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2-7-2014

 

La Semantica strutturale è importante per il modo in cui Greimas ha cercato di stabilire come le parole connettendosi fra loro producono significato, in altri termini, come il significato si produce parlando. Ora ci dice che la sintassi, nonostante questa apparenza di paccottiglia, si assume una funzione essenziale, partendo da elementi costituitivi che sono sememi genera un nuovo complesso combinatorio che produce messaggi che permettono di formulare giudizi sul mondo, in numero praticamente infinito. Una volta dati gli elementi del complesso combinatorio l’apporto della sintassi consiste nel proporre un numero ristretto di regole di costruzione per mezzo delle quali i sememi possono essere calati in schemi sintattici elementari, che significa molto semplicemente che l’idea è quella di trovare nella sintassi delle specie di modelli, dei moduli semplici in numero relativamente ristretto che possano essere applicati come specie di algoritmi a qualunque situazione. Questo naturalmente rende lo studio del linguaggio più semplice perché anziché avere a che fare con modelli e schemi infiniti è in un numero limitato e quindi più facilmente approcciabile il gioco sintattico consiste nel riprodurre ogni volta in milioni di esemplari lo stesso piccolo spettacolo che comporta un processo, qualche attore e una situazione più o meno circostanziata e forse truccato e non corrisponde al modo di essere delle cose nel “mondo reale” tra virgolette non di meno grazie al simbolismo linguistico sviluppiamo davanti a noi, per mezzo delle regole sintattiche, la nostra visione del mondo e la nostra maniera di organizzarlo, le sole possibili come dire che tutto il mondo che ciascuna persona si costruisce è costruito grazie a un piccolo numero di regole sintattiche che vengono applicate di volta in volta a varie situazioni, questo permette una sorta di economia ovviamente, perché il numero, come diceva Greimas, il numero di questi modelli, di questi schemi è relativamente piccolo però attraverso questi schemi è possibile costruire non solo, anzi dice, che è l’unico modo che ciascuno ha per costruire il “mondo” così come lo vede, così come lo percepisce, così come lo conosce, il problema che si presenta allo studioso, è come costruire una propria sintassi semantica, che rifletta sotto forma di invariante l’insieme delle operazioni sintattiche che si attuano come altrettante varianti a gradi gerarchici diversi cioè il problema che si presenta, a lui praticamente, è quello di trovare delle invarianti perché di varianti ce ne sono uno sterminio però a lui interessa stabilire quelle invarianti che consentono la costruzione di modelli sintattici attraverso cui il discorso, potremmo dire, costruisce il mondo. Tale sintassi resterà infatti sempre semantica malgrado le illusioni degli studiosi che pensano di potere operare con forme senza significazione, la logica formale per esempio è fatta di simboli, noi siamo chiusi definitivamente nel nostro universo semantico e quanto di meglio possiamo fare è ancora e sempre prendere coscienza della visione del mondo che in esso è implicita, in “esso” significa il nostro universo semantico per Greimas, è implicita come significazione e insieme come condizione di tale significazione. Questa è una critica che fa lui ai logici o comunque alla logica formale, ché dice non è possibile che esista una sintassi senza una semantica cioè senza un significato, come si voleva a un certo punto: riuscire, attraverso appunto la logica formale, la logica simbolica, a trattare delle proposizioni in assenza di significato, se io scrivo “se A allora B e se B allora C” queste variabili enunciative non hanno un significato, non significano niente, però, dice Greimas, non è proprio così, in effetti dice la sintassi resterà sempre semantica, cosa vuole dire? Che comunque qualunque cosa io faccia queste operazioni che io compio hanno un significato inesorabilmente e dice “se non ce l’avessero non si farebbero neppure” per cui si fanno perché c’è un significato, è questo che sta dicendo quando dice che non c’è una sintassi senza la semantica, così come non c’è una semantica senza la sintassi, non è possibile trarre significati se le parole non sono strutturate in un certo modo, ma d’altra parte senza la semantica cioè senza significato questa struttura non dice niente, letteralmente non significa niente, la sintassi semantica