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INTERPRETAZIONE/DIVINAZIONE

Su chi va esercitato il terrore?

 

Abbiamo aggiunto un titolo, non so se avete visto, questo titolo dice così: Interpretazione/Divinazione. Voi sapete sicuramente quanto sia stato detto e quanto si dica a tutt'oggi intorno alla nozione di interpretazione, è stato detto un po' di tutto. Ciascuno di quelli che hanno detto, ha detto che cos'è l'interpretazione. Ma vi siete mai chiesti che cosa ci si stia chiedendo, quando ci si chiede che cos'è qualche cosa? Supponiamo che io dica che l'interpretazione sia una certa cosa, e allora che cosa ho detto esattamente? Che a questo significante "interpretazione" corrisponde quest'altra certa cosa? In genere accade di pensare in questi termini, e allora una definizione può essere, come per gli antichi, una sorta di adequatio rei et intellectus, una sorta di adeguamento alla cosa, oppure di utilità, cioè io definisco l'interpretazione in un certo modo perché rispetto alla ricerca che faccio mi serve che sia così, oppure ancora tengo conto che, quando si parla di interpretazione, occorrerebbe già potere interpretare questa domanda, però a questo punto non andiamo da nessuna parte, perché dovremmo prima definire l'interpretazione per dire che cosa stiamo interpretando. Queste sono le posizioni più diffuse rispetto a qualunque tentativo di definire qualunque cosa. La prima è quella che dice che cosa sono le cose, trova che cos'è l'interpretazione, l'interpretazione è questo. Solo che accade sempre che arrivi qualcuno a porre domande indiscrete e a chiedere come lo si è saputo per esempio, o peggio ancora. Tuttavia possiamo rilevare che c'è una certa continuità rispetto alla nozione di interpretazione da quando ci sono tracce di questo termine. In effetti, almeno con Aristotele, potremmo indicare l'interpretazione semplicemente come un'espressione, un modo di esprimere le cose. Ma già prima di lui la nozione di interpretazione è stata intesa come arte della divinazione, come una mantica, cioè l'arte di trarre da alcuni segni, o meglio da alcuni elementi intesi come segni, la manifestazione della volontà di dio, per esempio, dio nell'accezione più ampia del termine, o della natura delle cose, o di quello che vi pare. Ci sono, se voi avete voglia e tempo di leggerli, alcuni manuali intorno alla storia dell'interpretazione, appunto dalla divinazione fino alla versione più aggiornata che è l'ermeneutica. Divinare/indovinare. Divinare è cogliere tutto sommato il disegno divino, e che cosa dice dio? Ma la questione è questa, perché mai qualcuno dovrebbe sapere qual è l'intenzione di dio, che cosa ne ricava, per così dire? La questione è che se è parola di dio, se è dio che ha asserito questo, allora per definizione dio, come dicevamo tempo fa, non può mentire, sembra che sia una delle poche cose che gli siano proibite, comunque sia... Dunque non potendo mentire dice necessariamente la verità, e quindi se dio dice così allora è così. Naturalmente parliamo di dio sempre in un'accezione molto ampia, potete intenderlo come la natura, come l'universo, come la legge cosmica, l'armonia universale ecc., sono la stessa cosa, e quindi, come dicevo prima, allora è così, cioè le cose sono in quel modo.

La divinazione ha avuto e ha a tutt'oggi un ruolo importantissimo, perché è l'arte di cogliere dalle cose che ci circondano la loro vera natura, la loro vera essenza, che è quella che si coglie quando si interpreta rettamente il segno. Poi le religioni variano, ciascuna ci mette del suo, ma prendete la religione ebraica per esempio, in quel caso si tratta sempre di riuscire a stabilire qual è esattamente la volontà di dio, che lì dio non l'ha espressa esplicitamente, ma attraverso qualcosa di molto vago, però non la si conosce con precisione, da qui l'idea che ci sia sempre l'eventualità, se non la certezza, di essere nell'errore e quindi la punizione di dio a questo punto segue inevitabilmente. L'olocausto per esempio è un aspetto, non è avvenuto per caso, ma perché hanno errato e allora... Ma adesso questo ci interessa poco, torniamo alla questione dell'interpretazione, prendiamo quella più antica, prendiamo la mantica, l'arte di trarre da alcune cose il segno della manifestazione della volontà di dio, sempre nell'accezione che vi dicevo, che poi necessariamente diventa segno di una realtà che, come dicevo, se è questo che dio ha stabilito, allora è necessariamente così. Ma che cosa ha necessariamente stabilito? In prima istanza che le cose che io interpreto ci siano, il primo passo per potere interpretare qualcosa è che questo qualche cosa ci sia, se no che cosa interpreto. Ci sono voluti un paio di migliaia di anni perché qualcuno si ponesse questa domanda, in effetti occorre che qualcosa ci sia perché io interpreti qualcosa.

