ASSOCIAZIONE 25/9/1992

 

 

L'anoressia è sempre stata intesa come un male, cioè come un rifiuto totale del cibo per motivi psicologici: alcune persone, ad un certo punto, non mangiano più perché sono già piene.

La questione dell'anoressia va ben al di là di questa rappresentazione. Che cosa dice il discorso anoressico?

In alcuni casi, non può più mangiare, ma l'enunciato è un "non posso più", come dire che qualcosa ha raggiunto un punto in cui non è più possibile proseguire come si proseguiva prima.

Questa impossibilità viene avvertita, in molti casi, anche là dove vi è una domanda di analisi: non si può più proseguire come prima, nonostante i vari tentativi fatti.

L'anoressia, come discorso, esplora il "non più", un non più che Verdiglione indica rispetto alla teorematica, cioè, a questo momento, lungo l'itinerario analitico, in cui si verifica che non c'è più sostanza.

La rappresentazione o l'economia dell'anoressia prende drammaticamente questa questione. Dice: "non c'è più sostanza", quindi, non c'è più da mangiare.

"Non c'è più sostanza", cioè, le cose non hanno più significato, le cose non sono più gestibili, non sono più controllabili.

L'economia dell'anoressia fa la caricatura del "non posso più" o del "non c'è più sostanza" rifiutandosi di assumere alcunché perché qualunque cosa non è più la sostanza che riempie, che nutre.

C'è un altro cibo di cui parla l'anoressia, il cibo intellettuale, esattamente, quello della comunicazione.

Comunicare è, sin dall'antichità, il prendere il pasto in comune.

Ma nella comunicazione qual è il pasto in comune? È un cibo intellettuale. Ciò che avviene è un effetto di senso, di verità, di sapere.

L'anoressia, in questo senso, è la base della comunicazione, come dire che il cibo non è più sostanziale, ma intellettuale. A questo punto c'è la comunicazione.

Non da inconscio a inconscio come vorrebbe lo junghismo o il luogo comune per cui ci si può comprendere senza parlare, come una sorta di fluido che passa dall'uno all'altro.

Nella comunicazione non c'è una trasmissione della sostanza, un passaggio di sostanza. Con questo si può dire che non c'è il "che cosa" si comunica. C'è comunicazione, vale a dire, c'è un cibo intellettuale di cui ciascuno avverte l'esigenza e di cui non c'è chi possa farne a meno.

 

ASSOCIAZIONE 9/1O/1992

 

 

La ripetizione è l'ancora della domanda.

Lacan intitolò il XX seminario 'Encore’. È l'ancora della domanda, che domanda ancora, anche se lui attribuisce la questione al discorso isterico. "Ancora" è ciò che è strutturato dalla domanda, che domanda ancora, non che domanda qualcosa, "ancora questo", ma che domanda ancora nel senso che è strutturale.

Il ripetere fa il verso della ripetizione cercando di togliere l'ancora della domanda, come il domandare sempre la stessa cosa che vuole sbarazzarsi della domanda pulsionale, per non avvertire nulla di ciò che insiste come domanda pulsionale. È come immaginare che questo domandare possa giungere finalmente a qualcosa che possa togliere la domanda: è un modo per assordarsi.

Se la domanda è economizzata e rappresentata in questa sorta di ripetere è chiaro che anche il desiderio deve essere messo a tacere, nella supposizione che il desiderio possa avere un oggetto, un oggetto del desiderio, per cui desidero 'questo' e domando per ottenere 'questo'. In tutto ciò c'è una domanda, anche in questa operazione economicistica c'è una domanda pulsionale che tenta disperatamente di arginare, di non ascoltarsi, perché comporterebbe in questo domandare un' eco che confronta con il mio domandare e, quindi, con la mia domanda pulsionale. Infatti, il domandare è sempre rivolto all'altro perché si faccia carico lui di questa domanda e possa, pertanto, togliere la pulsione, ciò che mi muove. È chiaro che l'altro è sempre inadeguato alla domanda, non può rispondere, qualunque cosa faccia.

 

La difficoltà è di parola e comporta che le cose non possono dirsi, nel senso che non si può dire ciò che si vuole; la semplicità, invece, comporta che le cose si dicono, non perché qualcuno le dica, ma perché si dicono comunque, che lo si voglia o no.

"Semplice", etimologicamente, ha a che fare con la piega della parola. Come dire, che le cose sono semplici quando si avverte la piega che c'è nella parola.

