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L’ARTE DI PENSARE

7/3/2000

 

Proseguiamo il discorso intorno al pensiero avviato la volta scorsa, il titolo è "L’arte di pensare" ma avremo anche potuto titolare questo incontro, parafrasando Cicerone, chi meglio pensa, meglio vive. Sì, dal momento che la vita di ciascuno non è altro che la messa in atto, perlopiù, di pensieri, di discorsi, di proposizioni che la persona si fa e fa. Una persona si fa un certo discorso, giunge ad una certa conclusione e le sue azioni, ciò che farà terranno conto di ciò che ha pensato. Ora è ovvio che giunge a delle conclusioni muovendo da, dicevamo la volta scorsa, da premesse assolutamente arbitrarie e può portare all’azione facendo muovere una persona assolutamente convinta del suo discorso in una direzione che risulta quanto meno discutibile, ciò nonostante così avviene perlopiù. Si tratta di incominciare come abbiamo fatto la volta scorsa a imparare a pensare perché non è semplicissimo pensare, abbiamo detto, che non è altro che comporre una sequenza di proposizioni coerenti fra loro di cui l’ultima proposizione generalmente è intesa come conclusione, la conclusione è importante nel pensiero perché indica che cosa necessariamente occorre che sia, così anche nel pensiero comune, una persona fa tutto un ragionamento, giunge ad una sua conclusione e se ritiene questa conclusione corretta, immagina che sia vera. Dunque dicevo, una successione di proposizioni, di inferenze, ma perché non è facile pensare? Per due motivi soprattutto, il primo perché non è semplice reperire il punto di partenza che sia sufficientemente solido da reggere tutta l’argomentazione, secondo perché lungo i vari passaggi dell’argomentazione è facile perdersi e cioè non accorgersi che da un certo elemento non è inferibile o deducibile un altro elemento, come può apparire. Da Aristotele almeno in poi si è comunque cercato di costruire un metodo per pensare, un metodo che muove, almeno già con Aristotele con la necessità di trovare un punto di partenza, come dicevo prima, sufficientemente solido a reggere un’argomentazione e questo punto di partenza è presente in qualunque discorso anche se apparentemente è sottaciuto, come per esempio in queste forme verbali note come proverbi, nei proverbi come sapete la premessa maggiore, ciò che sostiene tutta l’argomentazione, manca, non è menzionata. Vengano menzionate generalmente la premessa minore e la conclusione, molti pensieri funzionano così, nel caso della superstizione, dei proverbi c’è un buon motivo per far tacere la premessa maggiore, il buon motivo è che questa premessa maggiore non è sostenibile in alcun modo, per cui occorre tacerla, una volta taciuta la premessa maggiore, data per acquisita, scontata però non pronunciata ciò che segue avrà la forza di un’argomentazione che si picca di essere necessaria o comunque di essere fondata, senza esserlo, c’è l’eventualità che qualunque discorso o la più parte dei discorsi che vengono dagli umani abbiano questa struttura e cioè una sorta…gli antichi lo chiamavano entimema e cioè un sillogismo a cui manca un pezzo, un sillogismo tronco, monco, in questo caso manca la premessa maggiore. Che se ben guardate è qualcosa che accade anche al discorso scientifico, anche a quello di Aristotele, il suo sillogismo scientifico muove da qualcosa che occorre che sia necessario ma che cosa lo è? In assenza di una certezza ecco che il discorso occidentale ha inventato questa figura nota come entimema, la premessa maggiore non c’è. Non essendoci lascia supporre che ci sia, anzi fa credere che ci sia, non c’è e soprattutto non è fondabile in nessun modo, non essendo la premessa maggiore di un sillogismo fondabile in nessun modo tutto ciò che ne segue è altrettanto infondabile o se preferite gratuito. Così funziona schematicamente il discorso occidentale, qualunque proposizione che venga costruita, dalle proposizioni più amene fino a quelle più rigorose, prodotte dal discorso scientifico hanno esattamente la struttura del proverbio o della superstizione, sono altrettanto fondabili, anche per questo vi dicevo che non è facilissimo pensare, visto che negli ultimi duemilacinquecento anni gli umani hanno prodotto pensieri assolutamente gratuiti, come dicevo, e infondabili e improbabili, sempre utilizzando questa sorta di escamotage, utilizzando un entimema e cioè nascondendo per così dire la premessa maggiore, quella che dovrebbe reggere il tutto. E in effetti la premessa maggiore è quella che regge il tutto, il sillogismo scientifico dovrebbe essere almeno secondo Aristotele, un quantificare universale cioè per tutte le x avviene questo, necessariamente, l’enunciazione della necessità cioè è necessario che avvenga questo quindi se è necessario questo allora ne segue….ecc… però non è avvenuto esattamente così e cioè la premessa maggiore non è stata reperita come necessaria e a questo punto si è preferito evitarla, da qui è sorta la filosofia per esempio, il pensiero filosofico, costruito su niente, costruito di volta in volta su assiomi, su premesse quanto mai vaghe, quanto mai fumose, evanescenti in ogni caso sempre non provabili. Quando voi chiacchierate con qualcuno e questo qualcuno vi fa delle affermazioni