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Corso 1 Agosto 2007

 

Qualcuno ha fatto delle considerazioni intorno a quello che stiamo dicendo?

Intervento: riguardo a Greimas, che sto leggendo, collegandosi a Lacan dice che bisogna porsi come se nel discorso si svelasse un mistero e quindi come se la verità fosse un mistero che viene poi proposta…

Greimas ha ripreso da Lacan e Lacan la ripresa da Heidegger l’idea della verità nell’accezione greca cioè come alètheia, poi veritas è stato il termine latino. Alètheia viene tradotta generalmente come disvelamento, per Heidegger uno svelamento che ri-vela nel senso che vela di nuovo, svelando si ricopre; è con i latini che sorge la nozione di veritas come qualcosa di stabile, fisso e stabilito, per i greci non era così e Lacan riprende la nozione di verità da Heidegger. Abbandonare la nozione di verità come certezza è stato il compito della filosofia in questi ultimi cento anni perché dopo il fallimento della metafisica, cioè dell’idea di un pensiero forte che possa stabilire esattamente come stanno le cose, fallito perché hanno cominciato a chiedere ragione dei vari passaggi: le cose stanno così, perché? Allora si è abbandonata un po’ alla volta l’idea che si potesse reperire una verità definitiva, la veritas latina, e ha fatto il suo ritorno la nozione greca di alètheia…

Intervento: …

Lacan diceva che la verità si può solo dire a metà. Dicevamo la volta scorsa che abbiamo raccolto una serie notevole di materiale sulle fantasie delle partorienti e adesso bisogna sistemarle in modo tale da costruire un discorso, e costituiva la seconda parte della retorica, la dispositio. In effetti stabilite le cose che sono da dire, il modo di dirle deciderà quali dire prima quali dire dopo, quali dire e quali non dire per esempio, c’è anche questo. Supponiamo di dovere parlare delle paure connesse con il parto. A seconda di ciò che si desidera dire si valuta quali cose dire e quali no: dei timori connessi con le aspettative, si può incominciare facendo un elenco di quali sono le fantasie più comuni, dopodiché si mostra che queste fantasie sono assolutamente comuni, può variare il grado la forza di queste fantasie ma tutte le donne ce l’hanno, e questo comporta una sorta di rassicurazione, è la via più rassicurante; oppure non dire che è una cosa comune mostrando invece la pericolosità di avere fantasie del genere.

Rassicuriamo dicendo che sono fantasie comuni a qualunque donna che si trova in quelle circostanze, quindi appunto nulla di cui preoccuparsi, detto questo si costruisce un discorso che mostri come si formano queste fantasie e da dove vengono, e perché diventano ad un certo punto prioritarie su tutto. La questione centrale in tutto ciò alla quale occorre che facciamo giungere le persone che ci ascoltano è che queste fantasie che riguardano la paura nel caso della nascita imminente o già avvenuta, sono fatte dello stesso materiale del quale sono fatte tutte le paure e cioè non c’è nulla di diverso in queste paure, semplicemente si sono configurate in un modo specifico ma la loro struttura è uguale a quella di tutte le paure di questo mondo, e cioè le paure che effettivamente danno del filo da torcere agli umani: la paura di non essere adeguata alle richieste che vengono fatte può assumere varie configurazioni: la paura di non piacere, la paura di non soddisfare, la paura di non essere all’altezza delle richieste, di essere mal considerata; qualunque sia il tipo di paura che sorge in una puerpera alla radice c’è questa paura, la paura di non soddisfare una richiesta che viene fatta nei suoi confronti, una richiesta da parte del mondo che si aspetta da lei chissà che cosa, la richiesta da parte dei familiari che vogliono che lei diventi una persona normale, la richiesta da parte del marito, che ignora quale sia ma suppone che ci sia, e non ultima la richiesta da parte del figlio quando sarà nato, una volta nato anche lui avrà le sue richieste e lei si domanda: sarò capace di soddisfare queste richieste nel modo migliore? Ora tutto ciò che sorge a questo punto è riconducibile facilmente ad uno schema più semplice e che è lo schema dal quale sorgono tutte le paure, come dire che una cosa complessa si riduce a una più semplice, e se è più semplice appare anche più semplice da trattare, più facile da maneggiare. Se una persona si accorge che la sua paura è una paura comune a tutte le persone e che è fatta dello stesso materiale di cui sono fatte tutte le paure sembra che sia più semplice da approcciare e quindi da risolvere, anziché essere una cosa complicatissima; questo per seguire la via rassicurante, e quindi mostrare alla fanciulla o alla signora in questione che queste paure tremende che avverte in fondo sono paure che ha sempre avute, solo che fino ad un certo punto sono state apparentemente gestibili perché le richieste non erano così forti, così importanti, ma le fantasie sono sempre le stesse solo che essendo la richiesta considerata importante al punto tale da essere considerata la cosa più importante della propria vita allora anche la paura di non soddisfare queste richieste si adegua alla potenza della richiesta. Qualunque richiesta può essere catastrofica, pericolosissima, anche la più banale, basta minacciare che nel mancato adempimento ci sia una rappresaglia per esempio potrei chiedere a Cesare che ore sono e dirgli che se non sa rispondermi io lo uccido, ecco che allora anche questa stupida domanda diventa importantissima. Per una donna accade qualcosa di simile, cioè la richiesta che immagina le si rivolga in quel momento è come una questione di vita o di morte, e in alcuni casi lo diventa: se non sa rispondere a questa domanda tutta la sua vita non serve più niente, non significa più niente, si annulla, si azzera, quindi deve assolutamente rispondere a questa domanda…