Ma l'affermare che qualcosa c'è, si sono chiesti, è già una interpretazione oppure no? Se no, allora c'è qualcosa che si dà in modo immediato, e qui sorgono altri problemi non meno difficili, oppure è un'altra interpretazione, e allora siamo presi in una sorta di regressio ad infinitum: questo interpreta questo il quale è l'interpretazione di quest'altro e così via. Come dire che il testo che è da interpretare in quanto tale non c'è, che è un po' la tesi di Derrida, il decostruzionismo, ma se non c'è il testo allora non c'è neanche l'interpretazione, e infatti lui parla più propriamente di lettura, non senza qualche problema a questo punto, perché se parla di lettura parlerà pure di lettura di qualche cosa, di un testo per esempio, quindi leggo il testo e allora il testo è lì e io sono qui, però lui dice che questo testo si costruisce mentre si legge, ma allora cosa si legge? Domanda legittima. In effetti anche gli antichi si sono trovati di fronte a questo inghippo, tant'è che i padri della chiesa, attenti a queste cose, hanno proibita la lettura della Bibbia, proprio per evitare che le persone si ponessero domande impertinenti. La Bibbia non può essere letta da chiunque, il testo in quanto tale è illeggibile, può leggersi soltanto attraverso le chiose, attraverso i commenti. In questo caso non è che il testo non ci sia, c'è, ma essendo parola di dio, non può essere trasmessa direttamente perché nessuno la capirebbe. La stessa questione che si pone per i mussulmani, i quali, come sapete, disprezzano qualunque traduzione del Corano perché dio ha parlato in arabo e quindi qualunque traduzione svia la parola di dio, e allora o ve lo leggete in arabo o se no non possiamo fare niente. Ci sono lo stesso moltissime traduzioni evidentemente, però per i mussulmani integralisti sono deviazioni intollerabili. Eppure nonostante questi problemi che sorgono appena ci si mette a riflettere intorno alla nozione di interpretazione, questa nozione è diffusissima, non c'è cosa negli ultimi anni che, in qualche modo, non evochi la nozione di interpretazione. Ricordo alcuni anni fa, quando era in voga il lacanismo, qualunque cosa una persona dicesse gli veniva rimandato: questa è una tua interpretazione. Come una sorta di anatema: è una tua interpretazione. Ma è un'interpretazione anziché essere che cosa? Di fronte a una questione del genere chiaramente si arresta tutto, anziché che cosa? Anziché la realtà delle cose? O una verità assoluta rispetto alla quale c'è l'interpretazione? Ma la domanda che può porsi a questo punto è questa, e cioè se ciascun tipo di interpretazione, così come è pensata oggi, anche la stessa ermeneutica, non sia un riproporsi della divinazione. Pensate all'ermeneutica, adesso passiamo dalla mantica all'ermeneutica, dalla più antica alla più recente.

L'ermeneutica fa questa operazione, prende un testo e lo legge, e decide che deve sapere ciò che cosa veramente vuol dire, però per fare questo deve sapere soprattutto una quantità di cose su chi l'ha scritto, sulla sua formazione, sugli eventi circostanti, sull'uso della lingua in quel periodo, sui suoi tic linguistici, semantici, sintattici ecc. cioè tutti gli elementi che possono concorrere a dare una corretta interpretazione.

