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7-11-2002

 

Beatrice Dall’Ara

 

L’esperienza di una psicanalisi

 

Il racconto dell’analista

 

Intanto Vi saluto, mi presento: sono Beatrice Dall’ara, psicanalista, ho cominciato l’analisi con Luciano Faioni, ho cominciato questa avventura con Luciano Faioni e con Luciano Faioni e altri amici abbiamo fondato l’Associazione Scienza Della Parola, che è una Associazione culturale che si occupa della parola, del linguaggio. Linguaggio, parola che come ciascuno sa, è determinante in un’analisi, un percorso analitico se non fosse un percorso di parola sarebbe…cosa sarebbe? Sarebbe niente, sarebbe un pensare che le cose esistano di per sé e quindi non sarebbe analisi ma sarebbe una religione. E quindi non a caso questo nome “Scienza della parola” perché ciò di cui occorre tenere conto in un’analisi in prima istanza è che sto parlando e tutto ciò che avviene, avviene perché posso farlo, posso parlare e per spingere le cose ancora più in là posso parlare perché c’è una struttura che mi permette di farlo, una struttura fatta in un certo modo …ed è questo, dopo dieci anni dal momento in cui fu fondata l’associazione, ciò di cui si occupa l’Associazione perché tutto il resto è assolutamente arbitrario, l’unica cosa che non si può negare è che qualsiasi cosa avvenga avviene perché lo possiamo dire, perché c’è una struttura che permette di poterlo dire, struttura che chiamiamo linguaggio, tutto il resto è assolutamente negabile, opinioni che non hanno nessun fondamento, non corrispondono a quel vero di cui ha bisogno la parola, il linguaggio per funzionare. Questa sera quello che mi troverò a fare sarà appunto raccontare, visto che il mio intervento titola “l’esperienza di una psicanalisi”, mi troverò a raccontare un racconto che si può ascoltare in una analisi. Il racconto di una signora che decise ad un certo momento della sua vita di compiere un percorso analitico, “decise” tra virgolette perché in qualche modo questo poté accoglierlo qualche tempo più tardi, quando cominciò a parlare…dicevo questa signora decise di entrare in analisi, di compiere questo percorso dopo ripetuti ricoveri in clinica psichiatrica, ricoveri dovuti ai suoi molteplici tentati suicidi. La signora descriveva una storia, storia grigia, triste, scialba ed era curioso come riuscisse a renderla lucente quando si trovava a parlare dei suoi grandi sentimenti, del suo tesoro, chiamava lei, questi grandi sentimenti, di quello che tutto sommato non voleva mettere in gioco, perché erano il suo tesoro, la sua ricchezza questi grandi sentimenti da cui traeva tutte sensazioni e le emozioni che contrastavano con quella immagine e quel mondo che presentava e descriveva un mondo triste, monotono, scialbo. I trastulli preferiti dalla signora erano quelli che costruivano i pericoli cui sottoponeva le persone che amava, quelle che erano oggetto di questi grandi sentimenti. Dicevo appunto che questi erano i suoi trastulli, in qualche modo contrastava quella vita grigia e monotona continuando a costruire pericoli per prevenirli, per cui il suo lavoro era continuo e spossante, era sempre molto stanca perché doveva assolutamente continuare a cercarli e a prevenirli, tutto il suo pensiero era teso in questa direzione, il suo discorso non aveva altre direzioni che quello di trovare il modo di salvare coloro i quali contavano molto nella sua vita, quindi un mondo in cui l’ansia e la tensione…tensione lei diceva…. era sempre molto, molto tesa e la tensione ad un certo momento poteva trasformarsi in angoscia perché quei pericoli che lei immaginava, costruiva, ad un certo momento per qualche motivo è come se le scappassero …avveniva qualcosa cui lei non aveva pensato e per lei diventavano realtà e quindi angoscia, era assolutamente impossibile ad un certo momento continuare a vivere, allo stesso modo la signora era sempre assolutamente presa da questi pensieri e non avendo molto tempo fra casa e lavoro di allacciare relazioni con il prossimo, non poteva farlo perché non aveva tempo per il prossimo anche se le sue grandi idee, i suoi grandi ideali quelli che considerava anche questi i suoi tesori, la portavano continuamente ad occuparsi del prossimo, prossimo che non aveva un volto per lei, gli altri li chiamava i “musi” e li amava, li amava molto intensamente, così come amava i suoi figli, per esempio, era un amore fatto della stessa pasta, non riusciva ad intendere come e perché le due cose ad un certo momento potessero quasi confondersi, comunque…e dicevo che tutto si rischiarava quando lei parlava dei suoi grandi sentimenti, quindi di queste grandi sensazioni, di queste grandi emozioni che provava laddove un pericolo, per esempio, era superato quando poteva trarre un sospiro di sollievo o quando si trovava a donare al prossimo facendo delle cose stranissime, per esempio, una volta la signora si trovò ad ascoltare un missionario, non so bene per quale motivo in quel momento fosse a Torino e fu talmente presa da commozione, così si dice, che non avendo lei assolutamente grandi disponibilità finanziarie, era in bolletta assolutamente, staccò un assegno, fece un assegno posdatato affinché il missionario potesse incassarlo a Natale quando sarebbe arrivata la tredicesima. Questo per dire di come la signora si divertiva, di come la signora viveva, tutto sommato, in questo mondo fantastico. Ora il compito di un analista in un’analisi è quello di fare in modo che la persona di fronte alle sue questioni cominci ad interrogarsi ma se non c’è questione non è possibile l’interrogazione e infatti i primi tempi la signora cominciò a parlare, a balbettare e man mano comunque