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LA PSICANALISI E LA SCIENZA

3/2/1998

 

Iniziamo analizzando il titolo e quindi con il chiederci perché affrontare una questione del genere, visto che non sempre, non necessariamente ha qualche interesse chiedersi se la psicoanalisi sia una scienza oppure no. Ciò che comunemente si intende con scienza non è altro che una serie di proposizioni correlate, coerenti, intorno a dei fatti, degli eventi e questa correlazione è ciò che dovrebbe rendere conto di questi eventi, ma non è sufficiente questo perché una procedura possa definirsi scientifica; occorre che sia verificabile. Ora, sul concetto di verificabilità si è detto moltissimo; per stabilire quando e a quali condizioni una proposizione è verificabile. Potrebbe essere una questione marginale ma non lo è perché è esattamente questo ciò che distingue tutto ciò che è chiamato scienza o scientifico; la sua verificabilità e cioè la sua riproducibilità: un fatto è scientifico se è riproducibile da chiunque in qualunque momento date le condizioni stabilite. Ora, la verificabilità di una proposizione può presentare qualche problema ed è un aspetto fondamentale di tutta la scienza, la quale(scienza) occorre che si riferisca o comunque abbia in animo di raggiungere la certezza o la verità ed è questo che la distingue, per esempio da un racconto. Prendiamo ad esempio il racconto di Cappuccetto Rosso; a nessuno verrebbe in mente di utilizzarlo come una teoria scientifica: perché no? Potrebbe anche succedere, però gli eventi raccontati in questa favola non sono verificabili, attenendoci ad un determinato criterio di verificabilità, però ciò che a noi interessa stabilire è se ciò che la scienza o per la scienza è verificabile, corrisponda ad un criterio certo, sicuro oppure è arbitrio e gratuito. Questione non marginale, perché se un criterio scientifico risulta arbitrario, allora perde buona parte della sua connotazione che lo vuole necessario; una legge fisica è tale se è necessaria, altrimenti no, è soltanto un’ipotesi, un racconto, la cui legittimità è pari a quella di qualunque altro. Allora, ciò che la scienza afferma, le sue leggi, sono necessarie oppure no? Intanto, che cosa è necessario? Abbiamo detto varie volte che necessario è ciò che non può non essere e che cosa non può non essere assolutamente? Qui la questione si complica e diventa straordinariamente arduo potere stabilire che cosa necessariamente sia. Però, se una legge fisica o un discorso scientifico deve fondarsi su questo, occorre almeno che sia possibile precisare un concetto del genere, se no una qualunque legge scientifica non è altro che un racconto, una novella, una favola e quindi non ha nessuna pretesa di verità, di certezza e a maggior ragione di necessità. Dunque, che cosa allora è necessario che sia? Ciò che abbiamo individuato sotto questo aspetto, come assolutamente necessario che sia, è ciò che consente di porci queste questioni: questa è la condizione fondamentale; se non esistesse una struttura tale che possa consentirci di fare queste considerazioni, allora tutto ciò non esisterebbe, in quanto non potrebbe dirsi in nessun modo. Dunque, l’unica cosa di cui possiamo dire che necessariamente è, che se non ci fosse non potremmo dirne, è il linguaggio. Ci chiediamo dunque: una legge scientifica è necessaria? No, non ha nessun carattere di necessità e il motivo è molto semplice: il criterio fondamentale utilizzato da una qualunque teoria scientifica è l’osservazione, l’empiria. E l’osservazione quali garanzie può offrire, di verità o di necessità? Generalmente, si considera che ciò che si vede sia ciò che esiste, tuttavia se voi riflettete, ciò che è a fondamento di una qualunque legge scientifica, e cioè l’osservazione, non ha di per sé nessun altro fondamento: è dato come acquisito, cioè non è provabile. È provabile, come diceva Aristotele, l’unico criterio è il fatto che sia una cosa creduta, per lo più, dai più: questo è ciò che è a fondamento di una qualunque teoria scientifica. Dunque, come avviene che un discorso che dovrebbe o che si pone come discorso intorno alla certezza, muova da qualche cosa che è fondato unicamente sull’opinione, sulla doxa anziché sull’episteme, come volevano gli antichi. È un fenomeno ben curioso, che cioè in definitiva sia sostenuto da un elemento che necessita per essere posto di essere creduto. Potete porla anche