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TECNICA E ARTE DEL DISCORSO

 

6/101998

 

Ciascuno di voi sa dell’importanza del discorso e che cosa sia un discorso, potremmo definirlo molto rapidamente come una stringa di significanti connessi tra loro, ma non è sufficiente questo; perché un discorso sia tale occorre un elemento fondamentale e cioè il motivo, il motivo per farlo. Questione che può apparire di primo acchito banale, ovvia, però può anche mostrare degli aspetti notevoli; ciascuno si trova a fare continuamente dei discorsi con sé oppure con il prossimo, a seconda dei casi, per qualunque motivo e in qualunque circostanza. Il discorso ha un motivo e questo motivo è soltanto in minima parte connesso con la trasmissione di informazioni; per lo più un discorso avviene o si fa per confermare, per persuadere o per persuadersi di qualche cosa. Il più delle volte in cui vi trovate a parlare, vi trovate a cercare di convincere o persuadere qualcuno delle vostre ragioni o della verità di ciò che state dicendo; anche quando raccontate un episodio qualunque; comunque, il vostro discorso darà per implicito il più delle volte il fatto che voi stiate dicendo cose reali o vere a seconda dei casi, anche quando mentite spudoratamente comunque il vostro discorso per potere mentire tiene conto di un altro discorso che è considerato la verità. Questione fondamentale il discorso dicevo prima, perché è ciò con cui ciascuno ha a che fare continuamente, anche perché nella più parte dei casi, anche durante il sonno, avvengono quei fenomeni noti come sogni in cui ci sono dei discorsi; in ogni caso il racconto che se ne fa è sempre necessariamente un discorso. L’arte della retorica si è occupata da sempre, almeno da quando esiste, del discorso, di come costruirlo, al fine di renderlo o più bello o più persuasivo oppure entrambe le cose, anzi più spesso entrambe le cose, dal momento che una cosa ritenuta bella generalmente facilita anche la persuasione come è noto. Ciascuno parlando, in qualunque circostanza si trovi, anche se non ha come obiettivo un discorso particolarmente bello e elegante cercherà comunque di esporre ciò che ha da dire nel modo che ritiene migliore anziché nel modo che ritiene peggiore: vi siete mai chiesti perché? Perché esporlo nel modo migliore comporta in moltissimi casi una maggiore forza proprio per via di una questione estetica, più il discorso è bello e più è persuasivo. Di fatto un discorso, anche cosiddetto reale, cioè che racconta cose immaginate tali se è brutto e mal costruito rischia di non essere creduto o comunque di essere mal considerato. Da qui la necessità della retorica da sempre di tenere conto anche dell’aspetto estetico e cioè di addestrare a costruire discorsi ben fatti, piacevoli ad ascoltarsi; se voi leggete le famose arringhe di Cicerone ma anche di altri, vi accorgerete immediatamente che sono scritte molto bene e le ha scritte molto bene non per un gusto estetico particolarmente sviluppato ma sapeva benissimo che più il discorso è bello e più è facilmente persuasorio; le persone si lasciano convincere di più da qualcosa di bello che da qualcosa di brutto, per lo più. Ma non soltanto l’aspetto estetico ovviamente importa nella costruzione del discorso, importa che sia verosimile, questo per persuadere; abbiamo detto in altre circostanze che un discorso costruito per essere creduto risulta più facilmente credibile di ciò che generalmente è inteso come verità, perché la verità cosiddetta può non essere costruita per essere creduta, il discorso sì e quindi risulta più facilmente credibile. Ma tutto questo appena per accennare all’importanza che ha un discorso. Un discorso che voi fate ad altri può decidere se l’altro sarà persuaso oppure no di quello che gli dite, sia che diciate la verità, o che mentiate, è la stessa cosa; dal fatto che l’altro sia persuaso oppure no può dipendere molto della vostra esistenza, per questo vi impegnate in alcuni casi moltissimo perché il discorso risulti persuasivo. Ma anche nei confronti di sé, il cosiddetto soliloquio, il discorso che si costruisce comunque, è costruito in modo tale da persuadermi (se lo faccio a me) e cioè andrò a cercare tutti quegli elementi che confermano le cose, per esempio, che credo passando in silenzio tutto ciò che potrebbe metterlo in discussione esattamente come fa un avvocato di fronte ad un giudice: sottolinea tutti gli aspetti, tace oppure ridicolizza o confuta quelli che non gli sono favorevoli. Quando una persona ragiona fra sé e sé, fa molto spesso qualcosa del genere finché alla fine è assolutamente convinto della conclusione cui è giunto: si è cioè costruito un discorso che è persuasorio, persuasorio per sé ovviamente. Quando accade per esempio in una psicanalisi di trovare una persona che racconta alcune cose che lo riguardano, queste cose sono dette in un certo modo cioè sono costruite; quando vi descrive per esempio il suo disagio, il suo malessere, lo descriverà in modo tale da essere convincente, perché? Perché gli crediate. Perché si costruisce un discorso per essere creduti anziché il contrario, per esempio? Altra domanda molto banale, ma se ci si sofferma a riflettere, ha delle implicazioni notevoli come dire che ciascuno, ciascuna volta in cui chiacchiera con qualcuno mette in atto questo procedimento, cerca di persuadere, di qualunque cosa non ha nessuna importanza e per il momento non ha nessuna importanza neppure che ci riesca oppure no. Ma torniamo a un aspetto di cui abbiamo detto all’inizio, del motivo, perché si fa un discorso? Abbiamo detto che l’aspetto prettamente tecnico cioè la trasmissione di informazioni pura e semplice è un caso piuttosto sporadico, se i discorsi fra gli umani dovessero ridursi a questo, probabilmente si ridurrebbero a pochi minuti al giorno, sarebbero più che sufficienti e invece il più delle volte si parla moltissimo, ma non per trasmettere informazioni o se preferite, una eventuale trasmissione di informazioni è semplicemente e soltanto un pretesto, un pretesto per parlare come se la cosa più importante fosse il parlare, in effetti gli umani parlano sempre incessantemente o con sé o con il prossimo, il più delle volte con sé anche perché con sé ci stanno 24 ore al giorno col prossimo meno, ma è un discorso continuo senza sosta. Questo discorso, ciascuna volta in cui si fa, è mosso da un motivo che se ci si riflette bene sfugge, anche se ciascuno può trovarsi degli infiniti motivi perché parla con una persona, poi in definitiva l’unico motivo che può effettivamente stabilire è questo: lo fa perché gli piace, perché cioè dal parlare trae delle sensazioni delle emozioni, trae del piacere puro e semplice. Ora, accade che la più parte dei discorsi che vengono fatti sono fatti per questo motivo, per il piacere di farli che è poi