è immanente all’attività linguistica - cioè gli sta dentro proprio – e solo diventando esplicita può permettere l’introduzione dei modelli di descrizione del contenuto, nella misura in cui tale contenuto si affermi come messaggio cioè come asserzione sul mondo o racconto degli avvenimenti del mondo esterno o interno poi l’attività linguistica costruttrice di messaggi,- il messaggio è ciò che poi si manifesta in definitiva, alla fine - appare innanzi tutto come introduzione di relazioni ipotattiche abbiamo visto la volta scorsa e lo ripetiamo “ipotattica” significa c’è una relazione tra gli elementi di connessione ma anche di dipendenza mentre nella struttura “paratattica” non c’è la dipendenza, tra un numero ristretto di sememi, le funzioni, gli attanti circostanti e perciò essenzialmente morfematica e presenta serie di messaggi come algoritmi, cosa vuol dire che è essenzialmente “morfematica”? per Greimas i “morfemi” sono tutte le variabili all’interno delle parole come le desinenze, gli affissi, i suffissi tutte queste cose, per cui sono tutte quelle varianti di forma che la parola può prendere, a seconda che sia maschile, femminile, singolare, plurale eccetera e presenta serie di messaggi come algoritmi questa è l’attività linguistica costruisce algoritmi in base anche a relazioni fra gli elementi quelle che lui definisce “ipotattiche” cioè in altri termini “relazioni di dipendenza”, possiamo anche dire così: un elemento linguistico dipende da un altro, che dipende da un altro, che dipende da un altro e così via all’infinito, tuttavia una struttura sistematica, la distribuzione dei compiti agli attanti, per Greimas “attante” o “figure attanziali” sono semplicemente dei sememi discreti, cioè delle parole che non dipendono da altre parole, per cui può essere isolata, in un certo senso, perché non è mai isolata, direbbero i linguisti che è un termine “categorematico” che significa che è un termine che non dipende da altri, per esempio un nome è categorematico, se io dico Bruna, non è che questo dipende da altre cose però invece altri termini dipendono da altri termini, per esempio gli avverbi o le congiunzioni, dove una parola non può stare da sola senza essere affiancata da altre parole, questi sono detti “sincategorematici” poi questo è un aspetto dell’attività linguistica la costruzione di algoritmi attraverso queste relazioni ipotattiche che sono un numero ristretto di sememi che in questo caso sono le funzioni, gli attanti, i circostanti cioè quelli che aiutano eccetera sono sememi di fatto, un attante è un semema cioè è un’unità di significazione poi dice l’attività metalinguistica appare dal canto suo “metalinguistica” nel senso qualunque cosa che parli del linguaggio, si intende “linguaggio naturale” quello parlato comunemente e “metalinguaggio” si intende un discorso sul linguaggio l’attività metalinguistica appare dal canto suo ricerca e identificazione delle equivalenze cioè che cosa c’è di uguale fra una storia e un’altra? E perciò come manifestazione delle relazioni di congiunzione, insomma dice che l’attività metalinguistica non fa nient’altro che trovare relazioni tra il linguaggio naturale e il linguaggio che sta studiando, per trovare delle identità, per metterle in confronto per mezzo di equivalenze, cioè identità semiche, essa costruisce messaggi come supplemento di informazione sul mondo, sicché essi cessano di essere semplici ridondanze e servono invece a costruire gli oggetti linguistici per mezzo di nuove determinazioni e di nuove definizioni. Questo è importante perché dice che queste equivalenze non si limitano soltanto ad avere qualche utilità per eliminare le ridondanze cioè si eliminano tutti gli elementi che compaiono tre volte per esempio, da tre volte in su si eliminano, dice no, perché questa apparente ridondanza in realtà, lo dirà dopo, se la togliamo impoverisce il discorso. Sta incominciando a dirci che qualunque minima variante all’interno del discorso produce effetti di senso, qualunque minima mutazione all’interno del discorso lo muta, e questa è la tesi fondamentale dello “strutturalismo”, il quale afferma che all’interno di un sistema cioè di una rete di relazioni una qualunque modificazione di un elemento, modifica, riassetta tutto il sistema. Questa è la definizione più comune accettata di “strutturalismo” di struttura posta in questi termini proprio da Benveniste un linguista francese. Poi ci dice qualche altra cosa qua e là in un