che vi appaiono strane, gli chiedete di rendere conto delle sue affermazioni, pare che invece nel discorso della filosofia, della scienza o della filosofia della scienza, questa richiesta non sia legittima cioè non viene presa in considerazione, tutte le domande anche della filosofia circa ciò che è, ciò che deve essere ecc. ….muovono sempre comunque da premesse, da assiomi, cioè da elementi che vengono dati, diciamola pure così, per buoni in modo assolutamente arbitrario, ingiustificato, è ovvio che essendo strutturato così il discorso occidentale, questo costringe ciascuno a pensare allo stesso modo, cioè a costruire proposizioni che hanno questa forma, la forma dell’entimema, sillogismo particolare, sillogismo tronco, a cui manca un pezzo, ma la questione è anche più ampia in effetti tutto il discorso occidentale pensa, per così dire, in questo modo, indicando anche se lo fugge una sorta di paradosso, cioè costringe a cercare la verità impedendo di reperirla, costringe a cercarla in quanto chiede conto a ciascuno che affermi una qualunque cosa del perché affermi una certa cosa, su cosa è basato ciò che afferma, lo impedisce in quanto comunque questa ricerca dei fondamenti ha la forma dell’entimema e cioè salterà comunque la premessa maggiore, non la potrà menzionare. Perché non lo può fare? Perché il discorso occidentale torno a dire è costruito in modo tale, per cui questa operazione non è consentita, è come proibita, barrata, tutto ciò che costituisce la struttura di questo impedimento è noto come religione, cioè tutto ciò che dà una motivazione a questa chiamiamola "proibizione" tra virgolette, al punto che anche delle persone attente sia nel campo della filosofia, sia della logica non sono state in condizioni di pensare in un modo che non fosse religioso. La volta scorsa abbiamo accennato al fondamento del pensare religioso e cioè quello che stabilisce che se c’è un effetto allora c’è una causa, lo stabilisce come un fatto naturale, anziché come una questione grammaticale, questo ha comportato una serie notevole di risvolti nel pensiero occidentale, pensate alla ricerca della causa, è emblematica l’argomentazione di Tommaso, una delle 5 vie famose, non è possibile risalire all’infinito, la regressio ad infinitum non è ammissibile, è così d’altra parte si pensa a tutt’oggi, perché? Perché se fosse ammissibile, allora ciò che afferma Tommaso non starebbe in piedi e quindi deve essere espunta questa regressio ad infinitum. La regressio ad infinitum non è altro che la ricerca della causa, una volta che questa causa è stata posta come elemento fuori dalla parola e allora da quel momento inesorabilmente si instaura la regressio ad infinitum, è inevitabile, tutti i paradossi del discorso occidentale, sono dei paradossi costruiti sulla proposizione che afferma che qualcosa è fuori dalla parola, questo è l’emblema o il modello di ogni paradosso, la forma del paradosso in quanto se qualcosa è fuori dalla parola, come lo conoscerò? Lo conoscerò attraverso la parola ovviamente, attraverso il linguaggio, e quindi o nel linguaggio e se è fuori dal linguaggio non posso non solo dirne nulla ma neanche pensarne nulla ma posso anche affermare tranquillamente che non esiste, dal momento che non ho nessun elemento per poterne considerare l’esistenza, non dico affermare ma considerare l’esistenza. Ora dunque il discorso occidentale ha espunto la premessa maggiore perché o è fuori dal linguaggio, ed è autocontraddittoria inesorabilmente oppure è nel linguaggio e allora, e allora tutto ciò che ne segue è altrettanto un elemento linguistico e necessariamente nient’altro che questo, questi sono i due buoni motivi, per cui il discorso occidentale ha eliminato la premessa maggiore. Buoni motivi per potere costruire la civiltà così come è stata costruita e ciascuna istituzione, perché le persone credano e quindi anche la necessità che esista uno stato, occorre far credere alle persone che c’è un qualche cosa di superiore che governa il tutto, al quale si deve sottostare se no non c’è nessun motivo per sottostare ad alcunché. Dunque pensare, pensare a questo punto comporta e necessariamente, il ripercorrere questa sorta di empasse del discorso occidentale e riprenderlo proprio lì, dove il discorso occidentale stesso lo ha interrotto, lo ha fermato, lo ha bloccato e quindi ovviamente a pensare come funziona, accorgersi che anzitutto qualunque affermazione che il discorso occidentale produce risulta assolutamente arbitraria, da dove muovere? Lo abbiamo detto tante volte, una riflessione intorno al pensiero se non da ciò che lo rende possibile, dal linguaggio, in qualche modo reintegrare tutto ciò che il discorso occidentale ha espunto, ha dovuto eliminare per potere costruire le varie istituzioni, quindi togliere inesorabilmente ogni possibilità di religione, ogni possibilità di fede, di credenza ecc.. la difficoltà sta in questo, in effetti come dicevo prima è difficile, sta nel dovere pensare in un modo in cui non si è stati addestrati a pensare e che anzi tutto ciò che incontrate vi indurrà a evitare di fare. Tutto ciò che per il discorso occidentale è assolutamente ovvio, banale e tutto ciò che costituisce il risibile se affermate il caso contrario, ebbene