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2-4-2014

 

Dicevamo negli ultimi incontri del potere, e che la necessità di esercitare il potere procede dal funzionamento stesso del linguaggio, là dove questo funzionamento non è inteso, non è avvertito, non è tenuto in considerazione, allora in questo caso appare inevitabile. Quando un tizio qualunque inventa, elabora, costruisce una teoria, l’intendimento il più delle volte non è quello di stabilire la verità, almeno se la persona è un minimo avvertita, ma è un qualche cosa che dà un contributo al pensiero verso la verità. L’idea è sempre quella di muoversi nella direzione giusta, anche perché il suddetto teorico, se avesse ravvisato in ciò che dice, in ciò che fa, una totale falsità di affermazioni non proseguirebbe in quella direzione ma la abbandonerebbe. Sappiamo bene che non è possibile credere vero ciò che si sa essere falso, per una questione grammaticale. Il suddetto teorico costruisce qualcosa con l’idea che possa contribuire ad aggiungere qualche cosa, ma sempre in direzione della verità, di come stanno le cose, perché se non avesse questa convinzione non scriverebbe la sua teoria ma farebbe altro. Tutto questo non è irrilevante, dice della impossibilità di avere un progetto, teorico in questo caso, senza che questo progetto aspiri in qualche modo a contribuire alla verità, cioè a dire qualche cosa di vero, che non è la verità, però aggiunge un elemento in quella direzione. La questione interessante in tutto ciò, come vi dicevo, è che in caso contrario non ci sarebbe nessun motivo per elaborare una teoria, se non si presumesse di dire qualcosa di vero. Questo accade anche quando si scrive una poesia, operazione che apparentemente è molto lontana dalla compilazione di un testo teorico, ciò non di meno anche in quel caso il poeta descrive qualche cosa che a lui pare dica o descriva come stanno le cose, a modo suo dice come stanno le cose, è una descrizione di uno stato di fatto. La poesia è lo stato di fatto che appare al poeta ovviamente, poi che lo dica bene, male questo non ci interessa, ma ciò che fa è questo, una descrizione di uno stato di fatto, di uno stato di cose. In ambito teorico la cosa è più evidente, l’obiettivo di una teoria, l’obiettivo che ha in animo un teorico quando scrive la sua teoria è di offrire a chi ne usufruirà un bagaglio di informazioni per meglio comprendere la realtà, e in alcuni casi anche meglio adattarsi alla realtà, meglio la si conosce, meglio la si adopera. Non è mai accaduto fino a oggi che qualcuno costruisse una teoria per il solo piacere di farlo senza avere nessuna pretesa di deliberare sulla realtà, ma nella totale e irreversibile consapevolezza di costruire un gioco che ha l’unico obiettivo di produrre piacere, perché si gioca? Per piacere. Se invece non è un gioco la costruzione di una teoria ha come riferimento le cose, il modo in cui stanno le cose, indipendentemente dal fatto che, sempre il suddetto teorico, creda all’esistenza di una realtà oppure no, in ogni caso, se afferma che le cose stanno in un certo modo, pensando di dire un qualche cosa che non è soltanto un gioco costruito al solo scopo di giocare, ha un altro obiettivo, che non toglie anche il piacere naturalmente, però l’obiettivo prioritario è quello di individuare, descrivere, mostrare uno stato di cose. All’interno di una teoria semantica che rilievo potrebbe avere l’intenzione di costruire affermazioni vere? Che ciascuna proposizione che interviene è come se ricevesse il significato in un certo senso da questa intenzione. Paul Grice, un filosofo del linguaggio, è l’unico che dice delle cose che per alcuni aspetti si affacciano su una questione che è abbastanza interessante, lui introduce una nozione che si chiama “implicatura” che non ha niente a che fare con l’implicazione logica, ma dice che c’è un significato di un termine, e poi c’è anche un’implicatura cioè il modo in cui questo termine viene usato, l’intenzione che si ha quando si usa quel termine, poiché se io lo uso con un’intenzione significa una certa cosa, se lo uso con un’altra intenzione significa un’altra cosa ancora. Quindi c’è un significato, “naturale” e poi un altro significato