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Luciano Faioni

 

La guerra

 

Intervento: la parola… non riesco a convincermi, anche se mi piace molto, mi sembra che prima della parola ci sia…

Le sembra o lo sa?

Intervento: mi sembra, se fossi certa

Che cos’è che la induce a pensare…

Intervento: le parole di una persona sono prima… non lo so…

Sì, prima della parola…

Intervento: cambiare la storia è una cosa che mi piace tantissimo, con la parola riesco a cambiare la storia e quindi le situazioni, è un filone che mi piace tantissimo… la questione sulla guerra mi interessa in modo particolare…

Bene, allora incominciamo subito…

Intervento: non credo che sia sempre esistita la parola, secondo me prima…

Non ci sono più testimoni… ma magari parlando della guerra troverà qualche elemento nuovo. La guerra dunque, come ciascuno di voi sa è uno degli sport più praticati, una fra le cose più antiche, si pratica da quando esistono gli umani, come le religioni. Quali sono i motivi per cui si fa una guerra per esempio, potremmo dire che qualunque motivo va bene, ma ciò che a noi interessa in modo particolare è una sorta di condizione che è sempre presente laddove ci sia un qualunque tipo di conflitto, di ostilità. Con guerra generalmente si intende un conflitto armato fra nazioni, anche se poi si utilizza in vario modo, però in linea di massima si intende questo, però ci interessa sapere se esiste qualcosa che è sempre presente in tutte queste operazioni, se cioè potremmo, per esempio, affermare che è sempre una guerra tra opinioni e che siano necessarie delle opinioni perché si produca questo fenomeno che è chiamato guerra. Vediamo se è così. Intanto una condizione è che ci sia un nemico, è fondamentale, se non c’è il nemico è un problema, lei dice giustamente che se non c’è si crea, e questo non è un problema, però comunque occorre un nemico. Che funzione ha questo nemico? Quali funzioni deve assolvere? Innanzi tutto deve costituire una minaccia. Condicio sine qua non. Una minaccia per qualunque cosa, per la mia integrità, per il mio benessere, per il mio futuro, qualunque cosa va bene, una volta stabilito che qualcuno o qualcosa è una minaccia, e cioè un nemico, ecco che allora il sistema più radicale è quello di eliminarlo o, come si dice generalmente, avere ragione di lui, anche in un agone c’è sempre uno che vince e uno che perde, in qualunque gioco, si fa per questo: avere ragione di qualcuno. Questa è una cosa che ciascuno ha praticato, pratica quotidianamente, in una discussione per esempio, una discussione si avvia quando ci sono almeno due persone e di queste due una è in contrasto con l’altra. Ma perché avviene l’agone dialettico? Perché avviene una discussione? A che scopo? Per stabilire chi ha ragione per esempio? È uno dei motivi. Se no perché si discute? Per stabilire chi dei due ha ragione, in toto o in parte, per esempio se ha ragione in parte allora potrà accogliere alcune cose fra quelle che dice ma non tutte. Ma le accoglierò nel momento in cui valuterò in base a criteri dei quali dispongo, che ciò che afferma è vero, oppure giusto, reale, sono tutti sinonimi… se invece la discussione è proprio volta in un contraddittorio acceso ecco che allora non sono disposto ad accogliere nulla di ciò che l’altra persona afferma, ritenendo tutto ciò che afferma essere falso per esempio, e allora ecco che mi adopererò o per dimostrare a lui che ciò che afferma è falso o per dimostrare a lui che ciò che dico io è vero, oppure abbandonerò il campo e mi ritirerò in buon ordine se non ho voglia, per qualunque motivo, di affrontare la questione. Ci sono dei manuali di retorica antica e moderna che insegnano come si svolge un agone dialettico, cioè come si fa ad avere ragione dell’interlocutore. Ci sono una serie di cose di cui è bene tenere conto per vincere la discussione, ovviamente l’obiettivo è sempre lo stesso, cioè piegare la ragione dell’altro alla mia. Ma si è mai chiesta perché si fa questa operazione, anziché non farla? È una domanda interessante che merita una risposta quanto meno degna, perché in effetti afferma una cosa mentre l’altro afferma il contrario, si potrebbe anche dire va bene, e invece no, a questo punto parte la battaglia e si dice: “no, non è vero perché…” E quell’altro ribatte “no perché…” e tira fuori i suoi motivi, dunque perché avviene questo? Potrebbe anche non avvenire, ma invece avviene. Curioso, come se fosse imprescindibile per il parlante non soltanto sostenere ciò che crede essere vero ma dimostrarlo di fronte all’altro e quindi, se è possibile, piegarlo alla propria ragione, fare in modo che l’altro dica “sì, hai ragione tu” ecco, a questo punto è soddisfatto. Non avviene così?