in definitiva il motivo fondamentale per cui si fa la più parte delle cose: il piacere di farlo. Ed è questo ciò che muove per lo più gli umani a parlare, il piacere che questo produce. Ma se fosse soltanto così non ci sarebbe la necessità, per esempio, di persuadere; uno fa il discorso e fa piacere lo stesso sia che persuada oppure no. Ma c’è un elemento in più connesso con il piacere, ed è la verità, questione antichissima di cui c’è traccia da quando c’è traccia degli umani perché vedete il dire, il conoscere o il divulgare la verità sembra essere una delle attività principali degli umani, i quali pare che vivano malissimo in assenza di questo elemento. Perché cercare la verità anziché no? Che vantaggio offre visto che è la ricerca che ciascuno a modo suo fa con gli strumenti che dispone. La verità, come sapete è intesa generalmente come ciò che è, ciò che necessariamente è; il conoscere questo comporta da una parte un potere sull’altro, dall’altro anche una soddisfazione personale, la stessa soddisfazione che si ha quando si risolve un problema, quando si vince una partita a scacchi; la soddisfazione cioè di avere risolto un problema comporta avere vista la verità anche se limitata, per esempio, ad un gioco particolare; poi la cosa si estende e comunque ciascuno parlando, vuole sapere, cerca di dire sempre e comunque la verità, anche quando mente dicevo all’inizio, perché per potere mentire occorre che sappia cos’è la verità, se no non lo può fare e quindi gli è fondamentale sapere questo dettaglio. C’è una connessione piuttosto stretta fra il motivo per cui si parla e la verità, per poco che ci riflettiate vi accorgete che la più parte dei discorsi che voi fate mirano a dire la verità, conoscere la verità o a divulgarla, quindi non è un dettaglio marginale. Sapete che la retorica fino dall’inizio non si è occupata propriamente della verità in quanto tale, cosa che sarebbe piuttosto compito della filosofia; si è occupata soltanto di credere le cose credibili, fossero vere oppure no era assolutamente marginale. Ma anche in questo caso, cioè nel caso in cui non mi curi della verità di ciò che sto dicendo, mi curo del fatto che voglio persuadere qualcuno, per qualche motivo, e questo motivo lo considero vero, in ogni caso, se no difficilmente lo farei. Con tutto questo stiamo introducendo una questione notevole perché il discorso coinvolge ciascuno in qualunque momento, non c’è chi sia esente dal produrre discorsi; producendo discorsi, chiaramente, si fanno un’infinità di cose, si mettono in gioco un’infinità di cose. Prima fra queste, ciò che è messo in gioco è il parlante, chi sta facendo il discorso, chi sta facendo il discorso è colui che si espone, generalmente; si espone al suo discorso anche se questo discorso è costruito, talvolta addirittura imparato a memoria, ciò nonostante il discorso ha sempre e necessariamente delle aggiunte, degli elementi che sono imprevisti che intervengono magari a rendere le cose più difficili, perché uno degli aspetti particolari del discorso è quello di essere difficilmente controllabile, gestibile, soprattutto per gli effetti che questo ha su chi lo tiene. Sono questi effetti che buona parte costituiscono ciò che la psicologia chiama personalità e cioè l’insieme di tutte le cose in cui una persona crede, la somma di tutte le sue superstizioni: questa è la personalità. Ma queste si formano con dei discorsi, non c’è altra via, occorre cioè una struttura che organizzi degli elementi che possano incontrarsi in modo tale da essere pensati veri, credibili, quindi attendibili quindi degni di fare parte del bagaglio di esperienza. Affermare che l’unico motivo per cui si tiene un discorso o il motivo essenziale per cui una cosa avviene è il piacere di farlo, può apparire bizzarro, anche perché in molti casi ci sono persone che suppongono di fare discorsi importantissimi, degni di essere ascoltati e creduti. Sia come sia, resta che una cosa del genere, anche il pensare questo produce del piacere e il piacere si sa, ha una forte presa sugli umani, una delle più forti insieme con le emozioni che comunque producono piacere. Il motivo, un discorso, cioè ciò che lo muove, è sempre necessariamente qualcosa di importante, importante per la persona ovviamente; e cosa c’è di più importante per una persona se non il suo piacere ciò che glielo produce. Anche nei casi di estremo altruismo, come è noto, il piacere personale ha una portata notevolissima, lo stesso in qualunque discorso voi facciate. L’aspetto più interessante della forma persuasoria di un discorso, non è tanto quella rivolta al prossimo, ma quella rivolta a sé cioè come ci si persuade di alcune cose, come si giunge a credere ciò di cui si è persuasi, la persuasione è uno dei primi passi; se qualcuno vi racconta qualche cosa e se vi persuade, da quel momento ciò che ha detto, fa parte della vostra esperienza, del vostro cosiddetto bagaglio culturale, cosa non marginale visto che ciascuno è fatto di questo, delle cose che acquisisce. E in qualche modo ciascuno lo sa perché sa che se riesce a persuadere l’altro di ciò che gli va dicendo, quest’altro si modificherà in qualche modo e cioè la cosa che incomincia a credere modificherà la sua condotta; faccio un esempio banalissimo: se io riesco a persuadere un ateo a diventare un fervente cattolico o un buddista o un islamico etc. da quel momento questa persona muterà la sua condotta, questione come dicevo non marginale e allo stesso modo ciascuno muta la sua mano a mano che acquisisce delle nuove credenze, delle nuove superstizioni, così come avviene generalmente. Quando una persona è persuasa? Perché occorre forse fare una distinzione tra il persuadere e il convincere riprendendo la posizione di Perelman che tutto sommato ha qualche interesse: la persuasione mira al cuore e non all’intelletto; si è persuasi da una religione per esempio, si è persuasi da una dichiarazione di affetto, non si è convinti, mentre si è convinti da una calcolo logico, da un procedimento matematico, pertanto è possibile essere convinti ma non persuasi o viceversa. In questo modo ciascuno può essere persuaso di molte cose anche senza esserne convinto; l’esempio più evidente è quello della religione, la più parte delle persone è persuasa che esista un Dio anche senza essere del tutto convinta, nel senso che non riesce a trovare della spiegazioni che lo soddisfino del tutto oppure che siano logicamente ineccepibili, ma è persuasa e una persona può essere persuasa da una dichiarazione d’amore senza esserne convinta. La retorica, in effetti, si occupa di persuasione più che di convinzione, non interessa che la persona sia convinta, occorre che sia persuasa, cioè che ci creda, solo questo. E per persuadere, per persuadersi occorre utilizzare strumenti che sono totalmente differenti