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2-7-2003

 

La volta scorsa dicevamo delle sensazioni e del corpo, come questo funzioni da supporto di qualunque concetto di realtà, dicevamo appunto che tutto ciò che “io sento” lo reputo assolutamente reale, oltreché inconfutabile. Per esempio: ho un forte mal di denti, questa è una sensazione e come tale parrebbe inconfutabile perché non è un’argomentazione, appare inconfutabile e dovremo cercare di dire perché. Perché appare in effetti che se ho male da qualche parte, dire che non è vero mentre lo sento sia una sorta di contraddizione in termini, così appare e così potrebbe anche essere, però adesso vediamo. Intanto la prima cosa da considerare è questa: la questione dell’io, dicevamo la volta scorsa o quella precedente, di questo operatore deittico fondamentale, fondamentale perché consente al discorso di distinguersi da qualunque altra cosa. Ciò che avviene generalmente è che questo io, che il linguaggio utilizza, individua sì il discorso e la sua posizione, ma appare individuare anche qualche altra cosa, potremmo dire in una primissima approssimazione, individua ciò che fa da supporto a questo discorso, ma non basta, perché…

Intervento: in che senso fa da supporto?

Adesso spiego, sì, perché questa è la posizione del luogo comune, della fisiologia; il corpo è ciò che fa da supporto alla parola ecc. ma se la fisiologia ha pensato una cosa del genere è stata indotta da qualche cosa, la fisiologia è il luogo comune da sempre, pensate a questo: che il linguaggio stabilisce un io, che parla, e a questo punto attribuisce a questo io tutto ciò che può riferire a sé, a sé intendo dire il discorso, ora un dolore che sento, affermando che lo sento io, che cosa faccio esattamente? O meglio che cosa fa il discorso esattamente? Sta affermando che lo sente lui, è questo discorso che sta sentendo male; qui c’è un passo da fare che è importante, e cioè è come se il discorso costruisse il corpo, dopodiché, una volta che l’ha costruito questo corpo diventa il supporto del discorso, in effetti ciascuno sa di avere un corpo, perché come sappiamo da sempre, perché lo sente, ma come lo sa? Come fa a saperlo? Perché l’ha imparato come diceva Wittgenstein? Forse non basta…

Intervento: ha imparato anche a dire che lo sente però

No, al momento in cui il linguaggio stabilisce un io distinto da qualunque altra cosa, ovviamente tutto ciò al quale può attribuire tale io, viene distinto da qualunque altra cosa. Questo è il primo elemento…

Intervento: secondo me perché lo sente non perché l’ha imparato, perché l’imparare è una azione che deriva dalla percezione

Non necessariamente, anche, ma non solo, ma al momento in cui dice io a che cosa attribuisce tale io il discorso? Badate bene che il discorso non ha per nulla tutti gli strumenti che abbiamo noi in questo momento, e quindi a che cosa attribuisce tale io, il discorso che non sa di essere tale? Perché non gli serve affatto saperlo per funzionare. Non avendo nessuna possibilità di distinguere il discorso da ciò che il discorso dice allora, quando “stabilisce” l’io, da quel momento tutto ciò che chiama io, non soltanto è fuori dal discorso ma lo è sempre stato, non ha alcun modo per essere inserito all’interno del linguaggio, e distingue dunque tutto ciò che chiama io da tutto ciò che io non è, che non chiama io, e che cosa chiama io? Tutto ciò che è riferito a questo discorso. Cioè tutto ciò che questo discorso può riferire a se stesso, per esempio una martellata sul dito, chi la sente? Se me la sono data io la sentirò io, allora cosa avviene? Come dicevamo tempo fa questa martellata non è altro che una variazione di stato. Viene attribuita a io, questo io, chi lo attribuisce? Il linguaggio. Perché chiama io tutto ciò che riguarda questo discorso, che possiamo dire mio, visto che esiste questo pronome personale, dunque tutto ciò che riguarda il discorso che in questo caso è il mio, io lo chiamo io, a questo punto ecco che io esisto, esisto in relazione e in contrapposizione anche a tutto ciò che non è io, ma questo io non è altro che il discorso che è costretto, per il suo funzionamento, a distinguersi da qualunque altra cosa, compreso qualunque altro discorso e il motivo per cui è costretto a farlo lo sappiamo perfettamente: è lo stesso motivo per cui ciascun elemento linguistico deve essere differente da ciascun altro, se no non funziona. Allora a questo punto cosa abbiamo a disposizione? Il discorso che utilizza un elemento, un elemento che è quello che gli consentirà di distinguersi da qualunque altra cosa e che si chiama io, chiama io tutto ciò che appartiene a questo discorso, tutto ciò che questo discorso dice, fa, sente, sente in un accezione di cui dicevamo la volta scorsa, a questo punto il mio corpo esiste e sente qualunque cosa e io posso distinguere il mio mal di denti da quello di Gabriele, e come lo distinguo? Perché il suo non lo sento e il mio sì, cioè fa parte di un discorso che è il mio, questa cosa che sento è inserita all’interno del discorso che io indico, riferisco, avverto, accolgo, percepisco come mio, in realtà non è altro che il discorso che si differenzia da qualunque altra cosa. Ciò che chiamo io è propriamente il fondamento di qualunque nozione di realtà, anzi è attraverso il corpo che generalmente si considera che io possa percepire la realtà, i cinque sensi, attraverso ciò che il mio corpo esperisce, sente. Perché questo corpo esista, occorre che mi accorga di averne uno, perché possa accorgermene occorre che avvenga tutto ciò che vi ho descritto e cioè che il discorso stabilisca un io e attribuisca a questo io tutto ciò che appartiene a questo discorso, tutto ciò che questo discorso produce. Così come una martellata sul dito esiste in quanto appartiene al discorso che sto facendo, cioè il discorso che mi costituisce e mi costruisce. A questo punto ecco che la questione del corpo comincia a prendere corpo. Sì. Ad avere il suo corpo. La questione da cui siamo partiti è: come so di avere un corpo? E come faccio a distinguere la martellata sul dito, quella mia da quella di Gabriele: perché non la sento? Perché non appartiene al mio discorso, il mio discorso non sarà mai quello di Gabriele né potrà mai esserlo…