E` chiaro che si gira in tondo cercando di arrivare sempre più vicini a quello che dovrebbe essere il testo in quanto tale, che è dato per presupposto, come ipostasi, come soggiacenza, come se a tutto ciò soggiacesse il testo così com'è, e cioè come veramente l'ha inteso l'autore. Che poi è falso perché neanche l'autore sa esattamente che cosa ha inteso dire, ma sia come sia, questa posizione dicevo è la stessa della divinazione, cioè tutti gli elementi che io devo reperire sono segni di questo testo che soggiace, come ipostasi appunto, e che quindi è da scoprire, da reperire e in ogni caso occorre che ci sia, anche se io penso o sono convinto di giungere soltanto ad una sua approssimazione occorre che ci sia, perché se non ci fosse mi approssimerei a che? A niente, e quindi occorre che ci sia, così come idea, un po' come la nozione di verità di Popper, è la stessa cosa, la verità non si può raggiungere, però se non ci fosse non sapremmo neanche se in questo momento siamo nella direzione giusta oppure no, qualunque direzione varrebbe qualunque altra. E anche la stessa domanda se sia possibile interpretare, già è una domanda curiosa perché presuppone una nozione molto precisa di interpretazione, per sapere se è possibile sapere qualcosa, occorre che sappia almeno qualche cosa di questo qualcosa di cui devo sapere, se è possibile oppure no porlo in atto. Ma allora l'interpretazione è qualcosa che io voglio che sia? O potrebbe essere altro? Di nuovo la questione di Humpty Dumpty, quando leggevamo Dietro allo specchio di Lewis Carroll. Ma allora funziona così?

Se l'interpretazione è un significante che non ha nessun referente fuori di sé, evidentemente non può riferirsi a nulla, a nessun oggetto fuori dalla parola e quindi posso dare, in teoria, qualunque nozione di interpretazione, una varrà l'altra per così dire. Sì e no, ma in ogni caso questo appena per porre qualche obiezione, se volete farlo, a qualunque discorso che si ponga come definitorio, che affermi che questo è quest'altro. Già, questione bizzarra, perché se questo è quest'altro allora non è più questo, ma è quest'altro. E questo? Rimane la questione, pari pari. Sì, sono questioni un po' sottili, potete metterla così, ma che tuttavia si impongono ciascuna volta in cui si incomincia a riflettere in termini più precisi di quanto faccia generalmente il discorso corrente, che sembra invece, paradossalmente, molto disponibile ad accogliere qualunque nozione, e forse non potrebbe neanche fare altrimenti, perché se si mettesse a definire qualunque cosa non ne verremmo più a capo, e allora non definiamo nulla? No, definiamo fino ad un certo punto, quale? Quello che decidiamo. E dopo? Dopo evidentemente intervengono altri elementi che hanno una funzione importantissima nel discorso occidentale, cioè i luoghi comuni.

I luoghi comuni sono tutta quella serie infinita di proposizioni che sono accreditate come "vere" tra virgolette, le cose che sono credute dai più e perlopiù, questi sono i luoghi comuni. Hanno un fondamento solido, sicuro? Assolutamente no, sono fondati su niente, potrebbero essere esattamente il contrario e questo contrario avrebbe la stessa fondatezza, ma sono utili perché il discorso non si fermi, però per non fermarsi è costretto, appunto, all'utilizzo di luoghi comuni e cioè in definitiva ad accogliere nozioni senza potere sapere di queste nozioni, senza potere sapere di queste nozioni assolutamente nulla. Ecco, divinare/indovinare, è un'operazione che punta a fare come se tutto questo non si desse e cioè ci fosse da qualche parte l'eventualità di potere invece stabilire con certezza ciò che si sta dicendo, naturalmente ci vuole sempre l'intervento di un dio o di qualche entità superiore, una sorta di deus ex machina che interviene in modo salvifico a risolvere una situazione che è senza soluzione: deus vult, dio lo vuole; così almeno possiamo, se non altro, pensare che ciò si dice, qualunque cosa sia, abbia un riferimento fuori da ciò che si dice. Questo è importante. E` importante per potere affermare che, per esempio, le cose sono così, se no questa proposizione che afferma che le cose stanno così non significherebbe assolutamente niente. Sulla nozione di significato occorrerebbe discutere moltissimo, lo sto facendo con gli amici, però adesso qui non possiamo.