da quelli che si utilizzano per convincere; chi vuole convincere, muove da inferenze logiche, non si cura del fatto che queste inferenze possano infastidire l’interlocutore, che l’interlocutore si infastidisca oppure no, gli è totalmente indifferente, ma se lo deve persuadere no, è fondamentale. È fondamentale che l’interlocutore non soltanto non sia infastidito ma sia interessato, affascinato e soprattutto disposto al discorso che sta facendo e perché una persona sia disponibile ad un discorso occorre che questo discorso sia per la quasi totalità dei casi un discorso religioso; solo la religione persuade, la religione cioè il luogo comune per eccellenza. Dicendo che solo la religione persuade sto dicendo che soltanto un discorso, che per definizione non può essere sostenuto può essere creduto, mi spiego meglio: prendete una qualunque religione, come sapete non è provabile ciò che sostiene ma sapete altresì che la quasi totalità degli abitanti del Pianeta crede in qualche cosa; provate invece a costruire un ragionamento logico assolutamente ineccepibile, pochi lo seguiranno. Pochi lo seguiranno perché vi diranno che sì, questo discorso che fate non fa una grinza, è assolutamente ineccepibile, ma inutile, non serve a niente. Con questo, questa persona vi dice una cosa fondamentale che ciò che è ritenuto utile, è qualcosa di molto particolare, ciò che in definitiva poi gli umani vanno cercando e cioè un qualche cosa che possa consentire di costruire un discorso avendo come riferimento un elemento che si suppone vero, fermo, stabile, certo, sicuro. Questo a tutt’oggi e nonostante tutte le posizioni attuali sia della logica che della filosofia; come dire qual è il luogo comune più diffuso? Questo: non so perché ma qualche cosa fuori di me, al di sopra di me ci deve essere. è un’idea come un’altra, ovviamente, solo che questa a differenza di altre è creduta dalla quasi totalità degli abitanti del Pianeta, cosa non indifferente visto che nessuno li obbliga a credere nulla, è una libera scelta, libero arbitrio. Dunque il discorso per essere persuasorio occorre che sia un discorso religioso e cioè che indichi un’altra verità oppure confermi una verità, l’importante è che ne sostenga una e che la sostenga con forza. Già moltissimi anni fa, circa 2500, Aristotele affermava esattamente la stessa cosa quando addestrava gli avvocati per parlare di fronte ai giudici: "poche cose dovete dirgli perché non è che capiscano moltissimo, ma queste poche devono essere chiare e quelle che loro credono." Come dire, occorre costruire un discorso religioso. Qual è un discorso religioso? Quello che si fonda sulla verità, qualunque essa sia, cioè su un elemento ritenuto necessario ma del quale non è possibile dare nessuna prova, tuttavia; perché il discorso occidentale e comunque il discorso in generale e fatto, costruito in modo bizzarro: esige delle prove quando si afferma qualcosa, ma vieta di farlo; è ben curioso. Da qui qualche problema; costringe a farlo perché se qualcuno vi viene a dire il contrario di quello che voi pensate, immediatamente gli chiedete conto di quello che sta dicendo, gli chiedete una ragione, un perché, cioè gli chiedete delle prove, le esigete; ma la struttura del discorso impedisce di farlo, non lo potete fare. Questo costituisce un intoppo anche nei discorsi fra sé e sé io; voglio persuadermi di qualche cosa, posso farlo ma non sarò mai sicuro al cento per cento perché non lo posso essere e allora se accade che uno cerchi disperatamente questa certezza, allora può sorgere qualche problema; prendete il nichilismo o la sua variante nota come depressione: è una ricerca disperata del senso delle cose; se il senso non si trova è la catastrofe, il senso come l’ultimo elemento, la verità. Dunque si pretende, si esige una prova che non si può fornire in nessun modo e per nessun motivo, salvo naturalmente dare per acquisiti una serie di elementi i quali non possono essere provati. Ma come si costruisce un discorso religioso? Non è difficile; supponiamo che vogliate persuadere qualcuno di qualche cosa, occorre muovere da una posizione che è fondamentale: la superiorità. Se voi volete persuadere qualcuno di qualche cosa, o immaginate di conoscere qualche cosa che l’altra persona ignora oppure vi ponete nella posizione di chi può anche riuscire in questa operazione e quindi condurre l’altro dalla propria parte, essere più forte di lui, ridurlo in definitiva alle vostre ragioni. Muovendo da questo, che è essenziale, dico essenziale perché c’è un caso in cui questo non avviene; questo caso è noto agli umani come innamoramento; nell’innamoramento questa posizione non riesce. Dunque da questa posizione che è fondamentale, voi dovete semplicemente costruire un discorso che sia verosimile e che muova o che abbia come principi o assiomi quegli stessi assiomi su cui poggia il discorso della persona che dovete persuadere. Se una persona crede alcune cose, allora il sistema è questo: voi prendete queste cose in cui crede, che dovete venire a conoscere altrimenti è un problema, dopodiché partendo dagli stessi principi costruite un discorso che sia ancora più persuasivo del suo; lui sarà contentissimo perché avete provato un qualche cosa che lui stesso crede, e a questo punto già persuaso, poi insinuate che la cosa di cui volete persuaderlo è altrettanto legittimamente deducibile dagli stessi assiomi, dagli stessi principi e cioè, se crede questa cosa deve credere anche quell’altra e lui la crederà la maggior parte delle volte; non è una legge altrimenti sarebbe tutto molto semplice, però una delle strutture più efficaci è questa. In questo modo sarà persuaso della cosa di cui volete persuaderlo esattamente così come è persuaso delle cose in cui lui stesso crede, è uno dei sistemi più efficaci. Se invece volete provare a dimostrargli che ha torto e che invece voi avete ragione, vi troverete di fronte un nemico che cercherà, chiaramente, di fare esattamente il contrario, come in una guerra, se ad esempio l’Italia decide di invadere la Francia, la Francia si difende e un interlocutore fa esattamente la stessa cosa; i manuali di arte della guerra possono essere a buon diritto, a buon titolo considerati dei manuali di retorica e viceversa. Dunque, dicevo se cercate di convincerlo della vostra ragione vi farete un nemico e quindi una persona che sarà mal disposta comunque ad accogliere le vostre ragioni; se lo piegherete con la forza della logica lo convincerete ma non lo persuaderete ma comunque anche se sarà vagamente persuaso, gli rimarrà sempre il dubbio che forse aveva ragione lui; e la cosa peggiore da farsi per persuadere qualcuno è farselo nemico. Pensate che la stessa cosa avviene non soltanto nel discorso che si fa nei confronti di altri ma e soprattutto nei confronti di sé; avviene esattamente