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COMUNICAZIONE VS SOLITUDINE

 

8-6-1999

 

 

Allora questa sera il tema riguarda la comunicazione e la solitudine, dopo vari interventi che abbiamo fatto a proposito delle controversie dialettiche. Nelle controversie dialettiche abbiamo utilizzato questa modalità alla moda dei Sofisti, cioè provare assolutamente vera una tesi e in seguito provare assolutamente vera la contraria, così come è sempre possibile fare rispetto a una qualunque affermazione. Dunque la comunicazione, incominciamo dalla comunicazione, sapete benissimo che ultimamente la comunicazione ha avuto e ha un carattere preponderante nelle relazioni umane, l’ha sempre avuta ma ultimamente sempre di più. Taluni si sono chiesti se la comunicazione è possibile oppure no, soprattutto alcuni vicini a una scuola francese, Derrida, per esempio, chiaramente per sapere se la comunicazione è possibile oppure no pare sia utile sapere che cosa sia la comunicazione, e quindi definirla ovviamente, ma accade così come sempre accade, che la definizione che si dà, in questo caso di comunicazione, vincolerà la risposta alla domanda se la comunicazione è possibile oppure no, intendo dire che se io definisco la comunicazione in un certo modo allora la comunicazione è possibile, se definisco la comunicazione in un altro modo allora non è possibile. Ma chi mi autorizza a definire la comunicazione in un modo oppure in un altro, nessuno ovviamente, posso definirla come mi pare, dal momento che trovarsi a trarre la definizione ultima, definitiva di una qualunque cosa, diventa arduo, perché sarà sempre possibile costruire un discorso nel quale si prova che la comunicazione è altro da ciò che si è stabilito, per cui generalmente ci si attiene alla definizione più comune, più corrente. Come definire in modo molto sommario la comunicazione? Non è soltanto uno scambio di informazioni, se si intende la comunicazione come ciò che avviene fra gli umani, certo se ci si limita soltanto a uno scambio di informazioni allora certo, due macchine possono comunicare fra loro, però generalmente si suppone che nella comunicazione fra umani avvenga qualcosa di più che uno scambio di informazioni, anche se per tali altri invece la stessa comunicazione fra gli umani è uno scambio di comunicazione, uno scambio di comunicazioni che altera un sistema precedente; l’aggiunta di nuove informazioni modifica almeno uno dei due elementi. Supponiamo che la comunicazione sia qualcosa del genere, uno scambio di informazioni che comporta la variazione di un sistema, proviamo a considerare dunque questa definizione e vediamo che cosa ne esce, attendendoci a questa definizione è possibile la comunicazione? È possibile cioè che fra due elementi avvenga uno scambio di informazioni? Certo così d’acchito verrebbe di rispondere di sì, che è possibile. Però se rispondiamo di sì, possono sorgere dei problemi, in effetti qualcuno potrebbe domandare come so che c’è stato una trasmissione di informazioni? Come so che il sistema si è modificato? Soprattutto che si è modificato in seguito a delle informazioni? Posso fare delle prove certo, delle controprove, però, però rimane sempre una domanda circa il saper intorno a tale modificazione, alla quale difficilmente si riesce a dare una risposta. Chiaramente per sapere che c’è stata una modificazione devo sapere ciò che prima non era modificato, solo a questa condizione posso stabilire che c’è una variante, dunque devo sapere come sta un certo stato di cose, ma se nella pratica corrente quotidiana questo non comporta nessun problema per una riflessione logica questo può comportare dei problemi, come so che una certa cosa è in un certo modo? Perché me lo dicono, perché lo esperisco? Perché lo deduco? In tutti questi casi la fonte dell’informazione è suscettibile di essere messa in dubbio, sempre, c’è l’eventualità che di fronte a una riflessione logica molto rigorosa queste prove, cosiddette, non siano accolte, io esperisco in un certo modo e quell’altro può dire "io esperisco in un altro". La prova come è noto non prova un granché, prova soltanto che si è eseguito correttamente una certa procedura, niente più di questo. Potrebbe dunque risultare assai arduo stabilire l’esistenza della comunicazione, cioè trasmissione di informazioni, dal momento che non posso stabilire con assoluta certezza quali sono le informazioni che possiedo, né pertanto se e come si sono modificate, tuttavia, tuttavia se intendo sempre comunicazione così come l’abbiamo proposta questa definizione, allora chiaramente se vi dico queste cose, è perché parto dal presupposto che vi sia comunicazione se no non sarei qui, e cioè che le cose che dico in qualche modo vengano recepite da chi mi