Intervento: sì

Già, questo è il primo modello, in effetti i manuali di retorica sono dei manuale di strategia, strategia dialettica ovviamente, così come i manuali di strategia militare sono anche dei buoni manuali di retorica, tanto per citare i più famosi a partire di quello vecchissimo di Sun Tsu “L’arte della guerra” passando per il “De bello Gallico” di Cesare fino alla “Arte della guerra” di Machiavelli per arrivare a Von Clausewitz, tutti questi manuali insegnano a piegare l’altro alle mie ragioni, posso usare la dialettica oppure le bombe atomiche, però l’obiettivo è quello, piegare l’altro alle mie ragioni, vale a dire piegarlo a ciò che io fondamentalmente credo vero, o giusto, o bene, a seconda dei casi. Ma torniamo indietro di un passo, abbiamo visto come questa esigenza di piegare l’altro alla propria ragione sia una cosa talmente frequente da essere quasi inevitabile, anche nel caso più banale, più comune: una persona dice qualche cosa che a lei non va, la prima cosa che fa l’altra è chiedere perché afferma una cosa del genere, ma come mai glielo chiede? O come quando uno fa tutto un discorso e un altro dice “tutto quello che hai affermato è falso, non c’è nulla di vero in ciò che hai detto” la prima cosa che gli si chiede è: perché? Come mai glielo chiede? È stato colpito qualcosa in cui crede, qualcosa che crede vero e che si sente in dovere, poi vedremo anche il perché, di difenderlo, e allora l’altro in quel momento, anche solo per un istante, anche se è un amico carissimo è come se diventasse il nemico, cioè l’avversario più propriamente, non proprio il nemico ma l’avversario, l’avversario che deve essere almeno rintuzzato perché nel luogo comune avviene questo fenomeno bizzarro, facciamo un esempio: in una serata come questa fra amici c’è un oratore, io in questo caso, il quale afferma delle cose e supponiamo che dopo tutto il discorso che vi ho fatto, una persona dicesse che le cose non stanno affatto come dico io, per questo, questo e quest’altro motivo e supponiamo ancora che io non ribatta nulla, Franca, cosa immagina che possa pensare l’uditorio a questo punto?

