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LA PSICANALISI E IL SUO PROGETTO

 

6/5/1997

 

Allora questa sera parliamo della Psicanalisi, perché no? Visto che è il mio mestiere, possiamo anche parlarne. La psicanalisi e il suo progetto, sì perché in effetti occorre riflettere su quale sia o possa o debba essere il progetto della psicanalisi. Come sapete, almeno le persone che da molto tempo seguono ciò che dico, da tempo abbiamo preso le distanze da ciascuna dottrina psicanalitica, così come sono comunemente intese, dirigendoci verso un obiettivo che era ed è quello di costruire un discorso, e quindi una pratica psicanalitica che non necessitasse di nessun atto di fede e quindi che non si trovasse costretta necessariamente lungo il suo cammino a infondere una fede alle persone che si rivolgono alla psicanalisi. Operazione non semplice, non semplice per due motivi, uno teorico che comporta l’elaborazione di un discorso tutt’altro che facile e l’altra una questione… chiamiamola pratica, che si incontra nel momento in cui ciascuna persona che si avvia ad un percorso analitico il più delle volte ha delle informazioni intorno alla psicanalisi e si aspetta appunto dalla psicanalisi una sorta di guarigione religiosa. Intendo con guarigione religiosa la sostituzione di un credo, qualunque esso sia, con un altro, ritenuto più attendibile, più vero... quello che si vuole. Ora che cosa avviene propriamente in una psicanalisi? Avviene questo, che il proprio discorso, cioè il discorso di ciascuno, viene considerato non come un elemento da decodificare oppure da trasformare in altro, oppure ancora da migliorare, come se il discorso veicolasse un cattivo adattamento alla società o a qualunque cosa. Dunque il discorso viene preso per quello che è, e cioè una successione di inferenze, di deduzioni, di induzioni a seconda dei casi, e cioè una successione di elementi connessi fra loro da connessioni che vengono ritenute necessarie. E abbiamo considerato se il problema stesse proprio in questo, cioè nel considerare necessarie delle inferenze, delle connessioni. Qualunque dottrina psicanalitica compie la stessa operazione, nel senso che attribuisce alle proprie inferenze, alle proprie deduzioni un carattere di necessità, qualunque dottrina nel senso che ciascuna teoria psicanalitica suppone di sé di essere vera, di essere vera e quindi di dare, di rendere conto di uno stato di cose o di un funzionamento delle cose, e giunge a questo ritenendo, esattamente come si diceva prima, che il proprio discorso segua delle connessioni, delle inferenze necessarie per cui giunge a una conclusione altrettanto necessaria. Prendete per esempio, alcuni di voi forse avranno letto qualcosa di Lacan, la proposizione di Lacan che afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Vi propongo questa affermazione perché è fra le più note e tra l’altro tra le più accreditate, e non solo fra i lacaniani. Ora questa proposizione che viene affermata e sulla quale si basa buona parte della elaborazione di Lacan corrisponde a qualche cosa o è una sciocchezza? Oppure non ha nessun referente, è una proposizione che afferma o compie un’affermazione totalmente gratuita? Intendo con gratuito ciò che non è necessario e non può esserlo. Lacan giunge a formulare questa proposizione non da nulla ovviamente, ma attraverso una serie di sue riflessioni e cioè di connessioni, di inferenze, di deduzioni, induzioni che lo conducono a questa proposizione che afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Dunque per potere affermare questa proposizione occorre che, perché questa proposizione sia vera, occorre che ciascuno di questi passaggi, sia vero. Questo è un problema che per i logici è terribile, perché? Perché è possibile compiere una operazione del genere e cioè una serie di passaggi logici che conducono a una conclusione vera, ma questa conclusione è vera solo e unicamente rispetto alle regole che si sono adottate nel caso specifico, al di fuori di queste regole non significa assolutamente niente, come dire che questa proposizione di Lacan che afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio è vera all’interno delle regole del gioco che Lacan sta giocando, fuori da queste regole non significa assolutamente niente, non ha come nessuna proposizione, nessun referente da nessuna parte, non dice niente. Questione questa tutt’altro che marginale dal momento che potremmo porla come la questione centrale in ciascuna analisi giungere