capitoletto che chiama “Sintassi logica e sintassi semantica” perché lui distingue, essendo un linguista distingue tutto, come dicevo la volta scorsa, i linguisti fanno delle tassonomie, delle elencazioni infinite, il più delle volte di una noia mortale occorre dire, allora la “sintassi logica” cioè il modo in cui la logica assembla i vari elementi allo scopo di costruire proposizioni vere ovviamente, non è che li assembla così per caso la sintassi logica sembra aver scelto questa soluzione ponendo a livello delle funzioni il problema della loro orientazione – adesso lo spiega – per rendere ragione delle relazioni tra attanti alle funzioni viene conferito un certo contenuto meta semico concettualizzato sotto il nome di “orientazione” cioè in una proposizione del tipo: x è sopra y, questa è la funzione ad essere incaricata di determinare lo statuto deittico dei due attanti “deittico” significa semplicemente che dà la direzione, “deissi” la direzione, “indicatore”, operatori deittici sono tutti quegli elementi che concorrono a indicare in che direzione sta andando il discorso o a indicare qualche cosa. Dire che “x è sopra y” per Greimas è dare una sorta di orientazione alla frase, la sintassi una volta orientata in questo modo, permette di astrarre dall’investimento semantico degli attanti cioè nomi propri Pierino, Francesco eccetera ma moltiplica le difficoltà a livello delle funzioni e le trasferisce al livello del calcolo delle proposizioni sì, dice, rende molto complicato questo tipo di procedere logico, cioè simbolico, perché a un certo punto si può risolvere un problema anche se semiotico di definizione di struttura in una certa proposizione utilizzando il calcolo proposizionale, che dice per esempio che se una certa cosa è vera e da questa cosa vera ne deriva un’altra allora anche quest’altra derivata sarà vera, faccio esempi banali ovviamente, però secondo Greimas questo comporta quasi una sorta di infinitizzazione, di aggiunte di cose, cioè la sintassi logica non riesce a compiere quell’operazione che vuole compiere lui, cioè trovare degli schemi, dei modelli ripetibili che valgano, modelli, come dirà dopo, “acronici” cioè senza tempo, che non sono debitori di aggiunte “diacroniche” cioè nel tempo, per cui a una cosa si aggiunge un’altra, si aggiunge un’altra, si aggiunge un’altra per comprenderla tutta: c’è questo, poi c’è quest’altro, poi c’è quest’altro eccetera come fa la “congiunzione” in logica, ma trovare invece uno schema che consenta di cogliere immediatamente tutte le possibili occorrenze di tutti questi elementi e stabilirle in un unico termine per esempio, questo è quello che lui vorrebbe fare, infatti dice una semantica che cercasse di imitare i modelli della sintassi logica si ridurrebbe ben presto in un vicolo cieco non avendo funzioni di controllo essa si perderebbe nella descrizione dell’infinità delle asserzioni possibili sugli avvenimenti del mondo (più questo, più questo, più questo eccetera) si è visto con Bar-Hillel, che nessuna memoria è capace di immagazzinare tutte le affermazioni sul mondo, (per quanto uno possa avere buona memoria non si ricorda tutto, una macchina può farlo) nessuna scienza debitamente fondata in effetti si occupa dell’inventario degli avvenimenti, del resto le condizioni oggettive in cui molto probabilmente si effettuano la ricezione e la conservazione della significazione vi si oppongono dice, molto probabilmente ciò che accade, in realtà è che i processi di significazione a un certo punto si oppongono cioè buttano per aria questa somma di elementi infinita, però questo è irrilevante. Ecco: siamo così indotti a precisare la nostra posizione (quella di Greimas) di contro alla sintassi logica che pure ci offriva una metodologia già elaborata (la logica esiste già dai tempi di Aristotele) così trovandoci di fronte ai due enunciati “x è sopra y” e “y è sotto x” noi siamo, non solo, preoccupati della necessità di formulare le regole di trasformazione che permettono di ridurre le due proposizioni ad un solo messaggio semantico (perché altrimenti, e questa è la sua critica alla logica, siamo sempre costretti a metterli tutti e due e se sono tre a metterli tutti e tre e così via all’infinito ma lui ne vuole uno) in termini generali si può infatti dire che le stesse categorie semiche si manifestano sia negli attanti, sia nei predicati, così due attanti quali “solaio” “cantina” - sono attanti perché sono semi discreti, sono parole