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1-6-2016

 

Secondo Heidegger la logica contemporanea ha dimenticato la sua origine e, dimenticandola, è diventata una tecnica: la logica come tecnica, una τέχνη. Cosa vuole dire che è una tecnica? Come direbbe Heidegger è un Gestell. Gestell è un dispositivo, una qualche cosa che viene costruita al fine di fare qualche cos’altro. Pensare la logica in questo modo comporta una serie di conseguenze, di implicazioni ovviamente, intanto viene eliminata l’apertura perché qualunque tecnica non ha come obiettivo la domanda, il domandare e quindi il rilanciare, ma il riprodurre all’infinito se stessa e, come dicevo, questo ha delle implicazioni. Una di queste potrebbe essere la considerazione che l’obiettivo della logica, posta come tecnica, non è quella ovviamente di reperire la verità né altre cose del genere ma soltanto di riprodursi all’infinito, produrre il suo discorso senza soluzione di continuità ma, come poi del resto sta facendo, la logica si inventa problemi, si inventa problemi da risolvere, all’infinito, ma senza mai porre nessuna domanda intorno a se stessa. È questo che distingue la tecnica, ma anche la scienza ovviamente, da una riflessione intorno al linguaggio: la tecnica non si pone mai nessuna domanda intorno a sé su che cosa sta facendo, da dove viene, qual è il suo progetto. È ciò di cui Heidegger accusa il pensiero occidentale: quando il pensiero occidentale dimentica l’essere, il discorso occidentale per Heidegger è la dimenticanza dell’essere, nel senso che pone l’essere come un ente fra gli enti, allora dimenticando l’essere, cioè il significato come apertura, non può che ridursi a una tecnica, ed è quello che fa il discorso occidentale, che fa la metafisica, perché ha abbandonato la via dell’essere, la via dell’essere vale a dire l’apertura, l’aprirsi del significato. La metafisica cerca la chiusura del significato cioè “questo è questo”, il significato di questo è quest’altro, e li si chiude la cosa. Quello che ha tentato di fare Heidegger è di riaprire il significato cioè reinserire, come dice lui, l’apertura dell’essere cioè reinserire l’essere in quanto progetto, in quanto questione all’interno del discorso occidentale, quindi non ponendolo più come ente, tant’è che stabilisce una differenza assoluta: l’ente non può essere l’essere e l’essere non può essere l’ente, esattamente come diceva De Saussure rispetto al segno, ma andiamo avanti con le questioni che pone Heidegger. Pag. 167: Per la logica il λόγος è enunciare e asserire λγειν τ κατά τινς, cioè il dire qualcosa su qualcos’altro. Perché si possa dire qualcosa di qualcos’altro ciò su cui verte l’asserzione deve essere sempre già stato enunciato, vale a dire deve essere enunciato in quanto è ciò che è (per poter dire qualcosa di qualcos’altro deve cominciare a dire qualcosa e questo qualcosa è quello che è) Il λόγος inteso come asserzione è quindi già in se stesso, ossia considerato in modo più originario, l’enunciazione di qualcosa che segue ciò che è stato enunciato (ovviamente se dico qualcosa di qualcosa quest’altro qualcosa deve già esserci, se no di che cosa sto dicendo? Sembra una banalità ma non lo è) Ciò che è, appare in quanto tale, posto che l’è e l’essere siano esperiti in un certo qual modo come apparire (ovviamente se dico qualcosa intorno a qualche cosa, il qualche cosa di cui parlo deve esserci cioè deve apparire) Quando qualcosa appare e si mostra, la visione che esso offre è data dall’apparenza e dall’aspetto in cui esso si viene a trovare, ciò che appare laggiù, ad esempio quella casa là, si mostra come l’apparenza e l’aspetto di una casa e dell’esser casa e in questo senso è una casa (qui se volete potete pensarla così: quando dice si mostra l’aspetto di una casa come significante, ciò che si mostra l’aspetto di un enunciato, e poi si mostra questa casa, cioè questo significante è qualche cosa perché se ne dice