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2 aprile 1998

 

Se io affermo, per esempio, che “Cesare è un giovane polacco vestito di blu” in questo caso io ho affermato qualcosa mentendo e sapendo di mentire. Lei si chiede se questa cosa che io ho detto modifica il mio modo di pensare, se va a modificare tutta la struttura del mio pensiero. La questione è se questa affermazione può modificare il modo di pensare. Diciamo così, che può accadere che il modo di pensare possa subire una modificazione nel caso in cui questa menzogna che io faccio sapendo di mentire in qualche modo va ad agganciarsi ad altri elementi per cui è come se credessi in effetti a quello che ho detto; allora sì, può avvenire una modificazione se no no, non succede niente. Ma questo che sto dicendo è assolutamente ipotetico. In effetti, stabilire se il modo di pensare è variato oppure no è sempre molto difficile anche perché occorrerebbe sapere molto bene qual è il proprio modo di pensare. Se dovessimo fare una cosa del genere ci sfuggirebbe forse il criterio, il parametro da utilizzare per compiere una simile analisi, per cui è una questione a cui è molto difficile rispondere.

Vi pongo un quesito: che cosa intendiamo esattamente con modo di pensare? Che cos’è, per dirla in termini spicci il modo in cui si pensa? Forse, occorre precisare meglio che cosa può intendersi con modo di  pensare. Che cosa potrebbe definire il mio modo di pensare? Beh, innanzitutto potrei definire il modo in cui penso come una struttura fatta in un modo particolare, ciascun elemento che interviene in ciò che dico indica una connessione con ciò che sta per seguire o ciò che seguirà. Ciò che dico è agganciato unicamente a ciò che ho detto e ciò che sto per dire, essendo agganciato in questo modo trae unicamente da altre parole il suo valore, per così dire. La stessa considerazione di utilizzare delle regole in qualunque gioco io mi trovi, questa stessa considerazione, come per esempio in questo momento che sto parlando sto utilizzando certi argomenti, certi elementi linguistici anziché altri, questa stessa considerazione segue o meglio è agganciata a un’altra considerazione ancora, che dice che anche questo aspetto è un gioco linguistico. Il fatto di non potere uscire in nessun modo dal linguaggio, e quindi da giochi linguistici, mi induce ciascuna volta a tenere conto delle cose che dico in quanto costruzioni, giochi, che possono essere nuovi oppure ripetere in qualche modo ciò che ha già giocato. In altri termini ancora, tutto ciò che mi trovo a pensare o a dire non è altro che incessantemente e inesorabilmente una produzione del linguaggio in cui mi trovo, tenendo conto che anche questa stessa considerazione è un effetto del linguaggio. Ora, l’assenza totale di elementi extralinguistici può definire il mio modo di pensare come una successione di significanti che non può non tenere conto di sé, cioè non può non tenere conto che è una successione di significanti e che fuori da questo non c’è altro che altre successioni di significanti. Allora che cos’è questo modo di pensare? Il procedere lungo una combinatoria significante la quale tiene conto unicamente di ciò di cui non può tenere conto in nessun modo e cioè che è fatta di significanti, e allora un modo di pensare non è altro che la successione dei significanti ordinata da regole. Per il  momento direi che possiamo non aggiungere altro, possiamo aggiungere in questo caso particolare che c’è una regola fra le altre la quale impedisce ad altre regole di imporsi come procedura, cioè impedisce a dei significanti di imporsi come ultimi, ma questo avviene soltanto perché una regola lo impedisce, è vietato. Supponiamo che io mi ponga la questione se le regole che io utilizzo nel mio discorso siano fondate o traggano la loro esistenza dal passato. Questa regola di cui mi avvalgo impedisce anche una considerazione del genere in quanto la sbarra immediatamente come procedura e me la pone di fronte agli occhi come affermazione retorica, come dire “a me piace che sia così” e nient’altro che questo e posso soltanto porlo come una questione estetica, “mi piace pensare di venire dal mio passato”, va bene, niente più di questo, non posso affermare nulla che abbia un valore assoluto, rispetto al mio passato posso affermarlo e basta. Perché è questa regola particolare che abbiamo trovata e stiamo utilizzando per giocare questo gioco, forse più mobile di altre, che impedisce di accogliere questa affermazione se non come una affermazione retorica, “io vengo dal mio passato”, ma a questo punto posso anche affermare che vengo dal futuro, che vengo da Marte, può sembrare forse più bizzarro, sicuramente, ma affermare che vengo dal mio passato può non essere meno facile da affermare, dovrei potere individuare il passato, fermarlo, porlo come elemento extralinguistico, dargli uno statuto, potremmo quasi dire ontologico, e come potremo fare una cosa del genere? Dove vado a prenderlo il passato?