singole – possiedono le proprietà semiche “alto” “essere in alto” il solaio ovviamente, “essere in basso” la cantina, che esattamente come predicati lessicalizzati (trasformati in lessico, in parole) rendono ragione delle loro reciproche relazioni topologiche (cioè di spazio: uno sopra e l’altro sotto) la duplice formulazione topologica e deittica che indica la direzione di uno stesso contenuto, non è altro che l’esemplificazione di un modo di essere generale della significazione manifestata (qui ripete la stessa cosa) in quanto l’analisi funzionale o qualificativa restituisce gli attanti, essa si limita a trasferire, per così dire, i contenuti semantici dalla classe dei predicati a quella degli attanti “la classe dei predicati” è tutto ciò che si predica degli attanti, tutto ciò che gli attanti fanno. Greimas individua sei attanti nel racconto in generale, in qualunque tipo di racconto, in qualunque tipo di romanzo, in qualunque tipo di discorso e cioè il “soggetto” “l’oggetto” “l’oppositore” “l’aiutante” “il destinatore” “il destinatario”. Prendete la favoletta classica: il drago rapisce la figlia al re, allora il re si rivolge al cavaliere perché gli riporti la figlia. Allora c’è un soggetto che è il cavaliere, e c’è l’oggetto che è la fanciulla da recuperare, poi c’è un destinatore che è il re, perché è lui il committente di tutta l’operazione, e c’è un destinatario, il matrimonio con la principessa rapita dal drago, e poi c’è un oppositore e un adiuvante, l’oppositore in questa caso è il drago perché si frappone tra il cavaliere e la principessa, l’aiutante può essere qualunque cosa, per esempio il mago Merlino, cioè qualcuno che aiuta il nostro soggetto a raggiungere il suo obiettivo. Queste sei figure sono le sei figure attanziali di Greimas cioè quelle che rileva in qualunque tipo di racconto, Propp ne aveva individuate trentuno, lui le ha ridotte a sei, perché a parere di Greimas erano ridondanti. Allora se di conseguenza esiste una categoria attanziale di carattere molto generale per esempio l’oppositore è un carattere generalissimo, può essere qualunque cosa, l’oppositore anche un sasso per strada ché uno inciampa e batte il naso, qualunque cosa e se esse si manifestano tanto a livello delle funzioni quanto al livello degli attanti ci sembra necessario dare loro una formulazione attanziale e non funzionale dice soltanto che sta cercando di trovare degli elementi sempre più generali per quanto riguarda gli attanti in modo da liberare gli attanti eventualmente da un numero eccessivo di funzioni ma ridurre il più possibile, è questo il suo obiettivo, il contenuto di un micro universo semantico (può essere il raccontino che vi ho fatto prima, la storiella del drago) potrà così presentarsi sotto questa forma come uno “spettacolo” e non più come una serie di avvenimenti. Il suo intendimento è trovare quella struttura per cui ciò che sta accadendo si costituisce agli occhi di chi l’osserva non come una successione di eventi ma come uno spettacolo, quindi un tutto, come qualche cosa che ha una struttura sua e che viene colta nell’immanente come un tutto qui e ora, cosa che preciserà fra poco dicendo “ il messaggio in definitiva non è altro che proiezione della struttura elementare della significazione, i suoi contenuti già organizzati in classi di attanti e di predicati, cioè di una struttura che è gerarchicamente superiore alla classe dei sememi, quindi dice che il messaggio proietta su contenuti già organizzati, che sono già lì, il re e la principessa eccetera, sono già organizzati e sono pronti per l’uso, però questo messaggio proietta strutture elementari della significazione su vari scenari possibili, è come dire, che tutto ciò che è possibile costruire indipendentemente dalla storia, perché io ho fatto la storiella del cavaliere e della principessa, può essere qualunque altra cosa, può essere Pierino che va a fare la spesa, in questo caso il destinatore è la mamma che lo manda a fare la spesa, il destinatario è la cena per la sera, l’oppositore può essere l’amico che incontra e che gli fa perdere tempo, l’adiuvante l’altro amico che gli ricorda “guarda che c’è la mamma che deve preparare la cena”, può essere qualunque cosa però il messaggio , dice lui, è una proiezione di una struttura elementare che apre a possibilità infinite, è una struttura semplice elementare, perché lui deve anche rendere conto del fatto che il linguaggio di fatto, nonostante tutte le difficoltà