qualcosa, cioè si dice dell’“esser casa” cioè si dice il significato, il significante senza significato non esiste) Ad esempio ciò che appare qui è un libro, in quanto si mostra con l’aspetto di libro e di qualcosa che è propria dell’esser libro (c’è un qualche cosa che si mostra ma posso coglierlo per ciò che è, per come si mostra, per come appare, per il fatto che appare così, perché io so che è quella cosa lì, cioè insieme a questa cosa che appare c’è il ciò che se ne dice, così come la casa, la vedo perché insieme c’è l’esser casa cioè c’è il significato di casa) Così l’aspetto in cui qualcosa appare quello che è contiene il “che cosa?” di ciascun ente vale a dire l’essere dell’ente. È Platone ad aver pensato per la prima volta l’essere dell’ente a partire dall’aspetto in cui esso appare considerando l’aspetto come tale, aspetto in greco si dice εδος, δέα. L’aspetto in ciò che si fa visibile ciò che in generale è una casa, non è questa o quella casa percepibile coi sensi ma l’aspetto dell’esser casa in generale, è qualcosa di non sensibile è il sovra sensibile (il concetto, il significato) Pensare l’ente a partire dall’idea, a partire dal sovra sensibile è l’elemento caratteristico del pensiero che riceva il nome di “metafisica” (per Paltone c’è questa penna ma io posso dire che è una penna, riconoscerla come penna, vedere che è una penna perché nell’iperuranio c’è l’idea di penna che garantisce che questa sia una penna, così come in De Saussure questo significante “penna” è garantito dal fatto di essere quello che è perché c’è un significato, perché significa qualche cosa) Se pronunciamo l’asserzione “questa casa è alta” alla base di questa asserzione vi è già l’enunciazione di ciò che è ciò che ci viene incontro, vi è già l’enunciazione della casa il suo εδος, (la sua immagine) in questo senso allora λόγος non significa in greco soltanto “asserire”(λγειν) nel senso di enunciare ma nello stesso tempo significa prevalentemente l’enunciato che si fa presente nell’enunciare, il λεγμενον (l’enunciato) non è nient’altro che l’aspetto, εδος in un certo qual modo εδος e λόγος vogliono dire la stessa cosa, in altre parole possiamo dire che il λόγος inteso come enunciare e asserire è concepito in vista dell’δέα, il λόγος inteso come asserzione. È quella concezione del λόγος che si muove nell’ambito del pensiero e che pensa l’ente a partire dalle idee, vale a dire metafisicamente, il λόγος che la logica pensa è pensato metafisicamente, la logica è la metafisica del λόγος (sta dicendo che la logica è metafisica, sta dicendo che la semiotica è metafisica, sta dicendo che enunciare qualche cosa ha un senso, è quello che è, è un enunciare per via dell’idea, per via dell’enunciato. L’enunciato Heidegger lo intende come l’idea, come il significato di questo enunciare, quindi l’enunciare è quello che è per via dell’enunciato, una cosa è quella che è per via di un’altra, e questa è metafisica) a pag. 168: Il presupposto che il fatto che il λόγος può essere preliminarmente concepito come l’enunciazione di qualche cosa nel suo “che cosa?” è rappresentato dalla definizione del “che cosa?” e dell’essere in quanto eidos e idea formulata da Platone (cioè l’enunciazione ha come suo presupposto il fatto che ci sia un enunciato da qualche parte, il significante è quello che è per il fatto che si presuppone che ci sia un significato da qualche parte che lo garantisce in quanto significante, cioè che lo fa essere quello che è) Questa definizione è formulata in quanto tale che a partire dall’ente l’ente stesso è proiettato verso l’essere, in modo tale che l’essere dell’ente viene pensato come il più universale di tutti gli enti (questa penna è una penna particolare infatti quella (penna) è diversa ma l’idea di penna è l’universale, è quella cosa che teoricamente comprende tutte le possibili penne presenti, passate e future, appunto è universale) Pensare l’essere dell’ente in questo modo è il