così, in termini più radicali: una qualunque teoria scientifica per potere essere ammessa, necessita di un atto di fede; senza questo atto di fede non viene accolta, perché nessun criterio al mondo potrà stabilire che l’osservazione è un criterio assoluto, necessario e inconfutabile, eppure lo stesso Popper (uno dei personaggi più noti nell’ambito della filosofia della scienza) e il suo criterio di falsificabilità il quale sostiene che una teoria è scientifica se è falsificabile e cioè se è possibile costruire una proposizione che la falsifica. Per esempio una affermazione che stabilisca l’esistenza di Dio, non può essere confutata da un’altra proposizione; può essere semplicemente non creduta, ma non è possibile costruire una proposizione che la confuti, e quindi non è una teoria scientifica. Si tratta naturalmente di stabilire se la teoria della falsificabilità è falsificabile oppure no; se non lo è, non è una teoria scientifica, se lo è, è possibile costruire una proposizione che la falsifica e quindi è potenzialmente vera. Ma se è potenzialmente vera, la teoria della falsificabilità allora tende (come lo stesso Popper vuole) verso una verità, e allora o la raggiunge e allora in questo caso non è più possibile, ma è assolutamente vera, ed essendo assolutamente vera non è confutabile e quindi non è scientifica; in caso contrario è falsa e pertanto inutilizzabile. Vedete che anche le teorie intorno alla filosofia della scienza più attuali e soprattutto più accreditate, mostrano, offrono il fianco ad obiezioni più che legittime, perché ciascuna di queste teorie, è supportata da una parte dall’empirea, dall’osservazione, e dall’altra, dalla supposizione che una verità in qualche modo, da qualche parte e per qualche buon motivo debba esistere: la verità come termine ultimo, cioè come l’ultima parola, ciò che Peirce indicava come l’interpretante logico finale, quello che chiude la catena e fornisce un senso a tutta la combinatoria. In assenza di questi elementi non c’è verso di potere stabilire una teoria scientifica, cioè se non viene compiuto questo atto di fede per cui credo che l’osservazione sia il criterio fondamentale oltre che fondante, allora tutto crolla inesorabilmente; crolla non nel senso che non sia più utilizzabile, può esserlo, esattamente come sono utilizzabili regole di un gioco: se voglio giocare a poker utilizzo delle regole di un gioco, se voglio costruire delle leggi scientifiche, utilizzo le regole di quel gioco, ma che hanno la stessa legittimità; nell’un caso una certa cosa mi consente di ottenere un certo risultato, nell’altro un risultato differente. Ciascun gioco è fatto per ottenere un risultato, qualunque esso sia, però a questo punto una teoria scientifica, diventata un gioco tra infiniti altri, non garantisce più nulla; un po’ come nella logica, in effetti, il giungere ad una conclusione che nell’ambito logico è un teorema, non significa assolutamente nulla cioè giungere ad una proposizione vera come un teorema non significa che allora si sia raggiunta la verità o si sia detta la verità, così come nell’ambito del calcolo numerico giungere ad un certo risultato indica semplicemente che ci si è attenuti scrupolosamente alle regole della sua costruzione. Allora, a questo punto, se la scienza offre questi elementi, chiedersi se la psicoanalisi sia una scienza oppure no, non solo non ha nessun interesse, ma possiamo a questo punto affermare che a differenza della scienza, la psicoanalisi non comporta, ne necessita, ne chiede alcun atto di fede, questa è la differenza fondamentale. Dicevamo tempo fa della religione e della scienza che hanno la stessa struttura e sono partite anche dallo stesso punto, separandosi poi lungo il cammino; l’una, la religione, dando la verità come acquisita, l’altra, la scienza, come acquisibile, ma la struttura non è così differente. Ciò che indichiamo invece come psicoanalisi, non ha bisogno di questo elemento, non ha bisogno di nessun atto di fede, e non lo necessità proprio perché è quella sorta di itinerario che mostra l’assoluta ingenuità di un qualunque discorso che vada in cerca della certezza, della verità o della realtà (a seconda dei casi). Ingenuità perché in ognuno di questi discorsi non avverte che si tratta di giochi linguistici e se io stabilisco che la verità è una certa cosa, allora la raggiungo, ma è chiaro che a questo punto perde quel carattere di assolutezza