l’analisi proseguiva e la signora cominciava a rendersi conto di come funzionavano certe questioni nella sua vita e quindi si interessava sempre più a quello che andava facendo e a quello che andava dicendo anche perché si ricordava delle cose intervenute nell’analisi e delle quali aveva parlato all’analista e man mano la cosa cominciava ad avere delle direzioni…certo la signora non poteva ancora intendere molto del suo discorso, però la signora era estremamente curiosa, nonostante il suo grigiore la curiosità era estrema per cui ad un certo momento lei che non aveva smesso di prendere gli psicofarmaci che i medici le elargivano….sì, qui a questo punto è curioso come lei chiamasse gli psicofarmaci “la droga, la mia droga legalizzata” quella che lo stato o gli psichiatri donano alle persone che la richiedono e rideva su questa faccenda perché era come una bambina e affermava che lei amava moltissimo quella cosa, la sua droga, e quindi qualche volta ci metteva del suo per procurarsela e lì aveva trovato il modo di farlo…dicevo che man mano che proseguiva l’analisi la signora decideva che aveva bisogno di svegliarsi, quindi se continuava con gli psicofarmaci non poteva svegliarsi, non poteva, diceva lei, pensare, non poteva occuparsi del suo pensiero. Come faceva, continuamente presa da questo sonno? Da questo sonno, gestita in qualche modo dal sonno perché dal mattino al mattino dopo lei aveva ciò che le serviva per continuare a dormire ma lei voleva pensare, voleva svegliarsi, quindi ad un certo momento di sua spontanea volontà abbandonò tutto ciò che era stata la sua “mano” per tanti anni, la abbandonò e incominciò ad accogliere quello che le si parava davanti, ciascuna volta, sempre con più coraggio, in qualche modo man mano che l’analisi continuava lei prendeva coraggio, si incoraggiava e così anche l’analisi si incoraggiava e proseguiva, e a quel punto visto che di notte la signora dormiva pochissimo, non avendo più i sonniferi che la facevano sognare, a detta sua, in un modo splendido, i sogni che intervenivano erano stupendi, ricordo, che parlava dei colori molto accesi e contrastanti “come quando si legge un testo di Poe” , la signora che era curiosissima cominciò a riprendere quello che era un suo antico piacere, che però negli ultimi anni aveva abbandonato, ricominciò a leggere. Da bambina leggeva Topolino, leggeva le fiabe era una appassionata di fumetti e al momento in cui la sua analisi cominciò a diventare importante, si interessò a quelli che aveva imparato a chiamare i suoi “sintomi” e fu facile il “sintomo” come ineffabile interloquiva continuamente nel suo discorso e dava degli scossoni non indifferenti ma questo non era deleterio all’analisi, non bloccava assolutamente anzi la incuriosiva, la stupiva continuamente, si stupiva moltissimo del fatto che parlando, per esempio, parlando del suo furioso mal di testa, questo quasi magicamente parlandone sparisse, per lei era una cosa prodigiosa, un miracolo per cui fu subito attratta perché voleva intendere come funzionava e cominciò a leggere, leggeva moltissimo e le sue notti che non avevano più sonnifero le davano molto tempo e quindi lei era libera leggeva e in pochissimo tempo lesse tutte le opere di Freud, su molti saggi ritorno più volte perché erano quelli che più le davano, istigavano il suo pensiero e quindi con questo faceva i conti, si stancava di leggere Freud quando non capiva qualche cosa, allora il suo entusiasmo si frenava abbandonava Freud e si avvicinava ad altri, per esempio a Nietzsche, Nietzsche fu uno dei testi che diedero maggior forza…sì, forse proprio forza al suo discorso, non osava avvicinarsi a Nietzsche non credeva di essere degna di poter accedere a questo che lei riteneva un testo sacro, un desiderio impossibile, ma non solo anche Platone, Aristotele, tutto era utile alla sua ricerca, una ricerca quasi spasmodica ma, ecco, non solo questo perché frequentava i corsi che teneva Luciano Faioni nel suo studio e in questi corsi era della parola che si parlava, interveniva Lacan, per esempio, e Lacan era uno psicanalista e parlava di parola, di linguaggio “ça parle” come dire queste parole dicono questa cosa, la parola era in primo piano, di quello che faceva la parola e quindi ad un certo momento al testo sempre presente di Freud che amava moltissimo, l’esigenza della signora, il divertimento fu quello di approdare avendo il coraggio di farlo, perché lei non credeva di capire, ma lei voleva capire, una delle questioni della signora era proprio quella del capire, diceva sempre con molta “religiosità” : io sarò in grado? Comunque nonostante questi scansamenti, questi divieti che intervenivano continuamente, cominciò a leggere testi di linguistica, perché erano necessari a quello che lei andava facendo. Quindi De Saussure, Benveniste per citare alcuni fra i più noti linguisti, Greimas fra i semantici…. uno degli scrittori preferiti dalla signora era Peirce , ma si rendeva conto che per continuare a leggere un semiotico, un logico come Peirce doveva avere delle basi di logica e quindi cominciò ad approcciare testi di logica, da quelli più semplici a proseguire fino a confrontarsi con quei testi che riteneva utili alla sua formazione Frege, Russell fino a Wittgenstein ….chiaramente i corsi e le letture portavano l’analisi di questa signora a grandi “fioriture” come diceva lei, l’analisi fioriva, la sua parola fioriva e trovava molto difficile a questo punto occuparsi della sua storia ma d’altra parte questo era necessario, era necessario che lei cominciasse a occuparsi della sua storia e di come andava costruendo continuamente quella storia che andava ripetendo, e che poteva