Qui non stiamo discutendo sul fatto che ciascuno di noi abbia una serie di ricordi ma del fatto che questa serie di ricordi possano essere presi a fondamento o a causa di ciò che si è oggi. “Io sono così perché il mio passato è così”, non posso sostenere una cosa del genere, in nessun modo; uno è in un certo modo, avviene una qualunque cosa e cambia radicalmente mentre tutto il suo passato l’ha mantenuto uguale. Posso affermare a questo punto forse che le cose che so procedono da cose che ho acquisite, e in questo caso potrebbe apparire più difficile negare una cosa del genere, ma possiamo negarlo lo stesso. La questione è molto complessa perché tutto ciò che io affermo ha una struttura particolare che abbiamo indicato come struttura retorica. Occorre fare una distinzione molto precisa e fondamentale fra ciò che è retorico e ciò che costituisce una procedura, cioè ciò che  risulta necessario, non negabile. Rispetto a una proposizione che afferma “che le cose che so le ho acquisite in passato”, visto che ho utilizzato un tempo passato, il “le ho acquisite” è negabile, è negabile perché qualunque cosa io possa addurre a prova o a sostegno della proposizione che afferma che ho acquisito delle cose in passato, richiederà a sua volta altre prove, altri criteri e non potrò mai fermarmi ad un certo punto. E’ una di quelle proposizione che vengono accolte per potere utilizzare il linguaggio in alcune situazioni, un po’ come affermare che “questa è la mia mano”, è un po’ la stessa struttura; io non posso provarvi che questa è la mia mano, utilizzo questa regola all’interno di un gioco linguistico per potere affermare certe cose per potere procedere in un certo modo, ma non posso per nessun motivo provare che questa che vedo è la mia mano, non c’è modo, e così non posso allo stesso modo provare che le cose che dico le dico perché ho acquisito altri elementi. Qui c’è in effetti una sorta di connessione quasi con le procedure, non che affermare che questa è la mia mano sia una procedura linguistica, ovviamente, ma posso affermare che necessito di alcune regole per potere parlare. Che le regole siano necessarie, che esistano le regole è una procedura; non possono non esserci delle regole, quali regole no. Ci sono alcuni aspetti, Wittgenstein li ha indicati, che sono necessari perché il linguaggio possa esistere, ma che delle regole siano necessarie al linguaggio per esistere non significa affatto che sia necessaria una certa regola, così come dicevamo tempo fa che ad un antecedente segua un conseguente è una procedura linguistica ma quale conseguente e quale antecedente questa non è una procedura. Una procedura linguistica fornisce, l’ho detto mille volte, una sorta di hardware, uno schema molto rigido, all’interno del quale si può costruire qualunque cosa; una cosa che non può farsi è uscire da questa procedura. E allora ecco che affermare che “le cose che so le ho acquisite” viene  utilizzata come una regola del linguaggio che non può essere provata, come nessuna regola. Se l’esistenza di una regola è necessaria non lo è ciò che dice ma il suo utilizzo, il modo in cui viene utilizzata, perché verrebbe da affermare “se io so delle cose devo averle imparate necessariamente”, parrebbe così. Dimmi Roberto, che cos’è la memoria? Un passo ulteriore lo porresti come regola o come procedura? La memoria è necessario che sia oppure no? (….) e come lo confuteresti? Supponiamo che io affermi che “la memoria è necessaria e non può non essere” come la confuteresti? (…….) Presente, futuro, passato: sono figure retoriche e cioè regole per l’utilizzo del linguaggio, regole che consentono di utilizzare alcuni aspetti linguistici, la memoria è una regola del linguaggio. Abbiamo detto che occorre che ci siano regole ma non è necessario che queste regole siano in un certo modo anziché in un altro, con questo ciò che noi utilizziamo rispetto al presente, al passato, attiene al tempo, la memoria è connessa con il tempo, non è necessario, non è