Intervento:…

Sì, generalmente si pensa così, cioè la convinzione di avere ridotto l’altro al silenzio perché non ha più argomenti da ribattere, e quindi ciò che ha affermato è falso, è falso perché non sa dimostrare che è vero, e qualunque cosa è vera finché non viene dimostrata essere falsa, da quel momento non lo è più, diventa falsa e la si abbandona, ma se questa cosa che la persona dice è una cosa alla quale crede, tiene per qualunque motivo, sentirsela smontare così è fastidioso, e allora ecco che si adopererà per difendere ciò in cui crede; ma perché è fastidioso dicevamo? Provate a immaginare a una cosa alla quale tenete particolarmente e che qualcuno vi dica che questa cosa non vale niente, non significa niente, ve ne avrete a male, come mai? Magari qualcosa sulla quale avete costruito addirittura la vostra esistenza, facciamo l’esempio limite, una persona cara, un affetto, qualcuno viene da lei e le dice: “Franca, lei non ha mai voluto bene a sua figlia” affermazione bizzarra, ma lei sicuramente chiederebbe perché dice una cosa del genere, e come mai glielo chiederebbe? Ecco e torniamo alla questione di prima: viene messo in dubbio o addirittura annullato qualcosa che per lei è importante, adesso ho fatto il caso limite, ma possono anche essere delle banalità quotidiane. Dunque che la persona in questo caso, se mai facesse una cosa del genere nei suoi confronti diventerebbe un nemico, così come in molti altri casi di fronte alla minaccia propria o di qualcuno che è caro, anche solo di un’idea che è cara, si è disposti a combattere. Sì, lei pensa che una madre non sarebbe disposta a combattere per salvare suo figlio? Con tutte le armi che trova a disposizione e che riesce ad usare, ma agirebbe in questo modo, quindi cosa dobbiamo pensare a questo punto? La cosa più ovvia evidentemente, e cioè che se è in gioco qualcosa di molto importante allora si è disposti a fare qualunque cosa, naturalmente non qualunque cosa è altrettanto importante per chiunque, però glielo si può far pensare, si può indurre per esempio l’amore per la patria, si può fare pensare che qualcuno minacci il proprio benessere. Vede, il nemico è funzionale nel senso che ciascuno ha pratica di questo quotidianamente, e sa benissimo che nel momento in cui esiste un nemico da quel momento in poi l’occupazione maggiore sarà quella di eliminarlo oppure almeno arginarlo. Dicevamo all’inizio che la guerra è un gioco, come qualunque altro, anche se ha qualcosa di differente, la differenza sostanziale è la posta in gioco che è molto alta, per taluni è la propria vita addirittura, si sa che in guerra accade di morire, è un gioco pericoloso, come la roulette russa, e tutti i giochi dove la posta in gioco è più alta sono anche i più affascinanti, gli umani giocano sempre e giocando tendono ad alzare la posta in gioco. Prima si comincia a giocare con le birille, con i soldatini, poi con le bambole e poi si gioca con gli esseri umani, alzando sempre la posta in gioco ma per un motivo banalissimo: un gioco che ormai è conosciuto, che si pratica, che si sa praticare e che non offre più nessuna sorpresa, nessuna novità, cessa anche di interessare, per questo si alza la posta. Per questo è più emozionante giocare a poker con biglietti da 100 euro anziché con le noccioline, c’è una tensione diversa. Dunque si tratta di un gioco dove la posta in gioco è parecchio alta, e questo ha sempre attratto gli umani, in particolare i giovani, i vecchietti un po’ meno… ma i giovani sì, attratti da sempre, già gli antichi narrano dei giovani che partono per le battaglie e vogliono sconfiggere tutti, devono cimentarsi, devono imparare a giocare. Ma a questo punto che cosa ci interessa di tutto questo? Il fatto che l’agone, il conflitto, la guerra sono delle costruzioni che soddisfano un certo requisito perché si gioca? Si gioca in una qualunque accezione intendiamoci bene, anche con altri esseri umani si gioca, pensate alle relazioni sentimentali, non sono dei giochi forse? Giochi di strategia, le donne lo sanno perfettamente “come devo fare per fare in modo che si interessi a me? Come devo fare perché faccia queste cose?” Pensano come pensano i generali in guerra, “come devo fare perché queste armate non siano sopraffatte dal nemico e invece vincano e sbaraglino l’avversario?”. Strategia. Che ha un obiettivo ovviamente: vincere la battaglia, qualunque essa sia. Ma torniamo alla domanda di prima “perché agli umani piace giocare?”, torno a ripetere, qualunque sia il gioco? Come se non potessero non farlo. Con “giocare” intendo l’accezione più ampia, cioè muovere, fare delle mosse per ottenere un certo risultato, in accezione più ampia possibile. È talmente diffuso il gioco in questa accezione, da indurre quasi a pensare che gli umani non possano non farlo, magari possono non farlo ma se non lo fanno allora vengono da lei e si lamentano che non c’è niente che interessi, che emozioni, che dia qualcosa di forte, c’è sempre la roulette russa però non la consigli agli amici. Quando manca questa sfida, questo aspetto ludico o agonistico a seconda dei casi, interviene quella cosa che gli umani chiamano noia, disinteresse, e immediatamente corrono ai ripari trovando qualcosa per cui combattere o qualcosa per cui darsi da fare, cercare una qualunque cosa che dia da fare, che impegni, qualunque cosa che porti ad un certo obiettivo, quindi un gioco, cioè una qualunque cosa che, date un certo numero di mosse, raggiunga quell’obiettivo, e si impegna per fare una cosa del genere, e la fa. Una delle cose più diffuse per esempio è quella di incominciare a stare male, adesso questo con la guerra apparentemente c’entra poco, ma apparentemente, incominciando a stare male a questo punto ha degli ottimi motivi per muoversi, darsi da fare per cercare di stare bene, che è la condizione precedente. Stare male dunque per trovare dei buoni motivi per darsi da fare e quindi agognare al benessere finalmente, il quale benessere ad un certo punto viene anche raggiunto, cosa succede quando c’è il benessere Franca? Tutto va bene, non c’è nessun problema, tutto fila liscio come l’olio, una meraviglia, e lei giustamente si chiede e adesso che faccio?

Intervento: trovo un altro problema.