tutto ciò che è il fondamento del discorso occidentale deve essere, diciamo, annullato ma annullato non nel senso che deve essere azzerato o ripudiato, non in questo senso, annullato nel senso che viene ricondotto esattamente là da dove arriva e cioè dal nulla o più propriamente da un atto linguistico, anche le cose più evidenti, vedete, la struttura del discorso religioso è fatta in modo tale che si costruisce intorno a cose che la persona ritiene assolutamente necessarie per sé, c’è sempre un punto cui la persona può arrivare oltre il quale punto si ferma, dice "tutto ma questo no, questo non è possibile" è lì che comincia l’elaborazione del discorso religioso, di fronte a quanto di più ovvio e più sicuro possiate immaginare, credere in questa cosa o credere in dio o in Cappuccetto Rosso comporta la stessa cosa, comporta l’atto di fede, l’atto di fede che abbiamo cercato di evitare, quindi pensare è necessariamente secondo il discorso occidentale, un atto contro natura, contro la natura delle cose, il discorso occidentale immagina che la natura delle cose sia così come le descrive, da qui tutta la filosofia della natura, dunque un atto contro natura e contro la natura delle cose così come è immaginata, come è pensata, come è creduta, potremo chiamarlo un atto di estrema libertà, ma in ogni caso un atto che comporta indubbiamente il trovarsi a pensare in tutt’altro modo, perché se nulla più è ovvio, nulla più è così scontato allora non c’è cosa che non interroghi, cioè non c’è cosa che vada da sé, qualunque cosa procede da altro cioè da altri atti linguisti, qualunque cosa non è altro che un atto linguistico, in effetti abbiamo inventato questa proposizione che afferma che qualunque cosa questa è necessariamente un atto linguistico e non può non esserlo, un qualunque cosa si intende tutto, tutto ciò che è pensabile, costruibile, dicibile, fattibile, questo è un atto linguistico, considerato questo, indubbiamente il pensiero considera anche le implicazioni, di una cosa del genere, quali implicazioni? E qui arriviamo alla parte più interessante, considerate le paure, le angosce, tutto ciò che affligge per lo più gli umani, in qualunque caso in qualunque circostanza anche nelle circostanze più ovvie, quelle che il discorso occidentale ha sancito come naturali, come il naturale andamento delle cose, e ve ne citerò una ad esempio per tutte, forse una delle più eclatanti, brutto termine, terribile…una madre che perde il figlio, bene questa perdita che costituisce una sofferenza, un dolore di notevoli proporzioni, senza il linguaggio sarebbe "quasi" niente, nulla, perché? Che cosa produce dolore, sofferenza, angoscia, paura, i vostri pensieri, le cose che costruite? dunque proposizioni, immagini scene, ricordi, tutto ciò sono proposizioni, strutturate in un certo modo, che seguono un andamento preciso che è quello grammaticale, logico, sintattico, senza questa sintassi non c’è dolore, sì come lo costruisco? Con che cosa penso che questa persona adesso non c’è più ed io sono solo ecc..? se questa persona non c’è più allora sono da solo, per esempio, questa è già un’inferenza, che comporta una consequenzialità logica fra due elementi, è un sillogismo, tutto ciò che costituisce ciò che comunemente è noto come sofferenza o malessere o disagio è fatto di proposizioni, togliete queste proposizioni e tutto ciò cessa di esistere, insieme con qualunque altra cosa ovviamente, però, però in cosa consiste tutto ciò che vado dicendo? nel fatto che imparando a pensare c’è la possibilità di potere considerare rispetto anche alla propria sofferenza che questa è fatta, di parole, di discorsi, di proposizioni, e quando io soffro è con questo che mi sto confrontando, con nient’altro, stringhe di significanti, che non è poco….sapete i discorsi possono infiammare i popoli e scatenare guerre, oppure fermarle, proposizioni costruite secondo la necessità grammaticale e sintattica. Ecco dicevo la possibilità, cominciando a pensare, di potere considerare che la mia sofferenza è fatta di proposizioni, senza queste proposizioni io non potrei soffrire, in nessun modo, non potrei pensare, non potrei ricordare, non potrei considerare niente. Cosa accade a questo punto? che ciò che provo non va senza l’essere considerato ciò per cui posso soffrire, posso provare dolore, ciò che questo pensiero può fare è liberarmi dalla necessità di farlo, solo questo, mi sbarazza di questa necessità, la sofferenza per potere darsi necessita di una credenza e cioè che ciò che accade non siano proposizioni, non è casuale che la sofferenza ha molto a che fare con le religioni, da sempre anzi generalmente la monopolizza, la sofferenza è sempre cara a dio in quasi tutte le religioni, perché è noto che una persona che soffre è una persona che ha fede, ha fede che ciò per cui soffre esista al di là di ciò che dice, e questa è la struttura della religione, per cui vi dicevo ciò che può fare, fa, questo modo di pensare è sbarazzare, no, non dalla sofferenza, dal dolore ma dalla necessità della sofferenza e del dolore, questo sì… CAMBIO CASSETTA trovare una nuova esperienza , vedere cosa succede quando non c’è più la necessità di soffrire, per esempio. C’è qualcuno nel frattempo mentre io bevo….