tratto caratteristico di ogni metafisica. Finché la metafisica in qualsiasi forma domina il pensiero occidentale nel suo fondamento, cosa che accade anche ai nostri giorni, il λόγος e ogni interrogare intorno al λόγος non potranno che essere padroneggiati con la logica ma anche limitati da essa (sta dicendo che ogni pensiero intorno al pensiero occidentale, alla metafisica eccetera si articola attraverso la logica. Premessa, passaggi, conclusione, quindi io interrogo la metafisica attraverso la metafisica, interrogo il λόγος attraverso il λόγος perché la logica è ciò che ci consente di padroneggiare, lo dice qui molto bene “ogni interrogare intorno al λόγος non potranno che essere padroneggiati con la logica” padroneggiati nel senso che qualunque interrogazione intorno al λόγος o alla metafisica punta a un padroneggiare ciò che sto interrogando, come diceva Heidegger: “conoscenza, manipolazione, elaborazione dell’ente” questo è il padroneggiare l’ente, ciò che fa la tecnica propriamente, quindi utilizzando la logica come è comunemente intesa per interrogare qualcosa stiamo letteralmente praticando una tecnica. Ma tenendo conto di ciò che dice altrove riguardo alla tecnica il cui fine è proseguire se stessa all’infinito, questo interrogare non è altro che applicare una tecnica al fine di fare procedere la tecnica, come dire che ogni conoscenza, ogni sapere all’interno di questa tecnica non è fine a se stesso ma è sempre in vista del superpotenziamento della tecnica. Cosa abbastanza impegnativa perché mostra che non c’è uscita da questo modo di articolare le cose, cioè di pensarle, cioè di interrogarle, noi le interroghiamo ma attraverso la logica, che ci consente di interrogarle ma ci limita perché ci fa rimanere all’interno della metafisica. Anche quello che stiamo facendo adesso alla luce di quanto stiamo leggendo non esce dalla tecnica. Qui verrebbe da porre una questione: quando parla di φύσις, come ciò che incessantemente sorge da sé, questo sorgere da sé incessantemente sembra quasi evocare ciò che fa la tecnica e cioè un produrre incessantemente al solo scopo del proprio autopotenziamento. Anche per la φύσις è la stessa cosa oppure no? In questo senso la φύσις verrebbe posta, ridotta al livello del Gestell, del dispositivo che serve a fare altre cose, serve al superpotenziamento. È una questione complicata perché mette in gioco praticamente tutto, per cui dovremo rifletterci bene avendo magari a disposizione altri strumenti. Rimane sempre la stessa questione, cioè che non c’è uscita dal linguaggio, se il linguaggio è metafisica non c’è uscita dalla metafisica. Come abbiamo detto in varie occasioni anche il pensare la φύσις come l’enunciazione della tecnica rimane sempre all’interno di un discorso metafisico, non c’è uscita, il linguaggio è costruito così. Il linguaggio è fatto di segni che rinviano a altri segni, questo lo dice anche Peirce in modo molto chiaro e non credo che abbia del tutto torto. Segni che rinviano ad altri segni all’infinito, questa è la metafisica. Ma in effetti anche Heidegger alla fine si accorge che nonostante tutto il suo lavoro abbia come obiettivo l’uscita dalla metafisica, cioè costruire un pensiero che riesca a uscire dalla metafisica, di fatto si accorge che non è così semplice. Glielo fa notare anche Derrida. Derrida pensava anche lui di essere uscito dalla metafisica, ma non lo può fare. Ora qui “metafisica” non ha nessuna accezione né negativa né positiva, semplicemente è una struttura fatta di rinvii: qualunque cosa è quella che è per via di un’altra, questa è metafisica, che è la definizione di segno né più né meno. Lasciamo la questione momentaneamente in sospeso e proseguiamo, vediamo se ci vengono altre idee) Quanto il λόγος già all’inizio della metafisica e quel modo determinante in ogni metafisica sviluppatasi in seguito sia stato nettamente limitato i modi dell’enunciare e dell’asserire si evidenzia in una circostanza