Intervento: però Faioni quale necessità, se il corpo è un atto linguistico, di aver prodotto il mal di denti, queste cose

Non è una necessità, qualunque cosa accada ad un discorso viene percepita, entra a fare parte di questo discorso, ora un qualunque dolore che viene avvertito è tale, si chiama così, perché non è altro che una sorta di avvertimento di un mal funzionamento del sistema, come facevamo l’esempio l’altra volta della spia luminosa in una macchina che ci segnala il mal funzionamento, potremmo dire che quella macchina sta soffrendo? Perché no? È necessario che soffra? No. Potrebbe non farlo? Teoricamente sì, certo, potrebbe non soffrire anche nel caso in cui la sofferenza sia attribuita al corpo, poiché è fornita di una percezione, cioè rileva delle variazioni di stato, se queste variazioni superano una certa soglia allora si chiamano dolore, generalmente, se no, no. Però io non parlerei di necessità. Provi a immaginare, in assenza di linguaggio, al dolore, a questo punto parlare di dolore è arduo, è un po’ come parlare di una macchina che sia programmata per spegnersi nel caso di un sovraccarico di tensione per esempio, anche il corpo umano funziona in un certo senso allo stesso modo, quando il dolore supera una certa soglia per lo più si sviene. Potremmo dire che è la stessa cosa? In un certo senso sì, perché dal momento in cui il linguaggio stabilisce un io e attribuisce a questo io tutto ciò che appartiene e viene rilevato dal discorso, viene costruito dal discorso, e se lo rileva vuol dire che in qualche modo gli ha fornito un significato, perché se non potesse fornire un significato allora l’affermare che lo rileva sarebbe un non senso, rileva che cosa? Per chi? È chiaro, io posso continuare a pensare che comunque il linguaggio rileva una variazione di stato che esiste al di fuori del linguaggio, rimane la questione che in nessun modo io posso provare una cosa del genere, posso crederci ovviamente, come dicevo forse in una conferenza, posso crederci così come posso credere nell’esistenza di dio, ma ha lo stesso valore. Sta qui la questione posta dal luogo comune: il fatto che il linguaggio rilevi delle cose che non gli appartengono, come una martellata sul dito, il linguaggio certo, consente di esprimere, di dire, di raccontare, di fare un sacco di cose intorno a questo fatto che viene rilevato ma questo fatto viene rilevato comunque anche dal linguaggio ma non solo, viene rilevato, come vuole la fisiologia, dal sistema nervoso centrale e poi tutte quante le altre storie. Però ciò che invece noi stiamo affermando non è tanto che viene rilevato dal linguaggio ma che è il linguaggio che fa esistere il corpo, e cioè costruisce un sistema tale per cui io posso attribuire e dire io, sapendo cosa sto dicendo, dicendo io, a tutta una serie di elementi che da quel momento esistono, una volta che il linguaggio fa esistere il corpo nel modo che vi ho descritto, da quel momento in poi il corpo ha vita propria, perché non può più negare ciò che ha stabilito esistere, una volta che ha stabilito l’esistenza di qualcosa questo esisterà, una volta che pone un elemento, questo elemento c’è, potrà confutarlo, potrà farne l’utilizzo che vuole ma continuerà a esistere all’interno della struttura. È questo che rende così arduo, per molti versi, intendere ciò che andiamo dicendo, perché dal momento in cui il linguaggio stabilisce l’io e quindi il corpo, come abbiamo visto, da quel momento il corpo esiste. Come se avesse un’esistenza propria al punto di immaginare che sia il corpo a fare da supporto alla parola, al linguaggio. Ma finché il linguaggio non stabilisce un io non c’è nessuna possibilità che il corpo esista, né che possa sentire alcunché, è questa la questione centrale. E tutto ciò che il linguaggio pone come esistente, da quel momento esiste, una volta che è attribuita l’esistenza c’è, cioè una volta che è entrato nella struttura da quel momento esiste, esattamente come qualunque elemento linguistico, e non ha bisogno di nient’altro per sostenere la sua esistenza, c’è e basta. Ché il linguaggio non può affermare che un elemento esiste e poi affermare che non esiste, logicamente, retoricamente sì, ma questo è un altro discorso, non lo può fare perché creerebbe da sé un paradosso e come sapete il paradosso è ciò che rende impossibile al linguaggio di proseguire, e quindi non lo fa. Una volta che io posso dire: questo sono io, e se sento questa cosa allora questo è il mio dito, e se picchio più forte sento quella cosa che chiamo dolore, tutto questo sono io, tutto ciò che appartiene a questo discorso che si è individuato rispetto a qualunque altro, esattamente così come individuo un elemento linguistico rispetto a qualunque altro. Come so di avere un corpo? La risposta è: perché lo sento, ma questo io che lo sente come si è costituito? Preesiste al linguaggio o sorge quando sorge il linguaggio? E questo verbo “sento” si riferisce a una prima persona singolare, questa prima persona singolare sono io. Questo io da dove viene? Come faccio a dirmi io? Rispetto a un tu, esso, lui eccetera? Da dove viene, chi mi ha dato questa opportunità? Lo sappiamo, è quella struttura che consente di distinguere ciascun elemento da ciascun altro, e nessun’altra è in grado di fare una cosa del genere. Quando posso dire io, cioè quando il discorso che mi costruisce, che mi costituisce stabilisce questo io allora, e solo allora il mio corpo esiste: ecco. questo è il mio braccio, questo è il mio naso anche se non lo vedo, però l’ho visto prima allo specchio, suppongo che ci sia ancora, fino a prova contraria, e in effetti funziona così, fino a prova contraria, e la prova contraria non può venire perché il linguaggio non può negare se stesso. Per cui esisterà sempre, per cui io sarà sempre io e lui sarà sempre lui. C’è qualche questione che non è chiara?

