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Torino, 29 settembre 2009

 

 

FORMAZIONE DELLO PSICANALISTA E METODO PSICANALITICO

 

Libreria Legolibri

 

 

Eleonora Degasperi

 

LA PSICANALISI COME SCIENZA

 

 

La psicanalisi da sempre viene considerata come una disciplina non scientifica, al massimo le si è concesso il termine di pseudo-scienza, per il fatto che non è in grado di fornire spiegazioni che siano necessarie e valide, di ciò che accade nella sfera psichica dell’uomo, ovvero non può addurre nessun tipo di prova evidente e inconfutabile della sua validità teorica.

Perché? Perché non sarebbe in grado di sostenere quella riproducibilità e quella verificabilità che si attendono da ciò che definiamo scientifico.

Si può chiamare scienza ciò che poggia su due aspetti fondamentali: quello dell’osservazione, che consente di trarre considerazioni da ciò che si sta esaminando, e quello della sperimentazione, ovvero la possibilità di riprodurre in ogni momento e in ogni luogo ciò che si sta verificando e nelle condizioni di migliore osservabilità possibile. Ogni teoria scientifica si costruisce sulla base di osservazione, calcolo numerico e dimostrazione. Per potere provare che qualcosa è vero e che è quello che è, e quindi necessario, ognuna di queste condizioni deve mostrarsi vera e necessaria a sua volta, ovvero, non deve essere contraddetta da altro. La Scienza della Parola ha iniziato ad interrogarsi sul metodo della scienza. Per potere concludere che un metodo è valido bisogna prima interrogarsi su cosa sia un metodo e a quali condizioni questo risulti necessario. Nel dizionario il metodo viene definito come modo di procedere, sistematico e funzionale, in un’attività teorica o pratica, tendente a garantire il raggiungimento del fine prefissato. Ci si può soffermare sull’ultima parte della definizione: il fine è già stabilito in partenza; serve solo capire in quale modo ci si può arrivare, e che questo modo sia anche il più funzionale e sistematico possibile. Come già detto, l’osservazione, il calcolo numerico e la dimostrazione sono i tre pilastri su cui si basa la scienza e quindi anche i tre criteri fondamentali su ci regge il metodo scientifico. L’osservazione sembra la più attendibile proprio per il fatto che mette a diretto contatto la persona e l’oggetto da analizzare. E anche perché nelle discipline in cui il calcolo numerico non si può utilizzare, come ad esempio nelle scienze sociali, nella psicologia e nella stessa psicanalisi, l’osservazione dei fenomeni diventa fondamentale. Il calcolo numerico viene invece poi preso come un procedimento infallibile, cosicché si parla anche di verità matematiche come verità, per definizione, incrollabili e metro di verifica della fisica, della meccanica, dell’ingegneria e simili. La dimostrazione serve per argomentare il processo di ragionamento e di connessione di ciò che è stato analizzato attraverso l’osservazione e il calcolo numerico. Il tipo di ragionamento che si usa nei procedimenti scientifici è il ragionamento induttivo. Il ragionamento induttivo si differenzia da quello deduttivo perché, se in quello deduttivo, se le premesse sono vere, allora anche la conclusione è vera, in quello induttivo se le premesse sono vere la conclusione può risultare falsa. Nelle inferenze induttive ci muoviamo da oggetti che abbiamo esaminato a conclusioni su oggetti che non abbiamo esaminato, nel senso che si passa da un universale ad un particolare senza assicurarci della validità di questo passaggio. Esempio: tutte le mattine accendo il computer, il computer non è mai esploso fino ad adesso. Questa mattina accenderò il computer e non salterò in aria. Allo stesso modo ragionano le scienze. Per esempio la teoria secondo cui ogni corpo nell’universo esercita un’attrazione gravitazionale su ogni altro corpo, di Newton: è una teoria che ha convalidato la sua ipotesi, verificandola sui pianeti e il Sole, per poi applicarla su tutti i restanti corpi dell’universo, ed è stata valida fino a quando non si è scoperta un pianeta, Uranio, il cui movimento non corrispondeva a quello descritto dalla legge.

Presi in considerazione questi termini con e loro relative descrizioni, si passa a considerarli all’interno di un metodo e nel loro aspetto di necessità. Dobbiamo vedere fino a che punto la scienza si può ritenere necessaria e fino a che punto le sue dimostrazioni siano sostenibili ad ogni tipo di confutazione. Quindi, si deve portare fino alle estreme conseguenze la veridicità del metodo, si deve interrogare qualunque cosa, qualunque conclusione che si generi da un ragionamento. Si deve trovare il fondamento della disciplina scientifica. Si era detto prima che osservazione, calcolo numerico e dimostrazione sono i tre momenti del discorso scientifico. Adesso vediamo fino a che punto siano attendibili.

