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CONVEGNO LUNIPSI

30-11-2014

 

Intervento di Luciano Faioni

 

Sono stato molto interessato dagli interventi che mi hanno preceduto, interventi molto precisi e rigorosi e che mi invitano a porre la questione della narrazione il più possibile in termini teorici. Le cose che ho ascoltate mi hanno fatto venire in mente tantissime cose e, in particolare rispetto alla narrazione, le parole di Greimas e il suo lavoro semiotico intorno alla narrazione. Ciò che costituisce un notevole interesse rispetto al suo lavoro, suo ma anche di altri ovviamente, perché la questione è stata avviata da De Saussure come è noto, dicevo che l’interesse è che Greimas nota che ciascun elemento della narrazione trae il senso, oltre che il suo significato, dall’essere connesso con ciascun altro elemento della narrazione. Questo è stato un passo notevole perché incomincia a mostrare che ciascun elemento che appare è quello che è in quanto connesso, cioè in relazione con altri elementi, non solo, ma se non fosse in questa relazione con altri elementi questo elemento sarebbe nulla. Una questione importante dicevo, perché incomincia a mostrare come ciascuna parola è quello che è perché in relazione con altre parole, questo naturalmente può dirsi anche della narrazione: ciascuna narrazione deve la sua esistenza ad altre narrazioni in una combinatoria ovviamente molto complessa ma inevitabile. Ciò che vi sto dicendo comporta un altro aspetto e cioè il fatto che ciascun elemento, essendo quello che è per via della connessione con altri elementi, induce a pensare che ciascuno di questi elementi sia “costretto” potremmo dire per esistere a rinviare ad altri elementi. Sto dicendo che una parola è tale perché rinvia, cioè significa qualche cos’altro e cioè è all’interno di un sistema, fuori da questo sistema una parola non è connessa ad altre parole, in particolare non sarebbe connessa con quelle parole che ne determinano il significato, quindi una parola fuori da questo sistema, non avendo significato, né potendone avere uno in nessun modo, non è una parola. La stessa cosa vale per la narrazione. Il problema che sorge a questo punto, e che è stato individuato anche da molti, è la difficoltà nella determinazione del significato di una parola. Le teorie del significato sono molte e spesso contraddittorie fra loro, ma la questione più rilevante è che si trova ciascuna parola in un rinvio a un’altra parola che rinvia a un’altra parola in una sorta di processo che, per esempio Hjelmslev, chiamava “cascata di semiotiche” o per usare un termine di Peirce una “semiosi infinita”. È una questione questa che può comportare una serie di problemi in ambito di una qualunque teorizzazione dal momento che ciascun elemento che interviene è quello che è in relazione alla narrazione nella quale è inserito: se modifico degli elementi all’interno della narrazione e quindi della teoria, anche una teoria è una narrazione anche se è una narrazione particolare, dunque se modifico degli elementi di questa narrazione allora il significato della parola cambia, e cambiando succedono una serie di problemi. Per un verso poiché questa mutazione all’interno della narrazione, quindi delle parole questa sorta, potremmo chiamarla di “anamorfosi” che è prodotta dal fatto che nella narrazione qualcosa viene sempre comunque aggiunto, e cioè questa narrazione si implementa ininterrottamente, questo dovrebbe portare all’impossibilità di determinare un significato, posso deciderlo il significato, ma non determinarlo. Consideriamo per esempio la questione della “ripetizione”, questo termine è complesso perché si tratta o di ripetizione dell’identico, ma stabilire l’identità a sé di un elemento non è possibile, salvo come dicevo prima decidere che sia identico a sé, oppure la ripetizione ciascuna volta è sempre di qualche cos’altro, ma essendo di qualche cos’altro tecnicamente non è ripetizione. Questo porta a considerare un altro aspetto ancora e cioè questa produzione incessante di narrazioni quindi di parole, che cosa di