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2-3-2000

 

Il senso e il significato. Il senso è l’uso, il significato non è l’uso dell’elemento ma l’utilizzabilità, il fatto che sia utilizzabile, questo è il significato e cioè il fatto che sia un elemento linguistico, un elemento linguistico è tale in quanto è utilizzabile dal linguaggio e il senso il suo utilizzo.

Domandare non è per avere una risposta ma per instaurare il gioco linguistico

 

Il principio del terzo escluso, A oppure non A, sarebbe ancora meglio se A allora A non A, formulazione proprio fatta con sentimento, abbiamo detto che se si elimina il principio del terzo escluso allora qualunque elemento può significare qualunque altro, se qualunque elemento significasse qualunque altro elemento abbiamo visto che il linguaggio cesserebbe di esistere, non potrebbe più funzionare e fin qui…ora questo principio che fa? è una proposizione indubbiamente, una proposizione che risulta necessaria cioè è necessario che sia il principio di non contraddizione, necessario in quanto che cosa è necessario? Ciò che non può non essere, e questo non potrebbe non essere perché se fosse non si darebbe né il principio di non contraddizione né nessuna altra cosa, ché il linguaggio stesso precipiterebbe nel nulla, in questo senso è necessario che sia e non può non essere, è una proposizione abbiamo detto, il principio di non contraddizione o del terzo escluso, è lo stesso, quindi questa proposizione risulta necessaria, sempre nell’accezione di necessario che intendevo prima, se il principio di non contraddizione è necessario e il principio di non contraddizione è una proposizione, allora questo principio di non contraddizione è sempre una proposizione inserito all’interno di una struttura linguistica, ora, una questione, potrebbe un elemento necessario essere inserito all’interno di un elemento non necessario? Questa è una questione (una struttura linguistica in questo caso sarebbe non necessaria?) sì però la questione linguistica ancora non l’abbiamo posta, ci siamo soltanto chiesti se un elemento, che è necessario come il principio di non contraddizione può essere incluso all’interno di un altro elemento che non è necessario. Questo elemento è contingente se non è necessario, è contingente quindi può accadere oppure no, laddove non accada, ovviamente, il principio di non contraddizione anche lui non può accadere, visto che è incluso anche lui in quell’altro e quindi è assolutamente necessario che ciò che è necessario sia incluso in qualcosa di altrettanto necessario, e pertanto ciò in cui il principio di non contraddizione è incluso è il linguaggio, essendo una proposizione, così se è necessario il principio di non contraddizione, abbiamo visto che è assolutamente necessario che sia allora a fortiori, dicevano i latini, allora è necessario che si dia il linguaggio, e cioè quella struttura che consente di formulare il principio di non contraddizione. Questo è un altro modo per provare l’assoluta necessità del linguaggio, certo abbiamo detto che il principio di non contraddizione è una proposizione ed è necessario, è necessario ché altrimenti il linguaggio precipiterebbe nel nulla, su questo punto occorre riflettere ancora un momento, perché cosa comporterebbe che il linguaggio precipita nel nulla? Ché questa proposizione ovviamente non potrebbe formularsi, né questa né nessun altra, in assenza di proposizioni, la loro stessa possibilità, che cosa rimane agli umani? Nulla che possano intendere, nulla che possano descrivere, nulla che possano costruire, in definitiva nulla. Dicendo che il principio di non contraddizione è necessario, in questo modo rendiamo implicita la necessità del linguaggio, abbiamo fatto un procedimento inverso, tempo fa abbiamo proceduto al contrario, ci serviva qualche cosa che potesse muovere da un principio di non contraddizione che è più semplice da intendere, chiunque può facilmente reperire che in assenza del principio di non contraddizione qualunque cosa significa qualunque altra e quindi non potrebbe più utilizzare il linguaggio, ché orologio