Intervento: questa è la questione più complessa… al momento in cui si da non si può negare l’elemento linguistico perché se no si arriva al paradosso, alla paralisi del linguaggio… ma laddove un elemento linguistico sa di essere un elemento linguistico come avviene il paradosso? Certo la negazione è una negazione retorica…

L’elemento linguistico sa di essere un elemento linguistico, lo sa se ha acquisito gli elementi per saperlo, se no, no, non lo sa e continua a funzionare senza saperlo, come abbiamo detto tante volte il linguaggio funziona benissimo senza che sappia nulla di sé, noi lo sappiamo, però il linguaggio no…

Intervento: però la mia domanda era proprio intesa “noi lo sappiamo” quindi noi sappiamo che se si dà un elemento non può negarsi questo elemento salvo il paradosso, ma il paradosso a questo punto perché? C’ è il paradosso laddove funziona qualcosa che afferma l’uscita dal linguaggio, l’unico paradosso è quello che afferma che c’è qualche cosa fuori da questa struttura

Infatti dire che un elemento esiste va benissimo, affermare che non esiste più è come dire che questo elemento è fuori dal linguaggio e questo non lo può fare, non lo può fare nel senso che produce un paradosso…

Intervento: in effetti non è possibile negare un elemento linguistico perché al momento in cui si da, negarlo è una figura retorica, certo…

Una volta che ne stabilita l’esistenza da quel momento esisterà sempre. Retoricamente sì, posso fare quello che voglio, però posso farlo perché c’è…

Intervento: a quel punto bloccherebbe il discorso perché a questo punto sarebbe come uscire dal linguaggio

Cesare, tutto chiaro?