ripetere perché non poteva immetterla nel suo discorso, come dire, lei sapeva quali erano le cose importanti che andava gestendo ma non sapeva di quale storia stesse parlando, non era molto chiaro, ci volle molto e molto tempo prima che riuscisse a dare un senso a tutta una serie di elementi che erano assolutamente slegati, non potevano connettersi tra di loro e quindi avere un senso per cui potesse affermare questa è la mia storia. Nel momento in cui poté accogliere quella storia che andava interpretando, con “interpretando” in questo caso sto dicendo “quella storia che andava mettendo in scena” perché non sapeva di quale storia stesse parlando, si accorse che partendo da quei grandi sentimenti che lei descriveva e che le erano così utili per combattere la monotonia che doveva contrastare perché risaltassero in un modo così preciso, dicevo, laddove riuscì ad intendere la storia partendo da questi grandi sentimenti e concludendo alle immagini di morte, perché di morte? Perché quando arrivava all’angoscia era la realtà che si parava davanti, era la morte avvenuta cioè la realtà che avveniva, realtà che riguardava i figli e quindi non potendo sopportare questa angoscia arrivava al suicidio, metteva in atto questa piece, quindi occorreva che la signora intendesse quale storia stava interpretando, cioè quale storia stesse gestendo, stesse costruendo in quel subire che metteva in atto, perché subiva la storia, perché era necessario che soffrisse, era necessaria la sofferenza nel suo discorso per avere il paradiso per esempio, per avere un sorriso, voleva sorrisi…era necessaria quella sofferenza e quando si accorse che la storia che andava raccontando era una storia vecchia come il mondo, una di quelle storie che si raccontano, si tramandano di generazione in generazione e che era una telenovela quella che stava interpretando e che la sua parte in questa telenovela era quella della vittima sacrificale, di colei che si faceva serva per non uccidere un padrone che era il figlio o la figlia…cominciò a chiedersi perché continuare ad assumere questa storia? “Dove ho imparato questa storia?” “Perché le cose stanno proprio così?” Queste erano le regole che intanto stavano funzionando nell’analisi, che chiede continuamente e interloquisce nel discorso della persona, dicendo “ma come lo sai quello che affermi?” “dove l’hai saputo?” “chi te l’ha detto?” a quel punto la persona deve cominciare a muovere il suo discorso, deve rispondere per esempio “me l’ha detto mia nonna, quando ero bambina mi raccontava…e io credo che devo stare buona” e quindi dicevo che al momento in cui si accorse della piece che lei metteva in atto e quindi gestiva e che continuava a produrre, si accorse che un conto è dire adesso vado al cinema e mi guardo un film e un conto è trovarsi continuamente nel film come interprete, il discorso cambia, a questo punto aveva raccontato una storia, l’aveva raccontata, aveva immesso nel discorso finalmente quello che era un senso possibile partendo da degli elementi che continuavano a intervenire nel suo discorso, che si erano combinati in un certo modo, trovato un senso, aveva costruito questa storia del sacrificio, come dire mi piace la telenovela, quella telenovela, la costruisco, la utilizzo ma cerchiamo di uscirne da questa storia, cerchiamo di non esserne travolti continuamente, non è necessario….. e allora si trattava a questo punto di porre la condizioni perché la signora potesse “interpretare” questa storia …qui “interpretare” non è nell’accezione in cui la ponevo prima: interpretazione come messa in scena di uno spettacolo, con “interpretazione” qui da un lato è intendere come da certi elementi io traggo una certa conclusione e quindi questa certa storia, quindi cominciare a intendere il modo di pensare, far intendere alla persona che è in analisi e che gestisce il discorso e che deve cominciare ad ascoltare il suo discorso, come funziona il suo pensiero, come date certe premesse trae certe conclusioni, perché date certe premesse si possono trarre altre conclusioni, però se do una certa interpretazione espongo il motivo del perché agisco una certa scena, faccio certe cose mentre appunto posso dare altre di interpretazioni e quindi agire in altro modo…questo per arrivare a ciò che Freud chiamava il motivo economico della ripetizione di un certo modo di agire …si trattava di intendere “il perché” la signora non potesse capire qual era la storia che andava raccontando quella del sacrificio, per esempio, era una storia del bene o del male, la storia dell’eroe che si sacrifica, la storia di Gesù Cristo, cose di questo genere, quindi parlavo della seconda storia che la signora poteva costruire cioè che interpretazione tutto sommato lei ne dava e perché non poteva ammetterla, ammetterla nel discorso, a questo punto è chiaro che non poteva ammettere una certa storia perché negava una certa interpretazione e questa interpretazione non poteva intervenire perché lei non decideva di darla, tutto sommato. In quel momento dell’analisi la signora in tutti i modi cercava di mettere in atto, di provare continuamente a sé e all’analista che quello che per lei era scontato, o doveva essere assolutamente implicito nel suo discorso di fronte a certe questioni, di fronte a questa questione dell’immettere nella parola la sua interpretazione, mise in atto dicevo, tutte le prove possibili, tutte le invenzioni possibili per poter negare tutto quello che per lei aveva funzionato come traino nella sua analisi e quindi per poter negare quella proposizione che afferma che qualsiasi cosa è un atto linguistico. Cercò in tutti i modo di convincersi che non era vera una cosa di questo