a considerare che le cose che si credono, cioè le proprie opinioni, certezze, tutto quello che vi pare, sono vere soltanto all’interno di un gioco che le renda possibili. Esattamente come è vero che quattro assi battono due fanti nel gioco del poker, ma fuori dal gioco del poker questa proposizione non ha nessun senso, non significa niente dire che quattro assi battono due fanti, per uno che non conosce il poker questa proposizione non dice niente, cioè deve potere conoscere le regole del gioco per potere accogliere questa proposizione come vera. È vera perché il gioco ha stabilito questo e allora Lacan può affermare, non tanto che la proposizione che afferma che l’inconscio è strutturato come un linguaggio sia vera, ma che Lacan decide che sia così e cioè pone questa come una fra le sue regole del gioco, per giocare il gioco che si svolge lungo tutti i suoi Scritti per esempio. Così come ha potuto dire che l’inconscio è strutturato come un linguaggio i logici, i matematici, dicono "sia A uguale a B", non vuole dire niente di per sé, sono affermazioni che servono a svolgere un certo gioco e che si pongono come una regola per giocare quel gioco, niente di più e niente di meno. Ora a noi interessa intendere questo lungo una psicanalisi, cioè cogliere quali siano le regole del gioco che si sta giocando e per fare questo occorre in prima istanza che sia possibile intanto accorgersi che si sta giocando un gioco con delle regole ben precise, cosa che non va affatto da sé, ed è tutt’altro che semplice poiché curiosamente si è indotti da una sorta di addestramento a pensare, a immaginare che le cose che si dicono, che accadono siano la realtà delle cose o siano comunque elementi fuori dal gioco linguistico. Fuori dal gioco linguistico tutto ciò non esisterebbe, né sarebbe mai esistito. Allora l’apporto fondamentale che questo percorso che stiamo facendo ci ha fornito è questo: la possibilità di considerare, di constatare come ciascuna volta ciò che si dice, si crea, si inventa, si immagina, si suppone ecc. tutto ciò avvenga all’interno di un gioco linguistico, non solo, ma senza il quale tutto questo che dicevo prima non potrebbe in nessun modo darsi, cioè non potrebbe esistere in alcun modo. Ora una psicanalisi condotta in questo modo ovviamente differisce da ciò che si è inteso comunemente come psicanalisi, differisce perché fornisce alla persona gli strumenti, non per credere un’altra cosa rispetto a quella che credeva prima, ma per cessare di potere credere qualunque cosa. Con cessare di credere intendo questo, il non potere non considerare che ciascun atto, quindi ciascun atto di parola, esiste all’interno di un gioco linguistico. Cos’è un gioco linguistico? È un’espressione che abbiamo mutuata almeno in parte da Wittgenstein, il quale considerava che ciascuna proposizione ha un senso perché è usata, cioè perché ha un uso, se non avesse un uso non avrebbe senso e cioè una qualunque proposizione della quale non vi sia nessun uso possibile non si saprebbe assolutamente cosa farsene e quindi sarebbe non solo inutilizzabile, non si porrebbe nemmeno nel linguaggio. Noi abbiamo radicalizzato questa posizione di Wittgenstein giungendo a considerare che queste stesse proposizioni di Wittgenstein sono all’interno del linguaggio, che compie un gioco, ma qui gioco in un’accezione particolare. In effetti può risultare ridondante parlare di gioco dal momento che non può darsi un’eventualità in cui questo non accada. Comunque sia intendiamo con gioco linguistico l’accostarsi e il combinarsi fra loro delle parole, delle frasi, delle proposizioni secondo una logica che queste stesse frasi, parole, proposizioni di volta in volta instaurano, ma attenendosi necessariamente e irreversibilmente a delle procedure che sono quelle di cui è fatto il linguaggio. Una di queste procedure è quella che afferma che non sposso affermare una cosa e il suo contrario, non posso farlo a meno che questo non rientri all’interno di un gioco particolare che, come la retorica fa, insinua una variante rispetto a qualcosa che non varia, non posso affermare una cosa e il suo contrario, non lo posso fare perché il discorso si fermerebbe. Come dicevo lo si può fare all’interno del gioco retorico ma la retorica può farlo soltanto perché qualcosa non varia, se no non potrebbe fare niente ma questa procedura che impedisce di affermare una cosa e il suo contrario non può togliersi dal linguaggio, è uno degli elementi di cui è fatto, e che cosa