Intervento: lei “deve” rispondere essendo una domanda non può rimanere in sospeso…

Come nessuna domanda in generale, rispondere alla richiesta dell’altro significa porsi nei confronti dell’altro in modo tale da essere accettati, da essere accolti…

Intervento: stavo proprio pensando alla questione dell’essere accettati…

Se rispondo, se faccio ciò che l’altro vuole che io faccia allora l’altro mi vuole bene questa è una cosa che si impara già dai primi vagiti: se mi comporto bene la mamma mi dà un cioccolatino…

Intervento:in genere non viene posta una domanda è la fantasia della persona di comportarsi in un certo modo…

Ciascuno è stato addestrato fin dai primi vagiti a rispondere bene alle domande perché sa, perché lo ha imparato, che se risponde bene allora viene bene accolto e significa che è importante per qualcuno, se non risponde o risponde male allora l’altro non gli vuole bene e cessa di essere importante e si sente abbandonato. Ciascuno viene addestrato fino da piccolo a rispondere in modo acconcio alle domande tant’è che è considerata buona educazione rispondere a una domanda, tacere di fronte ad una domanda è considerato addirittura cattiva educazione e non si capisce in effetti perché, uno dovrebbe avere la libertà di rispondere oppure no a una domanda, non essere obbligato…

Intervento: fa parte delle convenzioni…

Però uno anche se non ha la risposta si arrabatta in qualunque modo pur di rispondere pur di dire qualcosa…

Intervento: e sì è come se si dimostrasse inadeguato cioè come se fosse mancante di qualche cosa…