necessario per il funzionamento del linguaggio. Il linguaggio può funzionare anche senza la memoria, anche se può apparire bizzarro ma non meno di quanto appaia bizzarro pensare a un modo di pensare non religioso, per esempio. E’ una regola che viene utilizzata per cui effettivamente, come diceva Roberto,  rispetto ad alcuni elementi si utilizza questa regola e allora si parla al passato o al presente o al futuro, che di per sé non esistono, non hanno nessuna esistenza, sono figure retoriche che intervengono come ciascuna figura retorica a dare una direzione al discorso ma non significano assolutamente niente, fuori da questa regola che le impone non hanno assolutamente nessun senso, né il presente, né il passato, né il futuro… esattamente come affermare che questa è la mia mano. Per quanto riguarda la logica assolutamente rigorosa è una proposizione non senso, semplicemente, però ha un utilizzo e questo utilizzo è il senso che poi incontra nel discorso. Parlare di tempo, e quindi del passato, del presente, del futuro, consente di costruire delle proposizioni che hanno un certo utilizzo all’interno del discorso e di una struttura ma di per sé non significano assolutamente niente, non so se ho risposto alla domanda (……) Perché no, che la memoria sia una regola l’ho imparato in questo istante? (Sì, però se ho imparato l’algebra….è la memoria.) Sì, ma può fare un esempio anche molto più semplice e molto più robusto. Per esempio, se io dicessi “Cesare alzi la mano destra”, lei cosa farebbe? (…) Sì, perché alza quella cosa che sta lì appoggiata a questo… e questo lei potrebbe obiettare e allora torniamo alla questione come sa lei che quella è la sua mano? Che è una questione moto più radicale del sapere e del conoscere il calcolo infinitesimale e di averlo acquisito, e torniamo alla questione “come so che quella è la mia mano?”, per cui quando mi si dice “alza la mano destra”  alzo questa qua anziché alzare un piede o un posacenere o ….(Mi risulta difficile…) perché le risulta difficile? (Io devo avere…) Perché afferma che deve? (……) Non starà Cesare utilizzando una regola che prevede tutta questa operazione? La regola del linguaggio che dice che quando si parla per esempio della mano destra lei compie una certa operazione, in questo senso  utilizza la memoria, la memoria come regola del linguaggio ma in quanto regola abbiamo detto che è necessario che sia ma non che sia questa, può essere un’altra, che sia questa è assolutamente arbitrario e non  necessario, lei sa che quella è la sua mano perché il sapere questo le consente di costruire delle proposizioni, al di là di questo non può provare che questa è la sua mano, non può provare in nessun modo di avere acquisito tempo fa delle informazioni circa il calcolo infinitesimale, può dire che lo sa, va bene, ma non può provarlo in nessun modo. (Ma io so soggettivamente che è così…) Sì, io so soggettivamente, posso sapere che dio esiste, che differenza c’è? Io non posso provare la mia affermazione e lei non può provare la sua (Io posso certificare che so usare il calcolo infinitesimale…) Dipende dalla regola che si inserisce nel linguaggio, se fossi un integralista cattolico per me la certezza di dio sarebbe molto superiore a quella che afferma che questa è la sua mano, di gran lunga perché se può affermare che questa è la sua mano è perché dio glielo consente e quindi ha una certezza molto più forte. In effetti, è una questione molto complessa questa del tempo, della memoria, perché coinvolge aspetti che sembrano ormai insiti nel linguaggio, nella sua struttura e in parte lo sono, consentono il funzionamento del linguaggio così come funziona per noi ma altro è immaginare che queste regole che indicano un certo procedere siano necessarie, questo non lo possiamo affermare. Cosa comporta il fatto che non lo possiamo affermare? Che non lo possiamo provare meglio? Ha dei risvolti non indifferenti, se io dico che mi ricordo che ieri ho fatto una certa cosa e poi mi dico che quello che