Interpretare o tradurre anche, quando si interpreta si cerca generalmente, quando si interpreta per esempio un discorso, si cerca di sapere che cosa l'altro ha voluto dire. Ma cos'è ciò che veramente ha voluto dire? Se il più delle volte neanche chi lo ha detto ne è consapevole? Diciamo che in molti casi l'interpretazione è ciò che a me piace pensare, per qualunque motivo sia, e quindi stabilisco che l'altro ha voluto dire questo e mi comporto di conseguenza. Ci si trova di fronte all'impossibilità, che appare radicale, di potere definire dei termini, in particolare quelli astratti, e cioè quelli su cui sembra che non ci sia generalmente nessun equivoco, nel senso che tutti sono assolutamente d'accordo nel dire che occorre la democrazia, nonostante la famosa definizione di Sciascia. Anche Hjelmslev poneva questa questione, Hjelmslev il linguista che diceva che non c'è nessuno che neghi, nei propri programmi politici, che sia assolutamente da mantenere e consolidare la democrazia, o avete sentito da qualcuno inneggiare alla tirannide o all'oligarchia, o alla plutocrazia? No, sempre la democrazia, sembra che non ce ne siano altre e quindi siamo tutti d'accordo, tutti vogliono la democrazia, più uniformità di pensiero di così. Da dove sorge il problema? Diceva Hjelmslev negli anni 50, che ciò che intende Stalin con democrazia non è esattamente la stessa cosa che intende il presidente degli Stati Uniti, cioè quando Stalin parla di democrazia ha in mente un'altra cosa da quella che ha in mente il presidente degli Stati Uniti. Come mai? Come avviene un fenomeno del genere? Che sembra bizzarro, la parola è la stessa, sempre "democrazia". Certo, la questione può comprendersi facilmente rispetto a termini di così vasta portata, come giustizia, bene, utile, tutti questi grandi temi, il buono, il bello ecc. Tutti sono disposti ad ammettere che sia meglio il buono del cattivo, il bello del brutto, anche qui sembrerebbe che l'umanità sia assolutamente d'accordo. E invece come succede che non sia così? Come succede che rispetto ad uno stesso significante ci siano non solo opinioni, ma certezze così radicalmente opposte, contrastanti, al punto che sembra assolutamente incompatibile la nozione di democrazia del presidente degli Stati Uniti con quella di Stalin, ad esempio, o di Hitler, anche lui pensava alla democrazia. Sono significanti, e rispetto al significante democrazia ciascuno è ovvio che immagini di sapere esattamente cosa sia, sia Stalin, sia Hitler, sia Mao. Come fa a pensare di sapere esattamente di che cosa si tratti quando parla di democrazia? Da dove gli viene questa certezza?

Abbiamo parlato di democrazia, ma potremmo utilizzare qualunque altro significante e ci accorgeremmo che forse le cose non vanno in modo molto differente, soltanto c'è una differenza, che sono in gioco interessi di minore portata. Così come quando si parla del bene del popolo, ci sono interessi in gioco di proporzioni colossali, interessi politici, economici, e di infinito altro genere. Se invece io parlo di questo e dico che è un libro, ognuno ha una sua idea del libro che può non combaciare con quella che ho io per esempio, ma non importa niente a nessuno: ma sì, più o meno... E invece per altri concetti no, evidentemente, perché come dicevo sono in gioco ben altri interessi, e allora non è più possibile transigere. Come se dicessi: il libro è soltanto questo. Qualcuno potrebbe ribattere: no, anche quello là è un libro. E io: no solo questo. Perché? Perché sì! E se non ti va bene, vieni eliminato. Questo è un argomento in genere convincente. Perché non è un libro anche quell'altro? Perché no. Ora non e che la risposta sia soltanto "perché no", anche se in molti casi può ricondursi a questa, si tenta talvolta anche una giustificazione, che come ciascuno di voi può intuire facilmente, ma è molto ardua da farsi, come dire che questa giustificazione si fonda su altri concetti precedenti che hanno la stessa fondatezza. Dicevamo tempo fa che poche cose sono credute così fortemente come quelle che non hanno nessun fondamento. Dicevamo anche il perché? Penso di sì. Allora la divinazione consente di mettersi, per così dire, le spalle al coperto, nel senso che io parlo con cognizione di causa, dico le cose perché so come stanno le cose, perché ho delle cose la corretta interpretazione.

Ora ecco, la divinazione ha sempre offerta, a tutt'oggi perché è rimasta tale e quale, immutata nel corso dei secoli così come la religione, così come molte altre forme di aggregazione, ha sempre fornita dicevo questa chance, cioè di potere pensare che le cose hanno un fondamento da qualche parte, per qualche motivo, insondabile per noi, però come si suol dire: dio solo sa. Però almeno che ci sia uno che sappia, perché se non sa nessuno allora siamo nei guai. Se nessuno sa, nulla più è sufficientemente giustificato al punto da essere imposto per esempio, cosa che creerebbe qualche problema a ciascun governo, a ciascuno stato evidentemente.