dice? Dice semplicemente che ciascun elemento che interviene non è altro da sé. E il linguaggio è fatto di questo perché se ciascun elemento fosse ciascun altro non potrei parlare, molto semplicemente. Se tutto dicesse tutto non potrei costruire nessuna proposizione, quindi è una delle condizioni per l’esistenza del linguaggio. Abbiamo considerato come è fatto questo linguaggio e soprattutto che cosa occorre che ci sia perché il linguaggio funzioni, cioè esista, e alcune di queste cose già Aristotele le aveva intese portandole alle estreme conseguenze e si sono rivelate essere ciò che non può togliersi dal linguaggio senza dissolvere il linguaggio stesso e quindi la possibilità stessa di riflettere su queste cose, dal momento che è attraverso il linguaggio che ci riflettiamo. Ora la psicanalisi dicevo fa questa operazione di porre le condizioni perché sia possibile considerare che ci si trova all’interno di un gioco linguistico e che non è possibile uscirne e quindi ciascuna proposizione, affermazione, credenza, emozione, superstizione tutto quello che volete, non sarebbe mai esistita fuori dal linguaggio. Considerando il fatto che dal linguaggio non c’è uscita, che cosa fa il linguaggio? Costruisce qualunque cosa, tutto ciò di cui disponete è costruito dal linguaggio, che quindi ha una portata non marginale dal momento che è esattamente questo che ci consente di potere reperire qualunque cosa e il suo contrario. Portare dunque il pensiero alle estreme conseguenze è stata ed è la scommessa che ci muove, e ci muove così fortemente al punto da averci costretti ad abbandonare ciascuna delle scuole psicanalitiche, dopo averle considerate molto attentamente e riflettuto altrettanto attentamente, abbandonate in quanto necessitava, ciascuna di queste teorie, di un atto di fede che per scommessa decidemmo di non compiere. Solo per questo. Questo modo di pensare che stiamo costruendo e proponendo non è né migliore né peggiore di qualunque altro, è differente, ha questa peculiarità di non necessitare di atti di fede, solo questo, è un gioco ovviamente anche questo, all’interno di un gioco linguistico, ma dopo avere considerato che inesorabilmente non è possibile fare altrimenti che compiere giochi linguistici, abbiamo deciso di compiere quello più interessante, più divertente e cioè quello che non necessariamente debba arrestarsi a un punto perché oltre il quale non è possibile andare, lì si installa l’atto di fede. Molti hanno pensato che togliere dalla psicanalisi la religione comportasse la dissoluzione della psicanalisi, fino ad un certo punto non avevano torto, si è manifestata perlopiù come una delle strutture religiose più forti, più intrise di religiosità ma tutto questo né ci spaventa né ci interessa tutto sommato, ci ha condotti però a tenere conto di questo aspetto ovviamente, perché non ci interessa la religiosità. La religiosità immagina che ci sia qualche cosa fuori dal linguaggio e che quindi il linguaggio si arresti ad un certo punto. Ci siamo chiesti con quali strumenti si potesse affermare una cosa del genere e naturalmente la risposta è stata "attraverso il linguaggio". A questo punto la religiosità ha cessato di avere qualunque interesse, se non come fantasia fra le infinite altre che vengono prodotte. Altro problema che sorse era questo: che cosa fa uno psicanalista se non può più infondere religiosamente un altro credo? Pareva che non potesse fare più niente e invece no, forse può fare qualcosa di molto meglio, perché se dovesse mai avvenire di sbarazzare qualcuno della necessità, della possibilità stessa di credere cosa avverrebbe, ci siamo chiesti? Avverrebbero un sacco di cose, prima fra queste l’estrema difficoltà, per esempio, di stare male, estrema difficoltà dal momento che ciascun malessere, di qualunque tipo, essendo costruito dal linguaggio e quindi essendo inserito all’interno di un gioco linguistico è fatto di deduzioni, di inferenze, di induzioni, di connessioni, di implicazioni e giunge ad una conclusione attraverso una logica che per quanto approssimativa è sempre una logica, e cioè immagina o cerca di seguire passaggi tra un elemento e l’altro il più rigorosamente possibile, che ci riesca o no questo è un altro discorso, ma si attiene comunque a questo criterio. Perché uno fa continuamente delle considerazioni, e cioè si dice: questo è così, questo è colà, questo mi ha combinato questo, questo mi ha combinato quest’altro, allora... che è la struttura dell’inferenza, "se... allora", "se