genere, anche se continuando in questa direzione si costringeva sempre di più perché si rendeva conto che non poteva uscire da questa verità, non la poteva negare, a meno che non si condannasse a quella realtà pazzesca, a quella che ora non era più assolutamente disposta ad accettare quella del sacrificio, della sofferenza, lei voleva divertirsi e quindi ad un certo momento decise, ammise, affermò questa è la mia interpretazione cioè quella storia che ho raccontato non la potevo raccontare perché ciò che credo è che il mio desiderio, cioè ciò che mi spinge, ciò che mi traina sia il desiderio di uccidere le persone che mi amano o che io amo che è lo stesso. Si sa nel discorso in cui ci troviamo, nel discorso occidentale, uno dei capisaldi è l’amore della madre per i propri figli, la madre è sacra, è un’intoccabile, non si può mettere in gioco questo amore, metterlo in gioco è come affermare di essere una poco di buono. Per una madre affermare che il suo amore questo grande amore per i figli, dal quale traeva tutte le sensazioni che traeva era un gioco linguistico non fu così semplice e così facile, si frantumava tutto quanto un mondo e non poteva soprattutto pensare che se qualsiasi cosa è un gioco linguistico e nulla ci sarà che possa contraddirlo, come farò a contraddirlo parlando? A questo punto sorgeva il problema che questo amore della madre per i figli, se non fosse esistito questo gioco linguistico non sarebbe stato un amore della madre e quindi sarebbe caduto, non ci sarebbe stato mai, né ci sarebbe mai stato, questa caduta della ricerca delle grandi emozioni, sensazioni, sembrava impossibile alla signora. Uno dei motivi per cui la signora non decideva né la storia, né l’interpretazione che pure aveva già deciso, se no, se non ci fosse stata quell’interpretazione “ineffabile” avrebbe parlato tranquillamente senza porsi dei problemi, dicevo, che una delle questioni importanti per cui la signora non poteva ammettere nel suo discorso questo desiderio “io desidero uccidere mio figlio o mia figlia” che risaltava era palese in quello che lei andava dicendo, non lo poteva fare per una sorta di magia, di superstizione dovuta all’intensità con cui si trovava ad amare, alla divinità, all’onnipotenza dei pensieri per cui non poteva affermare una certa cosa perché subito quella cosa sarebbe avvenuta e quindi se lei poneva questa interpretazione “la cosa” sarebbe avvenuta, quindi non lo poteva fare, chiaramente. Una questione difficile da elaborare e non mi interessa in questo momento, se lo volete lo possiamo fare, possiamo parlarne in altri momenti, dicevo allora anche la questione della magia, della superstizione per cui non poteva pronunciare una certa cosa perché quella cosa immediatamente si animava e accadeva. La magia della parola! Comunque a quel punto la signora affermando il suo desiderio ebbe l’opportunità di chiedersi se era proprio così, finalmente, se era proprio quello che lei voleva se lei voleva uccidere i figli , ancora meglio se era questo che le piaceva. A questo punto sembrava alla signora risibile la questione, lei che non uccideva una mosca, che amava tutti animali compresi, trovava risibile in qualche modo ed ebbe finalmente l’opportunità di chiedersi se era proprio questo che le piaceva così tanto, e se fosse proprio questo che spingeva la sua storia e quindi la sua vita, ma in questo momento dell’analisi già aveva degli strumenti per cui poteva accorgersi che questo gioco non la interessava più di tanto, ancora nel suo discorso qualche scena di morte le si presentava agli occhi ma si accorgeva sempre di più che se questo gioco cioè quest’altra storia che parlava dell’uccisione della persona a lei cara di un figlio o di una figlia, se questo gioco era una produzione del suo discorso con questa produzione doveva fare i conti, interrogarsi sul perché intervenivano per esempio questa serie di proposizioni che affermavano e mantenevano importante questo termine “uccidere”. La interessavano, a questo punto, visto che lei sapeva che per continuare a parlare doveva soltanto continuare, questa scena magicamente non accadeva era un discorso che proseguiva, poteva elaborarlo, poteva intenderlo, poteva intendere quali erano gli agganci che riportavano comunque questo gioco nel suo discorso a chiudere quello che era ciò con il quale si divertiva e quindi la ricerca teorica e quindi spinta ad intendere come funzionava il discorso, come mai si interrompeva ogni tanto e quindi a quel punto cominciò una vera e propria ricerca linguistica su quelli che erano i termini, le proposizioni portanti, importanti, su come interveniva “l’ammazzare” nel suo discorso, cosa procurava quali sensazioni ricercava, quali sensazioni costruiva, di quali emozioni aveva bisogno per credere che un certo gioco fosse quel gioco che non aveva più rinvii. In questo caso alla signora era utile sapere che parlando intervenivano questi agganci con la storia più vecchia del mondo “non uccidere il prossimo tuo” e questo aveva imparato e quindi si chiedeva come continuare, cosa dirne ancora. E quindi una ricerca linguistica a questo punto prettamente linguistica su dei termini che si allacciavano l’uno con l’altro e non permettevano l’inserimento di altri elementi e quindi non permettevano di sganciarsi e quindi di trovare un altro sbocco. A questo punto nell’analisi della Signora accanto alla questione morale, al gioco della morale che interveniva possente a indicare l’autorità che proferisce “non ammazzare!” per esempio, e che distingue e stabilisce cosa è il bene e cosa è il male e cosa e giusto e cosa è sbagliato e cosa è il bello e cosa è il brutto, e che soprattutto destituisce