E lo troverà, perché non è difficile, chiunque si adoperi ne trova a bizzeffe, ma com’è che avviene una cosa del genere? Perché se lei pensa più in grande, adesso facciamo una cosa di fantascienza, le piace la fantascienza? No? Beh la facciamo lo stesso: supponiamo che lei abbia un potere economico smisurato, tipo Bill Gates della Microsoft e quindi giochi la sua politica economica a livelli cosiddetti alti, può modificare i governi, può fare cose incredibili, a questo punto a suo parere che cos’è che muove questo signore Bill Gates americano di non so dove a fare i suoi giochi, Seattle? Va bene, cosa lo muove? Il desiderio di diventare ricco?

Intervento: sempre più potente

Sempre più potente, per fare che cosa esattamente? Non lo sa…

Intervento:…

Torniamo un passo indietro allora, riprendiamo la domanda di prima, perché si gioca, perché gli umani continuano a giocare ininterrottamente? Forse questo signore di Seattle in effetti sta giocando, muove delle pedine, che queste pedine si chiamino miliardi di dollari o altrimenti cambia poco, o alfiere o re… è un gioco, un gioco al quale non può sottrarsi, lei sa come sono fatti i giocatori, è difficile farli smettere di giocare. Dire che cosa possa interessare una persona che ha un potere illimitato e quattrini oltre il ragionevole è arduo, che cosa se non il gioco fine a se stesso, puro e semplice? Giocare e quindi vincere ovviamente. Vincere, che cosa? Qualunque obbiettivo ci si sia prefissati, ma è il gioco fine a se stesso, e la guerra, il conflitto armato tra nazioni è un gioco, un gioco fra gli altri, né migliore né peggiore, però la cosa interessante è intendere come si costruisce il gioco per ciascuno, e come ciascuna cosa che lo anima, che lo muove, che lo intriga, che lo dispera, che lo danna etc. di fatto sia un gioco, né possa essere altrimenti. Lei era interessata alla parola, bene e allora aggiungiamo “un gioco linguistico”, in omaggio a Franca. E cos’è un gioco linguistico? Una sequenza di mosse vincolate a delle regole, come qualunque gioco che si rispetti. Se lei toglie le regole non gioca più, alcune mosse sono consentite altre no, saprebbe fare un esempio di mosse consentite dal linguaggio, o mosse vietate? Dipende dalle regole ovviamente però se lei volesse che io spegnessi il registratore allora direbbe “spenga il registratore” anziché “sollevi il tavolo”. Come mai? È una regola che il linguaggio impone per ottenere un certo obiettivo, e cioè compiere una certa operazione che è formulare una espressione: “spenga quel registratore” anziché “sollevi il tavolo” o qualunque altra cosa. Alcune mosse sono consentite altre no, come in tutti i giochi dicevamo, e sempre in omaggio al fatto che è interessata al linguaggio possiamo aggiungere una cosa in più intorno a uno degli elementi da cui siamo partiti, e cioè l’opinione. Si ricorda la guerra come guerra di opinioni, io penso così e quell’altro pensa cosà e ci si scontra e vinca il migliore. Dialetticamente il migliore è quello che ha argomentazioni più robuste, oppure è retoricamente più abile, a seconda dei casi, ma nel caso di cui dicevamo l’opinione, cioè ciò che una persona crede essere vera, è la condizione perché possa scatenarsi una guerra; ci pensi bene, le sue opinioni, le cose in cui lei crede sono le cose che deve difendere, supponga per un istante di non avere nulla da difendere, farebbe guerre? Contro chi, e per cosa? Adesso l’ho detta in modo molto semplice ovviamente, ma qualunque altra argomentazione può essere facilmente ricondotta a questa, se lei cessa di avere opinioni, di credere nelle cose ecco che, come d’incanto, scompare la guerra, cioè scompare la necessità di combattere contro qualcuno per dimostrare la sua ragione quindi per annientare l’avversario, perché vede, l’opinione è una strana cosa “è una mia opinione” è come se veicolasse una sorta di captatio benevolentiæ, cioè si acquisisce la benevolenza dell’uditorio, in realtà ciò che lei opina, la sua opinione, è ciò che lei crede vero perché se lo credesse falso non lo penserebbe e credendolo vero allora la sua opinione è qualcosa di più, è una credenza. Lei crede che le cose stiano così, poi può anche ammettere che qualcuno incauto e scellerato non la pensi come lei “siamo democratici, tolleriamo anche questi sciagurati” però rimane sua ferma convinzione che ciò che lei pensa, ciò che lei crede, sia vero, ma per un motivo semplicissimo, che se lo sapesse falso non lo crederebbe più. E allora come si fa a togliere, a sbarazzarsi di una opinione qualunque essa sia? Cioè cessare di avere opinioni, più nulla da difendere, nulla da opinare e qui torniamo al gioco linguistico: io posso affermare qualunque cosa e il suo contrario sapendo perfettamente che si tratta di un gioco linguistico, e cioè che sto affermando una cosa che non è né vera né falsa, è assolutamente arbitraria. Questo è il primo passo, incominciare ad accorgersi che le cose non sono né vere né false cioè non sono sottoponibile a un criterio verofunzionale perché questo criterio verofunzionale non c’è, non c’è in quanto assoluto ovviamente, ciascuno può utilizzare il suo che ritiene più opportuno, ma rimarrà sempre arbitrario sempre e comunque e allora o lo sa oppure non lo sa, se non lo sa viene giocata dalle cose in cui crede, viene giocata nel senso che si darà da fare per sostenere come vere cose che tali non sono, perderà il suo tempo, e compierà quella che comunemente si chiama guerra santa, una guerra fatta per difendere una fede, un credo, qualunque esso sia, se invece abbandona questa posizione cioè considera tutto ciò come un gioco linguistico allora è lei che gioca, così come quando gioca a tressette con gli amici, sa quello che sta facendo, sa che è un gioco, nell’altro caso no, non lo sa, ed è come se non potesse non farlo perché dice “sì, tutto sarà un gioco ma questo no”. E questa è la religione per la quale si combatte e si muore all’occorrenza, sì, a taluni è capitato, ad altri no. Non sto dicendo che il credere in qualcosa, in Allah o nell’economia, nel benessere o qualunque cosa vi paia più opportuna sia bene o sia male, non è questo che mi interessa, sto solo dicendo che è possibile accorgersi che qualunque cosa si creda nel modo più ferreo, più formidabile, più forte, incrollabile e determinato può essere intesa per quello che è e non può non essere: un gioco linguistico. Da quel momento in poi cambia tutto, assolutamente tutto, anche se le cose apparentemente rimangono al loro posto, certe volte basta una piccola informazione, una aggiunta e una persona che si credeva in un certo modo diventa totalmente diversa, non è più la stessa, e da quel momento in poi non sarà mai più la stessa persona. Si tratta di inserire delle piccolo informazioni per così dire, le quali informazioni modificano il modo di pensare cioè si inseriscono quegli elementi che rendono impossibile pensare come si pensava prima, non è più possibile, non è più fattibile per lo stesso motivo per cui lei stessa non può credere vero ciò che sa essere falso, non lo può fare, è una questione grammaticale, il linguaggio glielo vieta, la sua struttura. Questo linguaggio che in realtà non è altro che una struttura molto semplice, della quale anche gli amici hanno parlato in lungo e in largo, lei si chiedeva che cosa c’è prima del linguaggio, si sarebbe anche potuta chiedere cosa c’è dopo in realtà, è una domanda legittima che gli umani si pongono da sempre, magari non rispetto al linguaggio ma a sé “che cosa c’era prima che ci fossero gli umani, prima che esistesse il mondo, prima che esistessero i pianeti e il cielo stellato. C’era qualcuno? Se sì chi?” Come lei sa è facilissimo rispondere a queste domande in modo metafisico o ontologico, però le pongo la questione in termini più semplici: quando lei si chiede qualcosa, una qualunque cosa, cosa sta facendo esattamente? Si è mai posta questa domanda?

