2-1-2013
La priorità del linguaggio: perché possa darsi qualche cosa occorre che questo qualche cosa incominci a essere un qualche cosa, perché possa essere un qualche cosa occorre che questo qualche cosa significhi qualche cosa; se non significasse niente sarebbe niente, non sarebbe nemmeno qualcosa. Significare qualcosa è letteralmente fare segno, qualche cosa che è segno per qualche altra cosa, cioè rappresenta qualche altra cosa, e se rappresenta qualche altra cosa è in una connessione, in una relazione con altri elementi e cioè, ancora, in una combinatoria segnica, cioè fatta di segni, dove questo qualche cosa è tale, è un qualche cosa, perché è segno di qualche altra cosa per qualcuno.
Questo è ciò che fa il linguaggio, e il linguaggio pone le condizioni perché un qualche cosa possa essere qualche cosa, ponendolo come elemento correlato con altri elementi che lo significano, cioè gli danno un significato e quindi lo fanno essere qualche cosa. A questo punto che esiste qualche cosa per qualcuno, quindi esiste. Questo aspetto è importante perché rende conto del fatto che senza il linguaggio, cioè senza ciò che costruisce la possibilità che un qualche cosa possa darsi non c’è nulla che potrebbe darsi in nessun modo, non solo, ma che qualcosa è, perché è all’interno di una combinatoria, questo è l’unico modo per cui qualche cosa possa essere. Però se non piace il verbo “essere” perché carico di riferimenti, di rinvii ontologici, metafisici eccetera, potete sostituirlo con altri verbi, anziché qualcosa che è, qualcosa che si dà, che si pone, che interviene, che accade, che avviene, qualcosa che non può non porsi o che non cessa di porsi, cioè ciò che è necessario. Ciò che continua necessariamente a intervenire e intervenendo produce le cose, cioè le fa esistere letteralmente. Tutto questo costituisce un po’ la premessa del discorso che faremo, un discorso che ci porterà alla questione che è di enorme importanza e che non è stata ancora sufficientemente svolta, articolata, cioè la questione del potere. Il potere è ciò che si manifesta nei discorsi degli umani, che muove dal funzionamento stesso del linguaggio, ma la cosa importante da cui muovere è che se c’è qualche cosa, è perché questo qualche cosa può essere un qualche cosa perché è connesso con altre cose. Questo è l’elemento da cui partire perché ciò che mostra è che non può in nessun modo esistere qualche cosa se non sia connessa con altre cose che, lo significhino, se è connesso con altre cose che lo significano è all’interno di una combinatoria segnica cioè è all’interno del linguaggio, non ci sono altre possibilità.
Hai qualche obiezione Eleonora? Qualche argomentazione che smonti tutto e che dimostri che invece esiste qualche cosa fuori della parola? Che è sempre esistito qualcosa fuori della parola? Che anzi quell’elemento che è fuori dalla parola è l’elemento che è la condizione stessa della parola? Potrebbe darsi un elemento che da fuori del linguaggio possa costituire la condizione del linguaggio? Pensateci bene, potrebbe esistere? Perché se esistesse allora fino adesso avremmo perso tempo. Tuttavia occorre qualche cosa che ne mostri la necessità, cioè che senza quella cosa il linguaggio non possa darsi. La questione è che il linguaggio, così come lo stiamo ponendo, è soltanto un flusso di informazioni, informazioni che consentono di costruire delle sequenze secondo dei criteri prestabiliti e rigidamente ordinati, che sono quelli che fanno sì che una certa sequenza sia riconosciuta come sequenza innanzi tutto, e come proposizione in seconda battuta, e cioè come una sequenza ordinata in modo tale per cui da questa sequenza è possibile, attraverso degli schemi prestabiliti, trarre altre sequenze riconoscibili come proposizioni, e così via all’infinito. Tutte queste cose sono informazioni, sono dei comandi. Per trasmettere un comando occorre, anche in una macchina, che ci siano già delle cose, però la macchina deve sapere che quelle cose che sono lì, sono delle cose, e cioè delle cose che può utilizzare, la cosiddetta “ontologia informatica” di cui Beatrice accennava l’altro giorno, in effetti non fa nient’altro che stabilire quali sono le cose che “ci sono”, organizzate in un certo modo, questa è l’ontologia informatica. Il problema che sorge immediatamente è che perché ci sia qualche cosa, cioè sia riconosciuta come qualche cosa, occorre che ci siano già delle informazioni che