A allora B". Dunque se questa serie di passaggi non potesse più essere sostenibile logicamente (non è più sostenibile perché di fronte a questa inferenza "se c’è A allora necessariamente B" ci si chiede: ma è proprio così? Perché se non lo fosse allora tutta l’implicazione non sarebbe sostenibile (tra l’altro è uno dei mezzi che i retori usavano, che usano ancora, di fronte ad una argomentazione apparentemente ineluttabile che dice: se questo allora quest’altro dice: ma se non questo? Allora neanche quell’altro). Questo procedere logico di cui dicevamo la volta scorsa è reperibile ovunque (facevamo l’esempio più manifesto, per esempio nell’innamoramento più folle c’è una logica ferrea e molto rigida), in qualunque conversazione, in qualunque pensiero, che è fatto di queste cose, pensato in questo modo inesorabilmente, attraverso delle inferenze, dei "se... allora" che vi inducono poi ad una conclusione che può a sua volta costituire l’avvio di un’altra serie di inferenze. Tutto ciò sono procedure logiche, che i logici conoscono benissimo da sempre, Aristotele per esempio, maestro della logica (suggerisco la lettura degli Analitici, Primi e Secondi, che hanno costituito e costituiscono a tutt’oggi il fondamento della logica) ci invita a riflettere sul fatto che la logica non è altro che la descrizione del modo in cui si pensa, e cioè di come sia possibile data una premessa giungere a una conclusione, in un modo che sia corretto. Cosa vuol dire corretto? Che si attiene alle regole della logica. Nient’altro che questo. Può non attenersi alle regole della logica? Può porsi come variante rispetto alle regole della logica, ma non può uscirne, perché anche l’idea di porre una variante rispetto a delle regole della logica, questa stessa costruzione è fatta in termini logici. Se io decido di variare una logica dico: logicamente dovrebbe essere così, però mi piace cosà. Anche quest’altro modo di pensare segue una serie di procedure, ha un andamento assolutamente logico, un procedimento inferenziale, Siccome è con questo che ciascuno pensa e quindi parla e quindi costruisce tutta la sua esistenza, da quando inizia a parlare a quando cessa, ci è sembrato non del tutto marginale riflettere su queste questioni, dal momento che è attraverso queste proposizioni che viene costruito il modo di pensare, le cose che si credono, attraverso queste proposizioni e la loro sequenza viene costruito ciò che comunemente è intesa con realtà, e cioè ciò che vi circonda: questo aggeggio, il cielo, il tavolo, le nuvole, il sole ecc., ecc... Tutto ciò che, come dicevano gli antichi, cade sotto i vostri sensi è costruito letteralmente dal linguaggio e questo, come dicevo prima, ci è parso non trascurabile. Quando una persona incomincia a parlare mette in atto questa serie di procedure, di inferenze, di connessioni logiche alle quali si attiene e cerca di attenersi nel modo più rigoroso possibile, immaginando che più rigorosamente si attiene e quindi più rigorosa e quindi vera sarà la sua conclusione, quindi la sua opinione va da sé così come nella logica, anche nella retorica si tratta di mettere in gioco non soltanto queste procedure, queste inferenze, ma anche gli assiomi da cui muovono. Dicevamo prima "se A allora B", ma se non A? Allora non necessariamente B, allora potrebbe essere così ma anche in un altro modo, e poi in un altro ancora, e allora qual è la mia opinione? Nessuna. Nessuna oppure settanta miliardi a favore e altrettanti contro qualunque cosa, a questo punto potete immaginare come non sia più sostenibile nessuna opinione, è un pensiero, che può intervenire è chiaro, ma non può non tenere conto che è una costruzione che è avvenuta a partire da alcune regole che in quel momento stanno funzionando nel suo discorso e la cui esistenza è strettamente connessa, oltre che dipendente, da questo gioco in cui è inserita. Se io ho una opinione per esempio e che ritengo vera naturalmente, questa opinione è vera rispetto al gioco che sto facendo, posso dire che è vera rispetto a una serie di regole a cui mi sto attenendo in questo discorso. Immaginiamo che io abbia una certa opinione di una certa persona, allora questa opinione è vera rispetto alle regole del gioco che sto facendo, le quali prevedono che se quella persona fa così, allora quella persona è in un certo modo, ma questa opinione che ho è vera all’interno di quel gioco, fuori di quel gioco è assolutamente nulla, è niente, cioè è inutilizzabile...