Intervento: no

Male, se la ponga…

Intervento:…

Su qualunque cosa, sulle proprie opinioni, quelle altrui, cosa sta facendo esattamente, cosa cerca, cosa si aspetta? Una risposta ovviamente, e che cosa sarà stata una risposta, che cosa accoglierà come tale, quali condizioni occorre che un certo elemento abbia perché sia accolto come una risposta? Se lei mi chiede che ore sono e io le rispondo “ci sono quattro libri sullo scaffale”, questa risposta ha qualche cosa che non va rispetto alla domanda, e lei se ne accorge immediatamente…

Intervento:…

Sì, certamente, e per fornire una risposta quali regole ci vogliono? Questa è una bella domanda, sì, dica…

Intervento:…

Sì e no, ci sono due posizioni a questo punto, o si accontenta di una risposta che la soddisfa in qualche modo, per qualunque motivo, oppure no, si trova di fronte a un bivio, lei può essere soddisfatta da una risposta, una qualunque che ritiene più o meno compatibile con la domanda, e allora accoglie questa risposta e allora va bene così, si ferma lì, oppure non è soddisfatta, e allora si chiede “è vero che è così come la risposta mi propone? Oppure no?”. Quando lei si chiede che cosa c’è prima del linguaggio, quale risposta si attende? E soprattutto, come verificherà questa risposta? E ancora di più, con che cosa?

