contro teoria che distrugge la precedente e pone un’altra ipotesi, sono tutte ipotesi, nient’altro che ipotesi, mentre chi ha costruito la macchina non poteva basarsi solo su ipotesi, doveva farla funzionare quella macchina, cioè la macchina doveva, di fronte a un certo comando, reagire in un certo modo e fare una certa cosa. Questi signori hanno dovuto immettere nella macchina il concetto di significato, come hanno fatto? Come faresti tu? Ti diamo dei cavi elettrici, degli interruttori, una piastra su cui appoggiare e fissare se no balla tutto, a questo punto costruiscimi una macchina che riconosca un concetto. Intervento: prendo degli elementi e alcuni elementi ne conoscono altri…

Sì, in un certo senso sì, è un pochino più complicato, però si tratta essenzialmente di immettere nella macchina una informazione che la macchina è in grado di acquisire, che dice: “se qui passa corrente allora questo passaggio di corrente apre un’altra porta” cioè un altro passaggio di corrente, questo altro passaggio di corrente tu lo chiamerai “significato” e la macchina dice “va bene” non ha nessun problema a fare questo, ma questo “significato” bisogna dirgli che cos’è, e allora gli diciamo che è un “rinvio” cioè “se questo allora quest’altro” questo possiamo farlo perché possiamo trasformare un’inferenza in una disgiunzione “se A allora B” la trasformiamo in “ non (A oppure B)”, e questo è possibile farlo con fili elettrici e interruttori “non (A oppure B)”; se si presenta questa sequenza “A oppure B” si interrompe la corrente, c’è un “non” corrente interrotta, corrente interrotta vuol dire che non accoglie questa cosa e accoglierà quell’altra. L’idea è molto antica, lo stesso Leibniz ci aveva pensato, ma ci voleva l’algebra di Boole per fare il passo decisivo cioè trasformare il vero/falso in 1/0 perché se no rimaneva una cosa di una complicazione ingestibile, invece utilizzando 1/0 è facile, 1/0 fili elettrici e interruttori, nervi e i neuroni se vuoi sostituirli…

Intervento: dunque ci deve essere quindi per forza come lo chiama qua McGinn “un processo fisico causa un processo del pensiero”…

Più che causale io lo definirei casuale…

Intervento: però ci deve essere come supporto una base fisica…

Non necessariamente, il fatto che noi utilizziamo una base fisica, cioè una piastra che si chiama “scheda madre” e ci appiccichiamo sopra tutti gli ammennicoli, questo è casuale, non è necessario, un qualche cosa potrebbe funzionare anche senza una base fisica tecnicamente non è impossibile, utilizzando onde magnetiche, la luce, ora anche questo potrebbe essere indicato come elemento fisico, d’altra parte gli umani si arrabattano con quello che hanno a disposizione, il fatto che utilizzino e si trovino a utilizzare delle cose che chiamano “elementi fisici” non rende questi elementi fisici necessari, li rende casualmente utili, vengono utilizzati infatti, però affermare che non sia possibile fare una cosa del genere senza elementi fisici, è molto impegnativo, occorrerebbe dimostrarlo, come? Certo per noi è utile avere una base di cartone su cui mettiamo i fili elettrici, circuiti integrati, però questi sistemi, tutto questo, bada bene, e forse è questa la questione che tu ponevi, non è la causa del pensiero ma è lo strumento che casualmente il linguaggio utilizza per processare dati, è come dire che il pallottoliere è la causa del calcolo, o della matematica, non è così, il pallottoliere è uno strumento, è contingente. La questione importante, Eleonora, è che da cavi elettrici e interruttori non è deducibile nessun processo linguistico, cioè il linguaggio non è lì, non è in questo supporto, il linguaggio è un’altra cosa, è un programma, un programma che può essere svolto anche da cavi elettrici, interruttori eccetera, ma non ha nulla a che fare con i cavi elettrici e interruttori che servono soltanto e casualmente a farlo girare. Il paragone con le macchine io credo che sia molto importante perché tutte queste storie, come dire che il linguaggio è naturale, l’inclinazione eccetera, vengono spazzate via in un colpo solo perché le macchine non hanno nessuna inclinazione, non hanno niente, sono state informate esattamente così come vengono informati gli umani, allo stesso modo e con gli stessi criteri grosso modo, e quindi, così come la macchina riconosce qualche cosa come significato cioè come rinvio a un’altra cosa, allo stesso modo lo riconosce un umano, quindi da dove viene il significato? Che cos’è un significato, come si chiede la filosofia analitica? È un’istruzione, né più né meno, è un rinvio che rinvia a una certa cosa in certe condizioni, è un comando, un input…

Intervento: il rinvio non può essere associato al riferimento?

