Torino, 30 novembre 2006
Libreria LegoLibri
IL TRADIMENTO NELLA COPPIA
Intervento di Cesare Miorin
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Intervento di Luciano Faioni
Forse occorre dire qualcosa di più sulla connessione tra il tradimento e il linguaggio, una connessione che potrebbe non essere immediatamente evidente, generalmente non lo è, abbiamo detto che il tradimento è un gioco linguistico, e questo è il problema, è un problema perché il gioco tendenzialmente viene accostato a qualcosa di ludico, quindi di divertente, mentre il tradimento, soprattutto da chi lo subisce non è considerato tale ma è considerato come una tragedia il più delle volte e tale deve rimanere, questo è importante perché se si toglie la tragedia. Se si toglie la tragedia agli umani si toglie una buona parte di ciò di cui vivono, tragedie e sofferenze angosce etc. tutto ciò che riguarda la realtà del mondo che ci circonda, e questa non può né deve essere messa in discussione, non deve, anche Einstein pensava qualcosa del genere, in una famosissima lettera a Max Born, diceva che dio non gioca ai dadi, quindi c’è una legge al di sopra di tutto e di tutti che regola ogni cosa, deve esserci. Ora non so in base a che cosa Einstein affermasse questo, non sono al corrente delle sue conversazioni con dio, ma aldilà di questo la realtà, dicevo, non deve essere un gioco, naturalmente ci sono dei buoni motivi perché non lo debba essere, anzi la realtà è sempre considerata una cosa di pesante, un dovere, un obbligo, qualcosa che schiaccia, di fronte alla quale non si può fare niente, insomma una sorta di peso che gli umani sono costretti a portare. Una questione sì, molto cristiana, tuttavia dicevo che non deve essere posta come un gioco cioè non deve essere sbarazzata di tutta la tragicità, della sofferenza, perché se lo fosse allora si creerebbe un problema di enormi proporzioni e cioè la gente cesserebbe di soffrire, di essere angosciata, preoccupata e questo non deve accadere per nessun motivo, perché se accadesse non sarebbe più gestibile e quindi potremmo dire che in un certo senso va bene così. Tuttavia Cesare aggiungeva delle questioni, vale a dire la possibilità invece che anche ciò che comunemente si chiama la realtà possa essere un gioco, però ha precisato un gioco linguistico, non un gioco tipo il tre sette, che è diverso, ma che cos’è un gioco linguistico? Tutto ciò che si costruisce è costruito in base a delle regole ovviamente, che intanto sono quelle grammaticali e sintattiche e poi le regole che si imparano quando si impara a parlare, si incominciano ad acquisire elementi e questi elementi vengono disposti a seconda di certi criteri che vengono appresi, un gioco di fatto non è altro che l’esecuzione di una sequenza di regole che dice: “questo si fa” “questo no”. Cesare parlava del linguaggio, che cos’è il linguaggio? È una questione notevole questa del linguaggio, e che abbiamo affrontata qui in varie circostanze, questione ardua oltreché impervia per i più, perché non si avverte nella più parte dei casi quale che sia la portata, la portata del linguaggio. Generalmente si considera il linguaggio come la manifestazione di qualcosa che linguaggio non è, però potrebbe essere ben altro, e già gli antichi avevano avvertito una cosa del genere. Dunque poniamo il linguaggio come una struttura, qualcosa che fa funzionare il pensiero, potremmo anche dire che il pensiero e il linguaggio sono la stessa cosa e per il momento usiamo questa approssimazione e, diceva Cesare si pensa in un certo modo, ciascuno grosso modo sa come pensa ma difficilmente ci ha pensato, vale a dire che muove da qualche cosa che ritiene vero e poi attraverso una serie di passaggi arriva a una conclusione, si pensa così, non è possibile pensare altrimenti. E perché si pensa così? Forse perché il linguaggio è fatto così? C’è questa possibilità. Il linguaggio dunque a questo punto non è inteso ovviamente come la verbalizzazione di qualche cosa ma come una sequenza di istruzioni per costruire che cosa? Pensieri, frasi, proposizioni. Tutto ciò che gli umani pensano o non pensano, dicono o non dicono, fanno o non fanno ha sempre comunque necessariamente questa struttura, la priorità del linguaggio non può essere messa in discussione perché anche facendolo si utilizzerà il linguaggio. Questa è una prova retoricamente forte, logicamente no, risale a una antica argomentazione nota anche agli antichi “consequentia mirabilis” che è formalizzabile nella sequenza “se, se non P allora P, allora P” che non è logicamente provabile, però la questione centrale in tutto questo che andiamo dicendo è che per dimostrare qualcosa, per provare qualcosa o per confutarlo naturalmente mi servirà un criterio, ma quale? Potrebbe essere un problema, quello numerico? Sì, ma è necessario che sia quello numerico? O potrebbe essere l’esperienza, oppure la deduzione, oppure qualunque altro, per esempio la volontà di dio, perché no? È un criterio anche quello. Il criterio fondamentale e più potente di