ascolta, accolte in un modo o nell’altro, questo non ha nessuna importanza ma che ci sia un riscontro, e questo riscontro è ciò che mi consente di affermare che c’è comunicazione e cioè che io ho trasmesso degli elementi che sono stati recepiti, in quale modo non ha nessuna importanza, ma sono stati recepiti, certo non posso sapere se le cose che io dico sono colte esattamente nel modo in cui io intendo, questo certamente no, però qualcosa accade in chi ascolta, il fatto che qualcosa accada è sufficiente a stabilire che c’è stata comunicazione, anche se, effettivamente, la logica va più cauta però in questa cautela c’è della comunicazione, e cioè una trasmissione di informazioni, la logica per potere dire, affermare che l’enunciato "ho percepito delle informazioni" è un non senso, per esempio, deve potere intendere che cosa io ho affermato, se no non lo può affermare, se l’intende allora c’è comunicazione, come accade in moltissimi casi si accolgono degli elementi che non sono altro che regole del gioco, ma che non sono dimostrabili. Come spesso racconto agli amici affermare che quattro assi valgono più di due sette, io l’affermo, è una regola del gioco, ma non è dimostrabile, è una regola, si è stabilito così. Dunque chiedersi intanto se la comunicazione esiste oppure no, minaccia di porsi come non senso, diciamo che si accoglie una certa definizione di comunicazione come regola di un gioco, un gioco in cui si parla di comunicazione, se io parlo di comunicazione le persone che mi ascoltano hanno un’idea di cosa sto dicendo, così come se dico che ho quattro assi, chi gioca a poker con me ha un’idea di quello che sto dicendo, soprattutto se ha due sette, però non mi chiederà di provare che quattro assi sono più di due sette, ché anche lui ha accolto la stessa regola. La stessa questione può porsi in questi termini riguardo alla cosiddetta solitudine, questione antica come sapete, sensazione questa, anche la comunicazione talvolta è una sensazione e molti in assenza di comunicazione si sentono soli, si sentono soli laddove come spesso accade non c’è nessuno con cui parlare, perché è possibile trovarsi in mezzo ad un sacco di persone ma se non c’è qualcuno con cui parlare ci si sente soli, così accade generalmente, perché è la parola che consente di instaurare la comunicazione appunto e quindi eludere la solitudine, ho parlato della solitudine come della impossibilità di parlare con qualcuno e in effetti generalmente si intende così, nessuno con cui parlare, per esempio, che sia una persona oppure no, questo …è ovvio che la stessa persona può essere il proprio interlocutore, in questo caso, in questo caso avviene che la solitudine non la proverà mai perché comunque ha sé come interlocutore. Questione questa non marginale, essere il proprio interlocutore, e non semplicissima spesso, dal momento che il più delle volte le persone, cercano di evitare il dialogo con sé, con i propri pensieri, anche perché i propri pensieri quando si affacciano mostrano sempre l’aspetto peggiore e cioè le cose che non funzionano, non vanno, si preferirebbe non averle sottomano e invece sono sempre queste che si affacciano, da qui la necessità di divertirsi, cioè letteralmente di-vertere da un’altra parte. Dunque dicevo il dialogo con se stessi può in alcuni casi risultare fondamentale ma talvolta è arduo, soprattutto ultimamente sembra che ci sia una notevole difficoltà ad incontrare i propri pensieri e quindi la necessità di di-vagare, di-vertirsi continuamente. Chi spesso si trova solo con i suoi pensieri avverte la solitudine ma avverte la solitudine in quanto rifiuta di parlare con sé, come se le cose che ha da dirsi, da dire, non fossero praticabili il più delle volte o dure a pensarsi, pertanto cessa questa sorta di dialogo con sé, il pensiero che pensa sé stesso, da qui la solitudine. Solitudine che nel luogo comune è considerata fra le cose peggiori che possano capitare sentirsi soli, con tutto quanto questo generalmente si porta appresso, sentirsi rifiutati, non amati, non considerati ecc. in assenza del proprio pensiero c’è l’esigenza del pensiero dell’altro poi non è che il pensiero dell’altro lo si riscontri così interessante però in ogni caso aggira il proprio. Il pensiero dell’altro anche se non ha nessun interesse, se è assolutamente contrario al nostro, per esempio, ci fornisce comunque l’occasione di cominciare a muovere obiezioni, a dire che "invece no" oppure che dice delle sciocchezze, in ogni caso dà da fare, dà da fare intorno a cose che non ci riguardano strettamente e questo è l’aspetto fondamentale. Ho parlato sia della comunicazione che della solitudine, ponendo l’accento sulla parola, per l’uomo la parola è assolutamente determinante, se non esistesse la parola non