funziona, e cioè che le persone parlano, cosa che non è così semplice. Qui distingue fra attanti e funzioni ma mentre gli attanti che noi abbiamo precedentemente definiti come classi di sememi discreti ricevono così determinazioni supplementari sotto forma di meta sememi che danno loro il carattere di soggetti, oggetti, destinatari, destinatori eccetera cioè queste classi di metasememi, cosa fanno? Sono proprio queste, queste classi che danno di volta in volta la forma all’oppositore, al destinatario, cioè dicono chi è di volta in volta, il re, la mamma, Pierino, invece le funzioni che abbiamo definite come contenuti semici integrati, perché contenuti semici integrati? Perché sono contenuti ovviamente, sono semici cioè il “sema” per Greimas è la minima unità di significazione, la più piccola, può anche essere una parola, un pezzo di una parola, può essere qualunque cosa abbia da sé un significato, cioè sia possibile riconoscere che è un significato, ecco sono “integrati”, non stanno da soli, è questa la differenza con gli attanti, gli “attanti” sono classi di sememi discrete, quegli altri sono integrati cioè le funzioni per agire devono funzionare su qualche cosa ovviamente, anche la nozione di “funzione” in matematica, per esempio, si potrebbe considerare un elemento integrato all’interno di un’operazione, la funzione dice semplicemente che qualche cosa fa, opera in un certo modo su un’altra cosa, la funzione fa questo, per cui è un elemento che è sempre integrato all’interno di un qualche cosa mentre l’attante di per sé non lo è, non ha bisogno di avere delle funzioni particolari si precisa proprio il compito della semantica, usando queste categorie modali essa deve stabilire una tipologia delle modalità di esistenza, sotto forma di strutture attanziali semplici e di questi micro universi semantici, i cui contenuti, descritti per mezzo dei procedimenti dell’analisi funzionale o dell’analisi qualificativa o di ambedue contemporaneamente, costituiscono semplicemente delle variabili. Sta dicendo qual è il metodo che lui usa, cioè tutte queste categorie modali, per “categorie modali” si intendono tutte quelle categorie che riguardano il modo in cui un’azione si compie, la possibilità del cavaliere di fare una certa cosa o l’impossibilità di farla, qui “modale” non riprende propriamente l’accezione che si usa quando si parla di logica modale, anche se la richiama, perché comunque la logica modale si occupa di stabilire quali sono i modi, intendendo con “modo” “il necessario” e “il possibile “ per stabilire delle verità, delle proposizioni vere, cioè a quali condizioni è possibile che una proposizione sia vera, a quali condizioni è possibile che un’asserzione sia possibile, oppure falsa, oppure impossibile ovviamente, invece qui “modale” riguarda i modi in cui l’attante può agire, l’attante o chiunque altro delle sei figure attanziali. Una tipologia sotto forma di figure attanziali semplici e di questi micro universi semantici, sembra una cosa difficile in realtà dice sempre la stessa cosa grosso modo precisandola qua e là, l’analisi della struttura del linguaggio ci obbliga ora a porre il problema in modo un po’ diverso, dire che una “categoria modale” (cioè la categoria di tutte le cose che l’attante può fare per esempio o l’adiuvante o il destinatore,) assume il contenuto del messaggio e lo organizza stabilendo un tipo determinato di relazione fra gli oggetti linguistici costituiti, significa riconoscere che la struttura del messaggio (cioè il modo in cui il messaggio è combinato) impone una determinata visione del mondo, questa visione del mondo dunque non riferisce come stanno le cose (dice che è il riconoscere che è la struttura del messaggio, il modo in cui questo messaggio viene costruito, questo modo è esattamente ciò che noi chiamiamo la “visione del mondo” e quindi non ha nulla a che fare con il come stanno le cose, assolutamente niente) così la categoria della transitività ci obbliga per così dire a concepire un certo tipo di relazione tra attanti, (se c’è una categoria di transitività tra due attanti, tra per esempio il re e il cavaliere) ci obbliga a concepire un certo tipo di relazione perché pone davanti a noi come un attante fornito di potere di agire e un altro attante come investito da un’inerzia (come dire che sono queste parole e la struttura di queste parole a definire ciò che noi vediamo, più propriamente, lo riprenderà fra breve, a definire quella cosa