per esempio, potrebbe significare qualunque cosa e il suo contrario, quindi non c’è più modo di parlare, ecco dunque come avevo annunciato che è possibile provare l’assoluta necessità del linguaggio muovendo da un principio più semplice da accogliere, più facilmente evidente, c’è l’eventualità che sia più facile da accogliere una cosa del genere, perché si gioca su due passaggi il fatto che sia necessario il principio di non contraddizione e che sia necessario che ciò che lo include sia altrettanto necessario, tutto qui non occorre nient’altro, perché se non fosse necessario ciò che lo include sarebbe una contraddizione in termini e se il principio di non contraddizione è necessario che sia, allora non può non essere, mentre dicendo che è incluso in un elemento che è contingente può non essere, e quindi è una contraddizione in termini, e non può essere accolta giustamente. Semplice no? Cesare? (per dire il principio di non contraddizione è necessario il linguaggio e fin qui…) sì però uno potrebbe dire eliminiamo il linguaggio e così eliminiamo anche il principio di non contraddizione che comunque è un impedimento, certo a questo punto diciamo che non c’è più linguaggio e quindi non c’è più nessuna possibilità di pensare (però il linguaggio funziona comunque indipendentemente dal sapere queste regole… si è sempre parlato….anche il nulla lo posso dire solo se parlo) ho precisato anche la nozione di nulla, nulla come la contraddizione è aucontraddittorio (stavo pensando all’utilizzo di queste argomentazioni e cioè come possa sbaragliare… perché il nostro intento è creare proposizioni che siano più chiare possibili...mi pongo dal lato dell'interlocutore. ovviamente non può negare il linguaggio e l’obiezione è che anche prima di queste regole il linguaggio funzionava…) certo il linguaggio funziona anche senza conoscere le sue regole, l’unica differenza è che non conoscendo come funziona il linguaggio si scambia ciò che il linguaggio produce come elemento fuori dal linguaggio, cioè una contraddizione in termini (però funziona…) il discorso religioso è solo un modo di pensare, è solo un modo di pensare come infiniti altri, è un gioco che è combinato in modo tale da escludere la possibilità che ciò che il linguaggio afferma sia altro dal linguaggio, lo esclude….lo impone, che il linguaggio sia solo uno strumento, in base a quali criteri? Criteri molto strampalati certo, però d’altra parte anche il gioco del poker esclude una cosa del genere in qualche modo cioè esclude che una certa carta sia necessariamente un atto linguistico e quindi non abbia di per sé un senso, cioè preso seriosamente potrebbe mostrarsi come un discorso religioso, cioè esclude la possibilità che uno dica è soltanto una carta e quindi solo che è un gioco mentre per lo più il discorso religioso non è inteso come tale, è qui la differenza sostanziale, poi (certo il discorso religioso escludendo di essere un gioco linguistico e quindi essendo mezzi quelli che usa, le parole, non può considerare che funziona il principio di non contraddizione, ne usa del principio per affermare verità ma è come se una verità valesse l’altra) questo come dicevo è semplice da far intendere, il fatto che il principio di non contraddizione sia necessario (sì però mi sembra che ponga il destro al discorso religioso…) ma certo che il linguaggio funziona comunque funziona anche quando dico delle stupidaggini, funziona sempre però, però se io apprendo il suo funzionamento, quello del linguaggio ecco che allora avviene qualcosa di differente cioè posso considerare che ciò che il linguaggio costruisce, che ha costruito da sempre, sono atti linguistici, tutto ciò e nient’altro che atti linguistici come dire che il linguaggio da sempre ha sempre e soltanto costruito atti linguistici, non può, non ha potuto e non potrà mai far niente di differente (se non un atto di fede) anche l’atto di fede è un atto linguistico attende ad un gioco (…) sì insistere su questo punto che il linguaggio non poté e non può e non potrà costruire null’altro all’infuori dell’atto linguistico, quindi qualunque