Intervento: Quando non c’è più la necessità di soffrire degli elementi continuano a imporsi ma non raccontano la solita storia quella della sofferenza perché non ha più interesse, non è più fruibile, a questo punto interviene una libertà estrema….

Sì questa è la questione e può incutere un certo smarrimento…

Intervento: certo, infatti quegli elementi se sono elementi linguistici quelli che raccontano la sofferenza devono essere connessi in un certo modo per raccontare questa storia, direi che il lavoro analitico è quello di trovare altre connessioni , nuove connessioni, per cui ciascun elemento è libero di connettersi e di giocare altri ruoli….

Detto bene, rendere infinito il gioco, la sofferenza arresta il discorso, lo blocca su una proposizione, a quel punto non è più possibile andare oltre, al punto che molte persone trovano proposizioni che non riescono più a gestire, non riescono più a controllare come se non potessero andare oltre, cosa c'è oltre? Oltre c’è una serie infinita di altre proposizioni che non può essere ammessa, non può, perché smantellerebbe tutto ciò che si è costruito in precedenza e per esempio, accogliere il fatto che una certa situazione che appare drammatica, provochi un’eccitazione notevolissima, per molti è assolutamente inammissibile e quindi non possono accogliere una cosa del genere e quindi il pensiero diventa ingestibile, fino alla paralisi che può rappresentarsi in svariati modi, paralisi che impedisce l’accesso a ciò che si preferisce non considerare, dicevo prima, che ciascuno può arrivare fino ad un certo punto oltre il quale non è più disposto a proseguire, ecco imparare a pensare è imparare a proseguire proprio da quel punto in poi, di lì cominciare a costruire altre proposizioni, nuove proposizioni, cosa costruisce una persona? Proposizioni, solo questo, non può costruire nient’altro. Però queste proposizioni sono in numero infinito e pertanto la costruzione che pone in atto è assolutamente inarrestabile e chiedersi cosa succede se non si prova più la sofferenza? Si può cominciare a vivere per esempio. Però diceva? Forse l’ho interrotta?