e di necessità che generalmente le si attribuisce, quel carattere costrittivo per qualche verso anche terroristico: se la verità è assoluta, tutto ciò che non è verità è falso ovviamente, e quindi se io ho tutti gli strumenti, tutte le condizioni, i termini per potere sapere quale sia la verità e non la accolgo, allora o sono in mala fede e vado punito, oppure sono malato e vado curato. Questo è l’aspetto terroristico della verità, così intesa nel discorso occidentale, ma non soltanto. Dunque la psicoanalisi mostra quale ingenuità sorregga una fantasia del genere. Ora, io ho fatto in parte un torto al discorso scientifico, il quale almeno nella formulazione più recente, ha abbandonato almeno in parte l’idea di raggiungere la certezza, in parte perché afferma che ciò che sta facendo non è la verità, ma non perché questa sia soltanto una sorta di shifter, di operatore deittico, un indicatore, ma perché questa verità ancora non è raggiunta, ma un giorno; molto prossimi in questo a Galilei: il diverso è scritto in codice matematico, si tratta di trovare la chiave d’accesso (password), dopodiché tutto ci sarà noto; e questa fantasia è ancora presente; come dire una realtà che è posta lì in attesa che qualcuno la sveli. Ma sia come sia, rimane che questa verità deve essere posta perché altrimenti è un problema logico, epistemologico e anche morale, perché se non c’è, come sappiamo che stiamo progredendo, come sappiamo che stiamo andando nella direzione giusta, non abbiamo nessuno strumento per poterlo valutare; se invece la verità c’è, allora dobbiamo rimboccarci le maniche e darci da fare per trovarla, sapendo che mano a mano, procedendo lungo una via stabilita da un criterio sufficiente, tutto questo ci condurrà, prima o poi in porto, e il porto non è altro che la verità, Dio, cioè colui o colei (a seconda delle dottrine) che rappresenta definitivamente il significato delle cose. Che cosa cerca la scienza? Ha sempre cercato Dio, almeno nella sua formulazione più ideale, più avanzata, parlo della filosofia della scienza più che della tecnica, ma il discorso scientifico punta a questo: a trovare Dio, o la verità assoluta, la verità ultima e Dio non è altro che questo. In questo, molto religioso perché suppone che ci sia: prima suppongo che ci sia e poi mi metto a cercarlo che è un’operazione economicamente discutibile in alcuni casi; anche perché se mi metto a cercarlo, prima o poi, curiosamente lo trovo, sempre: quando mi metto a cercare una cosa la trovo prima o poi perché l’ho già prodotta, l’ho già predisposta e quindi di volta in volta ci sarà una trovata tale per cui possa dire che questa è finalmente la scienza, oppure è Dio, o qualunque altra cosa che funzioni in questo senso. Tutto il discorso occidentale e non soltanto, è impostato su questo, su una visione religiosa e per molti aspetti gnostica; tutta la psicologia e buona parte della psicoanalisi è gnostica e se voi leggete le pagine dei settimanali dove c’è la pagina dello psicologo, è un rifacimento molto rozzo dello gnosticismo: dovete realizzarvi, dovete raggiungere i vostri obiettivi e solo allora sarete felici etc… "sarete come Dei" dicevano gli gnostici e cioè vi realizzerete. Buona parte della psicologia, soprattutto quella americana, ha seguito questa direzione, senza sapere che questa direzione era già stata avviata almeno 2500 ani fa, che ha la prerogativa di essere facilmente accreditata e facilmente creduta; è una delle promesse più facili da fare e anche più facili da mantenere nel senso che una persona ad un certo punto ci crede quindi è soddisfatta; in questo non è che abbiamo nulla contro la religione, semplicemente non ci interessa questo discorso, ciascuno è libero di credere qualunque cosa ritenga più opportuna. Non ci interessa in quanto arresta il discorso: oltre questo punto non è possibile andare. Ma ciò che intendiamo qui con psicoanalisi non ha nulla a che fare con lo gnosticismo ne con la promessa, ma con una sorta di itinerario intellettuale, una traversata di tutto ciò che è creduto; potremmo dire che la psicoanalisi inizia con una traversata di luoghi comuni; i luoghi comuni sono, come abbiamo detto molte volte, le cose credute per lo più dai più e quindi ultimamente uno dei luoghi comuni più accreditati è quello che riguarda il discorso scientifico, anche senza arrivare alle affermazioni da spot televisivo, comunque rimane uno dei luoghi