cosa, torniamo alla famosa proposizione, qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico, e non può essere altro che questo, anziché nulla è fuori dalla parola… Sandro cosa sta pensando così assorto? Sì però a fianco di questo c’era una questione su cui Beatrice sta lavorando, attorno al senso, sentiamola…senso e significato (significanti tutto sommato perché sia il significato che il senso sono due significanti che producono delle proposizioni, mi chiedevo partendo da un vecchio esempio, laddove non riconosco un significato) pongo una domanda: il significato è un significante? (certo che è un significante.) allora non è un significato quindi è un significante o è un significato (il significante non può separarsi dal significato, non esiste significante senza significato, non sarebbe un significante non provocherebbe una ulteriore domanda perché produca un senso, cioè un’altra proposizione, non è possibile continuare a parlare in assenza di senso, questo è proprio stabilito dal principio di non contraddizione, abbiamo posto il significato proprio per sbarazzare… un elemento linguistico) sì però ho distinto fra significato e il senso, il senso è l’uso, il significato non è l’uso dell’elemento ma l’utilizzabilità, il fatto che sia utilizzabile, questo è il significato e cioè il fatto che sia un elemento linguistico, un elemento linguistico è tale in quanto è utilizzabile dal linguaggio e il senso è il suo utilizzo e si riproduce ciascuna volta… (dicevo come sia importante per esempio si diceva di Murpesso, cos’è un significante? In quanto tale non ha un significato, ma cosa produce, produce un rinvio che dice “non ha senso, non ha significato” e questo è il suo uso, cosa comporta – sono parecchie le questioni che sorgono a questo punto, cosa comporta questo suo uso, comporta un rinvio al significate) qual è il soggetto? (l’uso del significante, comporta una produzione per esempio di Murpesso, delle stesso significante finché non mi accorgo dell’uso di questo significante che è non ha senso, questo è il rinvio…. è un senso è una conclusione, è un’inferenza che il mio discorso trae, finché non trae questa inferenza, il gioco sarà tra Murpesso e Murpesso che mi fa dichiarare che non c’è rinvio, come se non ci fosse produzione, il discorso, il discorso è fermo, è come se il mio discorso a questo punto facesse quello che dico e quello che in qualche modo non mi “dico” è che non ha senso, e quindi traggo che non essendoci senso non posso continuare se non in questo rimpallo, quindi decido di interrompere e quindi interviene qualcos’altro, ma un elemento linguistico è tale perché è connesso con un altro elemento linguistico, a questo punto si dà sempre un altro elemento linguistico che è conseguente ma non di un elemento linguistico che è l’antecedente, solo il suo uso cioè l’utilizzo di un termine senza senso si impone come reso nell’interrogazione del senso e quindi del qualcosa che faccio dicendo, ma dicendo non dicendo nulla, perché non sarebbe un dire) il senso è tale sempre rispetto ad un gioco particolare, per cui parlare di non senso comporta un riferimento preciso a un gioco specifico, l’elemento è un non senso rispetto a quel gioco, fuori da quel gioco non è né un senso né un non senso, assolutamente niente e quindi il non senso è sempre connesso al gioco, al gioco specifico, rispetto a quel gioco, rispetto a quel gioco è un non senso cioè non è utilizzabile in quel gioco, per vari motivi ma la non utilizzabilità è sempre riferita ad un gioco particolare, così in assoluto non significa niente (si tratta a questo punto di rendere utilizzabile questa proposizione che ha la funzione tutto sommato di dire che è un non senso rispetto a quel gioco, chiaramente devo considerare questa proposizione e diciamo che il gioco cambia, ma mi interessa che il gioco cambi rispetto a quelle che sono le regole del mio gioco, perché non è facile ascoltare da una proposizione che pare non avere un senso, un senso, cioè a cosa mi serve il non senso, come per esempio nel lapsus o nell’atto mancato, si gira per degli anni senza accorgersi