potrebbe neanche sapere di essere un uomo o una donna, a seconda dei casi, né di esistere perché non potrebbe dirselo, né di conseguenza un’infinità di altre cose, che non saprebbe mai, ma ho accennato all’inizio dicendo che la comunicazione forse non è soltanto una trasmissioni di informazioni o forse è una trasmissione di informazioni particolare dal momento che nella conversazione quotidiana la pura e semplice trasmissione di informazioni per gli umani è un aspetto assolutamente marginale, il più delle volte è soltanto il pretesto, l’esca, per incominciare a parlare, per dire, forse se si trattasse soltanto di trasmissione di informazioni ciascuno parlerebbe per pochi minuti al giorno poi avrebbe esaurito il compito e invece no si parla ininterrottamente. Ora una questione del genere ripropone una domanda che può risultare fondamentale e che domanda appunto il perché gli umani parlino, no? (Anziché no) la risposta più sensata a questa domanda è che parlano perché esiste il linguaggio, perché c’è la parola e se c’è la parola allora ciascun elemento è, direi per definizione, connesso con ciascun altro, come dire è agganciato ad un altro, ed è la parola il solo mezzo che gli umani hanno per accorgersi, come dicevo prima, che esistono, per potere dire che sono qualcosa, non importa che cosa, per dirsi una infinità di cose, per sapere una infinità di cose, ché altrimenti non saprebbero mai, come dire che esistono in quanto esiste la parola, che permette loro di affermare per esempio che io esisto. Provate a immaginare che questa parola non ci sia allora non potrei affermare "io esisto" né la questione stessa dell’esistenza potrebbe mai essere posta da nessuno, e dunque la questione non si porrebbe, né le cose sarebbero comunque oppure no, perché non ci sarebbe nessuno a porsi questa domanda e nessuno a rispondere e quindi la questione non esisterebbe, né potrebbe esistere. Tutto questo per dirvi della parola, dell’aspetto fondamentale che ha nell’esistenza e per l’esistenza degli umani i quali vivono, se volete proprio dirla tutta, in funzione del linguaggio che li fa esistere, e quindi tanto la comunicazione quanto la solitudine sono questioni che riguardano la parola. Vi dicevo che la solitudine è avvertita quando non c’è nessuno con cui parlare soprattutto nemmeno "se stessi" ovviamente, e allora è come se si arrestasse la parola. Se la parola si ferma c’è qualcosa di molto prossimo alla morte, ciascuno quando pensa alla morte in definitiva non altri termini per pensarla se non come un’assenza di parola, di immagine, di dialogo, non essendo mai stato morto, non ha molti elementi a disposizione, magari ha visto un morto ma non ne ha tratto un granché. Da ciò che vi sto dicendo emerge immediatamente che l’unico modo che la solitudine non solo esista ma non possa esistere in nessun modo è che possa darsi il dialogo con i propri pensieri, in questo modo che ci siano persone intorno a me o che non ci siano la parola non si ferma, prosegue, ma affinché la parola non si fermi occorre che io non abbia paura dei pensieri con tutto ciò che questo comporta, che questi comportano, che non abbia paura dei pensieri. La paura dei pensieri è il più delle volte il rifiutarsi di accogliere delle cose, dei pensieri, delle immagini, delle sensazioni, che per qualche motivo risultano o sgradevoli o intollerabili o penosi o duri a pensarsi, rinunciando a questi pensieri si rinuncia a una parte di sé, ovviamente, perché questi aspetti costituiscono una parte di me, anzi una buona parte, e quindi avvertirò comunque sempre non soltanto la solitudine ma anche una sorta di inadeguatezza, di mancanza, come se mancasse sempre qualcosa e in effetti manca qualcosa, manca qualcosa che non accolgo, che rifiuto. La sensazione dunque dell’impossibilità di parlare con qualcuno, di potere dire qualcosa a qualcuno è il fondamento della solitudine. Qualunque istituzione fa generalmente molto per evitare la solitudine costruendo molte cose per il cosiddetto "tempo libero" e cioè impedire che le persone rimangano sole con i propri pensieri, questo è avvertito come un pericolo non soltanto dalle persone ma generalmente anche dalle istituzioni, una persona che rimane sola con i propri pensieri, c’è l’eventualità che pensi, che incomincia a pensare a porsi delle domande e questo è sempre sovversivo, per qualunque istituzione, dicevamo proprio la volta scorsa o quella precedente, quando parlavamo della democrazia e dell’anarchia che il pensiero è sempre sospetto non il pensiero religioso quello che pensa secondo le modalità delle istituzioni vigenti, ma quello che incomincia a riflettere intorno alle condizioni stesse del pensiero, a questo punto si incomincia a pensare quando ci si domanda a quali condizioni