nella quale non abbiamo sufficientemente riflettuto, nella quale però ci troviamo e che consideriamo la cosa più ovvia del mondo, la circostanza richiamata consiste nel fatto che le determinazioni dell’ente, nelle quali esso si mostra, nel suo aspetto più generale vale a dire i tratti fondamentali dell’essere dell’ente si chiamano categorie. La parola greca κατηγορία significa asserzione anzi questa parola per quanto riguarda la sua origine e la composizione significa asserzione in un senso più ampio ed autentico del termine λόγος. L’espressione κατ-γορεω, γορεω significa in pubblico, al mercato, davanti all’assemblea dei giudici attribuire a qualcuno qualcosa di cui è colpevole, e di cui è causa, in modo che questo attribuire, inteso come dichiarare, enunci un’accusa o un dato di fatto, il termine κατηγορία indica l’asserire nel senso dell’enunciare che mette in luce, annuncia e comunica qualcosa (qui sta ponendo un’obiezione a ciò che dicevamo prima, nel senso che nella metafisica si tratta sempre comunque di enunciare qualche cosa, cioè ci vuole qualche cosa da cui si parte per potere spostarsi su un’altra cosa che garantisca della prima. Però Heidegger cerca di porre le cose in modo tale che questa asserzione non sia propriamente un asserire assertivo, scusate il bisticcio di parole, ma sia un porre in luce, infatti quando lui parla del λόγος come ciò che viene da λγειν, mettere insieme, riunire, il λόγος non è ciò che asserisce, ciò che afferma, ma ciò che mette in luce, non dà luce propriamente, ma mette in luce nel senso che fa apparire le cose, ce le mostra, e il λόγος sarebbe propriamente ciò che raccoglie queste cose che appaiono, che l’essere ci mostra, e legandole insieme, combinandole insieme costruisce appunto i discorsi eccetera) Κατηγορία in un senso particolare, anche il λόγος è asserzione ma senza dubbio λόγος e κατηγορία non significano la stessa cosa, al contrario Platone e Aristotele ammettono, il primo vagamente il secondo più chiaramente che la κατηγορία domina in ogni λόγος inteso nel senso della comune asserzione, in ogni enunciare e in ogni asserire che riguarda il possibile e l’impossibile domina ancora una forma di asserzione tutta particolare /…/ La parola κατηγορία diventa così la denominazione dell’essere che viene detto in ogni λόγος di ogni ente, così essere, vale a dire il tratto fondamentale dell’ente, viene a significare asserzione nel senso di ciò che è asserito ed enunciato, ed ecco che qui si evidenzia qualcosa di sorprendete, κατηγορία e λόγος stanno in un rapporto essenziale che perfino i pensatori greci non hanno espressamente chiarito né tanto meno fondato, Platone e Aristotele si limitano a muoversi all’interno di questa relazione tra λόγος e κατηγορία, e un bel giorno dovremmo pure chiederci perché questo sia stato possibile e necessario, ma questo avverrà quando la comprensione dell’essenza del λόγος è diventata per noi una necessità impellente (qui mostra un passaggio dal λόγος a κατηγορία, il λόγος non è asserzione propriamente, infatti la connessione con il λγειν, lo pone come mettere insieme, radunare, cogliere insieme mentre κατηγορία è proprio l’asserzione, l’asserire qualcosa. Non a caso riprendendo l’origine di questa parola la pone in connessione con il giudizio “dare la colpa a qualcuno” quindi affermare con fermezza) Se ora ci limitiamo a riflettere provvisoriamente sulla relazione tra κατηγορία e λόγος, comprendiamo ciò che altrimenti non sarebbe affatto comprensibile, comprendiamo perché le somme determinazioni dell’ente portino il nome di categorie, vale a dire di asserzioni nel senso chiarito, successivamente la denominazione κατηγορία e ciò che essa indica, si sono in parte trasformate, ad esempio si sono esteriorizzate per cui la κατηγορία viene ad indicare solo esteriormente uno schema, un’intelaiatura in cui qualcosa rientra (le “categorie” di Aristotele) Dai tempi di Platone e Aristotele vale a