comuni più accreditati. Intendo dire questo, che la visione del mistico per esempio, non ha un minore grado di verificabilità di una qualunque teoria scientifica. Prendete un mistico del Medioevo che vedeva la Madonna; questa cosa ha tutti i requisiti di un’affermazione scientifica, perché all’ora questa affermazione di avere visto Dio o la Madonna veniva confermata da altre infinite persone, altre la vedevano e se non la vedevano era perché erano in mala fede, venivano bruciati e in seguito la vedevano molti di più. Dunque era un fatto verificabile, oggi non più certo e perché non lo è più? Perché non ci si crede più, nel momento in cui si cessasse di credere ad una teoria scientifica, questa teoria non è più verificata, non esiste più. Non è che io ce l’abbia con la scienza, semplicemente mi trovo a riflettere intorno a questo dibattito piuttosto sterile fra la psicoanalisi e la scienza, la psicoanalisi non sarebbe verificabile, cioè ciò che si verifica tra l’effetto riscontrabile e la causa immaginata, tutte le proposizioni che intervengono a rendere contro della causa, non sono verificabili: ad esempio se una persona ha la fobia del topo e un’altra no, questo diventa un problema. Ma la questione non è così semplice: è verificabile tutto e soltanto ciò che è creduto, ciò che rientra nell’ambito di una struttura condivisa, partecipata, in definitiva di un luogo comune; solo questo è verificabile, il resto no. Non lo è perché non vengono più accolte le premesse, non viene più accolto il criterio di verificabilità; il fatto che si imponga come criterio di verifica che una certa cosa sia riproducibile è un criterio, perché dovrebbe essere il migliore, può anche non essere accolto, anche se tutti sono concordi con questo, non è detto che sia migliore di un altro. Non è un criterio sufficiente il fatto che una cosa sia creduta dai più anche se fosse creduta da tutti, questo in un ambito, per esempio, logico non significa assolutamente niente, è assolutamente irrilevante. Dicevamo invece che la psicoanalisi non necessita di un atto di fede, e questo può essere una virtù, oltre che un vantaggio, perché non muove da nessun assioma, non c’è alcun postulato che debba essere creduto; una persona inizia a parlare , racconta di se, si trova esposta al suo discorso, esposta alla struttura del suo discorso e cioè esposta in particolare alle regole del gioco in cui si trova, e il gioco in cui si trova non è altro che ciò che regola il suo discorso, che gli fa credere le cose in cui crede, pensare le cose in cui pensa e dire le cose che dice. Ciascuno non è altro che ciò che dice cioè si trova esposta al suo discorso con tutte le conseguenza che questo comporta. Non si tratta tanto di togliere una superstizione, una credenza, una fantasia ma di togliere la possibilità che si dia una qualunque credenza, superstizione, fantasia, e questa impossibilità si verifica nel momento in cui si constata che ciascun discorso direi per definizione, non è altro che una successione di significanti ordinati da regole che ne impongono di volta i volta la direzione; fuori dal linguaggio non c’è nulla, potremmo aggiungere che nulla è fuori dalla parola, se qualcosa fosse non sarebbe comunicabile, etc. Nulla è fuori dalla parole e abbiamo detto molte volte della singolarità di questa affermazione, della non negabilità, qualunque altra cosa è negabile, assolutamente, basta non accogliere i principi su cui poggia. Abbiamo fatto una carrellata di alcuni criteri per confutare un’affermazione, una di questo è non accogliere il postulato, ma se tutti lo accolgono, questo non significa nulla, devi provarlo, potrebbe essere non semplicissimo, anche perché parafrasando Wittgenstein: chi dimostrerà la dimostrazione. Eppure, il discorso scientifico che è costruito esattamente come un qualunque altro discorso, muove come se ciascuna volta fosse stabilito, provato e dimostrato ciò che si afferma il che non è affatto ne può esserlo in modo, ed è piuttosto curioso questo fenomeno ma tant’è che così accade e una psicoanalisi si occupa esattamente di questo, di sapere perché, come avviene che una certa persona si trova a credere le cosa in cui crede e quindi in definitiva dare per acquisito che Dio esista anche se assolutamente atea, per esempio, Dio esista cioè esista la verità e Dio non è altro che uno dei nomi utilizzati per indicare la verità assoluta. E qual è la trovata per