io penso, cioè che cosa mi consente di pensare e dicevamo in quella occasione che la struttura che mi consente di compiere questa operazione che è nota come pensiero è il linguaggio, struttura fatta in modo tale che mi consente di compiere delle operazioni inferenziali attraverso il quale si svolge il cosiddetto pensiero, queste operazioni inferenziali sono procedure linguistiche e quindi se penso è perché esiste una struttura che me lo consente e questa struttura è il linguaggio e quindi posso pensare solo all’interno della struttura nota come linguaggio con tutto ciò che questo comporta, come dire che qualunque cosa io pensi, qualunque pensiero sarà un atto linguistico, qualunque pensiero in qualunque circostanza e per qualunque motivo io lo pensi, non sarà né potrà mai essere altro che un atto linguistico. Ecco cominciare a pensare in questi termini può portare molto lontani dal pensare chiamiamolo così "istituzionale" che invece indicavo prima pensare religioso, quello che immagina che esista qualche cosa che non è linguaggio, dio ha assolto generalmente a questa funzione. Accennavo la volta scorsa a un testo di Tommaso il "de ente et essentia" Tommaso era un buon pensatore e si accorge molto bene del fatto che ciascuna cosa è un atto linguistico però deve salvare dio, e quindi quando si trova nella mala parata compie una sorta di escamotage, una sorta di deus ex machina che interviene a dire che non è possibile che sia solo linguaggio perché se no ci sarebbe una regressio ad infinitum, per esempio, e allora, già però, però rimane che la questione fondamentale di cui stiamo dicendo questa sera intorno alla solitudine che generalmente è avvertita come assenza di comunicazione e neanche del tutto a torto se si intende la comunicazione come la possibilità della parola, o più propriamente a questo punto potremmo indicare con comunicazione lo svolgersi della parola, lo svolgersi del discorso nient’altro che questo, e allora sì certo l’idea che il discorso possa arrestarsi perché di fronte a una certa cosa appare impossibile proseguire, ecco questo può creare notevoli problemi e la necessità la ricerca immediata di qualche cosa che svii, che diverta, che sposti da questi pensieri cioè di una eventualità di un arresto della parola, generalmente dicevo prima si cerca qualcuno in modo da appoggiarsi alla sua parola, sempre per evitare la propria generalmente. In buona parte per esempio un itinerario analitico ha questa funzione cioè consentire a una persona di potere parlare con sé, senza fuggire i propri pensieri, senza soprattutto averne paura e soprattutto accogliendone la ricchezza questo occorre che sia. Intendendo con pensiero sempre ciò che indicavo prima e cioè una elaborazione intorno alle sue stesse condizioni non, per esempio, alla verifica se un certo discorso una certa cosa è vera o è falsa, non è questo che interessa in nessun modo, visto che ciò che è vero o falso lo stabilisco io, in base a criteri che io ho scelto, e che pertanto posso cambiare quando mi pare come accade. Pensavo tempo fa ad alcuni che immaginavano in termini forse un po’ ingenui che la grande diffusione della rete globale, di Internet avrebbe consentito la costruzione e l’instaurazione di una sorta di villaggio globale in cui ciascuno avrebbe avuto a disposizione una quantità enorme di informazioni da parte di chiunque e quindi non sarebbe più stato possibile controllare le informazioni, non è così ovviamente dal momento che tali informazioni occorre che qualcuno le metta in rete e chi lo fa non è sempre necessariamente così immune dal suo pensiero, penserà in un certo modo pertanto le informazioni che darà saranno vincolate al modo in cui pensa, esattamente come avviene in qualunque telegiornale, le informazioni che ricevete dal telegiornale o dal giornale o qualunque fonte di informazione è vincolata a chi ve le fornisce, il modo in cui si pone, le cose che stabilisce che occorre che voi sappiate, naturalmente la rete cosiddetta è una notevole agevolazione nella comunicazione, questo è fuori dubbio e ha un’infinità di meriti ma non si può aspettarsi che fornisca ciò che nessuno può fornire e cioè la realtà delle cose dal momento che la realtà è una costruzione linguistica e ciascuno la costruisce a partire dalle proprie fantasie o da come immagina che le cose siano, così ve le fornisce, nelle migliori delle ipotesi chiaramente, e non avviene quasi mai generalmente, sono fornite in base a dei criteri prestabiliti molto precisi, che poco hanno a che fare con ciò che si è visto per così dire. Se c’è qualcuno intanto che vuole intervenire intanto proseguiamo come facciamo spesso sotto forma di conversazione, di dibattito, ho introdotto l’argomento possiamo discuterne, certo….