- Intervento:...

L’intervento dell’analista in questo caso punta o a porre un’obiezione a una cosa che si crede oppure a rilanciare una questione per mostrare altri aspetti, è come se il suo compito fosse quello di mettere i bastoni fra le ruote alla costruzione di una qualunque credenza. Questo inizialmente, poi mano a mano la questione si precisa fino a giungere a divenire un incontro, un confronto teorico dove vengono costruite delle nuove proposizioni per potere ampliare, arricchire il gioco, per renderlo più interessante, dove la persona è già in condizioni di fare questo rispetto al proprio discorso e cioè costruisce continuamente proposizioni con cui confrontarsi, con cui giocare. Che capisca ciò che l’altro dice… è anche difficile stabilire che cosa sia in questo caso capire ciò che l’altro dice, perché ovviamente non traduce ciò che viene detto, coglie soltanto gli elementi che vengono dati per scontati e sottolinea il fatto che scontati non sono affatto, che meritano anzi di essere riconsiderati, e poi riconsiderati ancora, che ciascuna volta che si considerano ci si accorge che ci sono altri elementi che intervengono e che le cose non erano affatto così come si pensava che fossero, ma in tutt’altro modo. Sì, voleva aggiungere ancora qualcosa?

- Intervento:...

Se non c’è una certezza non è neanche sbagliato, non è giusto né sbagliato, perché non è di questo che si tratta, cioè di stabilire un nuovo criterio per sapere che cosa è bene e che cosa è male. Ma qualunque proposizione, se interrogata alle estreme conseguenze si svuota di senso, si svuota di senso però né produce infiniti altri con i quali è possibile confrontarsi, e in questo caso non è più possibile credere a una cosa come se fosse l’unica possibile, e questo impedisce la costruzione di proposizioni che affermano che per esempio "sto male", e quindi toglie la possibilità di credere a una cosa del genere, in alcuni casi c’è anche il piacere della sofferenza, uno può anche provarlo non è che... può farlo benissimo sapendo quello che fa: adesso mi godo questa sofferenza... ecco!

- Intervento: è un masochista...

Masochista chi gode della sofferenza, vuole sapere quante persone? Sono grosso modo sei miliardi...

- Intervento: Chi può fare questo, uno cerca di sfuggire la sofferenza mica la va cercando?

Se volesse questo non la troverebbe, se volesse effettivamente questo non la troverebbe mai, ché non saprebbe cosa farsene e invece no, la trova, la produce, se la coltiva e si imbestialisce se qualcuno gliela sottrae...