Il problema è quello del criterio; ogni metodo segue un criterio ma questo, per potere fondare qualcosa di necessario deve essere necessario a sua volta. Prendiamo l’osservazione. Nessuno metterebbe mai in dubbio l’osservazione, ciò su cui si basa il 90% delle ricerche scientifiche e non. Ma se si deve stabilire se questa è necessaria o no, al fine della costruzione di un metodo valido, si deve andare oltre all’osservazione stessa. Ovvero si deve verificare se l’osservazione può dare garanzie di validità assoluta. Ma con cosa può darle queste garanzie se non per mezzo di se stessa? L’osservazione non può esibire, oltre se stessa, nessun altro criterio di verità e questo inficia ogni dimostrazione. Il provare la necessità di qualcosa per mezzo della cosa stessa che dev’essere ancora provata come necessaria, non è una dimostrazione, ma una petizione di principio, ovvero, per verificare l’osservazione devo aver già dato come vero ciò stesso che deve ancora esserlo. In effetti, esistono tantissime teorie che si basano sull’osservazione ma queste possono sì essere complementari l’una all’altra, ma spesso possono anche contraddirsi. Nella stessa psicologia l’osservazione è un criterio preponderante, però tutti osservano cose diverse; ogni scuola di pensiero osserva cose differenti e da questo ne conseguono varie costruzioni teoriche che comportano anche l’arbitrarietà nel trattare lo stesso identico problema. Per quanto riguarda il calcolo numerico, Kurt Gödel dimostrò un teorema fondamentale secondo cui esistevano enunciati matematici di cui nessuna procedura sistematica poteva determinare la verità o la falsità. Questo teorema non lasciava vie d'uscita, perché forniva una dimostrazione irrefutabile che determinate cose, in matematica, sono realmente impossibili, persino in linea di principio. Affermò quindi, il fatto che esistono proposizioni indecidibili in matematica. in oltre, le proposizioni matematiche sono caratterizzate dalla stessa autoreferenzialità dell’osservazione, ovvero, per potere essere dimostrate non possono usare altro criterio se non loro stesse, quindi prima di dimostrarsi vera, una proposizione viene già assunta come vera. L’aritmetica quindi viene considerata infondabile. La dimostrazione, infine, venne definita da Aristotele come quella forma speciale di sillogismo che deduce una conclusione da principi primi, evidenti e indimostrabili. Questo sillogismo produce una conoscenza scientifica in quanto dimostra l’esistenza delle cose attraverso la conoscenza delle loro cause. Si può dire che la stessa dimostrazione non è altro che l’esposizione di alcune regole, cioè che essa ci prova soltanto che ci siamo attenuti con scrupolo alle regole che abbiamo stabilite per quella dimostrazione, non abbiamo fatto nient’altro. Wittgenstein, disse appunto che una volta compiuta una dimostrazione di fatto, questa dimostrazione mostra soltanto che abbiamo eseguito correttamente le regole per dimostrare e che questo in fin dei conti non prova assolutamente niente. Dal momento che il sillogismo non è altro una serie del nostro pensare, il suo stesso utilizzo all’interno di un ragionamento, comporta semplicemente l’utilizzo di regole prestabilite. Il problema è l’uso di queste regole, il come vengono utilizzate all’interno di un metodo. Il sillogismo è formato da una premessa, da dei passaggi e da una conclusione. La conclusione segue dalla concordanza dei passaggi intermedi i quali non devono contraddire la premessa. Questa premessa, perché lo svolgimento del sillogismo sia corretto, deve essere vera necessariamente. Ci siamo resi conto che la scienza non parte da delle premesse vere e necessarie, ma da premesse indimostrabili e discutibili. L’osservazione e il calcolo numerico, come abbiamo visto, sono criteri totalmente infondati e infondabili, in quanto autoreferenziali, e sono anche i criteri dai quali scaturisce quella premessa dalla quale parte tutta la costruzione scientifica. La scienza prende come sua premessa maggiore la necessità e la necessaria esistenza della realtà, della natura così com’è, e ritiene indubitabile il riscontro di una realtà che non può non essere concepita come necessaria e vera. Ma se il sistema parte da una premessa costruita attraverso criteri arbitrari, cosicché la stessa premessa risulti contestabile, la conclusione che ne seguirà sarà arbitraria. Quello che ci siamo proposti di fare è creare un metodo che invece partisse da un qualcosa di necessario, non da una superstizione o da una credenza. Il punto di partenza del metodo psicanalitico ha come criterio quello di portare all’estrema conseguenza il discorso scientifico interrogando le sue stesse premesse. Interrogare le premesse di un discorso significa ricondurle al loro valore di verità e alla loro necessità, quindi chiedersi qual è la condizione della loro costruzione, o più semplicemente, qual è la condizione per cui qualcosa esista necessariamente. Definiamo prima il termine necessario. Necessario è ciò che è e non può non essere perché se non fosse non sarebbe né quella cosa né nessun altra.

Nel metodo psicanalitico è molto importante considerare come si svolge il racconto della persone, quindi, iniziamo a considerare come si svolge un percorso d’analisi. Inizialmente la persona racconta quello che è la sua vita, le sue idee, come stano realmente le cose. Come se tutto ciò che è stato fino a quel momento non fosse altro che l’attuarsi di qualcosa che era già prestabilito, come qualcosa che doveva avvenire necessariamente. La realtà è questa e non può essere diversamente. Racconta cose che crede vere, e per parecchio tempo continua ad affermare una quantità sterminata di cose. Alcune continuano a ripetersi e ad un certo punto inizia a rendersi conto che spesso, in ogni discorso, intervengono sempre le stesse questioni, che c’è un ripetersi in più discorsi della stessa conclusione. Dopodiché l’analista fa in modo di portare la persona ad intendere perché si ripropongono sempre le stesse cose e che probabilmente questo fatto non è del tutto casuale. I pensieri che fa, quindi, iniziano a venir considerati sotto l’aspetto della responsabilità, ovvero il fatto che queste sue idee siano costruzioni fatte “ad arte” per riprovare sempre le stesse sensazioni ed emozioni. Il discorso di chiunque è infatti configurato sulla base di ciò che da sempre è servito da modello per la valutazione della propria esperienza. C’è da dire che ciò che viene a costituirsi come modello è qualcosa che si è manifestato originariamente, nel momento dell’infanzia: il bambino inizia ad apprendere ciò che sarà il fondamento di tutto ciò che verrà costruito in futuro e ciò che raccoglie nella memoria è qualcosa che ha destato in lui delle fortissime emozioni, tali da rimanere sempre sullo sfondo delle sue azioni. Queste emozioni, essendo le prime, saranno quelle che utilizzerà nel momento in cui si troverà a giudicare le sue esperienze. Si può dire che queste prime sue elaborazioni, saranno quelle che determineranno lo svolgimento di tutta la sua storia, saranno i primi principi che utilizzerà per calcolare ogni pro e contro, per valutare ogni bene o male; come nella scienza ci sono quei primi principi, indiscutibili e necessari, che servono per la costruzione e la spiegazione di ogni teoria e di ogni fenomeno e che non potranno mai essere messe in discussione, in quanto sono il fondamento di ogni cosa, anche nella realtà della persona esistono delle certezze che non potranno mai essere poste sotto esame in quanto la loro validità e necessità è già data per scontata. Tutto ciò che farà la persona sarà quella di convalidare ininterrottamente questa sua certezza: addurrà centinaia di prove per potere convalidare le sue tesi. Se una persona è convinta di essere una fallita allora, statene certi, riuscirà a esserlo e raccoglierà a favore di questa sua convinzione ogni tipo di prova per poterla confermare.

La responsabilità dei propri pensieri comporta il fatto che, se questi vengono costruiti dalla persona, devono avere anche un tornaconto e questo tornaconto non è altro che quello di riprodurre sempre le stesse emozioni. La persona infatti pone le condizioni perché il finale risulti sempre lo stesso. Freud stesso parlava di un tornaconto psichico, ovvero del vantaggio che una persona può trarre dalla ripetizione di certi pensieri. Il tornaconto non è altro che la possibilità di avere argomentazioni e discorsi a disposizione da raccontare. In effetti, la persona vive di questi racconti. Non aspetta altro che di raccontare quello che gli accade. Ma quello che si propone l’analisi è proprio il fare rendere conto l’analizzante che ciò che racconta non è altro che una sua costruzione, ovvero un modo per affermare sempre di più le sue verità. Riproponendo sempre le stesse conclusioni non fa altro che confermare ininterrottamente la verità di ciò che pensa. Un po’ come la scienza: ripropone spesso le stesse conclusioni di modo che possa rafforzare sempre di più la premessa da cui è partita. Accogliendo questa responsabilità l’analizzante si rende conto di come in realtà, ciò da cui parte per considerare ciò che segue, non è assolutamente vero, ma è arbitrario, ovvero deciso da lui stesso perché utile alla riconferma ininterrotta della sua verità. Questa verità viene raggiunta in ogni caso. Anche se un certo avvenimento dovesse mai confutarne la sua validità la persona sarà pronta a trovare un sacco di motivazioni per poterla riportare alla sua necessità. Come la scienza: appena vede che qualcosa non è applicabile a una certa teoria non l’abbandona subito, non dice che questa è falsa, ma cerca di addurre altre spiegazioni del fenomeno per poterla convalidare nuovamente, rimanendole fedele, cercando di spiegare le osservazioni in conflitto e postulando nuovi elementi da usare per la sua riconferma. Ovviamente se dovesse risultare sempre falsa la si abbandona, ma solo dopo essere certi della sua infondatezza.