la stessa cosa. Ciascuno che parla fra sé e sé non si fa di sé un nemico, ma un amico, si blandisce esattamente come un buon venditore. La retorica è un arte di notevole interesse perché in parte, se qualcuno di voi avesse mai voglia di dedicarsi a studi di retorica, addestra anche a parlare, meglio, a inserire nel discorso delle figure che abbelliscono il discorso, a trovare più rapidamente e meglio argomentazioni a favore e contro e ad accostare le parole in modo tale che risultino al suono più gradevoli. Lo stesso Cicerone aveva intesa la questione affermando che chi parla meglio pensa anche meglio; è ovvio, perché ha migliori strumenti per farlo: più strumenti avete a disposizione, più parole, e più le cose sono facili e possono diventare facili a tal punto che non c’è più la necessità della difficoltà. Quando una persona incontra un problema, per esempio, un problema personale ma non soltanto, cerca immediatamente una soluzione e allora mette subito in atto tutti i meccanismi che si diceva; quando trova la soluzione, se la trova questa soluzione è generalmente abbastanza soddisfacente, finché dura poi avviene qualcosa che ripropone continuamente il problema. Ciò che Freud andava descrivendo per esempio come nevrosi, è un procedimento del genere, un tentativo continuo e fallito di aggiustamento della proprie superstizioni. Essere persuasi o soddisfatti di una conclusione comporta un certo ordinamento abbastanza stabile; questo ordinamento, che è abbastanza stabile, non lo è tuttavia a sufficienza, sufficienza per essere "tetragono ai colpi di ventura" come diceva Dante; è un equilibrio purtroppo sempre instabile e quindi deve essere continuamente sorretto confermato sostenuto e soprattutto difeso dal resto del mondo, che sono tanti e ciascuno dice delle cose che danno fastidio, che inquietano, che possono mettere in gioco qualcosa, soprattutto possono far vacillare questo sistema esattamente come una Stato una nazione che si sente minacciato dai vicini e allora schiera le truppe ai confini in modo da difendersi. Quando vedete, per esempio, come vi sarà capitato un sacco di volte, una persona molto diffidente, sempre preoccupata, spaventata, è come una nazione che è circondata da nemici; deve difendersi continuamente, se no immagina di essere sopraffatta. Il proprio discorso subisce le stesse vicissitudini, deve essere difeso continuamente dagli attacchi propri e altrui. Supponete che questo discorso non debba più essere difeso; buona parte delle energie che ciascuno spende durante la giornata per proteggersi potrebbero essere utilizzate altrimenti se uno vuole; ma a quali condizioni è possibile una cosa del genere cioè non avere più paura di ciò che si dice, di ciò che si pensa, di ciò che si fa? Se uno ha paura di una certa cosa è perché immagina che questa certa cosa sia reale anche se è un fantasma ; e credo questo? Credo che ci sia? Se non ci credessi come potrei avere paura, se non credessi in Dio non avrei paura dell’inferno, per esempio. La paura, è fondamentale; non si può reggere uno Stato, un Governo senza la paura, ne persuadere senza la paura. La paura è uno dei motori più potenti su cui si è sempre retta l’umanità e chi si adopera nel persuadere questo lo sa molto bene; in assenza di paura diventa difficile persuadere e quindi governare, perché una governo si fonda sulla persuasione. Tanto difficile che nessun governo si sognerebbe mai di togliere questo elemento, così come nessuno si sognerebbe mai di toglierlo dalla persuasione. Uno si persuade, una persona qualunque si persuade di fronte ad un discorso religioso perché questo sostiene la verità; se io non accolgo la verità allora o non ho capito, sono un cretino (è questo che persuade) oppure perché voglio credere perché altrimenti ho paura delle conseguenze; faccio un esempio stupidissimo: "lei dice che mi ama", non ne sono affatto convinto ma ci credo lo stesso, perché se non ci credessi comincerei a pensare che allora ci lasceremo e allora io rimarrò da solo e io ho paura della solitudine"; è un esempio banalissimo, ma la cosa può estendersi a cose molto più sofisticate come discussioni politiche etc. Questo appena per fare un accenno sulla questione del discorso dal momento che l’arte della retorica è l’argomento che ci impegnerà nei prossimi incontri. Ma solo questo volevo dirvi stasera, farvi notare che il discorso è un qualche cosa con cui ciascuno ha a che fare 24 ore su 24 praticamente e che viene costruito in questo modo, in modo da essere persuasivo e cioè per lo più in modo religioso ma la questione religiosa comporta la paura, che non è necessaria di per sé, però è utilissima per persuadere; se non ci fosse la paura, forse la persuasione avrebbe qualche difficoltà. Freud diceva qualcosa di molto prossimo quando affermava che senza senso di colpa non si governa; occorre la paura occorre il senso di colpa e quindi l’aspetto religioso appare essere fondamentale perché è quello su cui si regge la persuasione; si pone come la condizione della persuasione. Supponiamo che io reciti il Macbeth, supponiamo che sia un abile e fine dicitore; allora io reciterò questa cosa in modo tale da commuovermi, da commuovere voi e tutti i restanti, insomma, farò in modo tale che voi vi troviate quasi immersi in questa tragedia; tanto più io riuscirò a fare questo, quanto più avrò successo, tanto più io vi farò piangere tanto più avrò successo, tanto più starete male, tanto più mi applaudirete. Ma questo perché, vedete le cose che in quel caso io andrei raccontando e cioè il Macbeth riuscirei in quel caso a renderle vive, vere, autentiche; dove sta l’aspetto religioso in tutto ciò? Sta in questo: riesco a piangere, a commuovermi in modo disperato solo se credo che queste cose siano male; supponiamo che non lo creda, non succede niente e allora supponiamo che ci siano due tipi di spettatori, gli uni che credono fermamente, gli altri no: i primi saranno travolti da ciò che ascoltano, travolti dalle cose in cui credono dal male a cui assistono dall’angoscia che questo riproduce, gli altri piacevolmente divertiti commossi perché no, sapendo benissimo che ciò che sta avvenendo non ha nulla a che fare con il bene o con il male, cose che magari hanno abbandonato da tempo; faccio un esempio sempre sull’innamoramento in quanto è una della questioni più diffuse e facilmente comprensibili: se una donna mi dice "ti amo", questo può commuovermi anche se so che mente. Ciò che accade quotidianamente è esattamente le stessa cosa: tutto ciò di cui vi persuadete, tutto ciò che dite ha questa funzione per lo più, di farvi credere. Taluni dicevano "ma senza tutta questa religiosità si perdono le emozioni, i sentimenti. No! Perché mai, non si perde nulla, si acquisisce la possibilità di goderne, di gioirne senza esserne schiacciati.