Torniamo ancora alla questione dell'interpretazione che, come dicevamo all'inizio, ha un'accezione ormai diffusissima, non c'è cosa che non sia un'interpretazione e, dicevamo all'inizio, per interpretare qualcosa occorre che ci sia intanto un qualcosa da interpretare, e poi che ci sia un criterio per interpretare, poi ancora che ci sia qualcuno disposto a credere questa interpretazione, anche questo, sembra una stupidaggine però è importante, perché se non ci crede nessuno... occorre che qualcuno ci creda e che almeno un qualche cosa che ci sia, e che sia lì, che si offra come materia inerte all'interpretazione. Perché occorre anche che sia inerte, perché invece se si agita anche questa cosa allora mi sfugge tutto, allora non posso più interpretare niente. Come interpreto questa cosa che già non esiste più? Occorre che sia materia inerte, morta, se possibile definitivamente. Materia morta, sarebbe come dire l'oggetto, l'oggetto così come è inteso anche dalla fisica tutto sommato, che spera sempre di trovare l'oggetto inerte. Dopo Heisenberg questa idea è diventata meno certa, però... Perché è importante che sia ferma questa cosa, perché se si muove mi sfugge continuamente, allora l'oggetto che deve essere interpretato non c'è più, mi sfugge, e allora cosa interpreto io? Niente. La nozione stessa di interpretazione a questo punto si dissolverebbe nel nulla, quindi già ci occorre questo elemento, abbiamo necessità di questa cosa ferma, immobile e identica a sé. Abbiamo provato tempo fa, anzi siamo riusciti, così per gioco, a dimostrare sia l'assoluta necessità che ciascun elemento sia identico a sé quanto l'assoluta impossibilità che ciascun elemento sia identico a sé, ma siccome propriamente ciò che diciamo non ha nessun referente, da nessuna parte, questo non è che ci ha preoccupati un granché, è un gioco linguistico, direbbe il nostro amico Wittgenstein, che non significa nient'altro che se stesso, e cioè il fatto che il linguaggio può fare questo e quest'altro, può provare una cosa e il suo contrario. E così, quando parliamo di interpretazione, non possiamo non attenerci al gioco linguistico che vuole che ciò che diciamo dell'interpretazione sia almeno coerente con sé. Questa potremmo chiamarla una procedura linguistica, ma il fatto che sia coerente con sé (o almeno non autocontraddittorio, come voleva Kant) cosa ci dice? Soltanto che abbiamo utilizzato correttamente un insieme di procedure, e non che se non è autocontraddittorio allora esiste da qualche parte, o è possibile. Anche dire che è possibile non ci dice assolutamente niente, e allora possiamo dire dell'interpretazione qualunque cosa che ci aggradi, ma lo possiamo fare proprio perché non c'è nessun referente. Un po' come accade talvolta con i logici, i quali usano certi assiomi, certe procedure, e ciascuna volta che costruiscono, inventano una teoria, definiscono ciascun termine cioè dicono cosa intendono con questo, che cosa intendono con quest'altro, perché se no queste procedure non significherebbero niente.

Allora alla domanda "che cos'è l'interpretazione?" occorrerebbe rispondere: dipende da che cosa intendi per interpretazione. Ma in questo modo non c'è la possibilità di sapere che cos'è l'interpretazione in quanto tale anzi, in quanto tale non esiste proprio, né quella né nessuna altra cosa, ma è un'espressione, un modo di esprimere un qualche cosa che si è pensato. E dire, come diceva Aristotele, che le parole sono segni dell'affezione dell'anima, dice tutto e dice niente. Un aspetto interessante è che può accadere, talvolta, di credere invece che l'interpretazione dica esattamente come stanno le cose. Voi potete pensare che sia un'idea bizzarra, che si possa pensare una cosa del genere e come possa mai venire in mente, ma succede. Ora il fatto che succeda di per sé non interessa un granché, ci interessa come possa accadere, ci interessa a questo punto che, per esempio, possa costruirsi una religione, qualunque sia.

Potremmo dire, facendo il verso ai logici, se e soltanto se una cosa vuole dire un'altra necessariamente, come se ci fosse un rinvio necessario da questo a quello. Il sole ha fatto quella certa cosa, la luna si mostra in un certo modo, rovesciando l'acqua si è disegnata la costa orientale dell'Antartide. Ecco, allora tutti questi sono segni che il soffitto sta per crollare, perché no? Poi può anche non crollare, non è che io ci creda di meno se non crolla. Se non avviene è sicuramente perché ho interpretato male il segno, evidentemente non era così, ho sbagliato. Se invece l'avessi interpretato nel modo corretto non avrei potuto concludere che il tetto sarebbe crollato. Cioè a un determinato evento segue necessariamente un altro, oppure questa persona doveva parlare in un certo modo, mi ha parlato in un altro e quindi è segno che adesso pensa di me queste cose.