C’è un motivo per cui si avverte questa esigenza di rispondere a qualunque domanda anche se nessuno lo chiede anzi, si cercano situazioni in cui si creano domande alle quali rispondere, per esempio facendo le parole crociate o risolvendo rebus, in fondo sono domande alle quali si deve rispondere e che nessuno fa, ma si vanno a cercare se non ci sono; la domanda impone la risposta nel senso che costruisce un discorso che rimane sospeso e quindi attende di essere concluso, è questa conclusione che è necessaria al linguaggio, poiché una volta che è concluso può proseguire, se non è concluso allora si chiama problema. È il linguaggio stesso che costringe a compiere questa operazione cioè a concludere, naturalmente in modo vero rispetto al gioco che sta facendo, ecco perché è necessario rispondere a una domanda, non soltanto uno risponde sempre alle domande, alle sue e a quelle altrui, ma si crea delle domande nei giochi, un gioco è una domanda alla quale si deve rispondere. Allora possiamo inserire questa informazione all’interno del discorso, naturalmente in modo molto leggero senza arrivare ad inserire elementi teoricamente complessi, però questo si può fare alludendo al fatto che ciascuno fino dalla più tenera età è stato addestrato a non lasciare mai le cose in sospeso, a lasciare un discorso in sospeso, come se qualunque discorso attendesse una risposta. Il gioco dei perché dei bambini è questo. Come mai chiedono sempre perché, a che scopo vogliono sapere, da dove viene questo desiderio di sapere? Appare qualcosa insito nel loro pensiero, nel loro discorso già dalle prime parole che dicono. Questo appena per dire che è assolutamente normale, quasi inevitabile che una qualunque persona si adoperi per rispondere a delle aspettative e cioè a delle domande. Il problema sorge quando queste domande si immagina che s’impongano dall’esterno diventano prioritarie su tutto, cioè quando una donna attribuisce al fatto di fare un figlio il senso stesso della sua esistenza, allora è caricato talmente tanto di aspettative che la paura di non riuscire a soddisfare queste aspettative può generare un crollo se viene il sospetto di non essere all’altezza del compito che viene richiesto, se il compito decide del senso della sua vita può anche crollare di fronte a una tale responsabilità, in genere non avviene però in alcuni casi sì, il più delle volte sa che ce la farà: ce l’ha fatta la nonna la madre ce la farà anche lei, perché no? Poi magari è vicina a persone che la rincuorano, che le dicono che è bravissima. Però noi parleremo in quella conferenza soprattutto dei problemi che sorgono, non tanto di quando tutto va bene, quando tutto va bene possiamo anche intervenire perché vada ancora meglio e cioè fornendo gli strumenti perché l’addestramento di questo cucciolo che è appena nato avvenga nel modo migliore possibile, evitando tutte quelle cose che possono creargli dei grossi problemi. Rimane il fatto che le paure che sorgono e che possono in alcuni casi diventare drammatiche, arrivare al suicidio o all’omicidio in alcuni casi, sono rare ma esistono; in alcune donne anche se tutto va bene e fila liscio si pensa ad una cosa del genere, così come la paura di fare del male, l’abbiamo detto varie volte, è una delle fantasie più diffuse più comuni, la paura di nuocergli in qualche modo, perché potrebbe fargli del male, e se c’è questa paura c’è il suo motivo, non esiste una paura che non abbia nessun motivo, anche se può non essere così evidente. Ma questo pensiero da dove viene? Non è una cosa che è stata creata dal nulla, sono fantasie che esistono in ciascuno e che in quell’occasione, proprio per i motivo che dicevo prima, per la forza della richiesta e quindi la necessità assoluta di rispondere a questa richiesta diventano più acute, più sensibili, più evidenti. Da dove viene per esempio la paura di nuocere a qualcuno?

Intervento:…

Bisogna trovare il modo per inserire degli elementi e poi fare in modo che la persona possa giungere a chiedersi perché ha il timore che alla persona alla quale vuole bene possa capitare qualcosa. La risposta immediata generalmente è: proprio perché gli voglio bene: se dovesse mai scomparire io soffrirei, sì ma perché dovrebbe scomparire? È una possibilità, ma c’è anche la possibilità che rimanga e questa non viene considerata, infatti è preoccupata e non felice perché rimarrà, è preoccupata perché potrebbe non esserci più, come mai?

Intervento: magari  perché non sta bene…

Magari è sanissimo, ed è lì che interviene l’idea di potere fargli del male, per esempio: esco per strada con la carrozzina e mi scivola e finisce sotto un camion, o sto lavando i vetri dall’esterno con il bambino in braccio e magari mi scivola di sotto, oppure lo lascio solo in casa con una P38 con la pallottola in canna, potrebbe farsi del male! È curioso che in queste circostanze, quando c’è la paura che succeda qualcosa senza accorgersi molto spesso si commettono dei lapsus e cioè si creano delle situazioni tali per cui effettivamente il bambino può farsi del male. Questi lapsus la dicono lunga su quali siano le intenzioni, sarà capitato anche a voi di vedere delle donne con la carrozzina, la spingono allegramente e tranquillamente in mezzo alla strada senza curarsi dei mezzi che possono sopraggiungere a forte velocità, naturalmente manda avanti la carrozzina, lei è al di qua, è la carrozzina che è pronta per essere colpita, quasi come se volessero lanciarle…

Intervento: la paura di non riuscire a rispondere alla domanda… diventa la figura del persecutore…

Diventa la causa certo, è perché c’è lui che le persone mi considerano incapace…

Intervento: l’idea di far fuori il persecutore anche se non è cosciente… la questione delle fantasie per cui rispetto ad una domanda è necessario che ci sia una risposta la si cerca…la fantasia diventa la risposta a una domanda proprio per via delle cose che dicevamo prima…

