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1. PROCEDURA

       

                                 

Una procedura linguistica non può essere definita fuori da se stessa. Dicendo "la procedura linguistica è questo" la procedura linguistica è già in atto. In questo senso non può definirsi se non come ciò che è sempre, necessariamente già in atto. Con essere in atto di una procedura linguistica dobbiamo intendere ciò che sta avvenendo, qualunque cosa sia. In questo senso qualunque cosa accada non può non essere una procedura linguistica. Se qualcosa accade, allora questo qualcosa è una procedura linguistica.

Una procedura è ciò per cui "qualcosa accade".

Dire che un elemento significa qualcosa è attribuire a questo elemento un senso. Non è possibile dire che cosa un elemento significhi senza che si dia già un significato di quell’elemento, poiché quell’elemento è già nella combinatoria linguistica, e quindi è un elemento linguistico, e quindi in quanto tale già significato. Una procedura linguistica dice che un elemento, qualunque elemento, è un significato, cioè è un elemento linguistico. Ciascun elemento è necessariamente un elemento linguistico o è nulla. Come qualunque cosa.

Un significato è ciò per cui ciascun elemento è quello che è.

Dire "è quello che è" afferma una procedura linguistica che afferma che ciò che è non può non essere, perché se non lo fosse, l’affermare che qualcosa è, non potrebbe farsi.

Le procedure linguistiche sono soltanto quelle senza le quali il linguaggio cesserebbe di esistere. Senza le quali non sarebbe mai stato. Dire che qualcosa ha un significato o dire che è un elemento linguistico è la stessa cosa. Dire che qualcosa ha un significato risulta pleonastico, perché se ha un significato allora è, un significato, cioè è un elemento linguistico. Un elemento linguistico non può "avere" un significato perché se è un elemento linguistico non può non averlo, in alcun modo. Per questo è un significato. Anche il lessema "significato" è un significato in quanto è un elemento linguistico.

Consideriamo il lessema "murpesso", non esiste in nessun dizionario, è un significato? Lo è in quanto interviene in ciò che si sta dicendo ed è, in quanto si è detto, identico a sé, e non può essere altro da sé, in questo è un atto linguistico, e in quanto atto linguistico, "murpesso" è un significato. Che cosa significa? Se stesso, come ciascun elemento linguistico. Con "significare se stesso" intendiamo che è una procedura, cioè semplicemente il prodursi dell’atto linguistico. Riprendendo una questione avanzata in precedenza, diciamo che il significato è il prodursi dell’atto linguistico, e il senso, ciò che questo prodursi, produce.

Intendiamo con procedura esattamente il prodursi dell’atto linguistico, il suo accadere. Una procedura è ciò che non può variare ma consente la variazione, la rende possibile. Se la procedura variasse, il linguaggio si dissolverebbe.

Consideriamo i tre principi aristotelici tenendo conto di quanto detto fino a qui:

(a ) Principio di identità: ciascun elemento è necessariamente se stesso in quanto dicendosi si produce, ma per dire che si produce occorre che possa dirsi, e dicendosi si dice in un modo. Ma siccome si dice, allora necessariamente si dice in quel modo e non in un altro. In caso contrario non potrei dirlo, direi sempre altro, ma allora come saprei che dico altro se qualcosa non varia, perché sarebbe altro rispetto a che?

(ß) Principio di non contraddizione: non può affermarsi che ciascun elemento sia stesso e non sia se stesso. Affermando un qualunque elemento, non posso affermare simultaneamente anche il contrario, per potere affermare il contrario di qualcosa occorre che qualcosa si dia, sia cioè affermato. È il darsi di questo qualcosa che non può essere negato, se non dandolo già come affermato.

(g ) Principio del terzo escluso: se un qualunque elemento si dà nella parola, allora non può darsi e non darsi. Qualcosa è un elemento linguistico o non lo è. Ma se non lo fosse non potrebbe darsi in nessun modo e pertanto non potrebbe porsi la questione, ma se si pone, allora è necessariamente un elemento linguistico, e pertanto si dà in quanto, dicendosi, non può negarsi se non dicendosi.

Questi principi costituiscono le condizioni del funzionamento del linguaggio, e sono ciò che abbiamo indicato come procedure. Intendiamo con "funzionamento del linguaggio" la sua stessa esistenza, nel senso che se ne stiamo parlando, allora sta funzionando.

Consideriamo ora un qualunque discorso che si stia facendo. Questo discorso ha un senso, cioè produce altre proposizioni, cioè altri discorsi implicati dal primo. Ora dobbiamo considerare due aspetti, il primo riguarda il fatto che questo discorso che si sta facendo esiste nella parola, in altri termini esiste in quanto ciascun elemento che lo compone è identico a sé ed esclude il suo contrario dicendosi, in secondo luogo l’implicazione che produce altre proposizioni non può affermare null’altro che o un tópos logico, oppure un tópos retorico. Il luogo logico è dato dal funzionamento delle sole procedure linguistiche, che non affermano null’altro se non che ciascun elemento è esattamente ciò che è, vale a dire che è ciò che si sta dicendo. Il luogo retorico è dato dalla variazione del luogo logico su cui si supporta e di cui necessariamente prevede e constata l’esistenza.