dicono che questa cosa è una cosa, che per esempio è un’informazione e quindi può essere utilizzata come tale. Sappiamo come è possibile fare questo con le macchine e quindi se sappiamo come è possibile farlo con le macchine sappiamo come è possibile farlo anche con gli umani, i quali umani, come sappiamo, sono già provvisti di fili elettrici e interruttori, che ricevono informazioni, organizzano, traggono altre informazioni, costruiscono altri dati. Con le macchine si utilizzano fili elettrici e interruttori, negli umani la cosa per un verso è più semplice. Ma non ci interessa l’aspetto fisiologico della vista, non ci interessa minimamente, la cosa che ci interessa invece è che mostrando qualche cosa questo qualche cosa incomincia ad essere associato, connesso per esempio con un suono, e cioè con un’altra cosa, e questo suono con altri suoni, quindi con altre cose ancora. Dicendo “questo è questo” già si incomincia a istruire una rete di connessioni fra ciò che si vede, il suono che si produce e altri suoni che si connettono con questo suono. Questa modalità è tipica degli umani, nelle macchine non è esattamente così, però per gli umani sì, perché sappiamo che le porte attraverso le quali si acquisiscono informazioni sono i cinque sensi. Come si immettono le procedure di connessione fra elementi? Cioè tra un elemento visivo, uno acustico, uno tattile eccetera? Con gli umani la cosa è abbastanza semplice perché tutte le informazioni che vengono fornite possono essere memorizzate come in una qualunque macchina e i modi di relazione vengono forniti attraverso dei comandi acustici per lo più, come il “non” come la “e” il “se questo allora quest’altro”, sono comandi acustici che funzionano esattamente come comandi elettrici, in una macchina non c’è niente di diverso. Questi comandi utilizzano spesso, se non tutti, i cinque i sensi, almeno una buona parte di essi, più sono i canali di informazione più l’informazione diventa ricca e quindi più facilmente utilizzabile. Indicando il “questo è questo” già ci sono la porta visiva, quella acustica, quella tattile, poi si può mettere quella olfattiva, come fanno spesso i bambini che annusano tutto quanto, un po’ come gli animali che utilizzano tutti i sensi a disposizione, compreso anche il gusto, mettono in bocca tutto per acquisire, adesso non sappiamo se è per questo, ma in ogni caso questo consente di acquisire una quantità notevole di informazioni, più di quante ne possa acquisire una macchina che invece sta lì ferma.
Tutto ciò accade dal momento in cui c’è, chiamiamola la “consapevolezza” tra virgolette, che qualche cosa è, qualche cosa cioè è connesso con altre cose: perché sia qualcosa deve essere connesso con altre cose, nel momento in cui si producono delle connessioni le cose incominciano a esistere, il linguaggio incomincia a funzionare, esattamente come per una macchina. Lo ripeto spesso perché è così effettivamente, non c’è un altro modo, perché qualche cosa sia qualche cosa occorre che questo qualcosa significhi e se significa vuole dire che è correlato con un’altra cosa, che per esempio è il suo significato, ma questo significato è fatto di altre cose, altre parole, nel caso del dizionario, queste altre parole sono correlate ciascuna con altre parole e così via all’infinito, attraverso uno sterminio di connessioni. A questo punto, questo flusso di informazioni che passa da una macchina a un’altra o, nel caso degli umani, da una madre, il più spesso delle volte, a un bambino, ma possiamo considerarle entrambe come macchine, una già programmata e l’altra no, dicevo questo flusso di informazioni avviene perché la prima macchina, per addestrare la seconda, immette nella seconda dei dati e nel momento stesso in cui immette dei dati, immette anche, attraverso delle regole ben precise di connessione, immette altri dati a cui questi primi dati sono riferiti, che è il modo in cui si programma una macchina tra l’altro. La cosa importante è che finché un dato non è connesso con altri dati, questo dato è niente, perché non ha significato, perché non c’è una relazione che lo significhi, e se non è all’interno di una combinatoria non è utilizzabile, non è niente, perché l’utilizzo significa che questa cosa può fare un’altra cosa, per esempio ha una funzione e quindi è ovvio che c’è un altro elemento attraverso il quale funziona…
Intervento: quindi il significato è sempre in relazione a qualcos’altro?