Intervento: io sono linguaggio ecco che da quel momento io esisto necessariamente

Come qualunque elemento linguistico…

Intervento: e questo corpo a questo punto vive di vita propria tutto sommato…

Intervento: mi interessere la costituzione del corpo il fatto di percepire la martellata… sembra un catalizzatore di queste

Sì, viene riferito a sé, esattamente, come quando qualcuno per strada la insulta guardandola dritto negli occhi, riferisce a sé questo insulto, non a quell’altro che è dalla parte opposta della città, la riferisce a sé ma perché questo possa essere riferito a un sé occorre che questo sé ci sia, ci sia cioè la possibilità di affermare un io distinto da qualunque altra cosa, allora io so che questo qui sono io, e tutto ciò che accade a questa cosa accade a me, accade a questo io. Il linguaggio costruisce un io e attribuisce a questo io tutta una serie di cose, dopodiché questo io è come se diventasse autonomo, come qualunque altro elemento linguistico, per cui può dire: il mio linguaggio, per esempio, come dire il mio dolore certo, può dire qualunque cosa, attribuire a sé qualunque cosa, è come se a quel punto avesse effettivamente una vita propria, indipendentemente da quel linguaggio che gli ha consentito di dire io e quindi di cominciare a esistere, con le mie mani, con il mio dolore, con la mia gioia, con tutto quanto, e tutto ciò che posso dire mio. Poi certo uno dice: mi do una martellata sul dito e la sento, sempre le solite questioni, è difficile da intendere perché ormai il corpo è distinto da qualunque altra cosa, effettivamente vive da sé, una volta che il linguaggio l’ha avviato è come un elemento linguistico che vive da sé, e quindi è come se il corpo effettivamente sentisse lui delle cose, ma il corpo senza il linguaggio è esattamente come quella famosa videocamera di cui dicevo: può registrare delle cose? Sì, forse le registra ma occorre che qualcuno gli abbia detto di farlo, qualcuno l’abbia programmata per farlo e l’unica cosa che può programmarla è il linguaggio, nessun altro. È una questione complessa, né parleremo ancora e ci rifletteremo ancora a lungo, però la direzione appare questa…

Intervento: il corpo è il limite fra il pensiero e la realtà

Sì, il percipiens sono io, il perceptum sei tu…

Intervento: si fa il discorso che la mano che appartiene al corpo e quindi a me però se mi amputassero la mano io continuerei ad essere escludendo una parte del mio corpo…

Intervento: noi stiamo cercando di intendere come avviene la costruzione metafisica continua per cui il discorso occidentale si trova a credere di pensare, in un certo modo non si accorge di essere all’interno di una struttura, di un database in cui non fa altro che utilizzare delle stringhe di proposizioni che sono tutto ciò che gli permette di dire che pensa, non fa altro che utilizzare degli ingranaggi che funzionano così, difficile a questo punto trovare ciò che è necessario dire in questa serie di questioni, può inventare tutto quello che vuole ma risponde sempre in modo metafisico, perché è la questione della videocamera può vedere la realtà che è comunque esterna a me che la vedo, la questione estremamente complessa è quella di intendere che all’interno di questa struttura della quale possiamo dire che viviamo e della quale siamo fatti siamo dei burattini perché la mano staccata… non c’è nulla di particolare… e il corpo umano è una costruzione di questa struttura

Prendete ciò che afferma Wittgenstein, per esempio: “io so che questa è la mia mano perché l’ho imparato”, forse, però ci vuole una condizione in più e cioè che io possa, sappia distinguermi da qualunque altra cosa, allora posso affermare questa è la mia mano, senza questa condizione è complicato, senza che io possa dire io, quindi possa distinguermi da qualunque altra cosa. Per cui non basta che abbia imparato, ci vuole un elemento in più che il linguaggio mi fornisce, dandomi l’opportunità, dicendo io, questa regola grammaticale, di distinguermi da qualunque altra cosa cioè distinguere il discorso da qualunque altra cosa…

Intervento: è la funzione dell’anima

Di chi?

Intervento: dell’elemento anima

Sì, in assenza di potere intendere il funzionamento della struttura sì, si è ricorsi a tutte la favole… l’anima certo, pensate alla nozione di pulsione in Freud, qualcosa che è a metà fra il fisico e lo psichico, che ha una fonte, però di questa fonte non si sa niente, si sa che ha un oggetto, una meta ecc. ma la fonte? Non si sa che cosa la muove effettivamente, nessuno l’ha mai saputo, eppure era lì sotto gli occhi di tutti: il linguaggio è lui che muove, non c’è nient’altro, tolto questo si spegne tutto…

Intervento: ma il fatto di non scoprirlo mantiene la validità del discorso occidentale

Sì, mantiene la possibilità della superstizione certo…

Intervento:…

Dal momento in cui esisti, la questione è che non c’è nessuna possibilità di accorgersene che è il linguaggio che muove, che è il motore immoto, nessuna possibilità perché funziona perfettamente senza sapere assolutamente nulla di sé, soltanto noi abbiamo varcato quel limite, abbiamo varcato le colonne d’Ercole e ci siamo spinti là dove nessuno s’era mai spinto. A questo punto dobbiamo precisare ancora la questione, e poi proseguiremo… siamo prodighi di invenzioni… sì direi che per questa sera possiamo fermarci qui, abbiamo detto abbastanza, mercoledì prossimo proseguiremo.