In effetti la fantasia spaventa per l’idea della sua possibile realizzazione, si preoccupa perché sa, senza sapere in un certo senso che queste fantasie modificano la sua condotta, il modo in cui uno pensa determina ciò che fa…

Intervento: rispetto alla paura di far del male però è diverso, la paura che succeda qualcosa dalla paura di far del male…

C’è un passaggio in più…

Intervento: Sì nel senso che rispetto alla paura di fare del male si è più consapevoli, ci si mette in discussione mentre nella paura che possa succedere qualcosa possono succedere incidenti perché non c’è consapevolezza, il pericolo viene dall’esterno…

La fantasia di nuocere a qualcuno viene considerata come un corpo estraneo poiché non si può volere una cosa del genere, non viene riconosciuta come qualcosa che appartiene al proprio discorso ma come se fosse un corpo estraneo del quale sbarazzarsi, non si riconosce come proprio perché se si potesse riconoscere come proprio allora il fatto di potere dire che sono io che ho paura di fargli del male perché questa paura appartiene al mio discorso, al mio desiderio, questo comporterebbe una serie di problemi, il più delle volte si ricorre ad un passaggio in più non sono io che voglio fargli del male ma è il mondo, gli incidenti, varie cose…

Intervento: insomma non c’è la responsabilità…

Intervento: ma può succedere che le paure esterne magari mascherino quella più reale forse che in realtà è la madre stessa che ha la paura magari inconsapevole di nuocere al figlio e questo può spiegare la fobia delle malattie, la fobia dei cataclismi, dei terremoti…

Assolutamente sì, perché una qualunque cosa diventa una minaccia, poiché la minaccia viene da me non posso riconoscerla come mia, allora la attribuisce ad altro, allora diventano minacce, è una sorta di rovesciamento: non sono io che voglio ucciderlo ma è il mondo che lo minaccia…

Intervento: è un’ostilità che parte dalla madre…

Non può che venire da lì, da chi la enuncia, l’avverte soltanto come un qualcosa che la muove e la spinge a fargli del male e cerca di combattere contro questo, sta combattendo contro il suo desiderio quindi perderà perché il desiderio è più potente di ogni volontà, sì perché il desiderio è ciò che costruisce anche la volontà, la cosa da fare in questi casi, ma per farlo occorre un percorso analitico, è accogliere questo desiderio come qualcosa di assolutamente risibile…

Intervento:…la madre che ha un atteggiamento iperprotettivo con la scusa dell’esperienza …la fantasia sembra che sia una forma di gelosia nei confronti della figlia a fare ciò che lei mai è riuscita a fare…sembra quasi che le auguri tutto il male possibile mettendola sul chi va là..va in macchina e si ammazza, esce e un ubriaco la investe..può succedere di tutto e poi alla fine del discorso se io faccio una scelta e va contro quello che mia madre dice e questa scelta si risolve in un fatto negativo ecco io l’avevo detto avevo ragione…la questione è sempre quello di avere ragione sembra quasi che questo male venga augurato no? Si esprimesse quella rivalità…

Intervento: la madre ha dei contraccolpi se invece le cose le vanno bene…

Intervento: troverà qualcosa che non

No per il momento dirà: le è andata bene ma domani? Pensate a quanto gli umani siano desiderosi di dolore, non tanto quello fisico, del dolore che si prova per qualcuno, lo cercano sempre e continuamente, e se non c’è qualcuno che glielo procuri se lo procurano da soli con le fantasie, voi riuscite a immaginare un dolore più grande di una madre che perde il figlio? Un po’ di anni fa un poeta, non ricordo il nome, scrisse che le madri sono fatte di lacrime congelate che aspettano la morte del figlio per potere sciogliersi. In effetti se una persona cerca il dolore questo è quello considerato maggiore, si potrebbe aprire una parentesi e chiedersi: se non fosse considerato così, lo sarebbe? Ma rimane una domanda. Probabilmente no, in ogni caso è considerato il dolore più grande, se una persona ha voglia di soffrire che c’è di meglio di pensare alla possibilità della sua morte? Immediatamente ha a disposizione tutto il dolore che vuole, non solo, questo dolore si porta appresso tutta una serie di altri vantaggi e cioè diventa la persona più importante a causa del suo dolore e questo molto cristianamente: la persona più soffre più è vicina a dio. Cristo è morto sulla croce quindi con estrema sofferenza e il suo dolore ha redento, più si soffre più si avvicina a dio e questi influssi cristiani non sono del tutto marginali