Sì Eleonora, perché se io ti chiedessi “che cos’è questo?” “un temperino” mi risponderesti tu, ecco, il temperino è già il significato di qualche cosa, ma per sapere qual è il significato di “temperino” occorrono altre cose e cioè questo termine “temperino” per esistere, per avere un utilizzo, deve essere connesso con il suo significato, questo significato lo si può acquisire o acusticamente, o visivamente, o in modo tattile, a seconda della priorità del canale di informazione che si utilizza in questa trasmissione; nel caso del significato di “temperino” può essere una porta acustica, cioè io posso spiegarlo senza fare niente, può essere visiva, prendo una matita la metto nel temperino e incomincio a girarla, e tutti questi gesti che faccio possono costituire il significato di questo termine perché questi gesti che avvengono attraverso la porta visiva sono correlati con altri elementi che sono già stati inseriti e che possono essere elementi acustici, tattili, non importa, però si inseriscono all’interno di una rete che incomincia a lavorare sui vari dati o, meglio ancora, incomincia a fare sì che un qualche cosa che ancora non c’è diventi un dato. Se io inserisco una monetina da cinque centesimi dentro al computer, il computer non la riconosce come un dato perché non è un’informazione, se io invece gli immetto un’informazione che gli dice che in una certa posizione c’è una certa cosa, ecco che allora “vede” la monetina, ma perché possa vederla deve avere delle informazioni, sapere che cos’è quella cosa, sapere che è un qualche cosa intanto, e per sapere che è un qualche cosa gli servono delle informazioni se no non è niente, cioè non c’è letteralmente. A questo punto il flusso di informazioni incomincia ad accumulare dati, che torno a dirvi di nuovo sono dati perché sono inseriti all’interno di una combinazione, che per semplicissima che sia o straordinariamente complessa, questo è irrilevante, ciò che importa è che sia connessa con un’altra cosa che ne rappresenta il significato, il suo uso, dicendo “questo è questo” già fornisco un dato, ma fornisco anche un qualche cosa che lo fa esistere come dato perché c’è un’informazione visiva, un’informazione acustica, un’informazione tattile, tutta questa serie di informazioni combinate tra loro forniscono il dato. Ovviamente quando parlo di vista, di udito, di tatto eccetera parlo soltanto di porte di ingresso di informazioni, non sto stabilendo degli elementi metafisici, sono porte che consentono l’introduzione di informazioni, anche i connettivi di cui dicevo prima non è che vengano immessi così come si mettono quando si fa un calcolo delle proposizioni, si scrive il “ferro di cavallo” il “tilde” la “e” eccetera, ovviamente non avviene così, è avvenuto così quando si sono formalizzati attraverso dei segni, il “non” non è un segnetto, è un input, un informazione: nelle macchine è il non passaggio di corrente, negli umani è un’informazione che dice che di lì non si passa. Il significato è sempre lo stesso, dice che di lì non si passa, non si va, e negli umani questa informazione avviene attraverso per esempio il bloccare un’attività motoria, bloccare un’attività acustica, un attività visiva, a seconda dei casi, ma è sempre comunque un comando che dice: di lì non si passa. Se io dico che questo è il tavolo e questo no, vuole dire che questa proposizione “questo è il tavolo” non può andare in quella direzione ma si ferma, se dico “questo è un tavolo” e questo è un tavolo, allora vuole dire che questa informazione, questa proposizione si connette anche a quella, errando perché questo non è un tavolo ma questo si acquisisce dopo, in seguito, insieme a molte altre cose. Ora provate a immaginare di dovere fornire le primissime informazioni, immaginate di essere una macchina e di dovere dare un’informazione a un’altra macchina. Occorre incominciare a immettergli dei dati perché ci sia qualche cosa, però perché questa macchina sappia che c’è qualche cosa occorre che io gli dica che questo qualche cosa è qualche cosa perché la macchina possa accogliere questo elemento, ora la macchina umana può accogliere attraverso delle variazioni di suono, di vista eccetera, la macchina usa dei fili elettrici, però devo dirgli che qualche cosa è qualche cosa, e questo avviene logicamente attraverso un inferenza “se questo allora quest’altro” e allora la macchina percepisce un dato che gli ho immesso e insieme anche quell’altro dato, cioè gli immetto questo poi dico questo è questo, e