arrestare una sorta di regresso ad infinito che si incontra inesorabilmente quando si vuole arrestare la parola: che non si può: una delle famose cinque vie di Tommaso prevede proprio questo, l’impossibilità del regresso ad infinito cioè non possiamo tornare all’indietro all’infinito nelle ricerca delle cause, dobbiamo pure fermarci ad un certo punto, il perché esattamente non è stato mai chiarito, ed è una forma di argomentazione molto debole ma a tutt’oggi molto praticata, non possiamo chiederci all’infinito le cose. Non si tratta nemmeno di questo, ma ad esempio di tenere conto, in una qualunque argomentazione, che questa sorta di infinito attuale è presente e cioè che io non posso provare, dimostrare, consolidare nulla se non all’interno del gioco che sto facendo e del quale ha accolte le regole, del quale conosco le regole. Provate a fare lo stesso percorso rispetto a qualunque altro discorso, da quello più banale intorno ad una qualunque cosa quotidiana, intorno ad una questione sentimentale, intorno ad una dimostrazione scientifica, sono altrettanti giochi linguistici che non hanno nessun senso di per se, lo incontrano, il senso letteralmente come direzione, lo incontrano facendosi, non hanno nessun supporto, nessuna garanzia all’infuori di se. Una psicoanalisi mette difronte a questo creando qua e la non pochi smarrimenti come accade, tuttavia o fa questo oppure è un’altra forma di religione e neanche tra le più interessanti, ce n’è una, quella cattolica fra le più potenti e più consolidate, la quale ha forniti anche strumenti molto validi: fra le migliori menti che ci sono state tra il V,VI secolo dopo Cristo fino ad oggi si sono adoperate per dimostrare l’esistenza di Dio, compiendo sforzi teorici non indifferenti; poche altre religioni possono vantare di menti così abili: pensate ai gesuiti. Se una psicanalisi facesse questo cioè sostituisse una credenza con un’altra, una religione con un’altra, allora tanto varrebbe tenersi quella che c’è in quanto funziona. Ma aldilà di queste considerazioni rimane che il discorso religioso, non è altro che la struttura di un discorso che suppone che almeno un elemento è fuori dalla parola e quindi almeno una cosa è quella che è, è credibile, è sicura è certa, non importa quale sia, l’importante è che ci sia, come la verità per Popper, non importa in che cosa consista e il fatto che non la si trovi, l’importante è che ci sia e cioè che si creda che ci sia. Anche Dio, nessuno lo ha visto, l’importante che si creda nella sua esistenza, ed è questo ciò che consente al discorso religioso di funzionare, credere che qualcosa necessariamente sia, di per se cioè fuori dalla parola perché se è nel linguaggio è soggetto a tutto ciò che il linguaggio comporta e cioè trae un senso unicamente dalla combinatoria in cui è inserito e un elemento così è poco affidabile, non ha nessun referente all’infuori di se e quindi non è credibile come verità assoluta. Diciamo che la psicoanalisi è l’eliminazione del discorso religioso qualunque sia la sua forma, la sua configurazione, toglie la possibilità di credere una cosa del genere. Ma qui come discorso religioso, non intendo l’avere un credo di qualunque tipo, ma pensare che qualcosa sia fuori dalla parola, questo è ciò che indico come struttura del discorso religioso. Se viene creduta una cosa del genere allora Dio è previsto qualunque forma assuma. Allora vi rendete conto immediatamente che un dibattito che si ponga come quesito se la psicoanalisi sia una scienza oppure no, a questo punto trova una risposta definitiva: no. Non è una scienza e cioè non richiede un atto di fede, in questo non è una scienza. Non si fonda sull’osservazione, non ha nulla da osservare, ha da interrogare un discorso e la sua struttura e accorgersi di che cosa avviene parlando, della quantità sterminata delle cose che avvengono ciascuna volta che si parla, anche fra se e se, non necessariamente con un interlocutore. ciascuno dialoga fra se e se praticamente 24 ore su 24., anche perché quando dorme sogna e quindi comunque è una conversazione: è un’attività che non si ferma mai. Questo provoca degli effetti, che cosa si dice una persona generalmente? Di questo si occupa un’analisi, non tanto per sapere gli affari privati di questa persona, ma per intendere che cosa sostiene le cose che si va dicendo, da dove vengono, cosa eventualmente devono confermare, stabilire, mantenere; per