del senso che si dà alle cose) come ci si accorge? (ci si accorge prendendo atto dei significanti, dei modi di dire del proprio discorso, il discorso risponde alle domande e non lascia parlare quei significanti che intervengono nel proprio discorso…) però non basta soltanto interrogarsi, giustamente occorre interrogarsi ma è il modo in cui ci si interroga che fa la differenza in quanto interrogarsi è trovare la risposta , si è interrogato quindi l’interrogazione non è tanto per la risposta come in genere avviene ma è per il gioco, interrogazione che non punta a nessuna risposta, che non ha un obiettivo particolare è soltanto la messa in atto del gioco linguistico, per questo interrogarsi in questa accezione non è semplicissimo, per le persone che soprattutto sono addestrate all’idea che una qualunque interrogazione comporti una risposta, prima o poi in qualche modo, e invece no l’interrogazione non è per la risposta non vive in attesa della risposta ma è nel gioco, vive nel gioco (però se il gioco è quello che si pone come un gioco tutto il resto sono non sensi questo è l’obiettivo tutto sommato, se io definisco il gioco in questo modo l’obiettivo entra a far parte del discorso per cui le regole del gioco costruiranno questo gioco) quindi in effetti in una analisi l’analista non è che ponga le domande perché voglia sapere le risposte o perché interessato ad una questione particolare ma porre la domanda è come cominciare a insinuare nel discorso dell’altro delle regole di un gioco che quest’altro tizio ignora, un continuo domandare non è per avere sempre più risposte o per precisare sempre di più la questione non si tratta di precisare nulla, se non come quella del percepire ma il domandare non è altro in qualche modo…l’analista fa il verso del linguaggio cambio cassetta è necessariamente un atto linguistico qualunque cosa io faccia quindi domandare ha questa funzione di incominciare a porre delle regole di un gioco, forse è l’unico, però è il primo modo che l’analista ha per cominciare a porre la questione del linguaggio che non mirano a niente, mirano a niente perché l’analista non è che si aspetti di sapere la risposta dell’altro non gli importa assolutamente nulla, però è il primo modo, che poi in effetti lungo l’analisi procede da questo modo solo che probabilmente si esaspera sempre di più che alla fine diventa in effetti lui, il domandare stesso, è il linguaggio il filo conduttore, quando cioè la persona stessa si trova presa in continue questioni, fini a se stesse ma fini a se stesse nel senso che fanno il gioco del linguaggio, anche l’invenzione della Seconda Sofistica è nata così, uno comincia a domandarsi non tanto per trovare, all’inizio sì, come avviene in effetti in una analisi, all’inizio ci si domanda delle cose per trovare delle risposte che finalmente lo soddisfino, la questione va avanti e si esaspera al punto in cui non è possibile pensare la risposta, rimane la domanda, domanda che non è altro che produrre altri elementi, continuamente senza tregua, se io mi dico che voglio una risposta anche questa stessa proposizione produce immediatamente altre cose, altri rinvii tanto che nulla riesce a fissarsi come un elemento che sia fuori dal linguaggio, qualunque elemento è preso immediatamente in un altro, in un altro giro, direi che il domandare inizialmente fa riflettere una persona però alla fine si esaspera e diventa il gioco stesso del linguaggio e a questo punto quando si è instaurato questo gioco del linguaggio che qualcosa avviene, cioè la persona non riesce più a stare male né bene, perché non è come spesso si intende che si domanda perché l’altro riflettendo capisca, non esattamente, ché può capire qualunque cosa e il suo contrario, il capire non è altro che il produrre un’altra proposizione a fianco che ha lo stesso valore di quella precedente, a meno che non la si ponga in termini religiosi, e allora ha un’altra accezione, perché quella che segue non è la stessa cosa di quella che precede ma è il compimento di quella che precede, come dire la sua soddisfazione e quindi il suo significato