allora la macchina sa che questo è questo perché gli ho messo quest’altra informazione, se mettessi solo “questo” sarebbe come dicevo prima come se mettessi cinque centesimi dentro al computer, deve avere un’informazione che questo è un qualche cosa, un quid, come faccio a darglielo? Dandoglielo, semplicemente. Le macchine hanno un hardware che è fatto di fili elettrici e interruttori, gli umani hanno già questa attrezzatura per cui non c’è bisogno di metterglielo dentro. Un dato si immette sempre necessariamente insieme con altri dati, anche solo dicendo “questo è questo”, sono già dei dati, c’è un’immagine acustica, quella visiva, c’è il tatto, ci sono già altre cose per cui l’informazione è connessa immediatamente, anche dicendo soltanto “questo è questo”, è già connessa comunque con altri elementi. Generalmente si dice che questo è un tavolo, questo è un orologio, e quest’altra altra cosa, questa altra cosa è l’informazione che mi consente di sapere che questo è un orologio, cioè il suo significato, è così che funziona il tutto, è così che si avvia il linguaggio, attraverso delle informazioni, semplici tutto sommato, non c’è niente di particolarmente complesso. Appare complesso perché può risultare difficile intendere l’inserimento delle primissime informazioni. Era il problema di come si apprende il linguaggio, come si impara a parlare, questione che è stata risolta da Turing, da Von Neumann, da Alonso Church, e altri insieme con loro, costruendo le macchine. Ciò che inganna e rende le cose difficili non è tanto pensare a come programmare una macchina ma, nel caso del parallelo con gli umani, il fatto di pensare che le cose che si dicono siano un qualche cosa, corrispondano a un qualche cosa anziché essere soltanto informazioni che giocano all’interno di altre informazioni, di un sistema fatto di altre informazioni. Ciascuno immagina la propria esistenza come una serie notevolissima di eventi, di esperienze, di sensazioni, di immagini, di ricordi e di molte di altre cose, esperienze che poi si dividono in belle, brutte, indifferenti, inutili, proficue, uno sterminio di cose, ma tutte queste cose possono esistere perché c’è stata una trasmissione di informazioni che hanno consentito di incominciare a sapere che c’è qualche cosa. L’ontologia informatica: mette un dato all’interno del computer poi mette una serie di passaggi che dicono che se c’è una certa cosa allora ne fa un’altra allora a questo punto in base a tutte queste informazioni questa cosa per la macchina c’è perché è utilizzabile, perché la utilizza, in questo senso c’è. Ovviamente l’ontologia informatica ha tutt’altra accezione dell’ontologia filosofica, semplicemente dice a quali condizioni qualche cosa c’è all’interno della macchina, e qualche cosa c’è all’interno della macchina a condizione che questo qualche cosa sia connesso con delle informazioni e sia utilizzabile dalla macchina. Cosa vuole dire che è utilizzabile dalla macchina, o da un umano? Che è processabile, cioè calcolabile, ed è calcolabile nel senso che viene elaborato, viene messo in relazione con altre cose e utilizzando un criterio prestabilito, un criterio vero funzionale, sa in quale direzione può andare e in quale no. Questo criterio vero funzionale viene messo dentro alla macchina, così come agli umani, è quello che dà la direzione, il vero non è nient’altro che il fatto che possa proseguire in quella direzione, se non può proseguire è falso. Non c’è nulla né di metafisico né di strano in tutto ciò, è un comando. Tutto questo lo si impara, non è naturale. Le informazioni che vengono fornite costituiscono il linguaggio, e il linguaggio ha una certa struttura che è quella che conosciamo, noi non possiamo pensare in un altro modo che non sia questo, possiamo immaginare che sia possibile pensare in modi differenti utilizzando linguaggi differenti che non conosciamo naturalmente e che non possiamo nemmeno programmare perché programmandoli li programmiamo comunque sempre attraverso lo stesso sistema. Il sistema di programmazione è lo stesso per tutti i programmi che sono dentro al computer, e ciascuno di loro fa cose differenti, ma tutti sono stati programmati attraverso un programma. L’esempio qui non è proprio calzante perché nei computer ci sono vari modi di programmazione che però si attengono sempre e comunque a dei criteri che sono quelli logici, c’è sempre e comunque il “non” la “e” il “se… allora”, i programmi sono diversi ma tutti questi programmi hanno una base logica che