fatto la produce? Riprendendo qualche cosa che mi è parso di intendere in mattinata, è il linguaggio. Qui ovviamente non posso mettermi a disquisire sulla questione del linguaggio propriamente per cui lo indicherò, se me lo consentite, con una sorta di allegoria: è “un sistema operativo che consente la costruzione di sequenze linguistiche, il riconoscimento di tali sequenze come sequenze, e di combinare tali sequenze costruendone di più complesse. Questa è un definizione certamente molto sommaria e provvisoria, tuttavia in qualche modo raffigura ciò che accade. Ora a questo punto parrebbe che il linguaggio sia quel qualche cosa da cui vengono le parole, e dunque una qualunque narrazione. Questo fatto porta a considerare un’altra cosa ancora: considerate per esempio l’asserto “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”, questa affermazione forse potrebbe essere formulata più correttamente dicendo che l’inconscio, qualunque cosa si voglia intendere con “inconscio”, non è tanto strutturato come un linguaggio, ma potremmo dire che l’inconscio è linguaggio, non il linguaggio. Non è il linguaggio perché il linguaggio ha una struttura molto più complessa, ma dicevo che l’inconscio è linguaggio per una serie di motivi: qualunque cosa si intenda con inconscio, questo inconscio è qualcosa, se è qualcosa è perché questo qualcosa è connesso con qualche altra cosa, che consente di stabilire che qualcosa è qualcosa, ciò che consente tutto ciò è quella struttura che è nota come linguaggio, cioè un sistema linguistico, uso qui “sistema” nell’accezione desoussuriana del termine, inoltre possiamo anche considerare che se non esistesse il linguaggio allora la rimozione, l’inconscio, la resistenza, il transfert e tutte queste altre cose non sarebbero mai esistite. Questione che potrebbe non essere del tutto irrilevante. Ciò che mi interessa sottolineare a questo punto è che tutto ciò che viene detto, viene fatto, pensato eccetera comporta necessariamente la struttura del linguaggio, essendo linguaggio, dal quale linguaggio non c’è uscita ovviamente. Detto questo la considerazione che segue inevitabilmente è che la posizione che ci si trova a occupare è di volta in volta una posizione determinata dalla narrazione in cui ci si trova, una posizione che non è determinabile a meno che non si modifichi la definizione di “determinabile”, cosa che può farsi in qualunque momento, allora ciò che forse mi preme di più, visto che devo concludere, è che ponendo la questione in questi termini ci sono delle implicazioni notevoli e cioè che, come dicevo, ponendo la questione in questi termini, cioè sapendo e non potendo non sapere che ciascun elemento che interviene è quello che è in connessione a una struttura, cioè il linguaggio, quindi la narrazione, e che pertanto né la parola, né la narrazione hanno alcun riferimento, alcun referente che non siano altre parole, altre narrazioni, sapendo questo e non potendo non saperlo questo determina l’impossibilità di fissarsi su una qualunque cosa: fissarsi su una qualunque cosa significa attribuire a un elemento un significato che sia fuori dal linguaggio, quindi dalla combinatoria. L’impossibilità di fissare alcunché ha un altro corollario, un altro risvolto, e cioè l’impossibilità di costruire quella cosa che Freud chiamava “nevrosi”. Questo per quanto riguarda la narrazione di ciascuno, in ambito teorico invece ci sono altri risvolti, per esempio la possibilità di non dovere attenersi a concetti o a principi fondamentali di qualunque sorta che impediscono o possono impedire l’accesso a questioni di notevole interesse, in altri termini, non c’è nessuna necessità di attenersi ad alcunché. Ritengo che tutto questo potrebbe, e forse potrà mostrare una inimmaginabile potenzialità della psicanalisi e ritengo ancora che il compito di Lunipsi sia proprio questo, o almeno uno dei compiti di Lunipsi, e cioè esplorare queste possibilità, praticarle e proporle. Mi rendo conto di essere stato straordinariamente stringato, però il tempo concesso per questo intervento è scaduto, quindi grazie.