il parlante dalla responsabilità che lo concerne, che è una responsabilità di parola, di quello che afferma, di quello che si trova a dire che crea la realtà, che stabilisce che le cose stanno così e che quindi che c’è la sofferenza, sofferenza dalla quale mi devo liberare e che io non voglio, dicevo, in questo momento dell’analisi di fronte appunto al gioco preminente, il gioco della morale che stabilisce il male, accanto a questo gioco un altro gioco molto importante interveniva nel discorso della Signora, prendeva sempre più piede e cioè il gioco erotico, un erotismo allo stato puro in qualche modo, puro nel senso che intervenivano immagini, ricordi, scene dalle forti tinte, l’impero della passione, giochi che si condensavano l’uno nell’altro e dal quale non si riusciva a distinguerne gli elementi. Passioni quindi affetti anche qui allo stato grezzo. A questo punto mi piacerebbe utilizzare un breve racconto che fa Freud nell’Interpretazione dei Sogni perché è difficile rendere comprensibile quello che voglio dire. Nel VI capitolo dell’Interpretazione dei Sogni laddove Freud parla degli stati affettivi, quindi delle sensazioni piacevoli e delle sensazioni spiacevoli, laddove Freud si trova a parlare, per esempio, di come un affetto si trova distinto, staccato da quello che invece la scena pretende, come dire se c’è un terremoto le sensazioni che accompagnano e producono il terremoto nel discorso in cui ci troviamo CAMBIO CASSETTA generalmente sappiamo che sono spiacevoli, se vado a Rio De Janeiro per il carnevale nel discorso comune, nel luogo comune le sensazioni che accompagnano tale storia, tale costruzione linguistica sono piacevoli, però diceva Freud che nel sogno quindi in questo discorso poteva avvenire che laddove ci si aspettava un affetto piacevole poteva avvenire una scena spiacevole, ecco parlava di questo a grandi linee e forse per fare intendere meglio Freud raccontava di una sua analizzante che un giorno si presentò in analisi e voleva parlare del sogno che era avvenuto nella notte, sogno che l’aveva colpita non tanto per il suo contenuto, di quello che il sogno raccontava, ma del fatto che lei si sentiva in colpa perché da questo sogno lei si aspettava di provare sensazioni spiacevoli, avrebbe dovuto soffrire, diceva lei, ma lei non riusciva a soffrire e si sentiva in colpa perché in quel sogno era morto, lei era la zia di un bimbo che amava moltissimo, era morto questo suo nipotino e risvegliatasi si era accorta che non piangeva e che non era triste…seguono quattro o cinque pagine di analisi del sogno e Freud ad un certo momento afferma che la Signorina stessa trae da sé il motivo di questa mancanza di sensazioni spiacevoli, perché nel sogno in un angolino del sogno che la signorina andava raccontando, al funerale precisamente, la Signorina incontra il suo amato, colui che lei amava e che aspettava da tantissimo tempo di poter incontrare, quindi la Signorina era molto contenta, era assolutamente contenta e la sua gioia era grandissima e quindi aveva fatto quel sogno per poter incontrare quell’uomo, ma le due cose laddove era immersa nella realtà e non in un sogno stridevano e lei si sentiva in colpa. Ecco, questo per far intendere di più quello che poi può essere descritto come il motivo, quello cui arrivò la Signora nella successiva costruzione di una terza storia, il motivo economico, come dire non aveva potuto intendere la storia che stava interpretando, non aveva potuto accogliere l’interpretazione, perché comunque andava continuando a ripetere una certa scena che le piaceva tantissimo, perché credeva non ci fosse al mondo nulla che potesse piacerle di più, permanendo questo modo di sentire non poteva trovare qualcosa che le piacesse di più, perché quello era l’unico gioco che conosceva, quello che la faceva continuare come un automa a ripetere un certo gesto e quindi tutta una serie di cose. Dicevo del gioco della morale, di come interveniva nell’analisi, e del gioco dell’erotismo, questo erotismo appunto un erotismo bieco, come solo l’erotismo dei bambini può esserlo, il cui unico scopo e l’unico obiettivo è divertirsi e si divertono con gli strumenti che hanno a disposizione ed era il gioco del dottore che interveniva nel discorso della Signora a fissare il suo ultimo e solo godimento, a questo punto lei si trovò a interpretare e a riderne soprattutto, a riderne perché lei si accorse che il sacrificio, quel bisogno di mettersi al posto di Gesù Cristo in qualche modo e di continuarne le gesta era proprio una voglia di continuare a giocare l’antico gioco del dottore. Era una bambina che amava, era un maschiaccio e giocava, coglieva l’occasione per giocare questo gioco continuamente e con tutti i bambini e le bambine con i quali poteva farlo, e trovò tanti bambini e bambine che lo facevano e questo coltivava e questo voleva e questo non le permetteva di cambiare quella posizione, quella posizione che tuttavia era l’unica posizione che le permettesse di raggiungere l’orgasmo, per esempio, e questo era il suo unico modo di godere. Intese che non era necessario soffrire e quindi sacrificarsi e quindi ingurgitare quantità enormi di psicofarmaci donati dai medici per fare il suo e il loro gioco, per godere di una scena della quale lei poteva solo immaginare, si accorse che poteva cambiare posizione, poteva giocare in qualsiasi posizione e qualsiasi condizione bastava solo che lo volesse a questo punto il gioco era fatto, poteva cominciare a giocare qualsiasi gioco ma non solo poteva cominciare a costruire qualsiasi gioco perché quelli che via, via aveva costruito ormai non la interessavano più. Ecco adesso se qualcuno vuole intervenire?