 

Il significato è il fantasma, il passato.

Soltanto fuori del tempo il detto è pensabile come qualcosa di avvenuto, di fermo.

Il significato, come fantasma, è ciò che opera in ciò che si dice, è ciò che opera nel significante. È un operatore linguistico.

 

 

Associazione 23/10/1992

 

 

L'inconscio si dice parlando.

C'è un'economia del transfert, vale a dire i modi con cui si può tentare di gestire il transfert, questo itinerario intellettuale. Come? Arrestando l'itinerario. Lo arresta trovando un responsabile di questo itinerario, oppure un fine a questo itinerario, o, più semplicemente, significando una domanda o un'interrogazione attribuendo, per esempio, all'analista una fantasia.

      Ciò che Freud ha detto intorno all'economia del transfert è stato inteso come strutturale al processo del transfert, il che non è, perché il transfert non è la sua economia. Se fosse la sua economia sarebbe veramente una fesseria, o comunque sarebbe qualcosa per cui non ci voleva certo Freud per dirne.

 

Il sogno è un racconto, non dice di qualcosa che sta da un'altra parte.

 

Non c'è transfert se non c'è analista nel discorso che viene articolato. Non va per nulla da sé che ci sia del transfert.

Ciò che avviene quando, per esempio, una persona si trova a fare una domanda di analisi, è in prima istanza il trovarsi a confrontarsi con una domanda che questiona, che non lascia tranquilli. Cosa avviene? Avviene ciò che è già avvenuto: l'analisi si svolge per moltissimo tempo ripetendo le cose che si sono sempre ripetute nella propria esistenza fino a che non ci si accorge di qualcosa. Ciascuno non ha altri elementi che questi, quindi continua a ripetere la sua storia, la sua vicenda, le sue paure, le sue fantasie, le sue fobie, ecc. Qui non c'è sicuramente transfert.

Se qualcuno resta affascinato dalla persona dell'analista, questo non è affatto transfert. È un'economia del transfert, un modo per eliminare la domanda, e in questo modo: supponendo che la propria domanda sia la domanda dell'analista, analista come determinazione oggettiva, quindi analista come oggetto della domanda. È un modo, e ciascuno lo fa secondo il modo che gli è più congeniale, per sbarazzarsi della domanda.

In questo caso, l'analista sarebbe la chiusura della domanda.

Il transfert si avvia quando l'analisi diventa impersonale, cioè quando in analisi non c'è più nulla di personale, nulla di personale anche nei confronti dell'analista, nel senso che non si tratta più di persone ma di un discorso. L'analista non è più qualcuno.

Questa è la condizione perché si giunga al transfert: che l'analisi giunga all'impersonale. Come dire, che le cose che sembrano riguardarmi non mi riguardano più perché non c'è più un soggetto che sostenga queste questioni o a cui possano ricondursi. Non sono più io, come soggetto, che parlo, che faccio, ma qualcosa parla, qualcosa dice, qualcosa fa. Questo è il volgersi all'impersonale.

'Persona', come sapete, indicava la maschera. Poi, è stato assunto, per antonomasia, per indicare qualcuno.

La maschera è impersonale nel senso che dietro questa maschera non c'è niente, o, se volete, altre maschere in un gioco infinito di maschere, dove ciascuna maschera è presa in un'alterità.

Se le questioni sono personale non c'è transfert. C'è rappresentazione, fascinazione, immedesimazione, ma non c'è transfert. Cioè, l'itinerario di parola, l'itinerario intellettuale, non c'è perché è arrestato da questa oggettivazione dell'oggetto. Se l'oggetto è bloccato non c'è più itinerario.

Ciascuna analisi comincia con il personale. Poi, man a mano, c'è l'eventualità di accorgersi che il personale non è affatto personale, ma riguarda un discorso, un itinerario.

 

 

ASSOCIAZIONE 4/11/1992

 

 

L'enigma è ciò che non si offre a una traduzione, a una interpretazione. È la cifra.

Enigma della Sfinge: qual è l'animale che alla mattina cammina con quattro zampe, di giorno con due e la sera con tre? L'uomo.

 

La nozione di luogo è una nozione metafisica. Indica l'estensione, l'estensione fatta di punti, punti che devono essere identici perché possa esserci estensione. Si diceva, altre volte, che non c'è progresso in quanto non c'è il punto, né di partenza né di arrivo. Il punto, semmai, è gettato innanzi.