che lui, mi sembra riprendendo da Tesnière, altro linguista francese, che lui chiama “spettacolo”, lo spettacolo è la forma definitiva, quella con cui ciascuno ha a che fare ininterrottamente e poi più avanti) la scelta della struttura attanziale (“attanti” è un termine di sua invenzione non c’era prima, c’era l’ “attore” ma l’attore non è l’attante per Greimas, l’attore è quella persona che rappresenta una delle possibilità dell’attante, cioè l’ “attante” per esempio il “destinatore” il committente di tutta l’operazione può essere chiunque, mentre l’“attore” rappresenta un tipo, rappresenta per esempio un re, per esempio la mamma, per esempio la zia Ernestina) la scelta della struttura attanziale per illustrare la convergenza dei modelli eterogenei (modelli differenti tra loro che lui cerca di far convergere per trovare le strutture fondamentali) ci ha consentito di non tener conto del carattere diacronico di ogni corpus (il corpus è un testo, semplicemente, qualunque testo, di qualunque tipo, di qualunque lunghezza e di qualunque forma, “di non tener conto del carattere diacronico” nella linguistica si usa generalmente considerare due assi del linguaggio, già in De Saussure ma in particolare in Jakobson c’è un asse sincronico e un asse diacronico. La sincronia, o asse paradigmatico dice di un termine tutte le sue proprietà, tutto ciò che appartiene a quel termine e unicamente a quello, questa è la ascisse; sull’asse delle ordinate cioè sull’asse che potremmo chiamare “sintagmatico” c’è uno spostamento che dice tutte quelle cose che è possibile attribuire a un termine, se io dico per esempio “tavolo” l’esempio che facevamo forse l’altra volta, sull’asse paradigmatico dico tutto ciò che appartiene necessariamente a questo termine, per esempio posso definirlo come un piano orizzontale supportato da uno o più supporti, e questo si attiene all’asse paradigmatico, cioè tutto ciò che appartiene al tavolo e che non si può non dire di un tavolo, ma se, per esempio, io dico che questo tavolo è dell’800, di un legno particolare, ha dei risvolti eccetera tutte queste cose non appartengono necessariamente alla nozione di tavolo, sono un in più, ecco tutto questo appartiene all’asse diacronico, cioè comporta una sorta di spostamento di attributi più o meno lungo a seconda di quanti ne vengono in mente però ecco per dire dei due assi fondamentali del linguaggio, quindi lui dice: la scelta della struttura attanziale ci consente di non tenere conto del carattere diacronico di ogni corpus (cioè l’idea di costituire queste sei figure attanziali, che sono sempre le stesse, ci permette di non tenere conto dei cambiamenti di tempo, dei cambiamenti di luogo, cambiamenti di situazione perché gli attanti sono sempre gli stessi, sono sempre quei sei) abbiamo già avuto occasione di sottolineare il paradosso per cui il fatto che una manifestazione di parola si trovi separata nel tempo da un’altra manifestazione di parola, di un intervallo di tre secondi o di trecento anni non cambia nulla circa la natura diacronica della loro relazione, così nella manifestazione della significazione tutto è diacronico, salvo la significazione stessa condizionata dalla nostra attitudine a cogliere acronicamente (cioè in modo atemporale) come totalità strutture di significazione molto semplici, in altri termini ciò che ci permette di cogliere un racconto popolare, o un romanzo di Bernanos, come dotato di senso, è la permanenza per tutto il racconto di un numero ristretto di categorie di significazione. Questo è molto importante, ci sta dicendo che un corpus, un testo qualunque, è comprensibile perché c’è qualche cosa che viene colto come qualcosa che è fuori dal tempo, la struttura semplice del racconto di cui dicevo prima: il soggetto, l’oggetto, l’oppositore, l’adiuvante, il destinatore, il destinatario, sono figure acroniche, sono fuori del tempo e dallo spazio, sono sempre le stesse, adesso come diecimila anni fa, come probabilmente saranno fra diecimila anni, saranno sempre le stesse, e lui Greimas ci dice, che noi riusciamo a comprendere un romanzo popolare, un qualunque testo, un qualunque corpus proprio per via di queste strutture che rimangono sempre le stesse, è questo che la persona coglie ed è questo che ha a che fare come lo “spettacolo” ciò che appare come un tutto organico e fuori del tempo, dice di conseguenza ogni testo è contemporaneamente permanenza e diacronia cioè spostamento nel tempo, esso manifesta