Intervento: parto dalle origini: avevano bisogno di mangiare gli umani? E il fuoco? Prima è nata questa cosa e poi abbiamo imparato a chiamarlo fuoco. a me sembra così non mi sembra prima che ci fosse la parola fuoco e poi la fiamma, l’azione…

Sì, la sua domanda è molto più sottile, si domanda se può esistere qualcosa fuori dal linguaggio…

Intervento: il linguaggio secondo me è nato per dare il modo agli umani di parlarsi ma prima c’erano già delle azioni.

Visto che ha posto una domanda così precisa proviamo rispondere alla sua domanda se esiste qualcosa fuori dal linguaggio, può essere qualunque cosa, può essere un popolo primitivo, può essere… innanzitutto bisogna che ci intendiamo sul termine linguaggio, direi che è fondamentale, se no direi che è difficile proseguire, allora intendiamo linguaggio semplicemente una struttura che ci consente di mettere un elemento in relazione con un altro, inferirne un altro, se questo allora quest’altro per esempio, e vincolato ad alcune regole. Non è che siano tantissime, per esempio occorre che un elemento sia isolabile da tutti gli altri, cioè che una parola non significhi tutte le altre simultaneamente, se no non funziona più niente, teniamo conto solo di questi due aspetti, una struttura fatta così, quindi molto semplice, che è quella che sta consentendo a me in questo momento di parlarle per esempio; ora lei si domanda se qualcosa può essere fuori da questa struttura, possiamo prendere la questione da vari punti, però consideriamone uno intanto, il fatto che esista qualcosa, significa qualcosa o non significa nulla? Significherà pure qualcosa, no? Ora consideri attentamente la questione, io affermo che x esiste fuori dal linguaggio ma per porre la questione dell’esistenza occorre che ci sia un linguaggio, per potere parlare di esistenza ovviamente, però lei giustamente potrebbe dire: ma se io non ne parlo questo esiste lo stesso, bene, ciò che lei ha affermato cosa significa esattamente? Badi bene perché qui sta il nocciolo della questione, ci pensi bene, che cosa significa esattamente quando affermo che x esiste, indipendentemente da qualunque cosa, cioè fuori da ogni relazione quindi fuori dal linguaggio, lei lo può credere fermamente e nessuno glielo proibirà, ma non lo potrà provare, non lo potrà provare mai.

Intervento: ma lo può provale lei?

Sì, posso provarglielo, vuole che lo faccia? Allora lo farò, segua con attenzione: supponiamo che qualcosa sia fuori dal linguaggio, come lo so? Per poterlo sapere mi occorre un linguaggio, se non lo posso sapere allora affermare che esista senza che io possa saperlo è un atto di fede. Mentre se io affermo quest’altra cosa “qualsiasi cosa questa è un elemento linguistico” questa semplice e banalissima proposizione invece non è un atto di fede, è una costrizione logica, sa perché? Perché la sua contraria non è praticabile, e non è praticabile perché è un paradosso, ed è un paradosso perché per negare qualcosa è costretta a usare ciò stesso che intende negare.