dire dall’inizio della metafisica come tratto fondamentale del pensiero occidentale, questo pensiero della totalità dell’ente ha sempre cercato di radunare, di ordinare le determinazioni più generali dell’essere le categorie in una dottrina delle categorie e tuttavia solo raramente, non è un caso che nel pensiero di Kant, nel quale la metafisica subisce l’ultima decisiva trasformazione, il rapporto tra κατηγορία e asserzione venga alla luce in tutta la sua urgenza, apparentemente anzi secondo l’opinione di molti interpreti e critici del tutto arbitrariamente Kant sceglie come filo conduttore della scoperta di tutti i concetti puri dell’intelletto, vale a dire delle categorie, la funzione logica dell’intelletto nel giudizio, ossia il λόγος come asserzione. Ma questa scelta del λόγος come filo conduttore nella formulazione delle categorie mette in luce un evento che è in atto dall’inizio della metafisica e che si può esprimere brevemente dicendo: la logica è il filo conduttore anzi l’orizzonte vero e proprio del pensiero metafisico (secondo Heidegger è stato il passaggio da λόγος a κατηγορία a determinare l’impianto metafisico della logica) Per Kant questo ruolo della logica (metafisica) era fuori discussione per il fatto che egli non ha mai riflettuto espressamente neppure sulla relazione tra λόγος e categorie, tanto meno sull’origine e il fondamento di questa relazione (sembra quasi evocare, il passo che fa tra λόγος e κατηγορία, quello che tra λήθεια e veritas di cui parla nel Parmenide) La logica può costituire il filo conduttore del pensiero metafisico e determinarne l’ambito proprio ché la logica non è nient’altro che la metafisica del λόγος considerato nel vero senso di asserzione, vale a dire come κατηγορία, come δέα e come εδος. Ma se è vero, come sembrerebbe innegabile stando alla tradizione, che la metafisica è la forma più alta del pensiero più profondo allora è certamente nella logica intesa come metafisica del λόγος che va pensata nel pensiero /…/ Considerato da questo punto di vista il pensiero pre platonico diventa quindi pensiero pre metafisico, diventa quel pensiero che in modo imperfetto procede verso la metafisica, quel che i pensatori pre platonici hanno detto del λόγος lo si può pensare solo a partire dalla metafisica posteriore, questo è quanto è accaduto e accade ancora, anzi siamo proprio debitori alla metafisica e al suo pensare intorno al λόγος, se in generale ci sono state conservate le testimonianze sul λόγος, dei pensatori pre platonici e in particolare quelle di Eraclito (sta dicendo “come facciamo a pensare la metafisica se non in termini metafisici?” è vero, non abbiamo un altro modo, che è il problema che lui stesso pone fin dall’inizio, noi leggiamo Parmenide, leggiamo Eraclito ma li leggiamo utilizzando un pensiero logico che è metafisico, infatti tutto il suo sforzo è di riuscire a ripensare quei termini come λόγος, λήθεια eccetera come li pensavano gli antichi, avvalendosi di Omero, Esiodo eccetera. Il problema è: è possibile uscire da questo modo di pensare? Difficile a dirsi. Quindi incomincia a delinearsi in modo abbastanza chiaro tra la logica come Heidegger la immagina pensata dal greco antico e cioè come il raccogliersi di ciò che l’essere mostra, e invece una logica pensata come dottrina delle categorie, cioè come sequenza di asserzioni. Esattamente come dicevo prima tra λήθεια e veritas qui abbiamo λόγος e κατηγορία) Pag. 178: La logica pensata come il λόγος, come asserzione (quindi la logica pensa il λόγος come asserzione e come enunciato) nell’asserzione è enunciato qualcosa in quanto qualcosa, quel qualcosa cui si rivolge di volta in volta l’enunciabile in generale costituisce ciò che propriamente deve essere enunciato ed asserito, quel che una cosa è, il suo “che cosa?”, come ad esempio l’esser casa di una casa, il fiorire di un fiore Platone lo concepisce come idea, come aspetto (sapete ormai perfettamente che il