ho detto ha la stessa struttura della proposizione che afferma che dio esiste, mi trovo di fronte a che cosa a questo punto? Non tanto che dubiti di avere fatto quella cosa oppure no, non servirebbe a niente dubitarne, non è questo, così come non mi servirebbe a nulla dubitare del fatto che questa è la mia mano, non sarebbe utilizzabile questa proposizione che dubita che questa è la mia mano. Ma, dicevo, il fatto di non potere provarla significa soltanto che non posso non considerare che sto utilizzando soltanto delle regole del linguaggio e che non posso non utilizzare delle regole del linguaggio. Il fatto che siano regole comporta che tutto ciò che viene affermato sia arbitrario, non necessario, non sta da qualche parte in un empireo che così dev’essere perché qualcuno l’ha decretato, è una produzione del linguaggio e come tale va considerata. Io non posso fondare nessuna certezza sul fatto che questa sia la mia mano, che io so alcune cose, dubitarne non mi servirebbe a nulla, ma fondare su questo delle certezze è assolutamente arbitrario, non lo posso fare perché a quel punto sarebbe come affermare che dio esiste, ha la stessa struttura. (……) Sì, è molto agostiniano questo modo, certo, lo stesso Agostino diceva il passato non è, il futuro non è ancora e il presente dove lo situo? Adesso è già passato e quindi già non è più, ancora non è, dov’è? Anche lì un bel quesito: quando parlo del presente cosa parlo esattamente? E questo forse rende conto di come sia una regola linguistica e non un quid, perché dove lo situo esattamente, in quale punto? Questo è già passato, e allora quando parlo di presente di che cosa sto parlando esattamente, qual è il referente, dove lo trovo? Ecco, forse questo rende meglio conto che quando si parla di presente, passato, futuro stiamo utilizzando figure retoriche, e che non hanno nessun referente. E così la memoria, quando io ricordo questo non ha nessun referente, assolutamente nessuno, perché non può reperirlo da nessuna parte, è una costruzione, utilizzo una regola che connette alcune cose e mi consente di dire che una certa cosa che il mio discorso impone è passato. Dire che è passato è soltanto, come dire?, connotarla in un certo modo rispetto a un ordine del discorso e che il discorso prosegue in un certo modo ma non ha nessun valore al di fuori di quella combinatoria… 

CAMBIO CASSETTA

… un sogno ad occhi aperti, immaginare una scena che non ha tempo, non è adesso, non è passata, non è futura, nel senso che non tiene conto di queste demarcazioni e probabilmente anche la presentazione, giocano senza prevedere la necessità della memoria, cioè senza che la memoria costituisca parte integrante del gioco, è possibile (……) Per esempio, il sogno ad occhi aperti ha delle regole, costruisce delle  proposizioni, delle immagini ma queste immagini non sono vincolate a una regola spaziotemporale, forse molti giochi non necessitano che esista questa regola… perché la regola della memoria non ha in quel caso utilizzo, non viene utilizzata semplicemente… (Per intendere il gioco della memoria devo ricordarmi che cos’è la memoria per cui…) Sì, in quel caso inserisci questa regola, prima no, prima fai un gioco, il sogno ad occhi aperti, non solo questo ma ce ne sono sicuramente molti altri dove in effetti questa regola non è prevista, poi puoi inserirla ovviamente, inserendola ecco che allora questo sogno ad occhi aperti….