- Intervento: Partendo da Aristotele: egli dice ai giudici solo ciò che essi vogliono sentire e nel secondo libro della Retorica lui fa anche un’analisi dei vari tipi di interlocutore e quindi è necessario un’indagine preliminare del retore all’interlocutore in modo da capire quali sono le cose che gradisce etc.., e allora su che cosa il retore basa i dati che raccoglie cioè in che modo questi dati possono essere ritenuti giustificati da un punto di vista epistemologico? E poi c’è un’altra questione: se a un retore successivamente si chiede di palesare quali erano i dati in base ai quali ha fatto la sua arringa o ha deciso di utilizzare delle armi retoriche piuttosto che altre, è abbastanza facile che lui esponga questi dati, ma in un soliloquio, cioè in un rapporto fra sé e sé, se si chiedesse alla propria persona di palesare quali sono i dati in base ai quali sta facendo un certo tipo di discorso, non sempre si ottiene con la stessa facilità l’esposizione di questi dati; volevo sapere che cosa ne pensa.

In quest’ultimo caso per lo più questi dati sono impliciti e sono dati come acquisiti, ma veniamo per ordine: dicevi Aristotele: certo vedi, il retore deve sapere, se è un pubblico quali sono i gusti del pubblico, quali sono le cose che per lo più crede e la stessa cosa se è un singolo. Se non sa assolutamente nulla della persona che ha difronte, si trova in difficoltà, comincerà a dire qualche cosa per vedere la reazione e da lì cominciare a valutare gli effetti. Nel caso di un’arringa, il retore sa che cosa il giudice pensa, sa che dovrà sostenere, per esempio i valori della nazione, i valori morali etc.. Nell’impeachment a Clinton, i valori americani fondamentali sono posti in primo piano e cioè la moralità e tutto quello che pensano i quaccheri e i mormoni etc, quindi l’avvocato in questo caso deve fare leva su questi aspetti, sulla moralità, sul fatto che senza la moralità la nazione fa a catafascio, mentre invece con la moralità si tiene ben salda. Rispetto una singola persona, certo occorre avere della informazioni per potere persuaderla; il fatto che ad esempio desideri una certa cosa è già un’informazione. Un retore ha l’orecchio avvezzo a queste cose e sa cogliere da un discorso qualunque di una persona quali sono gli aspetti più significativi per quella persona , le cose che ritiene più importante, i suoi valori in definitiva, anche se in linea molto generale, comunque saprà già in quale direzione muoversi. Nel soliloquio tutto questo da una parte è molto semplificato perché non hai da acquisire informazioni che già ti sono disponibili, dall’altro è più complicato perché la difficoltà di persuadersi è estrema non essendoci nessun intoppo, tutto fila liscio, dal momento che se io sono colui che vuole persuadere e che vuole essere persuaso, facciamo in fretta. Certo l’aspetto è comunque importante, ciò che avviene nel soliloquio che poi non è neanche sempre così facilmente percepibile; il proprio pensiero fa passaggi molto rapidi, semplifica, come nel calcolo matematico, un po’ come fa un avvocato difronte ad una giuria, non sta a dimostrare perché è importante la nazione, perché è importante che la nazione sia salda; può farlo in alcuni casi se lo ritiene opportuno, ma generalmente sono dati ritenuti acquisiti da tutti e che nessuno oserebbe mettere in discussione; così anche nel soliloquio la più parte delle cose una persona non oserebbe metterle in discussione e quindi procede rapidissimamente verso un conclusione, facilità estrema.