ultimo, invece in quest’altro caso no è un’altra proposizione e quindi non è che domanda perché l’altro capisca ma per instaurare questo gioco Sandro qualche pensiero? Domandate per instaurare il gioco linguistico forse è l’unica via attraverso la quale può farsi una cosa del genere (…) domandare che non è necessariamente una proposizione con il punto interrogativo (domandare per insinuare delle regole del gioco, il domandare ciò che si dice in qualche modo anche se sembra un qualche cosa che non domandi nulla… non è che una chieda spiegazione o conto di qualche cosa quello che in qualche modo vuole indurre è che si trovi in qualche modo ad avere un eco di quello che dice, la realtà è poi questo non tutto, che il linguaggio operi come strumento, la questione più urgente) (in effetti l’interrogazione intorno al senso proviene proprio da questa urgenza per cui qualcosa è fuori dal linguaggio, la necessità, la realtà, il bisogno, la questione è fuori dal linguaggio, se uno non ascolta il senso di quello che dice non riuscirà a renderla linguaggio e quindi qualcosa per cui non ci sono molti altri rinvii, poi il linguaggio da solo liquida è il modo di interrogare la questione che non è semplice, continuamente è facile di ripercorrere una certa via senza accorgersi che è sempre una questione nuova quella che si va ponendo per cui la necessità della realtà che appare, appare contingentemente ed è quella che sbarra la strada, blocca il passaggio, di lì non c’è modo di renderla linguaggio e quindi di accorgersi di quello per cui serve questa questione) comincerò proprio con questa proposizione “non tutto è linguaggio” comincerò da lì, chiaramente mi chiederò come lo so, visto che affermo con tanta sicumera, voglio prendere questa proposizione come avvio (anche il discorso religioso più pregnante non può non ammettere che è linguaggio) il discorso religioso più stretto ideologico, si ferma eccome “dio è la verità?” sì! Potrebbe essere altrimenti? Bell’è fatto, non è che andiamo molto lontano (molti sensi portano anche altre cose) sì perché il discorso religioso tenendo fermo, la religione in senso stretto, l’esistenza di dio, questa è l’unica proposizione che non può mettere in dubbio, tutte le altre sì, possono essere opinioni, possono essere relative a questo o a quell’altro, tranne quella, per cui c’è chiamiamola una sorta di mobilità per tutto ciò che non riguarda l’atto di fede, ma quanto riguarda l’atto di fede no, quello non può essere messo in discussione, come dicevo non può ammettere che dio non esiste o che la realtà non esiste poi la religione è personale a ciascuno, il discorso religioso può mettere in dubbio qualunque cosa tranne quella proposizione su cui si fonda, come il nostro discorso solo che nel caso del discorso religioso la proposizione su cui si fonda è assolutamente negabile, nel caso nostro no, non è negabile, quello che dicevo prima l’interrogazione quello che prova, va elaborata ulteriormente potrebbe costituire e costituirà sicuramente (queste continue domande creano) domande proposizioni ad un certo punto non sono più domande (la elaborazione del proprio discorso ciò che rende difficile sono queste continue domande che creano delle infinite…) che poi queste domande (queste proposizioni) sì, ad un certo punto non ci sono più domane è una produzione incessante di domande (diventa così ampio il campo che sembra smarrirsi (...) le regole dell’elaborazione sono quelle del linguaggio, l’analisi non è altro che l’indicazione delle regole del linguaggio e ad un certo punto la costrizione alla loro applicazione, la costrizione logica, linguistica, uno non se ne accorge e poi è costretto ad applicarle, l’analisi non è nient’altro che questo… direi che proseguiamo su questo aspetto della domanda d’analisi (…) potremmo dirla così il discorso isterico, come qualunque altro domanda per la domanda, il discorso dell’analista domanda per il linguaggio, potremmo porla così, un aforisma… nel linguaggio la domanda non è altro che domanda di rinvio, ché è ineluttabile, andare verso, il rinvio, che è un’altra proposizione…