(….) Può essere successiva all’antecedente, potremmo escludere che sia simultanea visto che la simultaneità è sempre difficile da situare, però al momento che tu la inserisci ecco che allora il sogno ad occhi aperti che hai fatto diventa localizzato rispetto a una posizione temporale ma, come dire?, a questo punto ce lo inserisci ma  il sogno ad occhi aperti rimane comunque fuori dal tempo, cioè la scena che è stata costruita non necessita di una regola temporale… (E’ una costruzione perché non avrei discriminanti per definire un sogno ad occhi aperti rispetto ad un sogno ad occhi chiusi…) Vedi, tu adesso fai un’operazione che retoricamente può essere interessante però… perché sovrapponi a questo sogno ad occhi aperti l’utilizzo che ne fai, l’utilizzo può prevedere o prevede in molti casi l’intervento di una regola … tu dici “io faccio un sogno ad occhi aperti, poi, per sapere che è un sogno ad occhi aperti, devo ricordarmi che esiste un sogno ad occhi aperti, devo …”. A questo punto tu però di questo sogno ad occhi aperti fai un utilizzo particolare e allora in questo utilizzo necessiti di questa regola spazio temporale (Il sogno ad occhi aperti ha senso solo in quel utilizzo perché prima non posso dire che è un sogno ad occhi aperti, perché dicendolo … quindi io mi rendo conto di stare sognando ad occhi aperti solo nel momento in cui faccio un altro tipo di gioco e non quello.) Non propriamente, perché al momento in cui costruisci una scena abbiamo detto fuori dallo spazio e dal tempo non ha nessun riferimento, tu puoi anche dirti che è un sogno ad occhi aperti senza avere necessariamente un riferimento spaziotemporale. Vedi, a questo punto tu affermi che è un sogno ad occhi aperti e dici “se affermo questo è perché so che esiste e quindi c’è la memoria” ma questo discorso potevi già farlo prima. Volendo, tu immagini una scena in cui viaggi sul treno e quindi devi già sapere cos’è un treno, devi sapere che esistono i binari, devi sapere che il treno è mosso da un motore, avere già una quantità sterminata di informazioni per poter fare un sogno ad occhi aperti. Tuttavia, tutte queste informazioni che necessitano, almeno apparentemente, lì nel sogno ad occhi aperti non compaiono, allora tu puoi dire che il sogno ad occhi aperti necessita necessariamente della memoria per potersi fare ma a quali condizioni lo puoi dire?  Lo puoi dire a condizioni che tu inserisca questo sogno all’interno di un altro gioco, un gioco dove è previsto che allora se io ho sognato il treno so già tutta una serie infinita di cose, ma se tu imponi, e solo a questa condizione tu potresti obiettare in termini poderosi, se tu imponi che necessariamente per potere parlare io devo avere la memoria allora lo devi provare che la memoria è la condizione del  linguaggio  (….) In caso contrario no e allora devi considerare che in effetti puoi fare giochi differenti, che la memoria non è un metagioco, non è fuori dal linguaggio, è soltanto un gioco fra altri. E così, per prendere questo pacchetto di sigarette io devo sapere che questa è la mia mano? Possiamo anche dire di sì, perché infatti la prendo con questa non la prendo… (Il problema che anche in una struttura logica il passaggio dall’antecedente al conseguente è una struttura grammaticale….per passare da  A a B devo ricordarmi di A…) Se tu intendi con memoria questo, e cioè il fatto che ad un antecedente segua il conseguente, allora sì … però, a questo punto, è dare alla memoria, a questo significante, un’accezione molto particolare che è lontanissima dall’uso che se ne fa, allora puoi dire che esiste una memoria nel linguaggio, a questo punto… (Perché se no si direbbe soltanto cogito, cogito, cogito e non si potrebbe mai passare all’ergo sum … non mi accorgerei neanche di dire cogito, cogito, cogito, passerei all’ergo sum senza ricordarmi del cogito…) Non si potrebbe ripetere due volte il cogito, perché si sarebbe già dimenticato… e poi non si potrebbe dire neanche una volta, non ci sarebbe nulla (A quel punto la memoria si è ridotta alla semplice regola dell’implicazione logica che abbiamo sempre ammesso…) Infatti, se tu indichi con memoria questo possiamo porre la memoria come procedura, a questo punto non è neanche più utilizzabile in effetti, invece come regola del linguaggio sì… è come affermare che se c’è un prima allora c’è un dopo. Il linguaggio crea una cosa a cui poi attribuisci un senso che è quello del tempo per esempio ma di per sé il prima e il dopo non sono entità ontologiche, il tempo non ha una sua entità ontologica da nessuna parte… e così la memoria…