L’affermazione "se p allora q", logicamente, nell’accezione di logica che stiamo proponendo, non comporta né ha assolutamente alcun senso, se non il fatto che questa affermazione è stata fatta, e che pertanto è un atto linguistico, e in quanto atto linguistico comporta necessariamente un significato, cioè una procedura. L’affermazione "se p allora q", retoricamente, nell’accezione di retorica che stiamo proponendo, ha un senso in quanto produce, da due elementi p e q, un terzo elemento e cioè "se p allora q". Questa produzione è ciò che chiamiamo senso e cioè, propriamente, una variazione rispetto ai due elementi p e q. Ma la proposizione "se p allora q" è soltanto una variante di procedure linguistiche? Parrebbe, e comunque per il momento non possiamo affermare nulla più di questo. Qual è il senso della proposizione "se p allora q"? Sarà la proposizione r, cioè "se, se p allora q, allora r", e così via. Il "e così via" indica la ricorsività di questa operazione.

Con ricorsività di un’operazione intendiamo allora il prodursi di una proposizione sempre e necessariamente dalla, o dalle proposizioni che precedono. Ma ciascun elemento procede sempre e necessariamente da se stesso in prima istanza, e quindi la recursione comporterà sempre e necessariamente la proposizione che afferma che "se p allora p", e se p allora p, allora anche altre cose, per esempio "se p allora q". Chiamiamo la prima una procedura, la seconda una regola, essendo la prima necessaria, la seconda no.

Ma il linguaggio funziona in questo modo? Che cosa ci stiamo chiedendo esattamente? Occorre tenere conto che stabiliamo soltanto proposizioni che non possono essere negate, e che pertanto, date a ß e g , occorre accogliere la recursione come necessaria al funzionamento del linguaggio. Consideriamo ß: "Principio di non contraddizione: non può affermarsi che ciascun elemento sia stesso e non sia se stesso. Affermando un qualunque elemento non posso affermare simultaneamente anche il contrario, per potere affermare il contrario di qualcosa occorre che qualcosa si dia. È il darsi di questo qualcosa che non può essere negato, se non dandolo già come affermato. In questo senso un elemento, un qualunque elemento, per potere darsi deve essere già dato. Intendiamo con questo la nozione di ricorsività".

Con questo diciamo che il senso di una proposizione è ciò che è da questa implicato? Nelle proposizioni 1.28 e 1.29, dicevamo così dell’implicazione: Risulta annotata con "segno" la struttura stessa dell’implicazione, cioè la considerazione che se dico, dico necessariamente qualcosa. 1.29 Nell’implicazione "se p allora q, ciò che è necessario è unicamente il connettivo, che dice soltanto che se c’è l’antecedente allora c’è il conseguente. Cioè, ancora, "che io dica" implica necessariamente che dica qualcosa. Qualunque cosa io affermi, questa sarà quindi sempre necessariamente il conseguente di un antecedente. Questione non marginale, poiché questo mi consente di potere stabilire che questa affermazione procede da altre proposizioni che procedono da altre proposizioni senza potere in alcun modo potere arrestare questa regressio ad infinitum che, pertanto, mi mostrerà in questo modo la struttura del linguaggio e il suo funzionamento ricorsivo.

Allora che io affermi p, per la ß questo comporta necessariamente che io affermi che "se p allora p". Ma anche se affermo "se p allora q", ciò che affermo sarà necessariamente che "se p allora p" e che "se q allora q". La connessione tra p e q, stabilita dall’implicazione, non aggiunge logicamente nulla né a p né a q. Ma aggiunge retoricamente qualcosa, e cioè che io stabilisco che tra p e q c’è una connessione, e che questa connessione è un’implicazione. Come dire che la connessione tra p e q è assolutamente arbitraria, è cioè una variante. Pensare questa variante come una necessità logica, è esattamente ciò che definisce il discorso occidentale. Consiste in questo ciò che il discorso occidentale identifica come il "problema". Considerare una variante come se fosse una procedura linguistica comporta non soltanto il pensare questa variante come necessaria, ma anche e soprattutto pensare di potere variare le procedure linguistiche stabilendo, di volta in volta, ciò che è necessario. È questo è ciò che generalmente si intende con credere.

Così, se affermo che "se p allora q", ciò che affermo non stabilisce di per sé null’altro che l’esistenza di p e di q come atti linguistici, e pertanto l’affermare che "se p allora q" aggiunge un’implicazione assolutamente negabile. Per questo, scambiando una variante per una procedura linguistica, ciò che accade è una totale insoddisfazione della propria affermazione, che vorrebbe mostrarsi necessaria ma che risulta invece assolutamente arbitraria. Da qui un certo smarrimento, nel constatare la non padroneggiabilità del linguaggio.

Affermo "se p allora q", ma se cerco di stabilire la necessità di tale implicazione questa mi rimanderà sempre a se stessa. In questo senso dunque sono rinviato al punto di partenza, e cioè per stabilire tale implicazione devo riaffermarla così com’è, né posso fare altrimenti. Di nuovo, la recursione mi dice soltanto che affermando "se p allora q", ciò che si stabilisce è che sia p che q sono atti linguistici. Se questa via è dunque sbarrata dalla regressio ad infinitum e dalla petitio principii, un’altra via si apre. E precisamente quella che considera tali nei termini, e soltanto nei termini in cui non possono non considerarsi. Quali sono questi termini? Sono termini acquisiti con l’esercizio, l’esercizio sofistico di condurre, per via di recursione, ciascuna inferenza alla constatazione dell’atto linguistico che è, e delle procedure di cui è fatto e di cui si fa per produrre sì, retoricamente altre proposizioni, ma proposizioni che non possono essere considerate "logicamente necessarie" ma delle varianti, e cioè il senso che le procedure linguistiche istituiscono. Questo senso non essendo altro che un’altra proposizione costruita arbitrariamente e cioè, nel senso precisato più sopra, ciò che ho deciso di stabilire che sia. Come se fosse un’opera d’arte. E come tale, forse, può considerarsi.