Intervento: trovare una via d’uscita alla sofferenza, nuove connessioni… per esempio, la sofferenza tutto sommato è questa cultura dell’incapacità, (sì ho parlato di sofferenza però occorre accogliere in termini molto ampi, la sofferenza anche come mancanza, che si usa anche nel dire comune, come mancanza, come incapacità, come tutta una serie di cose che affliggono generalmente) la figura di dio non riesco a decidere bene se è nata in analogia alla figura della madre e del padre oppure dalla figura della madre e del padre è nata la figura di un dio, comunque rimane questo bisogno di incapacità strettamente legato all’eccitazione della sofferenza cioè alla mancanza di un dio giusto…

 

Sì? Qualcuno vuole aggiungere qualcosa? (…..)

Intervento: la sofferenza connesso alla mancanza mi veniva in mente un altro significante inadeguatezza….parlando della sofferenza questa sorta di blocco, di paralisi….si parlava di limite connesso con la ricerca della causa, in questo senso, come se la ricerca della causa limitasse in un certo modo, la ricerca della causa è la ricerca dell’origine trovata l’origine si è trovata la fine, quindi è come se la ricerca della causa in un certo qual modo fosse una sorta di certificazione di questa questione….il componente immaginato, la causa prima…..(sì questo è dato per acquisito certo) la questione è perché inadeguatezza a questo punto? perché mancando la causa, in qualche modo, si deve andare oltre ma nel senso che c’è la necessità di certificare questa proposizione che si impone, sulla quale non ci si può arrestare (si sente pochissimo!!!!) tutto sommato non evita comunque, non può eludere questa proposizione e andare oltre, è un po’ freudiano….nel senso che non può evitare il lapsus….

Qualunque cosa accada… posso? O è una produzione del linguaggio oppure accade per altri motivi, per altro cioè a causa di altro, se è una produzione del linguaggio allora ne sono assolutamente responsabile e tutto ciò che accade non è nient’altro che un atto linguistico, se invece è causato da altro, allora è questo altro che è responsabile, che ne è la causa, da qui la ricerca della causa prima e cioè di ciò o di chi è responsabile di tutto, essendo responsabile di tutto fa anche da garante ovviamente a tutto quanto, ora non trovandosi questa causa, cioè la causa o la si trova, la si inventa, la si immagina, per esempio dio e allora comunque si è in difetto rispetto a tale causa perché lui, come recita il catechismo, recita, è colui che ha creato ogni cosa "signore e qualche cos’altro di tutte le cose" (padrone) e quindi chiaramente ciascuno è in difetto perché è lui che è oppure sa, conosce la causa prima, e quindi sono in sudditanza rispetto a lui, oppure come fa il discorso scientifico molto spesso, questa causa prima è data per sicura, perché se c’è un effetto allora c’è una causa, religiosamente, però è da trovare e allora comunque siamo sempre in difetto rispetto a questa causa che ancora non c’è, causa prima. Le due posizioni di cui abbiamo detto varie volte però in entrambi i casi, io sono in difetto, e quindi bisognoso di qualche cosa, questa religiosità del pensiero è ciò che come potrete facilmente immaginare ha reso possibile la creazione delle varie istituzioni, solo se una persona si sente mancante bisognosa di qualche cosa è possibile per me intervenire e dirgli che allora è questo che ti manca e te lo do io in cambio….

 

Intervento: la ricerca della causa e la sofferenza…

La ricerca della causa questo nel discorso occidentale certo (……) sono duemila e cinquecento anni che viene cercata però dice "nella sofferenza la causa è già presente" sì, certo, però qui si sta parlando della causa prima, di tutto ciò che causa ogni cosa, questo è un altro discorso…perché, certo, la sofferenza individua la causa di sé ovviamente però, però anche questo elemento è generalmente spesso riferito a una causa superiore che rende conto di questa cosa, infatti la religione ha inventato questa escamotage, io adesso soffro perché dio vuol mettermi alla prova, c’è una causa superiore. Io adesso soffro perché mi son rotto un piede ma ……però in ogni caso stavamo parlando di una ricerca di una causa ultima delle cose e rispetto alla quale ciascuno è mancante, rispetto al quale può anche soffrire, come talvolta accade, per esempio la sofferenza esistenziale, dove andiamo? Chi siamo? Cosa facciamo? Succede. A lei non è successo però alcuni si pongono queste domande. Chi sono? Da dove vengo? Che faccio? Una serie….sono domande che alludono alla ricerca di una causa prima, che giustifichi tutta questa serie di domande….