Dicevo che questo è il modello per costruire una religione, se ne avete voglia potete costruirvene anche una in casa, non è difficile. Stabilite che ad alcuni elementi debbano corrispondere necessariamente degli altri, cioè quando c'è questo allora ci sarà necessariamente quest'altro. Cosa vi occorre per fare questo? Intanto la voglia di farlo, poi soprattutto un pensiero che dice che occorre che esista assolutamente, e cioè che questa cosa che deve essere interpretata esista di per sé indipendentemente dalla parola che la dice o dal linguaggio in cui esiste. Questo vi è necessario perché se no non potete costruire nessuna religione, vi posso assicurare che proprio non ci riuscite, perché se questo elemento è inserito nel linguaggio allora evidentemente è soggetto a tutte le vicissitudini di tutto ciò che fa parte della parola, e cioè trasformazioni, alterazioni, anamorfosi continue, come in un caleidoscopio, quando lo si gira cambia sempre.

Ma dunque ci interessava questo aspetto, la possibilità di creare una religione, qual è la condizione essenziale? Pensare che necessariamente si dia qualcosa fuori dalla parola, questa è la condicio sine qua non, direbbero gli antichi, solo a questa condizione voi potete costruire una religione, se no non potete farlo. Però con questo elemento si, se questo elemento è fuori dalla parola e quindi identico a sé necessariamente. Però identico a sé non per una procedura linguistica, ma perché è così, semplicemente, e allora cosa vuol dire? Vuol dire che non è attaccabile da nulla e io posso dirne e pensarne quello che voglio, lui sarà sempre esattamente quello che è. E quindi data questa fermezza (almeno questo elemento è fermo) allora a quel punto posso costruire un sistema di segni e di rinvii, di riferimenti certi, sicuri, inalterati e incrollabili e la religione è fatta di questo, di rinvii necessari e incrollabili, e indistruttibili.

Ciascuna religione ha i suoi rinvii automatici, per cui se questo allora quest'altro. Se bestemmio dio vado all'inferno. Se lo lodo andrò in paradiso. Poi altre indicazioni, adesso non è che sia solo questo. Ecco, questo è il sistema per costruire una religione. Però non ci interessa tantissimo costruirne una, ce ne sono già tantissime, ce n'è una ben strutturata qui in Italia, si chiama religione cattolica, molto ben strutturata e anche molto organizzata, non abbiamo bisogno di altre. Abbiamo fatto un accenno venerdì scorso a una delle strutture, delle organizzazioni del cattolicesimo, i Gesuiti, che ne sono buoni rappresentanti. Dunque non ci interessa costruire una religione, però riflettere su due aspetti, uno intorno alla condizione di cui dicevo affinché sia possibile costruirla, l'altro quali ne siano gli effetti. Questo è interessante. Se io credo una religione, qualunque sia, allora posso credere qualunque cosa e il suo contrario, per lo stesso motivo e con la stessa fermezza, è sufficiente che quell'elemento che io ritengo fuori dalla parola sia spostato, tolgo dio e ci metto... cosa ci mettiamo? La legge di gravitazione universale, ci metto questa. E allora che succede? Succede esattamente la stessa cosa, e cioè c'è un elemento che è assolutamente immutato e immutevole su cui è possibile costruire tutto un sistema di altre credenze successive, ma è importante che ci sia un elemento su cui costruire il mondo. Dicevamo tempo fa che una delle condizioni fondamentali perché una persona soffra, stia male, è che sia religiosa, e cioè creda fortissimamente qualche cosa, solo a questa condizione può pensare di avere perduto qualcosa, di rischiare di perderlo, di essere tradita, di esserne minacciata e tutta quella serie di cose che gli umani hanno inventate in questi ultimi duemila anni.