Sapere questo, essere coscienti dei propri pensieri, a cosa serve? Serve a considerare il funzionamento del proprio pensiero, come funziona, cosa lo pilota nel suo svolgimento, perché si pensa in questo modo e non in un altro. La persona capisce che tutto ciò che costruisce non è totalmente necessario e necessitato dal caso. Viene a conoscenza della possibilità di cambiare il proprio percorso di vita, perché quello che sta percorrendo non è l’unico.

Ma la validità di un percorso psicanalitico in cosa consiste? Per potere capire la costruzione di un pensiero l’analista deve conoscere la struttura che lo ha creato, quella struttura che consente di elaborare qualunque cosa, cioè il fondamento di qualunque cosa: il linguaggio. Perché proprio il linguaggio? Perché senza di questo tutto ciò che si conosce e che si pensa non esisterebbe in quanto è esso stesso che fornisce il significato e realtà alle cose. Conoscendo come funziona questa struttura si arriva anche a intendere come funzionano i propri pensieri e ad estendere la sua necessarietà anche nelle sfera scientifica e teorica.

Ciò che, quindi, è importante considerare è il modo in cui si struttura un pensiero. Si struttura allo stesso modo di una teoria: si parte da una premessa maggiore, ci sono dei passaggi che devono essere coerenti tra di loro e che non devono contraddire la premessa e una conclusione, che deve risultare vera. Il problema, come anche nelle teorie, non è tanto quello di verificare la conclusione, perché questa è solo una conseguenza, ma è quello di andare a ricercare la validità e la necessità della premessa maggiore. La costruzione dei passaggi successivi dipende del tutto dal come viene considerata la premessa. Se la verità di questa viene accolta come necessaria, tutto ciò che ne seguirà verrà riconosciuto come necessario.

Quando dico che il linguaggio è il fondamento della realtà delle cose intendo che la realtà, la natura e le cose esistono nel momento in cui noi le attribuiamo un significato, ma questo significato non può essere fornito se non dal linguaggio stesso, da questa struttura che consente, attraverso delle regole, la costruzione di ogni tipo di concetto. È solo grazie a esso che l’esistenza delle cose prende forma, nel senso che come struttura fondante del nostro discorso è ciò che articola ogni nostra conoscenza. Il linguaggio ha come fondamento tre principi: quello d’identità, di non contraddizione e il terzo escluso. Con il principio d’identità noi riconosciamo che un elemento è se stesso, con quello di non contraddizione, che è diverso da altro e con il terzo escluso che non essendo diverso da se stesso non può non essere che se stesso. Tutto viene conosciuto grazie a questi tre principi che per primo, già Aristotele aveva formulato. Questi tre principi poi si sviluppano attraverso sillogismi che consentono la costruzione del proprio discorso il quale si sviluppa sulla base della struttura del linguaggio. Il punto di partenza di un sillogismo, come già detto è la premessa maggiore. Essendo ciò che determinerà la necessità di tutto il resto, deve essere necessaria. Ma come si verifica la necessità della premessa da cui parte una teoria o un discorso? Valutando ciò che l’ha prodotta. Il metodo psicanalitico, infatti, porta fino alle estreme conseguenze l’interrogazione sulle cose, interrogandone i fondamenti e le condizioni per cui è possibile affermare una certa cosa. Abbiamo visto quindi, come tutto ciò che costituisce il nostro discorso è un’elaborazione di quelle istruzioni e di quelle regole che sono proprie del linguaggio, e come di necessario esistano solo queste regole che consentono la produzione di ogni tipo di pensiero, credenza o fantasia. Valutando che ciò che ci consente di pensare, ovvero il linguaggio, è l’unica cosa che è necessaria, perché le sue regole consentono la possibilità stessa del pensare, si può gestire il proprio discorso come qualcosa di arbitrario e non più necessario. Arbitrario nel senso che si è scelto di reputare vero un certo passaggio piuttosto che un altro, o detto più semplicemente, si è scelto di proseguire in una certa direzione anziché in un’altra. La scientificità del metodo analitico sta quindi proprio nel considerare cosa sia necessario e tenere in considerazione solo ciò è e che non può non essere: il linguaggio. Conoscendo la struttura che sorregge tutta la nostra storia di vita diventa facile potere comprendere anche come si forma il discorso in generale. Essendo una serie di istruzioni, il linguaggio fornisce allo stesso pensiero un metodo per il suo svolgimento. La cosa interessante è notare come a questo punto, la verità non possa essere più ricondotta alla realtà delle cose, o a qualcosa di misterioso e inconoscibile o a qualche entità sovrasensibile. La verità viene intesa come la direzione che prende il nostro discorso quando si trova di fronte a due o più alternative. Ciò che ritiene vero serve necessariamente a tutto ciò che ne seguirà, mentre ciò che ritiene falso lo scarta. La necessità del linguaggio e l’arbitrarietà del discorso sono due momenti della psicanalisi: constatato che tutto ciò che viene elaborato da una persona o da una teoria è arbitrario in quanto parte da una premessa che non può essere ritenuta necessaria, si passa a considerare la struttura che produce tutto ciò che si conosce, una struttura che dota il metodo psicanalitico di una premessa maggiore assolutamente necessaria, verificata e accolta come tale, al contrario della scienza la cui struttura è quella dell’entimema: una figura retorica che consiste in un sillogismo dove la premessa maggiore non c’è, è sottaciuta, è data per buona, per acquisita, non c’è una sua verifica e la sua necessità non viene mai messa in discussione. Il metodo psicanalitico può essere ritenuto scientifico perché dota chi ha concluso un percorso di analisi e chi conosce la struttura del linguaggio e il suo funzionamento sufficientemente bene, della capacità di accorgersi in ogni momento di cosa sta pensando, di capirne le cause e di agire i suoi pensieri invece che subirli, e di ricondurre tutto al linguaggio, quindi alla sua condizione di verità. La riproducibilità di questo metodo consiste nel riuscire a realizzare in ogni momento e in ogni luogo la capacità di accorgersi dei giochi linguistici che si stanno compiendo senza subire ciò che si sta pensando, ma diventando in questo modo il soggetto agente del proprio discorso, al fine di comprendere il perché della costruzione di una qualche credenza o paura o angoscia, in modo da non esserne più travolti e spaventati. Mentre la verifica di questo metodo avviene ogni volta che, riconducendo ogni pensiero alla sua struttura e riconoscendone l’arbitrarietà, io possa immediatamente accorgermi che questi sono costruiti dal linguaggio e che sono totalmente arbitrari a differenza di ciò che li fonda, che è totalmente necessario.