qualunque altro è quello che utilizza ciò stesso che è indispensabile per costruire qualunque criterio, vale a dire il linguaggio, questo è il sistema più potente. Detto questo si potrebbe anche pensare che tutto ciò non abbia chissà quale grande utilità, sapere qual è la condizione e la causa di tutto, potrebbe non essere utile, e infatti le persone campano benissimo senza saperlo e non c’è nessun problema, la questione invece ci riguarda in quanto psicanalisti perché modificando il modo di pensare si modifica la condotta, si modifica la propria esistenza, parafrasando Cicerone “meglio si parla, meglio si pensa”, cosa vuole dire che meglio si pensa? Che per esempio non c’è più la necessità di avere paura, la necessità di provare angoscia, la necessità di soffrire, con tutto ciò che questo comporta, certo la sofferenza è una questione complessa, di fatto una qualunque persona non vuole soffrire, però curiosamente molto spesso se la va a cercare la sofferenza, se la trova immediatamente va bene, se no, la costruisce dal nulla, ma perché ama soffrire? Che soffra oppure no questo è marginale, ma la sofferenza ha la possibilità di costruire, di permettere di costruire una quantità straordinaria di pensieri, di immagini, di storie, di ricordi e, come diceva giustamente Cesare, di continuare a dire, a parlare, costruire cose, visto che è la cosa prioritaria e fondamentale che gli umani fanno e producono, cioè linguaggio, parole, discorsi, racconti, sogni, storie, film, tutto quello che volete. Può accadere che una persona si trovi a credere che una certa cosa che ha pensata sia vera, bene, si muoverà di conseguenza, con tutto ciò che questo comporta, se avesse l’opportunità di considerare che tutto ciò che ha pensato di fatto non è né vero né falso, forse anche la sua condotta ne risentirebbe, ecco perché la questione del linguaggio è fondamentale, in particolare per uno psicanalista; visto che ciascuna persona costruisce la sua esistenza in base a ciò che crede o non crede, costruisce e decide della propria esistenza in base a ciò che crede vero, addirittura può decidere se continuare a vivere oppure no in base alle cose che crede vere, il più delle volte si tratta di un giudizio estetico certo, piace così, però il fatto che piaccia una certa cosa anziché un’altra a volte non è del tutto indifferente né casuale, per cui rimane, come ha affermato Cesare, la questione prioritaria, ma non soltanto per chi pratica come psicanalista. Ma chi pratica come analista si trova ad ascoltare dei discorsi e questi discorsi di fatto sono dei racconti, delle sequenze di racconti che una persona si è costruita e lo ascolta come tale, cioè come una storia costruita in base a cose che sono state credute vere, ma alle quali l’analista non ha da credere ovviamente, se fa questo mestiere, ecco, portare una persona a considerare il proprio discorso esattamente così come un analista considera il discorso di una persona che sta ascoltando, esattamente allo stesso modo, ponendo la questione in questi termini ci si pone di fronte alle cose che si pensano e quindi che si credono in tutt’altro modo, e ci si muove di conseguenza. L’obiettivo di un’analisi è questo: porre le condizioni perché una persona giunga a sapere perché pensa le cose che pensa, ché non è affatto naturale che pensi in un modo anziché in un altro. Prendiamo proprio la questione del tradimento, per esempio, Freud giungeva a considerare che in alcuni casi il tradimento porta a una reazione così violenta per una questione omosessuale, questo porta alcuni, per esempio uomini, a non potere più accoppiarsi con una donna che sanno essere stata con un altro uomo perché, dice Freud, si impone a questo punto l’idea di avere una relazione con un altro uomo tramite la donna, e questo crea qualche problema. Supponiamo che sia così, perché l’omosessualità in questo caso sarebbe un problema, o l’eterosessualità, o qualunque altra cosa? Qui le questioni si complicano anche perché si giunge generalmente, o si va a parare su questioni etiche o che riguardano la tradizione, e perché una persona ha creduto alla tradizione? E perché continua a crederci, a che scopo? Qui interviene l’analista. Perché una persona crede alle cose in cui crede, a che scopo? O come ho detto prima, perché pensa le cose che pensa? Questo è l’obiettivo in analisi, poi certo la tecnica è una questione che può essere complessa e abbiamo discusso e se ne sta discutendo ancora proprio durante il corso che facciamo il mercoledì sera, dove vengono discusse queste questioni anzi, abbiamo fatta una lunga serie di incontri proprio sulla tecnica analitica poiché va rivista, ovviamente tendendo conto di ciò che è stato elaborato in questi anni, è ovvio che non può più essere la tecnica né quella di Freud né quella di Lacan né di altri perché sono mutate le condizioni teoriche, però come dicevo è una questione complessa che non può accennarsi in cinque minuti, ma chiunque fosse interessato venga a trovarci il mercoledì sera alle 21, in via grassi 10.