Intervento: la sofferenza è una questione di purificazione…

Si è sempre attribuito a dio il fatto di dire la verità proprio perché è morto, per questo la persona in punto di morte si suppone che non menta, la morte come l’ultima verità…

Intervento: una cosa che ha detto la chiesa in fatto di eutanasia che la sofferenza è un valore…

Intervento: la sofferenza sulla propria pelle…

Alcuni cercano il dolore mettendosi nella condizione di soffrire le pene dell’inferno, è una forma di erotismo anche quella, in alcuni casi quando giunge a certi livelli si chiama anche masochismo, la connessione tra il dolore e il piacere spesso è molto sottile, ci sono delle persone che durante l’atto sessuale per raggiungere l’acmè del piacere devono subire una sofferenza…

Intervento: ma la sofferenza ha anche una questione politica enorme, la sofferenza fa parlare…

Finché le persone si lamentano va bene, quando non si lamentano più può essere problema. In definitiva il dolore che una donna prova di fronte all’eventualità di nuocere a un figlio può comportare una serie di aspetti che abbiamo appena menzionato, il desiderio di sbarazzarsi di un impiccio: non pensava fosse così impegnativo, la causa del fatto di non essere riuscita a soddisfare le richieste altrui, poi se lui muore quale dolore più grande e chi non le starebbe vicina a coccolarla e a farla sentire importante? La funzione del dolore, la chiesa ha cercato di avere il monopolio anche del dolore, della sessualità della morte e del dolore. Però bisogna trovare un modo più leggero per dire queste cose, è sempre inconsapevole…

Intervento: è una delle paure più diffuse…

Sì perché produce le emozioni più forti. È un serbatoio di emozioni inesauribile…

Intervento: quando il figlio cresce è come se temesse in qualche modo di non contare più nulla di non avere più l’attenzione, una perdita di identità..

Intervento: qual è il limite tra un senso di protezione nei confronti del figlio e…

Intervento: amarlo e odiarlo è uguale…

Diciamo che ci sono entrambi gli aspetti, poi uno può prendere una priorità oppure…

Intervento:…

Lei lo riconduca al funzionamento del discorso, il discorso funziona così, non può non fare così, il linguaggio stesso la costringe a comportarsi in un certo modo, ora può in base a tutta una serie di discorsi che si sono costruiti nella sua vita prendere una via oppure un’altra, comunque avrà sempre l’esigenza di essere importante per qualcuno, di sentirsi dalla parte della ragione e di avere bisogno appunto di qualcuno di cui occuparsi, comunque, sia che lo faccia vivere in un letto di piume sia che lo butti dalla finestra, comunque sia la struttura è la stessa, non stia cercare un limite tra normalità…

Intervento: ma tra ciò che è il senso di protezione e quelli che possono essere dei pericoli oggettivi altrimenti…

Sta soltanto alla persona valutare, certo se un bambino vuole prendere con la manina un filo scoperto a 380 volt e la mamma lo ferma evita che suo figlio muoia certo, se lei volesse portare le cose all’estreme conseguenze potrebbe domandare anche perché vuole evitargli di morire, anche questa è una domanda legittima, e insolita, può apparire terrificante ma è legittima; la questione della protezione in genere è quella che offre la mafia, ti proteggo da me perché se non fai così ti uccido: lo protegge il più delle volte da pericoli che non esistono affatto, allora a quel punto sì la domanda che sorge è: perché immagina che ci siano questi pericoli se non ci sono? Allora forse ecco che il pericolo è lei, allora giustamente lo protegge da lei perché è lei la minaccia, non consapevole però avverte che c’è qualche cosa. Talvolta la madre è iperprotettiva fino a quando i figli sono in casa perché è come se fossero sotto la sua responsabilità e quindi a questo punto deve tenere a bada il suo desiderio di morte nei loro confronti, se sono fuori, se sono lontani, questa paura paradossalmente, perché dovrebbe essere maggiore, invece si attenua perché non sono più sotto la sua responsabilità non gli può più nuocere direttamente…

Intervento: rendere la cosa più semplice… il timore di una madre iperprotettiva comunicare questo in una conferenza richiede tutta una serie di passaggi…