- Intervento: Vorrei un chiarimento: ha usato un’espressione molto singolare che mi ha colpito "necessità delle difficoltà"; mi è sfuggito il contesto in cui ha inserito questa frase. Parlava della persuasione del fatto di conoscere il modo di pensare dell’interlocutore e di porre delle condizioni, delle argomentazioni che siano accettabili allo stesso, far notare la similitudine tra le proprie considerazioni e il suo modo di pesare, dopodiché trarre delle conclusioni e far sposare le due cose. Subito dopo ha fatto una considerazione di cui non ho capito il significato, però mi ha colpito quest’espressione: in questo caso, diceva, non c’è la necessità della difficoltà; è un’espressione molto singolare e non vorrei essermi perso qualche cosa di altrettanto singolare ed interessante.

Sì, la difficoltà come necessità, certo perché parlando si incontrano un infinità di difficoltà; ora queste difficoltà che dipendono dal non possedere sufficienti strumenti o elementi per inferire altrimenti da come accade, sono necessarie queste difficoltà in quanto non ci sono gli strumenti: Possono non esserlo però necessari e quindi abbandonare ogni difficoltà, e poi curiosamente accade spesso che le persone quasi cerchino questa difficoltà e cioè cerchino di rimanere con pochi strumenti, pochi elementi; questi pochi elementi gli rendono la vita difficile ovviamente, però continuano a immaginare che invece questo li agevoli, secondo l’antico adagio "poche idee e chiare". Queste poche idee non sono mai chiare, sono sempre confusissime però sono poche e la persona ha che fare con queste cose, non riesce ad andare molto più lontano. Per questo dicevo che più elementi ci sono più è facilmente risolvibile un qualunque problema, fino al punto di accorgersi che eventualmente non è neppure un problema; lo si era pensato ma non era così.

- Intervento: Quando lei parlava di senso religioso, di senso della religione in un tentativo di persuasione, come avviene il processo, la difesa o l’accusa, entrambi la sentono, la usano davvero convinti, oppure lo usano soltanto come strumento?