 

Luciano Faioni

 

Ci sono moltissime cose e dette in un modo molto preciso, rigoroso, a questo punto direi che possiamo passare direttamente al dibattito, se c’è qualcuno che ha già qualche questione da porre, qualche domanda da fare, qualche dubbio, qualche perplessità, qualcuno vuole intervenire? Non era semplicissimo l’intervento, però occorre anche un certo rigore, una certa precisione …

 

Intervento: scusi, mi sembra di aver capito … si è parlato molto di linguaggio e tutte le volte che si tentato appunto di dimostrare, di descrivere la scientificità della psicanalisi vedevo sempre che il discorso cadeva sul linguaggio, possiamo sempre essere sicuri di questa costante corrispondenza tra linguaggio e la scientificità?

 

Intervento di Eleonora Degasperi

 

Diciamo che qui si è parlato di linguaggio come quella struttura che consente proprio la costruzione di concetti quindi anche la stessa scientificità deve reggersi su qualcosa e intendendo il linguaggio come la struttura su cui si fonda ogni concetto, ogni criterio, ogni idea, è possibile accostarli in ogni momento, la stessa scienza è grazie al linguaggio che procede ininterrottamente nelle sue ricerche e il linguaggio è formato da premessa, passaggi e conclusioni, la scienza procede d’altronde in questo modo ma questo metodo non l’ha inventato lei è stato fornito da una struttura che supporta lo stesso concetto di scienza, e quindi sì, il linguaggio si accosta, ma qualsiasi concetto, perché se è quello che consente la costruzione di ogni pensiero necessariamente costituisce anche, anzi interamente la scienza …

 

Intervento: però la mia domanda era nel senso, io ho capito tutto, il discorso per me è questo mentre appunto dei ragionamenti scientifici … è proprio il ragionamento scientifico appunto descritto dal linguaggio che porta successivamente a una conclusione, quando noi abbiamo per esempio a che fare con un paziente non possiamo essere sicuri, succede tantissime volte che il suo linguaggio descrive ragionamenti che per noi non sono affatto logici, che portano delle conclusioni che per lui sono scontate ma per noi assolutamente no, lì in quel modo come ci comportiamo? Allora per arrivare a una conclusione che sia scientifica ci vogliono dei passaggi logici uno dopo l’altro descritti dal linguaggio, io ho capito benissimo il discorso cioè se si descrive tramite il linguaggio questa descrizione ha in sé qualcosa comunque di scientifico in se stessa, se arriva a una conclusione, ma al momento in cui noi assistiamo a una successione di passaggi logici che per una persona possono essere logici ma per noi assolutamente no, ora questa è l’attività del linguaggio la descrizione come ci comportiamo?

 

Intervento di Luciano Faioni

 

Ci comportiamo bene, nel senso che questa persona muove, come diceva prima in modo molto preciso Eleonora, da delle premesse, e attraverso dei passaggi che lui ritiene corretti giunge a una conclusione, anche una persona, per esempio, che crede in un dio qualunque compie un’operazione del genere, muove da delle premesse che per lui sono vere, attraverso una serie di passaggi giunge a una conclusione che afferma: quindi dio esiste. Questi passaggi e questa conclusione logicamente non è che significhino un granché, però per la persona funzionano, quello che diceva Eleonora è che in ogni caso qualunque cosa si voglia affermare, pensare oppure negare o confutare, tutte queste operazioni non possono avvenire in assenza di linguaggio e se le produce il linguaggio allora questo comporta almeno due cose: la prima è che in ogni caso avranno la struttura del linguaggio visto che è lui che le ha costruite, la seconda è che se si conosce esattamente il funzionamento del linguaggio allora non è più possibile accogliere qualunque premessa come buona in base a quello che mi sembra, a quello che mi è stato raccontato o quello che mi è parso in quel momento più opportuno o più comodo, più confacente, ma queste premesse possono e devono essere interrogate per sapere se sono necessarie oppure no, se sono necessarie allora non c’è scampo, se non lo sono e non lo sono nessuna tranne una che è appunto il linguaggio, come diceva Eleonora, allora sono arbitrarie e questo ha degli effetti perché se sono arbitrarie allora non sono tenuto a credere una cosa del genere, posso farlo certo ma se lo faccio è per una questione estetica, cioè mi piace pensare così, va benissimo naturalmente, però me ne assumo la totale responsabilità, non perché sia una cosa necessariamente vera ma perché mi piace pensare così, che è molto diverso. Un fondamentalista islamico non suppone, non pensa che il suo dio sia una costruzione linguistica, se lo pensasse sicuramente agirebbe in un modo differente, invece pensando che sia la verità assoluta si comporta di conseguenza, perché c’è un altro corollario che merita di essere menzionato e cioè che una persona che crede vere certe cose, qualunque esse siano, si muoverà di conseguenza a queste cose che ritiene essere vere e quindi ciò che fa o che non fa, che decide o non decide per sé o per altri dipende unicamente dalle cose in cui crede, da quelle cose che comunemente sono chiamate i valori, valori che spesso vengono citati come qualcosa di necessario e che addirittura in mancanza di valori si paventano tragedie etc. senza tenere conto che invece le tragedie avvengono a causa dei valori, sempre e necessariamente, come le guerre per citarne una, che sono sempre grosso modo guerre di religione e cioè una verità contrapposta a un’altra, un valore contrapposto a un altro e se qualcuno pensa incrollabilmente, come accade nelle religioni per esempio, che il suo dio sia quello vero o quello che lui pensa sia vero, se qualcuno non pensa come lui necessariamente è in errore a causa del terzo escluso, e quindi deve essere persuaso, oppure eliminato, come suggerisce Sandro, è un sistema dei più praticati tra l’altro. Ecco quindi perché Eleonora si è soffermata sulla questione del linguaggio, tutto ciò che gli umani pensano è costruito da questa struttura, è ovvio che Eleonora non si riferiva affatto al linguaggio come la verbalizzazione o uno strumento per descrivere qualche cosa, il linguaggio non descrive qualche cosa che è fuori di lui, il linguaggio costruisce letteralmente. Provate a immaginare una situazione come questa anche se è una richiesta paradossale, perché non potete pensare l’assenza di linguaggio in assenza di linguaggio, ma in assenza di linguaggio nulla potrebbe essere pensato, quindi non ci sarebbero verità, valori da difendere, da proteggere, neanche convinzioni, neanche opinioni, né ipotesi, niente assolutamente niente, a questo punto ecco che si compie il passaggio ulteriore che Eleonora ha appena accennato ma che faccio io, con sfrontatezza a questo punto: la domanda se esisterebbero comunque le emozioni, una domanda che spesso interviene non ha nessun senso perché se anche fossero comunque non lo saprebbe mai, come farebbe a saperlo? E la realtà esterna, il mondo che ci circonda esisterebbe? Anche questa è una domanda che non ha nessun senso perché non ha nessuna risposta, perché potere decidere scientificamente, per riprendere le questioni di prima, rispondere scientificamente in modo preciso a questa domanda occorrerebbe verificare in assenza di linguaggio se le cose esistono oppure no, e con che cosa lo verifico? Solo con un atto di fede, in realtà affermare che comunque le cose esisterebbero è un atto di fede, ma aldilà di queste amenità rimane il fatto che la psicanalisi ha trovato la questione del linguaggio, si è imbattuta potremmo dire nel linguaggio, ma già con Freud, anche se Freud non ha posta la questione in termini così radicali però se pensate agli scritti come il Motto di spirito, gli scritti sugli atti mancati, la stessa Interpretazione dei sogni sono testi sul linguaggio, e di considerazioni sul modo in cui le parole si connettono fra di loro, si accostano, si rinviano le une alle altre, questione che poi Lacan riprese in termini più radicali, Lacan e altri dopo di lui. La parola, tutto avviene con la parola, questione nota fin da sempre già dagli antichi retori, da Demostene per esempio, il quale ha sottolineato ampiamente la potenza infinita della parola, è ovvio che Freud come dicevo prima si è accorto che il suo metodo che mano a mano stava inventando si basava unicamente sulle parole e non su farmaci o psicofarmaci o su altro, ma parole, la persona stava “male”, male fra virgolette, a partire da cose che pensava, come dire che i pensieri di una persona producono del malessere fino a produrre, come accade, che alcuni oncologi fra cui un tale George Matè che ha una clinica nei pressi di Parigi a supporre, anzi a verificare una straordinaria incidenza del tumore al seno con situazioni di abbandono, al punto da indurlo ad assumere degli psicanalisti nella sua clinica oncologica, questo per dire che le cose probabilmente anzi sicuramente vanno molto al di là di quanto Freud aveva immaginato. Già Aristotele, come alcuni di voi sanno, aveva considerato molto semplicemente e molto acutamente che una persona triste e depressa e avvilita si ammala molto più facilmente di chi invece è tranquillo, allegro e sereno, perché avvenga una cosa del genere naturalmente nessuno è in grado di dirlo, nessuno che rientri nell’ambito medico, a meno che ci si rivolga effettivamente a ciò che è la condizione, come dicevamo prima, di qualunque pensiero e cioè a questa struttura che si chiama linguaggio. Se si intende come funziona esattamente il linguaggio allora anche queste domande trovano una risposta corretta, se ci si ammala, se ci si può ammalare a partire da delle parole allora sapere come funzionano queste parole può essere di qualche utilità, qualche utilità nel senso che può mostrare che agire il linguaggio anziché subirlo pone in una condizione tale per cui è impossibile a quel punto che avvengano dei fenomeni come l’avere paura, essere angosciati, essere spaventati, essere timorosi e tutta una serie di altri malanni possibili e immaginabili, perché si sa con assoluta certezza e precisione come sono stati costruiti, da chi e soprattutto perché. L’obiettivo di una psicanalisi è porre la persona in condizioni di sapere continuamente e non potere non sapere perché pensa le cose che pensa, qualunque cosa sia, che siano i valori più sacrosanti o qualunque sciocchezza non ha importanza, ciò che conta è che sappia e non possa non sapere perché pensa quello che pensa, sempre continuamente, ventiquattro ore su ventiquattro, a questa condizione è impossibile per la persona, come dicevo prima avere paura, provare timore, angoscia e affanni di ogni sorta foggia e forma. È più chiaro adesso? Qualcun altro che vuole aggiungere qualche cosa, qualche domanda a me o a Eleonora?