Intervento:…

Non è questione di passato o di futuro, è che una affermazione del genere, cioè che esiste qualcosa fuori dal linguaggio lei può affermarla, può crederla, ma non può provarla, è come dire che dio esiste, è la stessa cosa, lei può crederci, ci sono un sacco di persone che lo fanno, la quasi totalità, ma che differenza fa? Ci pensi bene, è una cosa che non può provare, o ci crede o non ci crede, cioè è una cosa per la quale è necessario un atto di fede “io credo che sia così”, ma non potrà provarlo mai. Ora questo potrebbe apparire un dettaglio marginale, per molti lo è, però se si pensa, se ci si muove in ambito teorico ecco che allora una cosa del genere non può essere accolta, perché non significa niente cioè vale quanto la sua contraria, è una affermazione arbitraria, dire che qualcosa esiste fuori dalla parola non significa niente, perché non la posso provare in nessun modo, perché per provarlo devo usare ciò stesso che voglio negare, e quindi posso solo crederci, come con dio, e in effetti dio è per antonomasia l’elemento fuori dal linguaggio, colui che da lassù, da là fuori governa tutto. È stato inventato anche per questo, perché se ciascun elemento è un elemento linguistico allora trae la sua origine, la sua esistenza e il suo significato unicamente da altri elementi linguistici, da nient’altro che questo, come dire che qualunque cosa allora effettivamente non è altro che un gioco linguistico; e invece se qualcuno avesse la necessità di trovare qualche cosa che lo garantisca in modo certo, assoluto, che non è soltanto un gioco linguistico, allora ha bisogno di inventarsi dio, e può farlo perché il linguaggio curiosamente consente anche questo. È questa struttura di cui dicevamo che consente di pensare che esiste qualcosa fuori dal linguaggio, cioè dio, l’unica difficoltà è che non gli consente di provarla, perché il paradosso di tutti i paradossi è appunto affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio, tutti i paradossi nascono da lì, lei ponga un elemento fuori dal linguaggio e da quel momento in poi questo elemento non potrà dimostrare la sua esistenza in nessun modo, mai. Tutti i paradossi sono fatti così, sono riconducibili all’autoreferenzialità. Lei chiede a un elemento “prova la tua esistenza” e come fa fuori dal linguaggio? Non lo può fare, e allora rimane lì: Epimenide, cretese, afferma che tutti i cretesi mentono. Un paradosso dei più antichi, che non ha nessuna soluzione ovviamente, anche se la soluzione è molto semplice in realtà, ma lei ponga in ogni caso un elemento fuori dal linguaggio e da quel momento inizia una serie di paradossi irresolubili, da cui gli umani non sono mai venuti a capo in questi ultimi tremila anni, tranne in questi ultimi dieci. Non c’è via di scampo, anche se mi rendo conto che non sia così semplice, diciamo che non è così immediatamente evidente ancora, ma stiamo lavorando perché possa diventarlo, inventando una sorta di virus che possa modificare il sistema operativo, e cioè impedire di pensare che qualcosa sia fuori dal linguaggio, che lo impedisca perché non ha nessun senso, perché non significa niente, perché è una affermazione ridicola, come affermare che dio esiste, non ce ne facciamo niente, non è utilizzabile ché non significa nulla, è vera esattamente quanto la sua contraria. È questo che intendo quando dico che una affermazione è arbitraria, cioè non è né vera né falsa. Può avere al massimo una valenza estetica: bello/brutto. Mi ha fatto chiacchierare per tre quarti d’ora, c’è qualcuno che vuole dire qualcosa? Intanto che Franca e io ci riposiamo? Sì? Tra l’altro giovedì prossimo ci sarà il mio amico Sandro Degasperi che interverrà sul tema “Ciò che la psicanalisi consente di sapere”, la psicanalisi è ovviamente ciò di cui abbiamo parlato questa sera, è un modo di pensare, l’unico degno di essere pensato. “Ciò che la psicanalisi consente di sapere” è interessante, perché consente di sapere ciò che agli umani in linea di massima è barrato fin dall’inizio, e generalmente è barrato per sempre, non c’è nessuna possibilità di riuscita a meno che… sì, scusate le amenità, ecco se qualcuno può intervenire può farlo

Intervento: questo continuo tentativo di difesa delle opinioni… parliamo dell’opinione religiosa che è forse la più estremista… la creazione dei santi che hanno fatto un sacco di miracoli, nel segno che questa credenza è supportata dal miracolo

Un segno del divino certo…

Intervento: prima la chiesa diceva che il miracolo è così un fatto folcloristico adesso sembra sostenere il contrario e c’è una grande produzione di santi… la fede che si pone così sicura è in realtà molto fragile

Esatto, il suo tallone di Achille è di non essere provabile in nessun modo, è questo che incombe come una spada di Damocle per cui esige la fede, e la fede deve essere difesa contro tutti e quindi si combatte, ci si mette il giubbetto di dinamite se è il caso, e salta in aria tutto per confermare questa fede, come dire: vedi che è vera? Io mi faccio saltare per aria insieme con gli altri quindi più vera di così, deve essere sostenuta, una persona che è assolutamente sicura di qualcosa non ha bisogno di combattere…

Intervento: lei diceva che non avere opinioni vuol dire non aver più bisogno di combattere, però a me pare che non si difendano le proprie opinioni ma si difendono gli stili di vita

Sì, ho fatto un accenno al proprio benessere…

Intervento: noi trasformiamo il nostro stile di vivere, meno piacevole in una opinione, è vero che difendiamo una opinione in realtà difendiamo uno stile di vita