Dipende, se è un agone dialettico, come quello a cui addestravano i gesuiti, i futuri capi di stato, allora sì è fine semplicemente ad un addestramento: sapete che nella ratio studiorum narrano come addestrassero le future leve del potere, impegnandoli in agoni dialettici dove uno sosteneva una cosa e l’altro doveva confutarla; ma anche in quel caso comunque, è come una partita a scacchi o a poker, ciascuno cerca di vincere l’avversario perché la vincita gli comporta un tornaconto. Ma il senso religioso? In un agone dialettico che è fine a sé stesso, ciò che è in gioco è battere l’altro, ridurlo alle proprie ragioni in modo che l’altro non abbia nulla da obiettare e generalmente a questo punto la vittoria è assicurata; ora, l’aspetto religioso in un’operazione del genere consiste nella necessità che ci sia uno dei due che necessariamente ha ragione, uno dei due deve avere ragione per forza, perché la verità sta da qualche parte: se io vinco vuole dire che sono più abile a mostrare la verità; può anche essere falsa questa verità, in questo caso ho semplicemente utilizzato meglio dell’altro gli strumenti dialettici. Può farsi anche senza religiosità un agone dialettico, solo per il gusto di farlo, ma quando avviene generalmente nelle conversazioni invece c’è un aspetto che riguarda la verità molto pesante, che insiste. Certo se lei ed io ci mettessimo a discutere per dimostrare due cose differenti, in questo caso forse sarebbe un puro divertimento, ma in ogni caso potrebbe anche esserci quello che lei indica come aspetto religioso, nel fatto che se io riesco a persuadere chiunque di quello che voglio, acquisisco un potere sconfinato e il potere in questo caso è messo al posto della divinità che io devo assolutamente soddisfare: diventa appunto una cosa necessaria.

- Intervento: Stavo cercando di capire, perché sicuramente ho molto da imparare, perché vorrei veramente sentire qualcosa di più sulla retorica; secondo me si è parlato molto del linguaggio, ma vorrei una risposta alla domanda "che cos’è la retorica?" Non l’arte della retorica, ma che cos’è la retorica non applicata al contesto quotidiano di uno che vuole convincere l’altro di…; questa è comunicazione che a volte avviene senza retorica, secondo me, e avviene talvolta in modo volgare da chi non conosce il linguaggio, ma la retorica esattamente cos’è?

La retorica è una disciplina divisa in cinque parti: Inventio, elocutio, dispositio, memoria e actio. Consta in questo: come si costruisce un discorso: Primo, bisogna trovare le cose da dire, e di questo si occupa l’inventio; trovate le cose da dire occorre disporle, e di questo si occupa la dispositio; una volta disposte queste cose devono essere dette in certo modo etc..

- Intervento: Può allora essere l’arte della seduzione espressa in parole?

Sì certo la retorica ha a che fare con la seduzione.

Vede, ad esempio, il discorso parenetico, quello che deve magnificare un qualche cosa; il giorno della commemorazione dei caduti si fa un discorso che inneggia la Patria, i martiri etc.. , poi un discorso …..che deve invece persuadere i giovani ad andare a farsi uccidere da qualche parte, e poi viene utilizzata la retorica soprattutto nei discorsi forensi, ma è comunque e sempre una disciplina che mira a persuadere altri e quindi a costruire dei discorsi in modo tale che sia funzionale a questo.

- Intervento: Ma un uomo è abituato nella quotidianità, nel proprio linguaggio ad adottarla la retorica? Sì certo. E consapevolmente? Sì diceva un tizio che scrisse un manualetto di retorica che ci sono più figure retoriche in una mattinata in un mercato qualunque di quante se ne trovino in un manuale ponderoso. Sì perché ciascuno cerca di fare questo: la persona che deve vendere la frutta, cercherà di persuadere il possibile compratore che la sua frutta è buonissima e la più buona di tutte.

- Intervento: Ma io non ci trovo retorica, ci trovo solo persuasione.

Ma la retorica è questo soprattutto; ad un certo punto gli umani si sono detti "ma io mi trovo a persuadere delle persone ma faccio difficoltà", magari un avvocato di fronte ad una giuria, e allora ha cominciato a pensare, Cicerone per esempio "io quando cerco di difendere una persona che cosa faccio esattamente?" Intanto devo trovare che cosa dire, degli elementi stabili, sicuri cioè che lui per esempio non era lì il giorno del delitto; poi devo aggiungere qualche cosa perché non basta dirlo, non avviene così generalmente, c’è tutto un’operazione complicatissima che è appunto la retorica e cioè quell’arte di trovare le cose, di dirle nel modo migliore, di renderle verosimili, credibili; non importa che siano vere, occorre che siano verosimili quindi credibili: questo è lo scopo della retorica, non ne ha altri. Facendo questo chiaramente ha trovato una serie di figure retoriche che ha catalogato; se lei si prende un manualetto di retorica, trova una lista notevole di figure retoriche; solo che un manuale del genere ha un utilizzo che è particolare, perché chi non conosce le figure retoriche, non sa dove andarle a cercare, chi le conosce non ha bisogno del manuale, comunque da delle indicazioni interessanti. Sarebbe interessante leggere anche Perelman: "Trattato dell’argomentazione" che è quanto di meglio ci sia, come contemporaneo intorno alla retorica e vedrà che dopo avere partita la retorica in cinque parte uguali e distinte cominciano a raccontare come si deve costruire un discorso; mentre le figure retoriche sono un listaggio di elementi che abbelliscono il discorso, che lo rendono più potente: dire che una persona non ha coraggio o dire che non ha un cuor di leone potrebbe essere la stessa cosa però può essere più opportuno in alcuni casi dire che non ha un cuor di leone e quindi utilizzare una figura retorica , in questo caso una litote che non è nient’altro che la negazione di un’iperbole. Se dicesse che non ha coraggio potrebbe essere offensiva, allora dice che non ha cuore di leone e ammorbidisce la cosa usando una figura retorica.