significato delle cose per Platone è l’idea, il concetto) come la faccia visibile che mostra qualcosa in modo che si mostri il suo “che cosa?”, (appunto ciò che ci permette di vedere la casa in quanto casa, in quanto “esser casa”) tali facce delle cose e di ogni ente considerati nella loro visibilità non li può però scorgere un vedere sensoriale ma sono volti non sensibili sono il sovra sensibile (i nostri sensi non ci dicono che quella casa è una casa) se intendiamo il sensibile nel più ampio significato di fisico ecco allora che le idee sono i volti sovrasensibili dell’ente, sono qualcosa di metafisico (che va al di là della fisica, ovviamente) Intendere il λόγος come espressione delle idee significa pensare il λόγος metafisicamente, è a partire da questa concezione che noi definiamo la logica, (intendere il λόγος come espressione delle idee, quindi il linguaggio come mezzo per dire delle cose, questo è pensare il λόγος metafisicamente, cioè il pensiero comune) è a partire da questa concezione che noi definiamo la logica che pensa il λόγος in questo modo, come la metafisica del λόγος, altrimenti la logica è la dottrina del pensiero ma è dottrina del pensiero nel senso ora più profondamente inteso nel senso che essa tiene aperto al pensiero occidentale l’orizzonte metafisico che gli è proprio (cosa vuole dire che tiene aperto l’orizzonte metafisico? Che magari prova a interrogarlo) infatti il λόγος della logica crea e sorregge la differenza di sensibile e sovrasensibile e in tal modo delimita la possibilità del pensiero metafisico in generale (la logica “crea e sorregge la differenza di sensibile e sovra sensibile” cioè di ciò che appare e di ciò che invece quella cosa è ma non appare. Quando io vedo la casa, la vedo perché “vedo” l’esser casa, ma questo “esser casa” tra virgolette non lo vedo per niente, è il concetto, ecco quindi che il λόγος pensato così fonda e mantiene la metafisica) Enunciare e asserire qualcosa in quanto tale vuol dire che nell’enunciare e nell’asserire io assumo qualcosa in quanto tale, lo ritengo tale quale esso è. Il latino reor significa ritengo qualcosa per quello che è, la facoltà di ritenere qualcosa per tale si chiama ratio (ragione-ritenere qualcosa per quello che è) si è soliti tradurre questa parola con ragione e fare equivalere il loro significato, ragione, ratio, λόγος come se fossero sinonimi, quando diciamo che logico, rationale e razionale sono la stessa cosa non solo pronunciamo tre diverse parole che indicano lo stesso significato ma in λόγος ratio e ragione è presente il destino essenziale, l’intera storia della metafisica occidentale (dice tutto si gioca lì nel fatto di avere portato il λόγος a diventare la ratio, il razionale, la ragione, la razionalità cioè l’esprimersi per categorie, per giudizi di esistenza, di valore) ritenere qualcosa per tale e darlo a intendere per tale è giudicare (appunto) nel giudicare consiste l’essenza del pensiero concepito metafisicamente, questo pensiero interpretato logicamente λογικς ossia inteso a partire dal λόγος come asserzione e come enunciato è l’essenza della ratio (continua a mostrarci come se si è potuti passare dal λόγος pensato come dice Heidegger, al λόγος inteso come ratio, che è il modo in cui lo si intende oggi cioè come la capacità di ragionare, quindi di formulare giudizi. Perché senza giudizio non posso imperare) Sulla base delle connessioni che abbiamo indicato tra κατηγορία, λόγος, δέα. Ancora Kant definisce l’assenza della ragione come la facoltà delle idee cioè la facoltà di pensare le idee e di regolare in base a questo pensare ogni altro pensiero (c’è già nella questione della ratio la misura, di regolare quindi del controllo) in questo modo la fisica diventa dottrina della ragione. Se da un lato in ogni metafisica il λόγος è concepito a partire dalle idee come asserzione e come facoltà razionale, dall’altro ogni pensiero, che si sviluppa mediante idee sulla base