Sì certo, in effetti gli americani fanno le guerre per difendere l’american way of life, questo è l’obiettivo fondamentale…

Intervento: quando quelli che gestiscono le opinioni per esempio, l’intellettuale che difende l’altruismo, la tolleranza però se tu gli tocchi la macchinetta si arrabbia, tutto l’altruismo, il perbenismo ammantato uno difende quella roba lì

Ma queste cose seguono a tutta una serie di considerazioni che sono state fatte, e cioè il tenore di vita, torniamo all’esempio degli americani, ha origini anche religiose e cioè è bene vivere in un certo modo, è bene avere quattrini, soprattutto per i protestanti, c’è un saggio che cito spesso perché è molto interessante “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Weber, ve lo suggerisco, in ogni caso il modo di vivere, il tenore di vita di ciascuno è considerato il giusto, il bene, e ciò che lo minaccia il male. Per tagliare corto ho detto che è una opinione, e in effetti è considerato un bene ma come tale non può essere dimostrato, io posso pensare che sia bene, ma perché? Perché sono stato addestrato così, perché mi hanno insegnato così, perché mi è comodo fare così, per tante cose, ma in ogni caso è ciò che io penso che sia, che sia bene, ché se pensassi che fosse male allora lo modificherei. Il proprio tenore di vita da difendere a tutti i costi, in effetti oggi in buona parte ha sostituito il pensiero religioso in senso stretto, e allora ecco, il bene: se per esempio gli americani non buttano bombe sulla testa di quello scellerato di Saddam Hussein che succede? Succede, cara Franca, che il mondo occidentale perde una quantità di petrolio che gli è indispensabile per mantenere il suo tenore di vita e va nelle mani degli Arabi malnati, infingardi e falsi, i quali Arabi che cosa vogliono se non di creare problemi all’occidente? E quindi se loro hanno in mano tutto il petrolio metteranno in ginocchio l’occidente in quattro e quattr’otto, e pertanto dobbiamo impedirglielo e quindi ucciderli. Ho parlato bene? Cosa dice? Appena per dire che si può sostenere qualsiasi cosa e il suo contrario, con assoluta facilità. Diceva Sandro?

Intervento: adesso stavamo parlando dell’aspetto più attuale…le cause della guerra ecc. ecc. effettivamente rispetto alla psicanalisi l’interesse sta in questa sottolineatura della guerra appunto come giuoco, tutta la questione della strategia, di tutte le cose rispetto alle quali ciascuno si trova costantemente e quotidianamente a giocare in qualche maniera sono tutti giochi che hanno strategie molto simili. La terminologia guerresca viene utilizzata per… la medicina stessa “combattere il male” e tutta una serie di metafore che vengono utilizzate in questo senso. La questione del conflitto pone appunto la questione della relazione, occorre che ci sia uno e che ci sia l’altro il nemico, questo altro può anche non essere qualcuno, può essere anche qualcosa per esempio una questione, quindi combattere e cioè trovare al di fuori di sé qualcosa che per lui possa significare il male. Quindi la necessità di trovare rispetto a qualcosa che produce disagio, disagio direi che è strutturale alla parola direi che in questo senso strutturale, nel senso che la parola proseguendo pone continue questioni, continue interrogazioni, disagio inteso in questo senso, pone la questione del disagio nei termini di trovare in qualche modo la sua rappresentazione fuori dal discorso e quindi di trovare ciascuna volta per esempio il responsabile del disagio, dal concetto di malattia può essere qualcuno o può essere qualcosa può essere il nemico, l’untore, e quindi questa questione che rispetto al proprio discorso esiste sempre un fuori che in qualche modo possa funzionare da referente, da riferimento di alcune cose che possono in qualche modo disturbare… rispetto alla questione del disagio e quindi proiettare questo film fuori dal proprio discorso quasi come se… si ritorna alla metafora della peste come se il proprio benessere dipendesse sempre da questo qualcosa che è fuori dal proprio discorso senza tenere conto che ne ha necessità perché se non esistesse questo qualcosa che è fuori sarebbe costretto a doversi confrontare con il proprio discorso ed è questo ciò che non può fare e quindi in questo modo è costantemente alla ricerca del nemico da combattere, per questo rispetto al discorso occidentale, rispetto al discorso di ciascuno la guerra è assolutamente necessaria, perché possa funzionare questo discorso.

Va bene Sandro, proseguirà giovedì prossimo. Ringrazio ciascuno di voi e buona serata.