 

Intervento:

sì, sì può essere certo una legge di natura, una sorta di nemesi (……) il fato per esempio, se sempre l’idea che qualcosa governi comunque, sì e che quindi si è responsabili di ciò che accada (……)

 

Intervento:

qualunque situazione anche ….parlavo della sofferenza così….ma non sono nemmeno costretto per esempio a provare la gioia, sì non sono costretto ma non sono obbligato a farlo, non è necessario che avvenga….dipende adesso io ho preso due termini antonimici ma tutte le varie sensazioni piacevoli o spiacevoli che accadono a una persona e che ritiene che capitino così fra capo e collo non sono più elementi ai quali sono soggetto ma sono sensazioni che possono essere facilmente ricondotte là da dove arrivano cioè a una struttura linguistica e quindi a una successione di proposizioni, poi può essere bello, io so benissimo che ammirare un tramonto sul mare è una cosa bellissima, magari in buona compagnia, pur essendo una cosa bellissima so anche che sono una serie di proposizioni e questo cambia le cose, cioè consente di muoversi, di pensare e quindi di muoversi in modo differente. È possibile provare un piacere, è possibile provare un dispiacere senza esserne travolti, schiacciati. È come sapere sempre e comunque di che cosa è fatto tutto ciò che accade. Così come quando vedo un film che fa paura, però è un film.. ..ci sono gli attori, gli sceneggiatori che sono lì che strepitano perché quell’altro non recita bene, e si immagina la scena e non fa più paura . il mostro terribilissimo che fuma la sigaretta sulla poltroncina nervosamente, che pensa alla bolletta della luce che deve pagare, in attesa della prossima scena e si perde buona parte della paura…

Intervento:

Diventa un discorso religioso se questa necessità è tale da impedire di proseguire a pensare allora sì….(…..) quando impedisce di pensare? Quando costituisce una battuta di arresto, un blocco. Sì la cosa fondamentale è che il pensiero prosegua….sì, si diceva prima che il linguaggio costruisce infinite proposizioni continuamente, è l’unica cosa che gli umani producono ed è l’unica cosa di cui gli umani hanno paura, non temono nient’altro che questo, la sola cosa di cui hanno e possono avere paura, le proposizioni che costruiscono non possono avere paura di nient’altro…..sì paura delle proposizioni che loro stessi hanno costruito…..quindi ecco una questione si volge in una struttura religiosa quando ad un certo punto impedisce di pensare cioè di proseguire cioè di costruire altre proposizioni, come dire è così e basta e allora a quel punto è impedimento come dire dì lì non è più possibile andare. Pensare è tutto ciò che favorisce il pensiero ovviamente qual è il titolo di questa sera?

 

Intervento:

sì un modo, questo del pregiudizio, di dare la responsabilità a qualcuno in particolare, così come accadeva e come è sempre accaduto in Germania mezzo secolo fa abbondante per gli ebrei o chi per loro, sì così sono responsabili, importa comunque che ci sia qualcuno o qualcosa che sia responsabile e in effetti probabilmente da qui è partita la ricerca delle cause prime di ciò o qualcuno che sia responsabile di tutto in generale, che tutto governi…solo a questa condizione io non sono responsabile e cioè tutto ciò che accade non è un atto linguistico e quindi posso pensare che le cose hanno un valore particolare, sono una certa cosa.…il prossimo incontro? "come si costruisce una notizia" sì è un po’ il proseguimento di questo incontro, cioè come si costruiscono i pensieri poi in definitiva, come uno si costruisce una propria notizia su misura…..così come quella del giornale, del telegiornale ….si costruisce come si costruisce un film, cioè deve soddisfare certi requisiti, essere verosimile, essere interessante, divertente (come le novelle metropolitane) sì però non sono così differenti da quelle che passa il telegiornale…..Ho soddisfatto il titolo dell’intervento? Il famoso saggio di Heidegger Che cosa significa pensare? Fa un sacco di arzigogoli come amava fare lui poi non conclude niente dal momento che non tiene conto di un elemento fondamentale e cioè ciò che ne è la condizione per poterlo fare. Anche lì in Heidegger comunque interviene questa bizzarra struttura dell’entimema, della superstizione, la premessa maggiore comunque è sempre assente. Badate ai discorsi che ascoltate e chiedete della premessa maggiore o comunque riflettete sulla sua assenza, comincerete a pensare in modo diverso… va bene se non ci sono altre questioni ci vediamo fra quindici giorni. Grazie e buona notte a ciascuno di voi.