questo dicevo che il compito dell’analista è quello di creare problemi, nel senso che insiste laddove le cose sembrano essere ovvie e tanto più sembrano ovvie, inequivocabili, indiscutibili, ineliminabili, tanto più, proprio lì interviene l’analista con delle questione ad indicare che c’è l’eventualità che forse le cose non siano esattamente così come sono credute, come sono pensate. Operazione che abbiamo detto negli incontri applicati alle struttura del discorso, non semplicissima perché una religione, nell’accezione ampia in cui sto parlando, è fatta in modo tale che se messa in discussione crea dei contraccolpi notevoli, come se ad un certo punto tutto ciò che io credo di più saldo, di più sicuro, vacillasse. Talvolta avviene alle persone che hanno raggiunto una certa età le quali si chiedono: ma io che cosa ho fatto della mia vita, l’ho usata bene, l’ho usata male, cosa ho raggiunto nella mia vita, quali obiettivi ho abbandonati lungo questo percorso, etc..; fanno una sorta di bilancio e generalmente questo bilancio ha un effetto catastrofico, perché strada facendo si sono abbandonate alcune cose e questo provoca dei problemi. Problema fondamentale è che tutto ciò che avviene a questo punto è sostenuto da una struttura che è fortemente religiosa e cioè dà un senso alle cose, non accoglie un senso che si produce, ma lo dà; se voi provate a dare un senso alle cose vi troverete immediatamente in mezzo ad un grande problema, perché il senso che troverete sarà sempre, inesorabilmente differente da quello che avete dato e allora fare collimare quello che incontrate con quello stabilito, è un’operazione votata al fallimento. Da qui appunto la sensazione di fallimento che nel caso della depressione può raggiungere anche dei livelli notevoli; come abbiamo detto il depresso è colui che non trova più un senso alla propria esistenza, ma non chiede mai perché la vita dovrebbe averne uno, e d’ifronte a questa domanda potrebbe riscontrare l’assoluta impossibilità di rispondere. Perché la vita deve avere un senso, naturalmente questo tenendo anche conto della necessità, a questo punto, di stabilire che cosa sia esattamente il senso: come si chiedeva Richards: "qual è il significato del significato"? Bella domanda, che la scienza si è posta innumerevoli volte chiedendo intorno a se, cioè chiedendo che senso avesse ciò che andava facendo, senza trovare nessuna risposta, perché se a un qualunque elemento è domandato di rispondere di se, è un problema, perché a quel punto si innesca un rinvio, non soltanto, ma questo rinvio è tale da impedire l’arresto in un punto qualunque, ma non soltanto, perché se un certo elemento deve rispondere di un altro, allora di questo elemento chi risponderà? Ecco perché ciascuna volta in cui la scienza o comunque qualunque discorso che abbia prerogative simili si domanda intorno a se, e succedono dei problemi perché non sa esattamente che cosa sta facendo perché ciò che fa se è interrogato non può rendere conto di se, un po’ galelianamente come se l’universo dovesse rendere conto di se, ma non può farlo perché soltanto chi lo interroga lo fa esistere. Le cose esistono se esistono per qualcuno, per definizione, altrimenti non esistono. Questa è la prerogativa del discorso che andiamo facendo che è un po’ bizzarro in quanto è fondato unicamente su ciò che consente di fare questi discorsi, nient’altro che questo. Come posso sostenere che una cosa fuori dalla parola non esiste? Perché anche se sto zitto esisterebbe lo stesso, anche se non esisterebbe nessuna persona al mondo, l’universo esisterebbe, questa è un’ingenuità perché non esisterebbe assolutamente nulla. Abbiamo detto molte volte, la questione dell’esistenza, perché se dobbiamo affrontare in termini precisi la questione senza porla in termini religiosi o troppo rozzi dobbiamo iniziare a chiederci che cos’è l’esistenza. E che cos’è? È difficile rispondere ad una domanda del genere e una volta che abbiamo stabilito che cosa sia, occorre che ci chiediamo se esiste l’esistenza, se esiste di per se, o esiste per conto terzi, cioè se altro la fa esistere, o non dobbiamo chiederci nulla? Lo dobbiamo fare necessariamente, e siccome ce lo chiediamo, allora veniamo a sapere che non c’è assolutamente nulla che garantisca della sua esistenza tranne il fatto che qualcuno lo dica. Se non esistesse un linguaggio e quindi qualcuno per cui qualche cosa esiste, non