Intervento: si può parlare di comunicazione e non di informazione solo e esclusivamente con se stessi?……

No io non ho apertamente affermato questo, l’ho posta così come una delle cose che generalmente vengono pensate. No, noi possiamo stabilire con comunicazione lo scambio che avviene tra le persone oppure stabilire che comunicazione è soltanto uno scambio che avviene fra computer, per esempio, basta che stabiliamo un criterio, dal momento che non potremmo mai dare una definizione ultima e definitiva di comunicazione sarà sempre e comunque una definizione suscettibile di modifiche ché salta uno su e dice "no per me la comunicazione non è questo è quest’altro" non possiamo dargli torto (lei diceva scambio di comunicazione con qualche cosa in più) infatti alludevo a un altro elemento di cui ho parlato dopo il fatto che gli umani non parlano soltanto per scambiarsi un’informazione, anche, ma il più delle volte è soltanto un pretesto per parlare, perché non possono farne a meno come dire che al momento in cui ci si trova nel linguaggio non è più possibile uscirne e non è più possibile non parlare, comunque si parla ininterrottamente nel senso che si pensa, si immagina, si ricorda, si fanno miliardi di operazioni ininterrottamente ma non ho dato, ho proposto una definizione così giusto per parlarne, come qualunque definizione si dia, questa definizione è sempre suscettibile di modificazioni addirittura di confutazione come dire che non è affatto così, perché non gli piace, va bene, tutto sommato, se io affermo che la comunicazione è ciò che affermo fra gli umani, posso anche sostenerlo però rimarrà sempre comunque arbitrario, posso affermare che la comunicazione è solo fra gli umani perché soltanto gli umani possono parlare e quindi dire che è una comunicazione, al di fuori di questo non c’è né comunicazione né non comunicazione, non c’è nulla, e quindi se c’è comunicazione ci sono degli umani che la chiamano così, per esempio, oppure posso negare una cosa del genere e dire che la comunicazione è qualcosa di più ampio che deve includere anche il linguaggio delle macchine, dipende da che cosa io di volta in volta stabilisco, sono delle regole per giocare possono essere cambiate, importante è come avviene in alcuni casi dichiararle, come fanno per esempio i logici, che in ogni caso sono costretti a dichiarare quali regole usano per giocare e allora dicono intendo con implicazione questo, in modo che chi legge il loro testo sa che con implicazione indicano quello e non altro, esattamente come si fa in un gioco, quando uno fa un gioco nuovo spiega le regole per giocare se no non può giocare. Se uno mi parla di implicazione e io non so cos’è andremo poco lontani, posso dire che cos’è l’implicazione però, posso dire che generalmente si intende una certa cosa, deve sempre esserci un altro che allarga o restringe il campo della definizione oppure definisce in tutt’altro modo, sempre andare cauti quando si definisce qualche cosa, lo si definisce con la regola "io intendo questo" quindi nel mio discorso viene usato in questo modo, siccome io posso usarlo come mi pare per ascoltare il mio discorso, però io qui lo uso in questo modo, e allora è possibile proseguire se no, se non si sa con quali regole sto giocando, sarà difficile si segua un discorso…