- Intervento: Ma no, si sfugge alla sofferenza

Ma chi costringe a soffrire? Qualcuno costringe a soffrire?... La fanno soffrire le regole dello stato? Perché sarebbe necessariamente una sofferenza?... Può essere una seccatura, un fastidio, uno è costretto a fare una certa cosa, però non è ancora sofferenza propriamente, occorre un elemento in più, anche perché non tutti necessariamente soffrono per una cosa del genere (per le leggi dello stato). Ma questo tipo di sofferenza di cui Lei parla, a causa delle leggi dello stato, è tutto sommato un caso abbastanza sporadico, mai nessuna delle persone che è venuta da me (sarà stato un caso particolare) ha enunciato una sofferenza a causa dello stato... però evidentemente...

- Intervento: effettivamente con Prodi...

Effettivamente con Prodi la cosa può verificarsi, però... ecco generalmente dicevo la sofferenza viene enunciata come prodotta o comunque connessa con altri aspetti che non sono quelli politici, però può verificarsi questa condizione, ma anche in questo caso è da verificare se è soltanto questo l’elemento oppure ci sono altri aspetti che si agganciano. Non ho mai trovato nessuno che fosse stato costretto da altri a soffrire, questione bizzarra, che se uno è costretto... Sì, considerare che nessuno costringe alla sofferenza è già una questione curiosa, e se nessuno costringe da dove viene? Molti hanno cominciato a sospettare che sia una costruzione del proprio discorso dal momento che non soltanto nessuno costringe ma la persona dice che non vuole soffrire, e allora perché soffre? A meno che qualcuno la costringa... (le leggi) sì le leggi dello stato... Sì certo ciascuno stato è ordinato in leggi, questo da moltissimo tempo, non è una cosa di questi ultimi giorni ma, perché mai?

- Intervento:…

Un momento... non è proprio la stessa cosa, non è proprio la stessa cosa in quanto se il codice penale non ammette nessuna possibile trasgressione in quanto c’è appunto una procedura penale che interviene in questo caso a punire il colpevole allora qui il discorso è differente, perché se io dovessi fare una certa cosa e uno con il fucile dicesse: "se la fai ti sparo", magari non la farei perché mi seccherebbe se mi sparasse addosso, in questo caso sono costretto effettivamente dalle circostanze esterne, da una legge in questo caso, per quanto strampalata, però la questione della famiglia è leggermente differente, perché è vero che anche nel primo caso io ho sempre la scelta, posso decidere di farlo e di farmi ammazzare, è una decisione no? Anche se generalmente non avviene però in alcuni casi avviene, ma nel secondo caso invece (quello della famiglia) le cose sono molto più labili, perché non c’è nessuna legge che vieta a una persona di andarsene o di fare qualunque altra cosa, a meno che non rientri nel codice penale. È consuetudine... ma le consuetudini vengono accettate consapevolmente, e ciascuno si adatta a queste consuetudini per i vantaggi che questo gli comporta, ma non è costretto. In ciascun atto è come se ciascuna volta enunciasse la sua assoluta responsabilità, come dire io accetto questa legge perché mi va bene così, se non ti va bene non accettarla, se non ti va bene la famiglia la lasci... di coscienza? Sì, tutte queste cose rientrano in ciò che dicevamo prima, una serie di cose che si sono costruite, che ciascuno si costruisce, uno si fa un problema etico un altro no, ad un altro non importa assolutamente nulla, fa quello che gli pare a meno che appunto non danneggi il prossimo, e allora il codice penale... allora si ferma, ma se no ciascuno volta le sue decisioni seguono le considerazioni che vengono fatte e di cui ha la totale responsabilità, esattamente come nel caso della sofferenza. Considerare che ciascuno è totalmente, assolutamente e irreversibilmente responsabile della propria sofferenza la connota in un modo differente, nel senso che non è più attribuibile questa sofferenza a qualche causa esterna, ciascuno se vuole soffrire può farlo ma non è obbligatorio, non è necessario e allora perché avviene che una persona soffra? Per una serie di considerazioni, considerazioni che sono fatte in termini di costruzione di proposizioni quindi in termini logici, retorici, ed è su questi che si tratta di lavorare, su queste proposizioni che rendono possibile le conclusioni che costringono alla sofferenza. Il caso più banale: se quella persona fa così, io soffro. Perché? C’è tutta una serie di motivazioni e anche di spiegazioni (se fa così allora vuol dire questo, vuol dire quest’altro...) tutta questa costruzione enorme si avvale ed è fatta di elementi linguistici e logici molto precisi, anche se non sostenibili (infatti sono opinabili). La sofferenza potremmo indicarla come una sorta di opinione: io penso così, io penso che se succede questa cosa allora soffro. Va bene, perché no? Come dicevamo prima non è proibito, che vuole soffrire può farlo, chi non vuole no ...