- Intervento: Prima faceva distinzione tra persuasione e convinzione e faceva notare che nel primo caso si cerca di non creare un contraddittorio, nel secondo caso invece questo non accade. Però poi il discorso si è approfondito sulla persuasione che è come la credenza di un religioso e ha introdotto il concetto dell’utilizzo della paura in senso religioso, inteso in senso lato; quindi se il discorso della persuasione, inteso come introdotto inizialmente può essere un percorso fiancheggiato da qualche cosa di gradevole, nel secondo caso non è come se questo discorso, fiancheggiato da qualcosa di gradevole in fondo presentasse qualche cosa che, l’oggetto della paura, urta contro la sensibilità; non c’è un’apparente contraddizione in questo?

No, nel caso della persuasione è così effettivamente, ma nel caso non più della retorica ma della logica, possono compiersi delle affermazioni che puntano ad non essere confutabili in nessun modo. Per esempio, se io sostenessi che gli umani in quanto parlanti parlano o che non c’è uscita dal linguaggio, non c’è modo di confutare un’affermazione del genere perché in qualunque modo lei cerchi di farlo utilizzerà esattamente ciò che nega di esistere. Ecco, in questo caso una simile affermazione non si cura di per sé di persuadere il prossimo, pone di fronte qualche cosa che non può essere eliminato, non può essere confutato in nessun modo; certo se poi questa cosa deve renderla più gradevole perché sia più facile accoglierla certo allora interviene la retorica, ma se no, di per sé enuncia qualcosa di inevitabile, di ineluttabile che non può essere confutato, e lì rimane

In effetti questi elementi spesso risultando fastidiosi proprio perché non sono negabili e non essendo negabili, non possono facilmente essere tolti dal discorso, rimangono lì a dare fastidio, in un certo senso, perché non si sa come utilizzarli ma allo stesso tempo non li si può più eliminare. Poi, che la scienza utilizzi a piene mani l’aspetto retorico, questo è un altro discorso, perché da sempre un discorso scientifico ha bisogno della retorica per essere divulgato, per essere creduto; non basta una prova, perché una qualunque prova è sempre passibile di essere confutata e quindi occorre una buona dose di persuasione, anche nei casi apparentemente più rigorosi, occorre qualcosa che si creda se no la spiegazione scientifica non significa niente.

- Intervento: Quando lei parlava di recitare il Macbeth, lei è convinto che l’attore che lo interpreta è molto preso dal suo essere Macbeth?

Dipende se segue le direttive di Diderot o quelle di Stanislawsky: nel primo caso, mentre recita Macbeth pensa alle bollette che deve pagare e alla moglie che lo ha tradito; nel secondo caso invece lui diventa Macbeth, si fa prendere dalla cosa e si sconvolge.

- Intervento: E quale dei due è più capace nella persuasione?

Credo che siano entrambi sufficientemente persuasivi, dipende poi dall’abilità della persona che sta recitando.

- Intervento: Ma quali di questi due è retorico?

Entrambi .

- Intervento: Questo è curioso perché in teatro si dice è che né l’attore Diderot né quello di Stanislawski sono retorici, perché un attore se è retorico è una noia.

Questa è l’accezione negativa del termine, però io parlavo di retorica in un’accezione differente, l’accezione antica come un’arte nobile degna di essere perseguita non come una caricatura eccessiva di atteggiamenti spropositati che in effetti sono stucchevoli. Perché la retorica ha seguito nel corso dei secoli varie vicissitudini; una volta era considerata e nacque come una cosa molto nobile, praticata da persone abilissime, poi dopo Quintiliano, nei primi secoli dopo Cristo è invalso invece l’uso di eccedere caricaturando molti gesti, molte figure retoriche che intervenivano anche a sproposito, al punto di diventare talmente fastidiose e insopportabili che la retorica è diventata malfamata. Nel luogo comune l’affermazione che un discorso è retorico è generalmente connotato negativamente.

- Intervento: Potrebbe raccontarci come Cicerone si preparava a fare una sua arringa e qual era la scuola di Cicerone?

Cicerone era un eclettico, aveva preso da moltissimi, soprattutto dai Greci, da Platone, Gorgia e da altri; lui passava le notti prima del processo, doveva essere assolutamente sicuro che la sua arringa sarebbe stata efficace e quindi costruiva il discorso nei minimi dettagli tenendo conto di qualunque cosa, di qualunque possibili obiezione, cioè lui costruiva da sé tutto il controargomento, la controargomentazione, in modo da poter prevedere tutte le possibili obiezioni così era pronto a qualunque cosa; oltre a questo una certa sensibilità anche per il linguaggio gli rendeva più facile costruire dei discorsi anche belli, fluidi, facili ad ascoltarsi, piacevoli e quindi più facilmente comprensibili.