 

Intervento: conoscere se stesso in modo da essere agente …

 

Più che conoscere se stesso, conoscere se stesso in quanto discorso, accorgersi che ciascuno non è altro che il discorso che fa …

 

Intervento: non esistono più le paure?

 

No, non è possibile se so che una certa cosa è stata costruita dai miei pensieri …

 

Intervento: non è possibile, conosco persone che dopo anni di analisi continuano ad avere paura

 

Ne ha conosciuta una almeno, e forse anche di più (…

 

Intervento: un essere perfetto, quasi immortale …

 

Si crea una struttura tale nel discorso che non è più possibile credere a Babbo Natale, mettiamola così, e cioè a cose, questioni o a discorsi che non stanno né in cielo né in terra perché sono costruite su niente, costruite di fatto su altre sequenze di argomentazioni, poi di fatto non è nient’altro che questo, sequenze di argomentazioni, ma se io credo vera una certa sequenza allora mi comporto di conseguenza e il fatto di credere vera quella comporta una serie di altri passaggi, di conclusioni, di deduzioni e alla fine mi trovo a credere una quantità sterminata di cose e a muovermi di conseguenza, anche ad avere paura di tutto e di tutti, per esempio, cosa che non è necessaria di per sé. Questo percorso conduce a non avere più la possibilità di avere paura, non è possibile che il discorso accolga una sequenza che non sta in piedi in nessun modo, non lo può fare …

 

Intervento: una sequenza la vita?

 

Certo, quella che si chiama la vita di una persona, il suo vissuto, le sue esperienze, le sue esperienze non sono nient’altro che un bagaglio di informazioni che ha acquisite e che ha elaborate a modo suo naturalmente, perché come lei sa perfettamente le stesse informazioni in una persona producono certi effetti e in un’altra tutt’altro ovviamente, e quindi in base alle cose che ha date per buone, per dirla così in modo molto spiccio, in base alle cose che ha credute essere vere, sono quelle che gli servono come parametro per stabilire, lo diceva già Eleonora, ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è bello e ciò che è brutto, ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto, se gli ebrei vanno eliminati oppure no per esempio, da dove viene un’idea del genere? Da una serie di considerazioni, quindi da una serie di cose in cui una persona crede per un motivo o per l’altro, però ci crede fortemente e si comporta di conseguenza. Sono i valori, cioè le cose in cui la persona crede che decidono di ciò che la persona farà e più forti sono i valori e più farà danni generalmente, perché questi valori deve difenderli contro chiunque non li riconosca come tali o addirittura li mette in discussione, da qui la necessità di eliminare dei personaggi, una volta eliminati non dovrebbero più nuocere. Lei dice che sono cose forti, ma anche noi siamo forti non è che ci spaventiamo …

 

Intervento: immortali, una analisi … la paura …

 

Sa di cosa è fatta quella paura, e se sa esattamente di che cosa è fatta quella paura non ce l’ha più la paura, è impossibile perché sa che le premesse su cui è stata costruita non sono vere, sono fantasie, sono fantasmi e sono questi che spaventano di più, non le cose che si incontrano magari, sono proprio i propri fantasmi a spaventare molto di più di qualunque altra cosa e porre una persona nelle condizioni di non avere più paura è il minimo che occorra aspettarsi dall’analisi, cioè non perdersi dietro a delle cose che non hanno nessun interesse, un po’ come Babbo Natale. Perché si smette di credere a Babbo Natale? Perché si smette di giocare con le bambole o i soldatini, a seconda dei casi? Perché la cosa non interessa più. Accade un fenomeno molto simile a questo, quelle cose che fanno paura, terrorizzano e rendono la vita impossibile cessano di interessare perché si è venuti a conoscenza di come sono state costruite e perché, e a che cosa servono, a quel punto se io continuo ad avere paura di una certa cosa, ammesso che riesca a farlo, so che è una mia decisione, voglio avere paura, e se mi ci impegno magari ci riesco anche, però a quel punto non interessa neanche fare questa operazione, in effetti a che pro?