Il luogo comporta un insieme chiuso di punti.

Il luogo comune presuppone che ci sia qualcosa di localizzato e partecipato.

La spazialità procede dalla misurabilità delle cose.

 

La scena è lo sfondo, l'assenza di fondo. Come dire, che la scena non ha un fondo, propriamente, se non uno squarcio che è costitutivo di questa scena. Lo squarcio non è qualcosa che consente di vedere al di là dello sfondo per cui c'è un altro fondo, ma è uno squarcio che costituisce questa scena. Questa scena è fatta di questo squarcio.

Come i quadri di Fontana. La scena è questo squarcio.

 

L'oggetto è il sembiante, l'individuo, ciò che non è diviso.

Per intendere la questione dell'oggetto si può leggere l'elaborazione intorno alla nozione di numero, quindi, di Peano, di Russel, di Frege (il numero come l'oggetto della matematica).

Oppure, intorno alla nozione di dio nella teologia. E, allora, occorre leggere Agostino, Gregorio di Nissa, San Tommaso (De ente et essentia). L'oggetto per la religione è dio, per la matematica il numero, per la linguistica è il fonema.

 

L'Altro riguarda l'altro tempo, l'altra scena. Poi, c'è un'alterità che risente dell'altra scena, dell'altro tempo.

C'è un'altra accezione, il significante che è altro da sé. Non è l'alterità di cui si parla come altra scena. Il significante differisce da sé in quanto resiste. Resistendo, comporta adiacente un nome. Adiacente a un significante che resiste c'è un nome.

È improprio parlare di alterità rispetto al significante.

Per intendere la nozione di altro così come è giunta nel discorso occidentale occorre leggere il Sofista di Platone, dove dice, a un certo punto, che dell'alterità assoluta ci siamo liberati per sempre. Il che è falso, non ce ne siamo liberati per nulla. Dice che c'è una "diversità", per cui l'Altro, che i Sofisti indicavano come alterità irriducibile per cui non c'è possibilità di comunicazione, diventa il diverso.

 

Lo sguardo è un aspetto dell'oggetto, Dioniso, ciò che resiste, ciò che inquieta. Lo sguardo è ciò che fa da ostacolo all'immagine, cioè l'immagine risulta non piena, non tutta, incontra un ostacolo, il punto. L'immagine non è riproducibile, non è economizzabile. Ciò che fa da ostacolo ciascuna volta all'immagine è, appunto, lo sguardo. Sguardo come punto di fuga, non come punto di vista, cioè, dove le cose fuggono, risultano imprendibili. Invece, il punto di vista sarebbe il punto panoramico da cui si vede tutto

 

Il "soggetto supposto sapere" per Lacan funziona come una sorta di fascinazione: l'analista sa tutto di me e, quindi, è chiaro che se riesco a impossessarmi di lui mi impossesso di tutto ciò che mi riguarda.

Verdiglione riprese questa nozione in un altro modo dicendo che il soggetto supposto sapere è ciò che interviene nell'analizzante come propria supposizione. Vale a dire, che, a un certo punto, incontra rispetto a sé un soggetto supposto sapere, come se immaginasse sé come soggetto supposto sapere. Poi ha abbandonato la cosa.

Nel discorso isterico il soggetto supposto sapere viene cancellato perché, identificando il mentitore, se costui mente non c'è più la supposizione. Il discorso isterico non dà credito all'altro di nessun sapere perché è l'isteria che lo attribuisce, ma controllandolo, per cui è sempre suo, non è mai dell'altro. Può anche dirglielo, magari per prenderlo in giro, ma non ci crede mai.

La fascinazione non è il transfert, è la sua negazione. Sarebbe il rapimento: l'idea di essere portati via con violenza da una posizione iniziale e di non poter opporre nulla a quanto sta avvenendo.

Che cosa rapisce? Non c'è nulla che rapisca, ma questo è il modo con cui si avverte che qualcosa trae a sé, che non è localizzabile. Ciò che trae a sé è ciò che incontra lungo la parola. Non c'è assolutamente nulla fuori della propria parola che attragga. Se è ritenuto fuori della parola, allora, può diventare qualcosa o qualcuno e, quindi, questo elemento diventa il garante di sé, deve rispondere di sé. Sarebbe la posizione dell'amante. L'amante è l'altro, l'altro tempo. Fare di qualcuno l'amante comporterebbe il fare della scena un oggetto immobile.