In quale accezione dici? Come denotazione? In genere sì, come denotazione in accezione fregeana del termine, la denotazione non è altro che il riferirsi della parola alla cosa denotata. Se io parlo del tavolo, parlo del “tavolo” questo termine ha un senso perché ciascuno capisce di cosa sto parlando e ha una denotazione, non sempre c’è senso denotazione, certe volte c’è un senso senza denotazione, può esserci denotazione senza senso, però in questo caso c’è un senso, il tavolo ha un senso per voi e ha una denotazione, la denotazione è questa cosa qua, questo tavolo che sto toccando, l’oggetto, sarebbe ciò che per De Saussure è il referente, De Saussure aggiungeva anche significante “l’immagine acustica” ma in ambito di filosofia del linguaggio non interessa, interessano soltanto il senso e la denotazione. Che ci sia questo tavolo che funzioni da referente è un fatto naturale? Oppure ho imparato che questa cosa che i miei occhi vedono e che forniscono certe informazioni si chiama “tavolo”? Ma che questa cosa che vedo, potrebbe essere totalmente differente da come la vedo? Ciò non di meno la chiamo “tavolo” e cioè tutto ciò che vedo, stabilisco, imparo eccetera non mi dirà mai che cos’è realmente, cioè non risponderà mai alla domanda ontologica. Non sapremo mai che cosa è ciò di cui stiamo parlando, però la filosofia analitica continua a domandarsi che cos’è il significato, immaginando che ci sia da qualche parte una risposta che possa essere definitiva, cioè che il significato abbia un significato di ultima istanza, che sia un qualche cosa, perché se non lo fosse, allora il significato di volta in volta è qualcosa che viene utilizzato unicamente per costruire una teoria, quindi un significato ha un significato all’interno di una teoria, ne ha un altro all’interno di un’altra teoria. Ciò che non può non essere, così come abbiamo inteso, è che sia un rinvio, è l’unica cosa che possiamo dire del significato con una certa tranquillità, e cioè che fa segno, quindi rinvia a qualche cos’altro. L’obiezione di McGinn a Wittgenstein parte dall’idea che gli umani siano naturalmente inclini a seguire delle regole, cosa che viene messa radicalmente in discussione dal fatto che le macchine seguono regole precisamente e senza nessuna inclinazione di sorta…

Intervento: non era un obiezione McGinn, dice che Wittgenstein dice quello…

Wittgenstein non dice mai una cosa del genere, anzi…

Intervento: Wittgenstein dice “l’uso del segno non è fondato su nessuna ragione” quindi praticamente se non ha ragione è naturale…

Non può in nessun modo inferire una cosa del genere da ciò che dice Wittgenstein, è vero che si può fare dire a chiunque qualunque cosa…

Intervento: Wittgenstein dice che l’uso del segno non è fondato da nessuna ragione…

Potremmo aggiungere noi “su nessuna ragione naturale”, come McGinn abbia potuto da questa affermazione di Wittgenstein trarre la conclusione che gli umani sono naturalmente inclini a seguire le regole pare una follia. Nelle macchine non c’è nessuna inclinazione naturale, e che cosa sono i significati per le macchine a questo punto? È qualche cosa che gli si è immesso, quindi questo significato che per la macchina funziona, perché le consente di compiere tutta una serie di operazioni, è un input, è un’istruzione viene immessa nella macchina, una certa istruzione e questa cosa è un significato, questo significato significa che questo è il rinvio che devi seguire, che è quello che fa un dizionario. Porre il significato come un’istruzione, come un input, toglie di mezzo una serie di fantasie della filosofia analitica tanto farraginose quanto inutili intorno alla domanda “che cos’è un significato?” il significato è stabilito dall’uso, come dice Wittgenstein, l’uso è quello che ciascun dizionario è in condizione di fornire, questo significa che un certo termine è utilizzabile all’interno di una proposizione, se non ha questo significato non è utilizzabile, dopodiché viene usato all’interno di quella proposizione, quindi del discorso in vari modi. Come usare il termine “accendino”? Come quell’aggeggio che sta in una mano e che serve per accendere sigarette, sigari o altre cose all’occorrenza. Questo significato che ho dato al termine “accendino”? da dove arriva? Perché ciascuno di voi lo comprende? Perché l’avete imparato. Per cui se io all’interno di un discorso inserisco la parola “accendino” ciascuno di voi sa a che cosa mi riferisco, questo non significa però che comprendiate tutta la proposizione, ma questo è un altro discorso di cui parleremo la volta prossima. Molti filosofi del linguaggio si sono resi conto della portata del lavoro di Wittgenstein, quindi devi dire che la macchina così come è stata elaborata da Turing, Von Neumann e altri, abbia di fatto risposto alla domanda “che cos’è un significato?” in modo molto chiaro, molto semplice, e hanno risposto a questa domanda perché sono stati costretti dalla necessità di costruire una macchina, da dove viene il “significato” che ha una macchina? Da me, perché glielo ho messo io, e a me viene da mia nonna, e la mia nonna? Da sua nonna, e così via. Quindi questo significato è solo un’istruzione, è stata data questa istruzione che significa che ogni volta che vedo un accendino e posso riconoscerlo, anche la macchina riconosce un accendino, e come fa? Perché gli sono state immesse delle istruzioni sufficienti per farlo reagire in un certo modo.