esisterebbe nulla, esiterebbe per chi, come , per che cosa, attraverso che cosa? Se l’esistenza esistesse di per se sarebbe fuori dal linguaggio e in effetti è stata chiamata Dio e ha funzionato per un verso fino a che non ci si è posti la questione in termini radicali dal momento che se la poniamo fuori dalla parola e allora non ha accesso, ma se non ha accesso alla parola non può saperne nulla per definizione e quindi non esiste, visto che posso dire che esiste solo se è nel linguaggio. Dunque tutto il discorso scientifico o quello religioso che a questo punto scivolano con notevole facilità l’uno nell’altro, sono esattamente ciò che una psicoanalisi occorre che interroghi, direi che occorre che si occupi di questo, della religiosità del discorso, ma non per una missione particolare o perché ha particolarmente in antipatia tanto la religione quanto la scienza, ma perché tutto ciò che gli umani, da sempre avvertono come disagio, come malanno, come male è tale perché è creduto tale. Tempo fa facevo l’esempio della paura; ammettiamo che io abbia paura di una certa cosa, non importa quale, occorre, perché io abbia paura di questa cosa che io creda nell’esistenza di questa cosa, se non ci credessi potrei averne paura? No, in nessun modo, non per una ragione psichica, ma per una ragione grammaticale e dunque non credendo e cioè togliendo la possibilità stessa di credere alcunché si elimina la possibilità stessa di soffrire o più propriamente la sofferenza diventa arbitraria, posso farlo oppure no, a piacere. In alcuni casi uno può decidere di farlo perché come è noto c’è un certo piacere nella sofferenza. Allora, la psicoanalisi e la scienza non hanno fra loro nessuna relazione anzi sono esattamente agli antipodi; l’una, scienza è fondata sul discorso religioso, l’altra, la psicoanalisi, no; ed ha come obiettivo esattamente l’analisi, l’elaborazione del discorso religioso, cioè non possono convivere, come dicevano una volta i francesi sono " incompossibili". È chiaro che io ho riferito la psicoanalisi nel modo in cui la stiamo progettando perché se ci riferiamo alla psicoanalisi freudiana, reichiana junghiana etc.. allora il discorso cambia radicalmente, perché in questo caso sono banalità fondate su nulla che dicono delle cose banali, di nessun interesse; uno immagina che una certa persona abbia un certo problema per quel motivo, perché? E se poi si vanno a leggere dei testi di meta psicologia( come vengono chiamati generalmente) si trovano delle tali banalità che sono sconcertanti. Per terminare quindi diciamo che l’analista è colui che non può non fare questa operazione, è colui che non può non trovarsi a pensare in ciascuna circostanza che ciò che sta avvenendo è , e non può essere altro che un gioco linguistico, con tutte le implicazioni che questo comporta. Non è semplicissimo accorgersi che il più delle volte ciò che dovrebbe offrire sicurezza è esattamente ciò che costituisce la condizione del proprio disagio, per esempio il discorso religioso. È chiaro che non stiamo dicendo che questo sia l’unico percorso possibile, l’unico da seguire, assolutamente no, ma che in questo momento ci interessa seguire proprio per la sua struttura particolare, ma questo non esclude nessun altro discorso, in nessun modo. Può in alcuni casi escluderli, ma questo come effetto, in quanto il gioco che stiamo facendo è un gioco molto particolare; è quello che rende conto della struttura di qualunque possibile gioco; per cui se si fa questo percorso, può accadere che si vada oltre un punto che potremmo indicare come punto di non ritorno, cioè non è più possibile tornare indietro. Ma questo sempre per una questione grammaticale, e cioè per lo stesso motivo per il quale non posso credere vera una cosa che so essere falsa, per esempio. Ci sono alcune cose che il linguaggio vieta, una di queste è quella di uscirne. Può accadere che trovandosi a condurre il discorso, la parola fino alle estreme conseguenze, questo comporta di trovarsi difronte a ciò stesso che costituisce la condizione dell’esistenza di qualunque altra cosa, e questo può generare un certo interesse: io non mi occupo tanto delle cose in se, ma della condizione della loro esistenza, è ciò che i filosofi hanno sempre cercato, ciò che Aristotele chiamava il motore immoto, gli bastava dire che era il linguaggio e avrebbe risolto il problema risparmiando fatica ed affanno per 2500 anni circa.