la sua permanenza per mezzo di un numero ristretto di strutture fondamentali ridondanti (che si ripetono) mentre è diacronico (cioè lo spostamento nel tempo) per l’articolazione ipotattica delle strutture secondarie in rapporto alle strutture fondamentali ci sta dicendo che si verifica un fenomeno strano che appare paradossale perché da una parte queste strutture sono acroniche quindi sono fuori del tempo, sono immobili, mettiamola così, tuttavia la relazione tra queste strutture è ipotattica cioè comporta uno spostamento di significazione da un elemento a un altro, quindi non è proprio vero che è tutto fermo, congelato, ma si muove continuamente e questo lo induce a dire che al tempo stesso la struttura permane ma c’è anche una diacronia, c’è anche uno spostamento che può essere nel tempo, nello spazio, ma c’è uno spostamento che per esempio impone una relazione fra un elemento e un altro, una qualunque relazione ipotattica prevede che tra due elementi ci sia una derivabilità. Un atro aspetto importante del lavoro che fa è vedere fino a che punto è possibile mettere in atto la riduzione e l’eliminazione, come si fa in aritmetica quando si tolgono elementi che non servono, nella sua forma più semplice la riduzione appare come eliminazione della ridondanza cioè tutti gli elementi ridondanti, eccessivi vengono tolti se per esempio io metto in fila, quattro o cinque aggettivi connessi con un solo sostantivo e tutti questi aggettivi hanno, per esempio, un sema in comune, ne piglio uno e elimino gli altri perché sono già compresi in quell’uno, infatti abbiamo visto che un testo esteso nella temporalità del discorso può essere colto come permanenza cioè in sostanza come significazione globale solamente in quanto gli elementi fondamentali della significazione si manifestino iterativamente cioè viene compreso un testo perché tutti gli elementi importanti che comportano il significato si manifestano continuamente, a ripetizione uno dietro l’altro per questo può essere inteso come una significazione globale e cioè è una condensazione, come se potesse significarne simultaneamente moltissimi altri, anche se è uno solo come il simbolo per esempio, tuttavia “ridondanza” non è solo un fenomeno quantitativo per esempio quando un genitore dice per dieci volte al figlio o alla figlia la stessa cosa, questo messaggio tecnicamente è ridondante, basterebbe una volta sola, però il genitore in questione sa benissimo che una non basterà e quindi occorrerà ripetere un certo numero di volte che tende all’infinito, questa è la ridondanza che invece per quanto riguarda l’analisi di un testo può essere eliminata, però dice lui non è soltanto un fenomeno quantitativo, e neanche la ridondanza del messaggio della mamma alla figlia per esempio, non ha soltanto un valore quantitativo ma anche qualitativo, perché man mano che aumenta il numero delle ridondanze, delle occorrenze di questa avvertenza o di questo suggerimento, per esempio cambia il tono di voce, si fa sempre più irritato, sempre più nervoso finché alla fine esplode in una manifestazione “violenta”. In genere la ripetizione implica variazioni notevoli della forma del contenuto, di conseguenza la riduzione della ridondanza può avvenire soltanto a prezzo di un certo impoverimento della significazione, cioè togliendo elementi la significazione generale si impoverisce e qui, ciò che dicevo all’inizio di questa serata, per Greimas ogni piccola variazione all’interno di un discorso modifica tutto il discorso, non è irrilevante dunque, una volta scelto il livello di generalità (cioè dove ci si vuole fermare) la descrizione potrà apparire solo come selezione degli elementi di contenuto pertinenti e come rifiuto di altri elementi considerati stilistici e non pertinenti per la costruzione del modello. Tenete sempre conto che a lui interessa la costruzione di modelli fissi, stabili che possono essere utilizzati per costruire categorie a partire da testi magari complicatissimi per ridurli a pochi elementi, per poterli studiare e quindi valutare le ricorrenze, le occorrenze, le equivalenze tutte le cose che fanno i linguisti. Qui fa una riflessione sui modelli attanziali e parla di due livelli di descrizione dice quando uno studioso di mitologia per esempio Dumézil (che è appunto uno studioso di mitologia francese) che si propone di descrivere una popolazione divina, analizzandone a uno a uno tutti i rappresentanti si serve di un procedimento che ha due