Intervento: sì io sono venuto qua questa sera attratto dal sofista, che è quello che mi ha invogliato….so che erano delle persone avversate dalla filosofia ufficiale e d’altra parte che erano i detentori della cosiddetta verità. Vorrei capire l’essenza del sofista…

Come lei diceva giustamente i sofisti erano quegli strani personaggi che un paio di migliaia di anni fa giravano per le piazze, e per mostrare la loro abilità un giorno persuadevano la cittadinanza della verità di una certa tesi, persuadevano tutti, il giorno dopo tornavano e persuadevano esattamente del contrario. Ora insegnavano chiaramente questa tecnica che era nota allora come oggi come eristica cioè l’abilità di costruire discorsi che si annullano fra loro. Insegnavano questo modo di fare ai giovani, facendosi pagare anche bene, chiaramente insegnando ai giovani che cosa? per esempio che qualunque cosa si definisca, questa definizione è assolutamente arbitraria. Lei immagina subito che una istituzione che viene fondata su una serie di certezze, credenze, e cose salde che non devono essere messe in discussione, per esempio, la necessità dello stato, la necessità delle leggi, non possono essere messe in discussione, se no lo stato crolla, se una persona insegna una cosa del genere diventa una minaccia, soprattutto se questo insegnamento viene diffuso fra i giovani, i quali cresceranno come sovversivi anziché come bravi cittadini, obbedienti alle leggi e allo stato, non obbediranno né alle leggi né allo stato, perché faranno domande alle quali né il legislatore né il politico sapranno rispondere e quindi creeranno dei problemi e per questo i sofisti venivano cacciati in malo modo e poi si estinsero in effetti tranne una breve comparsa intorno al II, III secolo, se no non c’è più stata traccia di loro, sono scomparsi…detentori della verità? ma la verità che ritenevano era una verità un po’ particolare, la verità è ciò che ciascuno pensa che sia, e questa per esempio è una affermazione che può essere pericolosa, per una istituzione che invece vuole avere il monopolio, istituzione con le sue propaggini che sono la chiesa e l’esercito. Vuole avere il monopolio della verità come qualunque religione, una religione come quella cattolica non può ammettere che la verità sia altro da ciò che lei dice che sia, non lo può fare, non lo può fare perché lei stessa, la religione, si dissolverebbe. Immagini che Papa Giovanni II affermi coram populo, che dio non è la verità, creerebbe qualche scompiglio, dal momento che lui stesso pare abbia affermato io sono la verità e la vita, ecco ciò che insegnavano e insegnato tutt’oggi i sofisti è che questa verità è assolutamente arbitraria, a meno che con verità si voglia intendere ciò che necessariamente è e non può non essere, come già Aristotele aveva cercato di stabilire (la verità?) come ciò che necessariamente è e non può non essere. Il pensiero occidentale ha abbandonato da tempo la ricerca della verità in quanto tale perché si è arreso, nel senso che non l’ha trovata da nessuna parte, però se con verità intendiamo questo e cioè come dicevo ciò che è ed è necessariamente, allora non può essere nient’altro di ciò che è la condizione per poterne parlare di verità e cioè che gli umani in quanto parlanti parlano, per esempio, una proposizione banalissima ma non negabile perché in qualunque modo io cerchi di negarla comunque lo farò attraverso ciò stesso che dico di voler negare, però questo significante "verità" non è che poi sia così necessario né interessante e neanche importante. Lo è stato, perché chiaramente qualunque pensiero ha sempre cercato di appoggiarsi su qualcosa che fosse sempre molto solido in modo che altri non potessero smontarglielo così almeno da duemila anni a questa parte e invece così non è stato è sempre sorto qualcuno che ha dimostrato il contrario o almeno ha mostrato una falla nella prova del primo, sia nella filosofia sia nella logica ovunque, ecco dunque il sofista il quale mostra che qualunque definizione, che la comunicazione in quanto tale non significa niente, la comunicazione è ciò che io dico che è, ciò che io stabilisco, cioè non è altro che una regola per giocare, intendiamo con comunicazione questo o parliamo di dio? Allora intendiamo con dio, questo. Parliamo di bene? Certo, allora intendiamo con bene questo…sono soltanto delle regole del gioco, io stabilisco questo perché ne possiamo parlare ma sono comunque sempre necessariamente e inesorabilmente definizioni arbitrarie non necessarie che io stabilisco, esattamente così come stabilisco che quattro assi valgano più di due sette, CAMBIO CASSETTA chi altri vuole intervenire? Mai avvertito la solitudine? (…) l’ha avvertita certo, non è proibito ma neanche obbligatorio, è facoltativo anche se in alcuni casi sembra inevitabile però, ecco forse occorrerebbe accorgersi che è facoltativo e questo può essere difficile così come lo stare male non è necessario, è facoltativo chi vuol stare male può farlo, chi vuol stare bene può fare anche questo. È vero Cesare?