- Intervento: lei ha parlato sempre dei figli nella relazione tra questa signora e i figli

 

Era un esempio quello che stavo facendo, parlavo degli affetti grandissimi, i sacri vincoli che nel discorso in cui ci troviamo….

 

- Intervento: questo desiderio di uccidere, sempre riferito a queste figure sacre nel rapporto madre e figlio. E la figura del marito dove sta?

 

Questa era una figura che alla Signora poteva interessare o non interessare è una sua decisione quella di descrivere quelli che erano i termini importanti della sua analisi, il marito …il marito interveniva in moltissime figure, figure retoriche che la signora si trovava a costruire, però questa è la direzione di un discorso che servì alla Signora per dare un senso a tutte quelle cose che senso non avevano, la questione del marito può essere importante se era importante per la Signora e se riteneva degno di ascolto ciò che andava dicendo quindi questa era una decisione della Signora

 

- Intervento: ho capito ma questa decisione la storia come la contempla? La decisione di questa Signora che rappresenta questo scenario così particolare, la figura del compagno rispetto alle figure cosiddette parenteliche, consanguinee più strette

 

Qui, vede, si possono dare tantissime risposte e produrre tante interpretazioni, si può giocare anche col ruolo di una figura come quella del marito, fra le altre figure ma di certo per costruire la piece del sacrificio era con i figli che poteva giocare perché queste sono sacre figure, la figura e il gioco con il marito non avrebbe prodotto l’epilogo cioè il suicidio questo non bastava….io mi sono trovata a descrivere quella che era una parte della storia mi serviva compiere questo passaggio e di questo potremo parlare successivamente cioè un’altra figura mettiamo un’altra figura e raccontiamo un’altra storia. Chiaramente laddove parliamo di servo e di padrone possiamo intendere quali ruoli giochino le varie figure in un discorso e quindi anche quella del marito, l’autorità…

 

 

 

- Intervento: glielo ho chiesto perché c’è una palese asimmetria, indubbiamente è voluta proprio perché potesse in qualche modo rappresentare meglio il tema

 

Chiaramente qui io mi servivo di quelli che sono i tic per cui se il mio discorso va in una certa direzione necessariamente questa direzione deve escludere altri elementi che non servono al gioco…qualcuno vuole intervenire? Faioni?