direzioni diverse (dunque Dumézil deve descrivere una popolazione divina cioè gli dei dell’antica Grecia, le divinità cristiane eccetera), scelto un dio qualunque egli costituisce mediante tutti i testi sacri, mitologici, folcloristici eccetera un corpus di proposizioni, in cui il dio in questione entra come attante, (non importa quale figura di attante, il dio può essere considerato un dio buono, può essere considerato un oppositore, per esempio come in alcuni casi, in alcune teologie dio è considerato una figura nefasta che può essere distruttiva ma anche nello stesso ebraismo tutto sommato in alcuni frangenti dio è terribile, è minaccioso, comunque questo non ha importanza,) dunque entra come attante sulla base dei messaggi funzionali le riduzioni successive seguite da omologazione gli permettono di costituire quello che possiamo chiamare la “sfera di attività” di quel dio cioè Dumézil elenca tutto ciò che in questi testi, in queste situazioni, in queste tradizioni dio fa, tutte le cose che può fare 2) costituito un corpus parallelo che contenga la totalità delle qualificazioni di quel dio, quali si possono ritrovare sotto forma di soprannomi, di epiteti stereotipati, di attributi divini eccetera oppure di sintagmi in espansione che comportino considerazioni di carattere teologico, la sua analisi permette di stabilire la fisionomia morale del dio considerato e cioè com’è questo dio, se è un dio di pace, di bontà oppure una canaglia. Questi sono i due modi di descrizione della divinità per Dumézil, ora a questo punto dice Greimas che ne risultano due possibili definizioni dello stesso dio, la prima pur partendo dal principio che un dio si riconosce da ciò che fa considerando la sua attività come mitica lo registra come uno degli attanti di un universo ideologico, lui si crea un universo ideologico qualunque dopo di che dio è uno degli attanti di questo universo, uno degli elementi che agiscono all’interno di questo universo, mentre nel secondo caso lo pone come uno degli attanti per mezzo dei quali si concettualizza un assiologia collettiva. Tutte le definizioni che lui riesce a trovare di questo dio danno l’idea di quali sono i valori per esempio della popolazione che attribuisce a quel dio quelle cose. “Assiologia” riguarda appunto i valori le cose non avvengono diversamente sulla terra così per esempio quando Roland Barthes dopo aver scelto l’analisi funzionale per la sua descrizione dell’universo di Racine, afferma che la tragedia di Racine non è psicologica egli non può non urtare i partigiani delle spiegazioni qualificative tradizionali. Qualche questione ancora intorno alla nozione di “lo spettacolo”. Greimas ci dice come è possibile crearlo, in quale modo, a noi interessa anche sapere perché lo si crea, e questo Greimas non c e lo può dire, però lo diremo mercoledì prossimo (…) Vede il pensiero degli umani ha avuto un suo percorso partendo da alcune cose che sono state considerate le più importanti, per esempio pensate alla metafisica o all’ontologia, cioè all’idea di potere trovare una risposta alla domanda “che cos’è qualcosa?” una qualunque cosa, che cos’è realmente? Questa è la domanda fondamentale della metafisica, è da tre mila anni che ci si ingegna su questo con tutte le possibili varianti e poi l’ontologia, la ricerca per sapere che cos’è l’Essere, l’Essere che risponde alla domanda “quod sit” “cosa sia qualche cosa” mentre la metafisica dovrebbe rispondere alla domanda “quo sit” cioè da che cosa arriva questa cosa. In definitiva se ci pensate bene è una domanda intorno al significato e chiedersi che “cos’è qualche cosa?” e soprattutto chiedersi “che cosa significa, cosa vuole dire? Anche se la domanda è rivolta a un’ipotetica sostanza, questa sostanza di fatto è comunque un qualche cosa che si aggiunge a quel termine, per Greimas, sarebbero altri semi, che si aggiungono al sema nucleare e che ne forniscono la spiegazione o la descrizione o la definizione, cioè ne delimitano il significato tant’è che la domanda fondamentale degli umani è “qual è il senso della vita?” cioè che cosa significa la vita? Che senso ha? Ha un senso? Se sì, quale? E ce l’ha perché? Ma sono domande che prese così “metafisicamente” ovviamente non hanno nessuna risposta, e invece possono dire qualche cosa se prese per il loro verso, cioè prese per quello che sono e cioè delle sequenze linguistiche, delle proposizioni, nient’altro che questo. Di questo ne parleremo mercoledì prossimo.