Intervento: non è neanche così negativa

Non è negativa né positiva (soprattutto se si sconfigge la paura di pensare) sì certo. Sì pensare in effetti, se condotto alle estreme conseguenze porta a questo cioè proprio alle sue stesse condizioni, sono queste considerazioni che poi ci hanno condotti ad affermare che è il linguaggio la condizione, certo, altri si sono accostati alla questione non in termini così estremi, altri però l’hanno colta, già De Saussure per esempio, Wittgenstein, e altri ancora. Sì certo non è nulla di negativo, anche se c’è un’industria fiorentissima contro la solitudine, l’industria del divertimento, la stessa televisione ….ci sono molte persone che arrivano in casa e accendono il televisore, per non sentirsi soli, poi non è che guardano ascoltano, questo rumore di fondo, come se ci fosse qualcuno…..

Intervento:

sì è vero anche questo dipende da che cosa intendiamo di volta in volta, adesso riferendomi all’industria che è sorta per eliminare la solitudine intendevo con solitudine ciò che per lo più viene fuggito, è chiaro che rimanere da soli con sé è la condizione in molti casi per accorgersi di esistere. Sandro?

Intervento: la solitudine come il bisogno dell’altro…nel dialogo con se stessi il proprio interlocutore non conferma mai, l’altro in un certo senso funziona come da specchio su cui si riflettono le proprie credenze, superstizioni e dal quale si cerca una conferma.

 

Si il proprio interlocutore non trova conferme ma trova rilanciate delle questioni, ciò che avviene talvolta che uno pensa una certa cosa poi si accorge che la pensa anche un altro, non si sente più solo perché siamo in due….. (...) certamente, sì (…) l’horror vacui degli antichi…..

Intervento: stavo pensando questo fatto di non aver niente da dire è forse paura di comunicare