che invece procede dall’intenzione del parlante. Sottolineando l’importanza dell’intenzione nella produzione di significato, si avvicina a modo suo a qualcosa che diceva Freud, anche se in modo differente ovviamente, però l’intenzione è ciò che determina il significato di ciò che si sta dicendo. Per Lacan era il desiderio, per Grice è l’intenzione, non sono poi così differenti. A Grice del desiderio non interessava nulla, però l’intenzione mostra la direzione che io voglio che il mio discorso prenda per chi mi ascolta. La stessa cosa avviene quando si costruisce una teoria: c’è l’intenzione di stabilire come stanno le cose e questa intenzione è ciò che interviene nella costruzione del significato delle proposizioni, qui è ovvio che questo discorso può ampliarsi e coinvolgere qualunque tipo di discorso, ho fatto l’esempio del discorso teorico perché lì la cosa è più marcata, più palese, rappresenta l’intenzione del teorico di scrivere qualche cosa intorno al modo in cui le cose stanno, ma qualunque discorso è costruito in questa maniera. Potremmo aggiungere che non soltanto è costruito in questa maniera, e cioè per esibire uno stato di cose, ma il discorso è fatto unicamente per questo motivo: si parla per esibire stati di cose. Questo è importante perché rende conto immediatamente, se si tiene conto di una cosa del genere ovviamente, del perché si sta parlando, in qualunque momento lo si stia facendo, vi dicevo prima che tutto questo accade inesorabilmente se non c’è una consapevolezza del funzionamento del linguaggio, e la consapevolezza consiste nel sapere che si sta costruendo un gioco, si sta giocando un gioco e nient’altro che questo. Parlando si compiono affermazioni continuamente, è inevitabile affermare qualcosa, però queste affermazioni sono vere all’interno del gioco. Se questa consapevolezza è assente, allora queste affermazioni illudono il parlante che ogni volta che afferma qualche cosa questa affermazione stabilisca uno stato di fatto, che non è quindi particolare a quel gioco ma, come dicevamo, universale. È essenziale in tutto ciò tenere conto che è questo il motivo per cui si parla, sempre, comunque: definire come stanno le cose, affermare come stanno le cose, descrivere come stanno le cose, ma queste cose, cosa sono? Per quanto il parlante possa ignorarlo, cosa che avviene per lo più, queste cose che deve affermare sono dei significati. Le cose che l’affermazione vuole affermare sono dei significati, dei significati che sono stati stabiliti in precedenza e che devono essere confermati, confermandoli possono consentire il proseguimento di altre catene, di altri discorsi, ma quando si parla di cose si parla sempre di significati. Dicevo che si parla soltanto per affermare delle cose, quindi a questo punto si parla soltanto per affermare i significati, cioè per dire che il significato è questo, questo discorso, questa cosa, che a questo punto non è una cosa ma è un significato, è il significato che sto dicendo io, cioè significa questo: se io ho la possibilità di dire quali sono i significati delle cose, che sono appunto altri significati, ho il potere sulle cose stesse, perché io so che cosa sono, e so quindi come agire, come muovermi eccetera e di conseguenza posso spiegare, ad altri soprattutto, come fare, come muoversi, quale direzione prendere, perché io so qual è il vero significato delle cose. In effetti ciò che cerca di imporre questa fantasia di potere di cui dicevamo, sono dei significati, se io impongo un certo significato allora le cose prenderanno una certa direzione. Una delle domande principali degli umani è sempre che “cosa significa una certa cosa?” soltanto se si sa che cosa significa allora ci si sa muovere di conseguenza, ma se non si sa che cosa significa si rimane in sospeso in attesa di istruzioni. Clinicamente la questione può configurarsi così: una persona espone i suoi significati, cioè i significati che ha dato a certi eventi, a certe cose, a certe situazioni qualunque cosa, i significati che ovviamente costituiscono il suo bagaglio di credenze, dopo tutto il sapere di una persona è dato dall’insieme dei significati, cioè delle affermazioni vere che ha, potremmo dire, che ha