- Intervento:…

Come mai succede lo stesso? Provi a rifletterci... sì certo, so benissimo che succede lo stesso, non basta illustrare un procedimento logico perché questo si arresti, se no una psicanalisi durerebbe un quarto d’ora, non di più... Sì certo, d’altra parte uno ci ha messo quarant’anni a costruirsi tutto un sistema, non è che si smonta in dieci minuti, e poi è un sistema anche molto chiuso, molto compatto, dove appena si tocca qualche cosa tutto vacilla e quindi immediatamente si ricostruisce e in buona parte è anche per questo che una psicanalisi è lunga, per una continua ricostruzione di ciò che l’analisi demolisce, che è come togliere a un credente la sua fede. Lei provi a persuadére un fondamentalista islamico che Hallah non esiste (non lo faccia perché è pericolosissimo), è molto difficile perché sarebbe inaccessibile al suo discorso. Questa inaccessibilità (che per altri versi anche Freud esplorò rispetto alle psicosi) è ciò che rende una psicanalisi molto lunga, infatti si tratta, soprattutto inizialmente, di rendere accessibile questa persona cioè di porre le condizioni perché l’analista possa intervenire. I primi tempi è difficile che possa intervenire e cioè che ciò che dice abbia degli effetti, perché è arduo distrarre da una fede, qualunque essa sia, anche la fede nelle proprie opinioni...

- Intervento: L’eccitazione produce sofferenza e svanisce quando non interessa più...

Esattamente, quando non serve più e quindi non è più utilizzabile...

- Intervento: sulle tecniche comportamentali

Se Lei fosse avvilita, senza interessi ecc. ed a un certo punto si innamorasse di qualcuno, questo avvilimento cesserebbe immediatamente, funziona così. Cioè si instaura un qualche cosa che viene creduto più di quell’altra cosa e quindi avviene una sorta di viraggio, cessa una cosa e avviene quell’altra, fin che dura va bene, come l’aspirina, anche perché queste persone che fanno psicoterapia muovono, sono supportate da teorie molto religiose… forse Lei ha letto qualche cosa intorno a questo, però le cose che dicono sono oltre che molto fantasiose assolutamente insostenibili. Però funziona, ma funziona così come funziona appunto l’innamoramento di cui dicevo, che di colpo fa vedere tutto in un altro modo, ma la struttura in cui si trova non è cambiata di una virgola, alla prossima circostanza sarà tutto esattamente come prima, però per il momento funziona, anche un antidepressivo funziona, perché tecnicamente agisce in un certo modo, anche un ceffone funziona perché no? Fa sicuramente meno male dell’antidepressivo...

- Intervento:...

Chi dice così? Sopporta la... ? Ma perché deve essere sopportata la vittoria?... Sì ma non è tanto riconsiderare questo ma con quali strumenti viene compiuta questa operazione. Perché anche Hitler ha riconsiderato la questione etnica, ma a modo suo. Importa che ci sia uno strumento, magari più interessante, per considerare le cose, riconsiderarle così di per sé non è che significhi molto... allora gira in tondo cioè continua a riprodurre sempre la stessa prospettiva... se è religioso è difficile che radicalizzi la sua posizione cioè possa uscirne... guru vuole dire pesante poi per estensione è diventato saggio, però generalmente era pesante...