è sempre esattamente la stessa: i criteri che sono quelli che usa la logica, sono quelli che rigidamente costruiscono delle sequenze, sono inviolabili, sono lo scheletro del linguaggio, i modi, o meglio le informazioni che dicono come si assemblano i vari elementi, in quel modo e in nessun altro, per cui un “non” non potrà mai essere una “e” non per decreto divino ma perché il linguaggio di programmazione è quello. A questo punto ci sono già tutti gli elementi per potere costruire una “macchina umana”, l’ossatura, lo scheletro per potere mettere in piedi un sistema che incominci a funzionare da solo perché queste informazioni sono tali per cui la macchina, una volta che se ne è appropriata, incomincia a utilizzarle. Nell’utilizzo di questi elementi c’è anche la possibilità di acquisire altri elementi, produrre altre sequenze che produrranno, connesse con altre sequenze, altre sequenze ancora. C’è un’informazione, una delle prime informazioni di cui abbiamo parlato prima che dice che c’è qualche cosa, allora la macchina può stabilire che c’è qualche cosa, se c’è la possibilità che qualche cosa sia allora incomincia a “vederlo”, lo vede utilizzando le cinque porte di ingresso delle informazioni. Ma a questo punto può utilizzare le porte di ingresso e recepire altre informazioni perché sa che c’è qualche cosa da recepire, sa che c’è qualche cosa da vedere, da toccare, qualche cosa da sentire eccetera e allora ecco che costruisce quella cosa che gli umani chiamano comunemente “realtà”. Qui c’è un discorso che si apre e che faremo, e cioè come queste cose che ha costruite e che incomincerà a chiamare realtà possano costituire la garanzia di quello che dice, potrebbe apparire una follia, e lo è infatti, però accade che un qualche cosa che incomincia a essere possa essere considerato la garanzia di tutto ciò che si dice. Il primo passo, il più importante, è che qualche cosa incominci ad essere qualche cosa. Nel momento in cui delle informazioni passano da una macchina all’altra, per la seconda macchina, quella che riceve queste informazioni, le cose incominciano a esistere, tutto quanto, il mondo e l’universo intero incominciano a esistere; l’inganno è pensare che queste cose possano esserci anche in assenza di quel flusso di informazioni che le ha fatte esistere. Perché so che ciò che vedo è proprio quello che vedo? Guardo Cesare e vedo Cesare, ma sto dicendo: che cosa vedo di fatto? Che cos’è Cesare?
Intervento: questo passaggio da macchina a macchina ad un certo momento immetta anche un comando per cui quello che la prima macchina trasmette “sono elementi linguistici” quindi a quel punto dovrebbe esserci qualche cosa per cui il programma si modifica in base a questa informazione, come si riassetta il sistema? Perché a quel punto la costruzione della realtà che viene messa in atto dal parlante e sappiamo a che cosa serve, se c’è questa informazione se qualcosa è qualcosa…
Per via delle istruzioni che gli sono state immesse…
Intervento: a questo punto dovrebbe esserci la modificazione del sistema e quindi il riassetto del sistema per cui qualsiasi cosa viene considerata frutto di quelle istruzioni…
Non è semplice perché c’è la necessità di reperire delle cose vere, perché le cose vere sono quelle che in base ad altri giochi linguistici ancora rendono “importanti” agli occhi degli altri, e questo è diventato essenziale per la macchina umana a partire da altri giochi linguistici ancora e che considereremo…
Intervento: pensavo a questa modificazione e quindi all’assetto del sistema che è possibile così come è avvenuto per esempio, si diceva qualche anno fa, rispetto al discorso ossessivo che certe informazioni hanno dato l’avvio al riassetto di quel sistema di pensiero, parlavamo proprio della questione clinica del discorso ossessivo che proprio per “essere importante per qualcuno” per questo gioco quindi dicevamo per la necessità di parola, per mantenere questa importanza per esempio nei confronti dei genitori “sono responsabile di tutto” “sono colpevole”…
Si modificano le premesse e sono differenti anche le conclusioni, cioè modificando le premesse si modificano le conclusioni…
Intervento: e quindi immettendo quelle istruzioni il sistema dovrebbe riassettarsi…
Con gli umani è complicato perché pensano in modo squinternato, sgangherato, con le macchine è molto più semplice. Potremmo immettere nelle macchine il dubbio, l’angoscia, la gelosia, tecnicamente è possibile farlo, ma a che scopo farle pensare come gli umani?