immagazzinato nel corso della sua esistenza, dunque dicevo che clinicamente la questione si pone in questo modo, la persona dice quali sono i significati delle cose e l’analista si trova di fronte a questa serie di significati, è come se si trattasse in un certo senso di riformulare una teoria semantica, quella teoria semantica che la persona ha costruita per suo uso e consumo e cioè per significare il mondo in un certo senso. Freud ha fatto questo, cioè ha fornito degli strumenti per ridefinire quella teoria semantica che la persona espone in un’analisi “questi sono i significati che io do alle cose” “le cose per me significano questo”, sì, significano questo, ma anche qualche cos’altro, e delle volte il qualche cos’altro è contraddittorio, opposto, antonimo si potrebbe dire, usando un termine corretto. Un qualunque discorso, abbiamo fatto l’esempio di un discorso teorico, ha come intenzione la produzione di affermazioni vere, e queste affermazioni vere sono il significato delle cose “le cose significano questo”. C’è una sorta di animismo in tutto ciò perché è come se si immaginasse che le cose volessero dire, avessero un’intenzione loro stesse di dire qualcosa. Nel medioevo si formulò una teoria intorno a questo, ne parla Porfirio, è la teoria dell’emanazione. Le cose da sé emanano la loro essenza, che la persona poi coglie, è stata una teoria molto diffusa e in un certo senso è ancora presente anche se formulata in modo apparentemente meno ingenuo, però tutto il realismo, compreso il nuovo realismo non va molto lontano da una teoria dell’emanazione. La teoria dell’emanazione consente di risolvere il problema della conoscenza comportandone poi immediatamente un altro. Come gli umani conoscono le cose? Perché le cose emanano la loro essenza che viene percepita dall’umano, è questo il motivo per cui è possibile cogliere l’essenza delle cose, di conseguenza tutto ciò giustifica l’esistenza dell’ontologia, a questo punto l’Essere delle cose è raggiungibile, proprio perché le cose lo manifestano a loro modo. Occorrerebbe mostrare come la credenza nella realtà e quindi il realismo, il neo realismo eccetera procedano dalla teoria dell’emanazione, mostrando ovviamente l’ingenuità e l’insostenibilità di una cosa del genere, anche perché c’è sempre la possibilità di inserire l’argomento del terzo uomo. Oggi c’è un rigurgito di realismo abbastanza forte, che curiosamente va sempre di pari passo con lo spiritualismo, sono come due facce della stessa cosa, è quasi un luogo comune che al colmo dello scientismo si affacci lo spiritualismo, la ricerca dello spirito dalle risposte che la scienza non dà, anche questa sarebbe una cosa da fare, occorrerebbe giungere attraverso una buona e salda argomentazione ad affermare che qualunque tesi del realismo procede dalla teoria dell’emanazione. Si tratta di articolare la cosa ma entrambe queste posizioni indicano ciascuna a modo suo ciò di cui parlavo all’inizio, e cioè che ciò che importa veramente è conoscere la verità, sapere come stanno le cose, per emanazione, oppure con il realismo che non giunge neanche propriamente a una teorizzazione, perché non c’è una teoria che lo sostenga con argomentazioni, il realismo è semplicemente postulato, le cose sono e tanto basta. Quasi tutti i filosofi analitici sono realisti, perché? Muovono dal preconcetto che la realtà ci sia, che le cose siano, che la logica sia vera perché “naturalmente” si pensa così, perché la natura è così, ma queste non sono argomentazioni, sono postulazioni, che è diverso. Potrebbero essere le questioni da affrontare nel prosieguo, mostrare che ciascuna volta che si parla si sta giocando e nulla più, se non lo si sa, allora si è costretti a compiere un esercizio di potere, mi pare che non ci siano alternative. Per quanto possa apparire semplice in questi termini, o simili, in effetti appare in assoluto la cosa più difficile: accorgersi, tenere conto quando si parla, si pensa, si fa qualunque cosa, che ciò che si sta compiendo è un gioco che si fa al solo scopo di giocare. È questo che toglie l’esercizio del potere, cioè la necessità di imporre le cose che si pensano su altri, e da qui la necessità di persuadere o di convincere.