di idee, si attua avendo come filo conduttore il λόγος della logica, la logica come dottrina della ragione è pertanto il nucleo più profondo del pensiero delle idee ossia della metafisica (continua a dirci che la logica è metafisica, la logica cioè il modo in cui si pensa. E questo è il problema: non c’è uscita dalla metafisica, se si pensa si pensa metafisicamente, se no non si pensa) Ora però se il destino più profondo della storia occidentale considerato la luce del corso seguito dalla metafisica deve fondarsi sulla metafisica stessa e se proprio questo destino deve dare una svolta a questa storia allora questa svolta deve innanzi tutto coinvolgere la metafisica intesa come fondamento della storia occidentale (cioè occorre mettere in discussione la metafisica tenendo conto dei problemi che ha enunciati prima, cioè come mettere in gioco la metafisica se non con il pensiero, con la ratio, con la nostra capacità di ragionare cioè formulare giudizi? Cioè con la metafisica) qualora fosse necessario per coloro che pensano contribuire a determinare ora e in futuro il destino di questa svolta anche solo preparando e anticipando la visione di questo capovolgimento che investe la storia dell’uomo occidentale, allora una meditazione sul destino dell’occidente dovrebbe considerare in primissimo luogo e senza omissioni l’essenza più profonda della metafisica vale a dire l’essenza della logica (cioè sta enunciando un problema che, da come lui stesso lo pone, è senza soluzione. Che è ciò che appare anche a noi. In effetti più volte abbiamo detto che non c’è possibilità di pensare se non in modo metafisico, se non per rinvii. Perché è soltanto il rinvio che ci dice, che ci fa apparire una casa come quella casa che è, non sono i sensi, lo diceva anche prima, non è l’occhio che mi permette di sapere che quella cosa lì è una casa, che è la stessa cosa che dire che quando ascolto un significante ascolto il significato. Per questo quando si diceva tempo fa che quando interviene il significato scompare il significante, perché questo significante è quello che è per via del suo significato, per cui è il significato che ascolto, e poi, in seconda battuta, ecco che il significante diventa qualche cosa, che è come dire che l’ente trae la sua enticità dall’essere, né più né meno. Qui Heidegger è come se ci stesse mostrando la tela di cui è fatto il pensiero, e quanto sia affidabile questo pensiero su cui tutti quanti inesorabilmente e incrollabilmente abbiamo fiducia: è fatto di metafisica, è fatto di un’altra idea che dice che una certa cosa è quella che è per via di un’altra, questa è l’ossatura del pensare, senza questo non c’è pensiero. Se non posso sapere che cos’è qualche cosa, se non so che cos’è non vado da nessuna parte, ma per sapere che cos’è, cioè per fare questa cosa che chiamo “sapere che cos’è” devo utilizzare la metafisica, anche perché non abbiamo nessun altro modo, per questo abbiamo detto e ribadito che il linguaggio è la metafisica stessa. Possiamo accorgerci di questo, e il modo per accorgersene, il modo più consapevole e più attento è proprio la lettura di queste cose di Heidegger, che ci ha riflettuto bene, questo bisogna riconoscerlo …

Intervento: perché o in che modo Platone ha pensato il passaggio alla metafisica, anche lui doveva avere qualche strumento per poter pensare quello che ha pensato …

A questo in teoria potrebbe rispondere Severino: la necessità è stata il passaggio dal mito alla ragione. Dal mito cioè dal credere in alcune cose senza che queste cose avessero una ragione, cioè fossero incontrovertibili. A un certo punto dice Severino l’uomo ha avuto la necessità per difendersi dalla paura della morte e del dolore, delle cose peggiori che capitano agli umani, ha avuto bisogno di qualche cosa di più potente del mito, ha avuto bisogno della ragione, cioè di un pensiero che affermasse qualche cosa di incontrovertibile, cioè che non potesse essere negato.