 

Intervento: questo che lei dice ha la caratteristica della solvenza, lei dice sciogliamo tutti i nodi che ha, però bisognerà ben costruire qualcosa … se lei scioglie tutti questi vincoli poi l’individuo per forza deve anche costruire …

 

Dice che se la persona non ha più paura, cosa vive a fare? È questo che sta dicendo?

 

Intervento: io dico che al momento in cui lei scioglie deve acquisire nuovi valori per acquisire nuovi valori deve avere delle premesse nuove e il gioco poi continua …

 

Perché costruire nuovi valori? A che scopo?

 

Intervento: al momento che lei elimina le sue paure affronterà la vita in modo diverso ma in base a nuovi valori …

 

Perché mai? La persona che non ha più paura ha ancora necessità di avere dei valori? E cioè di credere in qualche cosa? Questa è una domanda interessante, perché c’è anche l’eventualità che non abbia più la necessità di credere in qualche cosa, interroga le cose senza crederci, così come dicevo prima non ha più bisogno di credere in Babbo Natale, è necessario credere in Babbo Natale? No, quando uno cresce smette di credere a Babbo Natale. Sì, si trova a credere altre cose perché è strutturato in modo tale da credere a qualunque cosa gli venga detta, qualunque cosa o il suo contrario, ma uno degli obiettivi di una psicanalisi è mettere la persona nelle condizioni di non avere più la necessità di credere né in un dio né in qualunque altra cosa, e non crede più perché sa interrogare le cose, una volta che sa interrogare chiede a queste cose di rendere conto della loro validità, questa cosa, per esempio, come diceva Eleonora, può essere dimostrata? Ha una validità oppure è una fantasia al pari di qualunque altra, al pari appunto di Babbo Natale? Se sì, perché ci devo credere? E allora la persona vive senza avere né valori né credenze e quindi non ha più niente da difendere, niente da proteggere, niente di cui persuadere altri per esempio, può lasciarli vivere tranquilli e questo può essere un vantaggio. La sua domanda è interessante comunque, una volta una persona mi disse in analisi: “ma se non sto più male dopo cosa faccio?” che è emblematica e racchiude in sé tutta una serie di questioni, non ultima la necessità che gli umani hanno, proprio per la struttura di cui sono fatti, di stare male, è una necessità alla quale non rinunciano perlopiù, e infatti stanno malissimo generalmente senza nessun motivo naturalmente, e se ne accorge sempre quell’altro che valuta i malanni dell’interlocutore come risibili e di nessun conto, naturalmente l’altro gli restituisce la cortesia considerando i suoi altrettanto, però qui si aprirebbe un'altra conferenza che però è in programma, perché il 3 di novembre parleremo delle “Le certezze di chi sta male”. A questo punto leggo tutti i titoli delle prossime conferenze: “La psicanalisi della depressione” questo è più specifico “La formazione dello psicanalista” fondamentale perché chiunque abbia in animo di formarsi come psicanalista, perché una qualunque psicanalisi deve condurre la persona che si rivolge all’analista a divenire analista, psicanalista lui stesso indipendentemente dal fatto che poi abbia in animo di praticare come tale oppure no, ma occorre che sia analista del proprio discorso e cioè si comporti come analista nei confronti del proprio discorso in prima istanza, poi se lo vuole fare anche nei confronti di altri, poi “Le certezze di chi sta male” che sarà una lunga disamina di cosa accade in una persona che lamenta di stare malissimo, sempre, poi una conferenza che sarebbe dovuta essere fatta in questi giorni: “Spiritualità o pensiero?” con il punto di domanda, vi lascio intuire quale sia la risposta, e ancora “Prendersi cura di sé con la psicanalisi” che è l’unico modo di prendersi cura di sé, non è andando nelle palestre a fare ginnastica. Si tratta di smettere di avere la necessità di credere qualunque cosa e il suo contrario, e alla fine, dulcis in fundo, “Il teatro dell’isteria”, vi verrà spiegato cos’è l’isteria e che cosa fa esattamente. Una volta le isteriche venivano considerate le streghe, ne bruciavano un certo numero, adesso non usa più …

 

Intervento: si parla sempre di problemi … in un momento di difficoltà, in un momento di crisi, in un momento in cui una persona rimane senza lavoro?

 

Occorre che ne cerchi uno, cosa vuole che le dica? Di fronte a delle gravi situazioni la persona generalmente cessa di avere quelle che Freud chiamava le nevrosi, proprio Freud si era accorto che durante il periodo di guerra le nevrosi scompaiono per via del fatto che se la persona è occupata del fatto che non sa se arriva a sera viva o morta, questo occupa i suoi pensieri, al di sopra di ogni altra considerazione, perché la propria vita è considerata un bene supremo da molti e quindi le nevrosi scompaiono. Di fronte a situazioni gravi, a situazioni di pericolo probabilmente questo pericolo diventa prioritario, ma in ogni caso esiste sempre una responsabilità. Lei dice “ma se uno non lavora muore di fame e cessa tutto” è possibile, ma anche vivere è una decisione, nessuno la obbliga, vuole vivere? Bene, se vuole vivere all’interno di un consesso civile queste sono le regole, se le accoglie allora fa quel gioco, così se si siede al tavolo di un poker deve accogliere le regole del poker se vuole giocare, se vuole vivere nel modo in cui comunemente si intende questo termine deve fare questo gioco e quindi adeguarsi a tutte le regole che lo riguardano, se no, se uno decide di non vivere e di fare altro è libero di fare anche questo, perché no? Se uno decide di farlo se ne assume la responsabilità, come dire? Sono io che voglio fare questo e quindi mi comporto di conseguenza. La responsabilità è un termine che Eleonora ha menzionato prima ed è fondamentale lungo un percorso analitico incominciare ad accogliere la responsabilità dei proprio pensieri, non è il mondo che è cattivo, infame o gli altri che sono malefici, è mia la responsabilità in quello che penso, lo diceva in modo molto preciso Eleonora: se una persona senza accorgersi vuole essere abbandonata, per esempio, farà di tutto per esserlo e prima o poi ci riuscirà perché se si impegna riesce nell’impresa e viene abbandonata. Molte persone che si lamentano delle proprie relazioni sentimentali dicono che ogni volta che incominciano poi accade sempre la stessa cosa, e magari non è del tutto casuale che accada sempre la stessa cosa, e se fosse pilotata dai suoi pensieri? C’è questa possibilità, tutt’altro che remota …

 

Intervento: se porta via tempo non importa, ma vorrei sapere qualche cosa sulla Scienza della Parola …

 