Talvolta accade che delle persone dicano di stare male, per qualunque motivo adesso non ci riguarda, non ci riguarda neanche il fatto che stiano male tutto sommato, già, infatti non ci riguarda minimamente, e per questo possono darsi le condizioni per cui effettivamente possiamo fare qualcosa, nel senso che ciascuno può soffrire se lo vuole, non è proibito. Ma qui la questione è un po' complessa... Però in effetti tutto questo ha a che fare con l'interpretazione, anzi potremmo addirittura azzardare che l'interpretazione è forse un'altra delle condizioni essenziali perché sia dia quella che è comunemente intesa come sofferenza, di qualunque genere sia. L'interpretazione e cioè il fatto di avere stabilito che le cose stanno in quel modo, se stanno in quel modo mi fanno soffrire, perché se stessero in un altro modo non soffrirei più, ma il fatto che giunga a considerare che stanno in questo modo è perché io penso che sia così. E non si tratta certo di pensare che stiano in quell'altro modo, ma forse non stanno, né in questo né in quell'altro modo, sicuramente se penso che stiano così allora la cosa più interessante che possa fare è di interrogare questo mio pensiero, io penso che le cose stiano così, perché lo penso? C'è una differenza sottilissima, il più delle volte sfugge, ma è un abisso, un abisso assolutamente incolmabile.

Non si potrà mai sapere come stanno le cose, ma non per incapacità o per mancanza di pazienza, ma perché non stanno, semplicemente. Posso però pensare che stiano in un certo modo, e il più delle volte avviene così, allora per questa sorta di divinazione potremmo dire così: indovino come stanno le cose. Nel senso che divino, come facevano gli aruspici, adesso non si sbudella più l'agnellino per interrogarne le viscere perché ci sono gli animalisti, però una volta lo facevano e traevano da questo dei segni premonitori, fasti o nefasti che fossero. Avevano torto a fare così? E perché? Semplicemente dicevano che pensavano questo: io penso che se questo cade così e si rovescia di là allora... Non c'è niente di male a pensare una cosa del genere. Poi è la stessa struttura di quella che afferma che se uno nasce così allora deve essere eliminato. E` la stessa cosa, se io so come stanno le cose, posso anche essere tollerante nei confronti del prossimo, se sono buono, magnanimo e mi sono svegliato bene la mattina, posso anche essere tollerante, ma posso anche decidere di non esserlo più, e allora sono problemi, però vista la campagna della bontà, siamo tolleranti, e quindi tolleriamo anche addirittura coloro che sono nell'errore, cioè che non si rendono conto di come stanno le cose. Perché se io so come stanno le cose, allora so anche come non stanno, per una questione linguistica, e quindi so che se una persona pensa in modo differente da come penso io vive nell'errore. Ma sono tollerante, non l'ammazzo subito, ma rimane che lui è nell'errore e non c'è niente da fare. O devo pensare di essere nell'errore io? No, quando mai? Se io sono sicuro di questo, per quale motivo dovrei pensare il contrario, se le cose stanno così solo un pazzo potrebbe non accorgersene, un pazzo oppure qualcuno che è in malafede, se è pazzo va internato, se è in malafede eliminato. E così per altro avviene.

Stiamo dicendo questo per indicare, appena a margine, qualche effetto del pensiero religioso, così, qualche postilla. Chi è tollerante? E` chi rinvia provvisoriamente di eliminare colui che sbaglia. Perché comunque sbaglia, c'è poco da fare, su questo non possiamo transigere, perché o sbaglia lui o sbaglio io, oppure entrambi, c'è anche questa eventualità, ma in ogni caso comunque potremo stabilire, ad un certo punto, dove sta la ragione, e allora a quel punto la ragione sta generalmente dalla parte mia, perché "nacqui fra i fortunati" e al quel punto l'altro dovrà essere ricondotto alla ragione. Ci sono anche delle attenuanti, che sbagli ad interpretare i fatti, per esempio, e allora, come dicevo prima, c'è un errore di interpretazione, le cose non sono come pensi tu perché hai interpretato male. C'è questa attenuante, si concede mal volentieri ma si concede, però a quel punto è l'ultima occasione perché, una volta indicata la via giusta per interpretare i fatti, a quel punto non possiamo più transigere. In effetti se riflettete sulla struttura del discorso religioso, anche di quello che potete costruirvi a casa, funziona necessariamente così: se questo elemento è così, è quello che è, è autoevidente e nessuno può non riconoscerlo, se non lo fa c'è qualche problema.

Il mio amico Sandro, che sta facendo uno studio interessante sulla divinazione, non so se ha qualche elemento da aggiungere, molto più preciso di quelli che ho detto così, giusto per intrattenere gli amici, non so se ha qualche elemento da aggiungere o se preferisce fare una conferenza...

- Intervento:...la divinazione ha sempre viaggiato a fianco della religione, è una religione, la condizione della divinazione ritengo che sia da reperirsi in quella che è la credenza in un ordine....