In alcuni casi sì, non sempre, (...) sì la paura del giudizio dell’altro sempre, di sé, poi in definitiva, l’altro come giudice terribile, sempre cattivissimo, che appena dici delle cose è pronto a colpire, in genere anche se non lo si raffigura così però in qualche modo da sfondo c’è questa immagine di un giudice severissimo che poi sono sempre io, ché l’altro magari è lontanissimo da mettere in discussione….(il parlare con se stesso invece a volte dà…..io mi parlo molto e mi compiaccio molto) sì ci sono infiniti casi dove uno parla fra sé e sé e si conferma delle cose, certo sì. Uno può non parlare per infiniti motivi, preferire non parlare, perché non c’è nulla da dire rispetto a una certa cosa, non ha nulla da dire, ché preferisce non dirle per mille motivi, insomma una gamma sterminata di occasioni per cui preferisce non dire (io non dico delle cose perché non ho voglia di dirle e basta, senza….) sì è vero quello che dice e in buona parte è responsabile di questo un certo psicologismo che immagina che una persona che non dice delle cose, chissà quali motivi ci sono dietro o davanti, sopra sotto….non le dice perché non ha voglia di dirlo! (mi sembra quasi di criticare quello che lei dice….però certe volte si dicono delle cose come se rivelassero il verbo, non è mica necessario, no?) assolutamente no, però se lei si trova di fronte a una persona che appare compiere questa operazione può talvolta incuriosire e ad esempio io sarei incuriosito e domanderei di provare quello che sta dicendo, se una persona dicesse che la verità è una certa cosa, così istintivamente mi verrebbe da chiedergli conto di ciò che sta affermando (...) se uno fa uno fa un’affermazione così apodittica perché non chiederglielo magari ci sono degli elementi interessanti che possono uscire fuori, talvolta! (...) no, certo se è una chiacchierata non ha interesse, certo (….) certo la chiaccherata così non ha grande interesse, ha interesse se c’è un confronto preciso rigoroso, se una persona afferma che per esempio, che la verità non esiste, molti lo affermano, comunque può essere interessante conoscere le argomentazioni che eventualmente sanno o non sanno portare a una cosa del genere, è chiaro che di fronte ad un’affermazione del genere la prima cosa sarebbe di domandare che cosa si intende con verità, e poi con esistenza ovviamente (cosa si afferma?) cosa si afferma con verità e quindi anche con esistenza della verità, se si afferma che la verità esiste o non esiste a seconda dei casi, può essere a volte interessante intendere come si formano certe credenze, certe superstizioni come le persone pensano generalmente, interrogare una persona su una sua credenza su una sua superstizione, può essere in alcuni casi di qualche interesse, per intendere come funziona una religione, per esempio, come si forma, perché e a che cosa serve soprattutto ….qualche volta ma poi se non interessa nulla, non c’è problema però in alcuni casi…anche perché può certe volte, non sempre, costituire una sorta di immagine speculare rispetto a delle cose in cui si crede fermamente senza accorgersi che si danno per acquisite, come se fossero assolutamente normali, mentre potrebbe non essere esattamente così. Le cose che si ritengono più ovvie, assolute, assodate inevitabili, c’è l’occasione che siano delle superstizioni, talvolta accade senza accorgersi perché si immagina che invece siano cose assolutamente sicure, talvolta può accadere….(lei dice così però può essere il contrario va bene lo stesso, talvolta…si dà una possibilità all’interlocutore di ) faccio qualcosa che i Sofisti preferivano non fare e cioè mostrare che la struttura di questa storia e cioè che sono regole per giocare, io posso provare una certa cosa ma facendo in modo che vi accorgiate che la definizione che fornisco è soltanto una regola del gioco, che sto fornendo in questo momento, che non esiste in natura, di per sé, serve per fare quel gioco, così come stabilire che quattro assi valgono più di due sette, serve per giocare a poker…..dica

Intervento: io penso che la cultura occidentale si sia sviluppata sul concetto di domanda e risposta, tutto impostato su domanda e risposta…. Io ti domando e tu mi devi rispondere

Certo questa è un’usanza prevalentemente occidentale, tutti di fronte a una domanda si sentono costretti quasi a rispondere, certo non è necessario (questo sono delle regole del mondo occidentale) sì ma ce ne sono sicuramente molte di più, la costrizione quasi a rispondere laddove c’è una domanda, non si lascia in effetti la libertà all’altro di non rispondere. O se l’altro decide di non rispondere deve fare tutto un giro per evitare di ferire perché sembra un’offesa "come non mi risponde allora non mi considera" e invece mi deve considerare a forza, sì …la prossima volta parleremo della realtà e della fantasia…..qualcuno vuole aggiungere un elemento in modo da riflettere nell’incontro successivo….comunque sì, sono un sofista! Ecco va bene e con questa affermazione categorica chiudiamo l’incontro di questa sera ci vediamo fra quindici giorni e buona notte.

 

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