Si occupa di psicanalisi come lei avrà inteso, è sorta nel 1992. In quanto psicanalista mi sono formato con un altro psicanalista ovviamente, Armando Verdiglione, a Milano, il quale si era formato con Lacan di Parigi, il quale si era formato con Loewenstein, il quale si era formato con Abraham, il quale si era formato con Freud. Seguendo una teoria psicanalitica mi sono posta la domanda intorno ai fondamenti di questa teoria, compresa quella di Freud ovviamente, se ciò che Freud afferma poteva essere fondato, visto che la questione della scientificità della psicanalisi esiste da quando esiste la psicanalisi praticamente, quindi ho dovuto insieme con gli amici interrogare questa teoria, quella di Freud intanto e poi tutte le altre, e ce ne sono molte come lei saprà, ce ne sono uno sterminio di scuole di psicanalisi e sono tante proprio perché ciascuno, come ha detto Eleonora precisamente, osserva quello che gli pare: io osservo una cosa, Eleonora ne osserva un’altra, mia nonna osservava altre cose a sua volta. Abbiamo considerato che ciascuna di queste teorie si fonda in realtà su degli atti di fede, cioè delle cose che venivano credute di fatto senza nessun motivo. Abbiamo fatto una scommessa insieme con gli amici: se fosse stato mai possibile costruire una teoria che non fosse fondata su un atto di fede, naturalmente interrogando anche teorie scientifiche, la matematica stessa, la fisica e quant’altro e arrivando a domandare dei fondamenti di queste teorie ciascuna di queste teorie si rivelava infondata, come appunto la matematica stessa in realtà è una convenzione al pari di qualunque altra, e allora? Tutte queste teorie sono costruibili a partire da che cosa? Qual è la loro condizione? Naturalmente che ci sia una struttura che consente di pensare e cioè che ci sia il linguaggio in realtà che è quello che consente di pensare quindi di porsi delle domande intorno alla verità: che cos’è la verità, se esiste, se non esiste, intorno alla nozione stessa di esistenza, tutto ciò può farsi solo a condizione che esista il linguaggio e da qui abbiamo incominciato a riflettere sempre di più e sempre meglio e sempre più approfonditamente intorno al linguaggio. Ci siamo accorti a quel punto che la psicanalisi poteva avere non soltanto un fondamento ma giungere a dei risultati straordinari, tenendo conto di che cosa è fatto il pensiero anziché traducendo come fanno taluni le cose che dice la persona in analisi in altro oppure riconducendoli ai principi della propria teoria, comunque sempre totalmente arbitrari: l’interpretazione che fornisce un lacaniano è differente da quella che fornisce un freudiano, un reichiano, un bioniano etc., come mai sono diverse? Perché ciascuno interpreta in base alle teorie che ha imparato e bell’e fatto, e allora abbandonando l’atto di fede ci siamo rivolti a qualche cosa che è la condizione ultima per potere pensare qualunque cosa, oltre non si può andare, è come raggiungere le colonne d’Ercole, oltre non si va perché non c’è uscita dal linguaggio in nessun modo, perché per uscire dal linguaggio occorre una struttura tale che mi consenta di costruire delle argomentazioni e queste argomentazioni saranno sempre fatte di linguaggio comunque, non c’è uscita. Arrivati a queste colonne d’Ercole abbiamo considerato tutte le implicazioni naturalmente, in particolare riguardo alla psicanalisi che era ciò di cui ci occupavamo ma a questo punto anche riguardo a qualunque altra cosa, al modo in cui gli umani pensano in generale, costruiscono i loro pensieri, le loro credenze, le loro certezze, tutte cose alle quali si attengono scrupolosamente. Per esempio per mettersi una cintura di esplosivo e farsi saltare per aria all’interno di un cinematografo occorre credere una serie di cose, se non le credesse non farebbe una cosa del genere, per esempio, adesso faccio sempre esempi un po’ eccessivi giusto perché siano chiari. Qualcun altro vuole intervenire?

 

Intervento: questi discorsi mi hanno un po’ confuso su cosa è scientifico e cosa non è … la psicanalisi è scienza in quanto strumento che usa il linguaggio ed è uno strumento scientifico però il linguaggio si applica a tutto mi veniva in mente, perché c’è il quadro lì sopra, che anche l’arte è un linguaggio ogni artista sviluppa il suo linguaggio e quindi ogni opera d’arte è scienza … cos’è che distingue la conoscenza scientifica da quella non scientifica?

 

Nel luogo comune la certezza come diceva Eleonora, è data dalla riproducibilità del fenomeno e della sua calcolabilità tutte, opportunità fornite dall’osservazione, l’arte non è sottoponibile a un criterio vero funzionale, questo quadro è vero o falso? Nessuno si porrebbe una domanda del genere, tutto ciò che riguarda un giudizio estetico viene escluso necessariamente da tutto ciò che attiene alla scienza, la quale si dovrebbe occupare di ciò che è certo, di ciò che è inconfutabile, di ciò che è sicuro e l’arte non si occupa di questo e quindi non è sottoponibile a un criterio vero funzionale. Eleonora nel suo intervento ha mostrato che invece anche questo criterio che la scienza utilizza di fatto non è fondato, che il criterio stesso che la scienza utilizza per fondare ciò che afferma di per sé non è fondato né fondabile, cosa della quale alcuni si sono accorti, naturalmente i filosofi della scienza soprattutto o filosofi del linguaggio, come Wittgenstein o Gödel e tanti altri si sono accorti di questo senza tuttavia condurre la cosa fino alle estreme conseguenze, si sono fermati a considerare che una tale pratica come quella scientifica non ha un fondamento lasciando la cosa così, in sospeso, però no, l’arte è un discorso differente, non si è mai posta come criterio la verità. Alcuni artisti pensano di esprimerla in un altro modo ma poi ciascuno di sé pensa quello che ritiene più opportuno. Naturalmente però prima di fare qualunque discorso circa la verità occorrerebbe sapere di che cosa si sta parlando, che può essere utile in molti casi domandarsi che cos’è la verità e soprattutto una volta che si è risposto domandarsi che cosa si è fatto esattamente una volta che si è risposto, questioni teoriche e in buona parte teoretiche non semplicissime ovviamente, però questioni che ci siamo posti necessariamente: interrogandoci intorno alla verità o alla falsità di certe affermazioni la prima cosa da fare è che cosa si deve intendere con vero? Ovviamente incontrando le prime difficoltà, se ancora non sappiamo esattamente che cosa sia la verità come sapremo distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è? Anche questa è una questione legittima …

 

Intervento: l’inganno più grande quello che non permette di intendere e di proseguire è proprio quello di considerare il linguaggio un mezzo a disposizione della psicanalisi oppure di qualsiasi altra scienza … uno strumento, perché intanto non si considera che sto parlando mentre faccio questa affermazione ed è una mia affermazione e questa mia affermazione mi è concessa perché sta funzionando una struttura, non è che io parlo senza delle regole grammaticali e sintattiche che mi vengono da dio, è il linguaggio che le ha stabilite, occorre porre attenzione a quelli che io chiamo strumenti per esprimere, per descrivere per …. non ci accorgiamo che non c’è possibilità di uscire da questa struttura che chiamiamo linguaggio che è fatta in un modo ben preciso quindi il linguaggio è a disposizione come strumento di qualsiasi scienza psicanalisi o no, ma ne è anche la condizione perché se non ci fosse questa struttura la psicanalisi, la scienza, la natura, dio non avrebbero possibilità di esistenza non ci sarebbero assolutamente, sono tutte costruzioni messe a punto e da questa struttura che funziona in un certo modo … se non ci si accorge di questo … gli umani parlano continuamente e agiscono anzi subiscono il linguaggio continuamente ma a questo piccolo particolare non hanno mai dato nessun peso, nessuna importanza, è talmente naturale parlare di strumento “io utilizzo il linguaggio per dire che sono bella, che sono brutta, che penso …” ma se non ci fosse questa struttura come potrei? Non vale niente questa struttura? È nulla? Senza contare che io posso affermare che qualcosa esiste fuori da una struttura utilizzando la stessa struttura e questo è il primo atto di fede che io compio quando non mi accorgo di quello che vado dicendo ché per dire che il linguaggio è un mezzo o uno strumento fra gli altri e quindi c’è qualcosa fuori dal linguaggio io necessariamente devo parlare e quindi utilizzare questa struttura e come dicevo è proprio quello che abbiamo deciso di non fare tanti anni fa di partire da qualche cosa che fosse una credenza, un atto di fede, di partire da una contraddizione ed è una decisione che continuiamo, perseguiamo da molti anni cercando di rendere più semplice la questione, la condizione perché ci sia qualsiasi pensiero e quindi qualsiasi cosa è questa struttura, istruzioni che danno l’avvio ciascuna volta in cui parliamo a tutto quello che può significare qualcosa per qualcuno …