 

 - Intervento: in effetti il racconto dell’analista è il racconto di un genere particolare, ci si aspetta che racconti un percorso analitico i suoi fatti e gli sbocchi soprattutto. Ora ciascuna volta in cui si racconta, l’analista racconta evidentemente interviene direttamente o indirettamente anche il suo intervento, il modo dell’intervento, altra questione tutt’altro che semplice, dell’intervento dell’analista, visto che l’intervento dell’analista è volto ad ottenere degli effetti. Il problema che sorge immediatamente è quale? Questo è l’aspetto complicato, ora come ciascuno sa, esistono un certo numero di scuole di psicanalisi ciascuna di queste scuole interpreta in base alla dottrina che ha appreso e tradurrà il discorso della persona che ascolta in base a questa dottrina, questo è noto da tempo. E anche l’obiettivo che si impone l’analista è differente a seconda della scuola cui appartiene. Certo ciò che diceva Beatrice, magari un po’ fra le righe, pone una questione che va al di là di questa cioè quelle poste dalle varie scuole di psicanalisi, come ciascuno sa qualunque scuola di psicanalisi muove da una teoria cioè da una serie di cose che crede più o meno fortemente e applica queste cose al discorso che compie con la persona che si rivolge a lui. Tutto questo avviene quasi sempre, in effetti molti si domandano che esistano molte scuole di psicanalisi, così come di fatto non avviene in moltissimi altri ambiti, certo può apparire una domanda ingenua però è una curiosità che può essere legittima, come è possibile visto che l’obiettivo dovrebbe essere comune, almeno apparentemente e cioè assolvere o soddisfare la richiesta dell’analizzante, il problema è che la richiesta dell’analizzante non è così semplice, supponiamo che chieda di stare meglio, può accadere che una persona vi faccia una domanda del genere, be se lo volesse lo starebbe! Ma come avviene invece che continua ad affermare che o come diceva Beatrice continua a credere tutta una serie di cose alle quali da una parte non vuole credere ma dall’altra è costretto a credere, ora tale costrizione è esattamente ciò di cui si occupa una psicanalisi, e cioè perché una persona crede le cose in cui crede o più propriamente perché pensa le cose che pensa? Anche perché tutte queste cose per la persona così come per chiunque sono assolutamente reali e la difficoltà come affermava Beatrice è di giungere a considerare questi elementi come una produzione del proprio discorso, che è sicuramente la questione più ardua da accogliere però è la condizione, e solo a questa condizione è possibile fare un altro gioco, in caso contrario no, è tipico del modo di pensare di moltissime persone il trovarsi a non volere una certa cosa, non voler pensare o credere o fare una certa cosa e invece di essere costretta quasi, non si sa bene da che cosa, ma costretta a farla, a pensarla, a crederla. Anche se di fatto nessuno la costringe a fare una cosa del genere, questa costrizione ovviamente viene dai sui pensieri appartengono….ecco dicevo poter eliminare una costrizione che è psichica e questo è l’unico lavoro che fa l’analista, l’unica cosa che occorre che faccia, come dicevo farlo non è semplicissimo ciascuna persona è saldamente ancorata e vincolata alle cose che crede qualunque cosa siano e pertanto abbandonare una cosa del genere è l’unica difficoltà che interviene in una psicanalisi, non ce ne sono altre, come dicevo le cose che si credono appaiono assolutamente reali, totalmente reali, straordinariamente reali e pertanto proprio per la definizione stessa di realtà non c’è alcuna opportunità né necessità di metterla in gioco: se la realtà è questa allora non posso fare nulla, è così che si pensa in generale, può apparire un modo bizzarro di pensare però è il modo in cui si pensa….

 

- Intervento: la domanda dell’analista è quella di fare da specchio? In quello che il paziente dice, riuscire a fare capire quello che c’è nel suo linguaggio? Mi guardo nello specchio, un guardarsi nello specchio

 

L’analista, lei dice? No, l’obiettivo dell’analista e quello di poter parlare con l’analizzante, di insegnargli a parlare, lo specchio non interessa all’analista queste sono storie vecchissime che sono state costruite e hanno avuto un loro utilizzo nella psicanalisi, hanno avuto modo di far intendere e di far elaborare delle questioni, sono state comunque un modo per creare delle questioni e per portare avanti un discorso, no, direi che all’analista non interessa essere lo specchio dell’analizzante, l’analista vuole parlare con l’analizzante, poterlo fare, vuole che il discorso funzioni e quindi parlare una nuova lingua, diciamola così, la lingua dell’analista con regole assolutamente differenti, direi che lo specchio non ha nessun interesse

 

 

 

- Intervento: direi che il paziente capisce quello dice, fa quasi da riflesso?