Sì certo, questo è importante, anche Agostino ne parla, un ordine necessario delle cose, certo.

- Intervento:...ordine necessario delle cose, la natura viene intesa come l'ordine necessario delle cose, una cosa è naturale perché risponde a questa necessità...

Già, una delle battute più frequenti: se le cose stanno così, nell'universo, ci sarà pure un motivo. E perché mai?

- Intervento: La questione dell'ordine, dell'ordine cosmico, si può reperire anche per quanto riguarda l'interpretazione, il modo attuale di intendere l'interpretazione è tale perché si presuppone un ordine, per esempio del discorso, c'è un ordine intrinseco di un qualche cosa che sta a fondamento. L'interpretazione cerca il fondamento, cerca la sostanza, un qualche cosa che appunto non è altro che l'aspetto divino. La divinazione stessa proviene dal termine dio...

Certo per questo in ciascuna religione l'esistenza di dio non può negarsi...

- Intervento: Non può negarsi perché è il fondamento che sostiene qualunque religione...

Sì, è proprio una contraddizione in termini, una impossibilità linguistica affermare per esempio: io sono cattolico, credente e praticante, ma non credo nell'esistenza di dio. E allora cosa diciamo? Non è ammissibile.

- Intervento: La divinazione è sorta ed è seguita come una dogmatica dell'interpretazione. La divinazione insegnava a interpretare, parlo fin dagli antichi, dai babilonesi, che davano indicazioni di come occorreva interpretare determinati segni...Ciò che mi sta interessando è il collegamento tra la divinazione come arte dell'interpretazione, perché non si tratta che di questo, dell'arte dell'interpretare, e non solo nel campo dell'ermeneutica, ma per esempio per quello che è valso nella teoria psicanalitica...

E sì, io non ho neanche sfiorata la questione. che pure è notevole.

- Intervento: La teoria si avvale di una concezione dell'interpretazione che è assolutamente vicina alla divinazione, immaginando che questo ordine delle cose non sia più relegato nel campo del divino, ma sia relegato nel campo dell'inconscio.

- Intervento: sull'ordine manifesto oppure nascosto.

Si, interessante, la signora diceva dell'ordine manifesto oppure nascosto, la questione è curiosa in effetti, perché anche nel campo delle scienze c'è un ordine manifesto ma non è per questo meno misterioso, perché a questo punto dice sì, che le cose sono disposte così, come dire che anche nel campo della psicanalisi la supposizione è che ci sia un ordine manifesto, che è quello che già i logici avevano definito come il corretto modo di ragionare. Stabilito questo è chiaro che un altro ordine che possa subentrare e che non è più questo, e che si manifesta soltanto attraverso dei segni qua e là...però occorre che ci sia un aspetto manifesto che funzioni da parametro. Qualche questione può sorgere laddove si suppone che sia proprio così anziché come, torniamo sempre a dire con Wittgenstein, un gioco linguistico. Cioè per esempio giochiamo questo gioco della normalità, perché no? Allora tutti quelli che fanno in questo modo a destra, tutti quelli che fanno in quest'altro a sinistra. Non è molto interessante. Provate a costruirvi una religione, una religioncina, proprio come esercizio da fare alla sera, c'è l'eventualità di accorgersi, costruendone una, di possederne già un certo numero. Anche il diritto è interessante rispetto a questa questione. Il fatto viene costruito nel dibattimento, non esiste prima, ciò che è accaduto è ciò che il giudice deciderà che sia accaduto. Il fatto viene letteralmente costruito, e qui si apre tutto un discorso... adesso sono le dieci e mezza come si fa... il titolo della volta prossima sarà "L'inquisizione è sempre santa". L'Inquisizione è sempre santa perché opera per il bene, vostro naturalmente, perché vi ravvediate, perché siete nell'errore. C'era quel film famoso di cui mi parlava l'altro giorno Daniela, Il nome della Rosa, tratto del romanzo di Umberto Eco, dove c'era una frase intorno alla paura: è necessario che gli uomini abbiano paura. Senza la paura come si governa? Si tratta di riflettere con una certa attenzione sulle condizioni perché possa darsi la paura, l'abbiamo già fatto in qualche circostanza, magari un po' brevemente. C'è l'eventualità che l'interpretazione vi giochi un certo ruolo. Potrei congedarvi con questa domanda: se non c'è interpretazione può esserci paura? E` una questione su cui può meritare riflettere.