 

No, la difficoltà dell’analista è far ascoltare alla persona che domanda di parlare con lui quello che sta dicendo, di quello che parlando la persona mette in atto, costruisce. L’intervento dell’analista mina le condizioni per portare avanti il solito discorso che non si interessa del proprio dire, che pensa che il dire il parlare siano dei mezzi che servono per descrivere una certa realtà, no, l’analista “insegna” tra virgolette all’analizzante che deve ascoltare ciò che dice per intendere ciò che dirà… e che quindi sta parlando e che esiste e vive in una struttura che gli permette di compiere questa operazione, di inferire che una cosa è una certa cosa, se la persona non compie questa operazione, non si interroga su quello che lui si trova a pensare e non potrà uscire da un circolo vizioso che è quello delle cose che non possono mutare, che sono ferme immobili, stabilite non da lui ma dal suo discorso

 

- Intervento: ha detto una battuta inizialmente quando si è introdotta…è una religione ha usato quel termine

 

Ho detto che in un’analisi, ciò di cui si occupa una analisi è della parola perché è con questo che ha a che fare, solo con questo, con il discorso, con il linguaggio…perché se si trova a credere che ci sia qualcosa che non è parola questa è religione non è analisi. Questo stavo dicendo. (…) sempre attenersi a quello che si dice perché se no si rischia di fare delle costruzioni fantastiche e una cosa va bene come un’altra.

 

- Intervento: tornando al fattore parola ognuno di noi comunica quotidianamente. Una comunicazione verbale e non verbale, nell’ambito della comunicazione verbale ci sono per lo meno due livelli, direi che fare speculativa dell’analista , credo che poggi molti sui vari livelli della comunicazione verbale, il livello oggettivo, quello che palesemente intendono tutti, la significazione direi primaria del parlare, del comunicare, del veicolare il pensiero……quando il livello oggettivo viene ristrutturato e posto in un altro sistema di significazione nell’ambito della metacomunicazione lì scatta comincia a scattare la vera indagine di ciò che il soggetto dice senza sapere dirlo o presumendo di dire soltanto ciò che il livello oggettivo in qualche modo diventa causa del dire, causa ed effetto, in realtà dice altro e allora lì entra l’analisi del mondo affettivo, codici affettivi che sicuramente l’analista ha modo di valutare …dico questo perché anche in altri settori si usa ossia l’induzione attraverso un costrutto verbale palese di stati che appartengono alla metacomunicazione si colpiscono determinate sfere per esempio affettive chiamiamole di interesse nel soggetto laddove si vuole proporre al soggetto un certo imput induttivo, ora tanto questo può avvenire a livello induttivo quanto può avvenire ancor meglio a livello acquisitivo del soggetto, il quale parlando di un fatto che può essergli accaduto in realtà parla di altre cose che il fatto ha stimolato oppure….quindi nell’ambito dell’analisi come chi fa comunicazione “sfrutta “ questa veicolazione, questa struttura, questi paradigmi, ancor più credo che l’analista se ne avvalga per poter indagare il mondo particolare del mondo del soggetto

 

È complessa la questione….dipende da quello che lei intende con comunicazione (la parola in questo caso è il messaggio del contenuto del pensiero allora la veicolazione verbale si avvale del livello oggettivo e poi di altri livelli, voi fate analisi in tal senso dei vari livelli?) noi non facciamo analisi dei vari livelli, noi ci troviamo ad ascoltare un discorso, noi sappiamo che la cosa più difficile per la persona è considerare che sta parlando e che quindi sta agendo un discorso e che se la persona afferma che non c’è comunicazione la persona da una certa definizione di comunicazione che è quella che sta dando, per lui la comunicazione è quella che non c’è comunicazione, noi solo a questo ci atteniamo a quello che la persona in quel momento si trova a dire e alla definizione che da di un certo termine la “comunicazione “ è un termine che viene utilizzato dal parlante per dire, non sono molti i sensi che può dare un termine come “comunicazione” per dire che c’è comunicazione si immagina una comunicazione a vari livelli, a vari strati oppure c’è un altro luogo comune che afferma che non c’è comunicazione e quindi tutte quelle cose il veicolo non c’è perché la persona non può comunicare. Ecco l’analista non ha bisogno di crearsi tutte queste difficoltà per ascoltare un discorso e sa che fuori dal discorso non è possibile andare solo questo sa e pratica questo, quello che per lo più dalla persona non è considerata, dal parlante non è considerato, la parola non è un mezzo per descrivere delle realtà al di fuori di quello che lui ne dice, la persona è parola non avrebbe nessun modo di comunicare, di intendere per esempio quello che lui va dicendo fra sé e sé se non ci fosse un discorso che fa. Va bene giovedì prossimo…buona notte a tutti e grazie.