 

Intervento: e questo è importante per uno psicanalista “saperlo” ed è per questo che noi ci siamo accorti di questa cosa, si è accorto proprio uno psicanalista perché aveva a che fare con i discorsi, si è accorto del fondamento del pensiero e se non ci fosse la possibilità di partire da una necessità logica sarebbe impossibile portare avanti una psicanalisi o meglio non avrebbe alcun senso spostare delle credenze …

 

Intervento: condivido l’idea che la struttura crea la realtà e al di là di questa struttura non può esistere la realtà in quanto è un mezzo su cui si costruisce …

 

Basta che con struttura intenda linguaggio …

 

Intervento: ok tutta la realtà ma quella scientifica? come distinguo la realtà scientifica da quella non scientifica? Ecco e la conoscenza?

 

Intervento: perché la conoscenza, come diceva Eleonora, la conoscenza scientifica si basa proprio su due criteri uno è l’osservazione e l’altro è il calcolo che porta avanti l’osservazione ma non considera la necessità senza la quale, lei stessa la scienza non potrebbe esistere e questa è la differenza, la scienza non ha mai considerato che per poter esistere la scienza stessa occorre una struttura, parte da osservazioni, induzioni che per ciascuno per gli scienziati o per le persone che seguono o inventano le varie scienze sono considerate necessarie ma non hanno nessun fondamento, come dire sono quelli che a loro piace che siano, osservazioni fondate e che provengono dal loro sapere ma abbiamo visto che sono atti di fede perché se non si tiene conto di quello che è il fondamento, almeno in campo teoretico, ecco che tutto ciò che ne seguirà sarà al pari arbitrario e quindi saranno delle opinioni al pari delle sue contrarie …

 

Qualcuno vuole dare una definizione di linguaggio in base a tutto ciò che avete ascoltato? Elisa cos’è il linguaggio?

 

Intervento: lo strumento che serve a creare il tutto …

 

È un po’ biblica posta così, si può intenderlo come una struttura, in effetti talvolta utilizzo questa metafora tratta dall’informatica: una sorta di sistema operativo che consente di costruire qualunque cosa. Si tratta soltanto di istruzioni molto semplici, istruzioni che consentono di costruire proposizioni e connetterle fra loro, in realtà si tratta di pochissimi mattoncini grazie ai quali è possibile costruire qualunque cosa, naturalmente per niente, che è una bella questione. Avete mai considerato per esempio, una cosa che sapete tutti: il codice genetico, sapete come funziona? È un codice fatto di triplette che si agganciano tra loro secondo certe sequenze, a che scopo? Assolutamente per niente, costruiscono tutto ciò che è vivente, il DNA costruisce proteine e da lì viene fuori Eleonora per esempio, oppure una zanzara a seconda delle informazioni che ha naturalmente, perché questo? A che scopo? La stessa domanda è possibile porsela rispetto al linguaggio, a che scopo costruisce proposizioni, a che scopo gli umani parlano? Vi siete mai posti questa domanda? E se la risposta fosse “per niente”? Parlano, e all’interno della struttura di ciò che li fa esistere c’è un motivo naturalmente ed è quello che le proposizioni per potere funzionare all’interno del discorso devono concludere con qualcosa che sia ritenuto vero all’interno del gioco stesso, non è richiesto altro, per cui gli umani in tutta la loro esistenza non fanno nient’altro che affermare cose che ritengono essere vere, nient’altro che questo per tutta la vita. Curioso è che non possono fare altro in nessun modo, parlano ininterrottamente affermando continuamente cose oppure possono chiedere per potere sapere ma una volta che hanno saputo cosa se ne fanno? Se la questione la portate all’estreme conseguenze e la interrogate oltre i limiti convenuti vi accorgete che parlano unicamente per potere continuare ad affermare delle verità, quelle che il loro discorso ritiene essere delle verità naturalmente, affermarle e in molti casi imporle …

 

Intervento: L’uomo è un animale sociale?

 

Beh animale, alcuni magari sì, però non tutti, sociale, anche qui alcuni sì altri no, però chiamarlo “animale sociale” una volta era preferito chiamarlo “animale politico” per dare una connotazione più precisa ma sono tutte definizioni che lasciano il tempo che trovano, si può definire come si vuole …

 

Intervento: la mia domanda è questa quando lei ha parlato dei mattoni della casetta (quale casetta? ) si parlava di costruzioni … facciamo conto che scientificamente un fisico nelle varie parti del mondo costruisca con una serie di mattoni, che sono delle informazioni, una casa che alla fine ha dato in tutte le parti del mondo in base alle conclusioni raggiunte lo stesso aspetto … lo psicanalista … mettiamo cinque psicanalisti in diverse parti del mondo in base alle loro diverse preparazioni, hanno a disposizione gli stessi mattoni cioè le stesse informazioni, così come i fisici di prima, hanno la possibilità di costruire appunto le loro cose ragionando appunto sul linguaggio o a partire dal linguaggio su discorsi estremamente identici … è possibile che la casa che vanno a costruire abbia lo stesso aspetto in tutte le parti del mondo?

 

Assolutamente sì, nel senso che questa che lei chiama casa in realtà non è altro che la consapevolezza di ciò che funziona per ciascuno per potere pensare, cioè il linguaggio che ha la stessa struttura, sempre e comunque …

 

Intervento: allora perché i bioniani, gli winnicottiani …

 

Perché nessuno si è accorto di questo, e allora ciascuno parte dalla sua teoria, per esempio io posso pensare che la paura dei topi venga dall’idea che il topo rappresenti un pene, Freud dice così e allora se parto da questo principio che per me è diventato valido interpreterò sempre la paura dei topi in un certo modo, se invece ritengo che il topo abbia un altro simbolo, per esempio rappresenti qualcosa di ancestrale che gli umani da sempre cercano di evitare come la rappresentazione del male, questo discorso è più junghiano magari, allora interpreterò sempre la paura del topo in quell’altra maniera, ma tutte queste sorte di interpretazioni muovono dalle considerazioni, dalle premesse da cui lo psicanalista in questo caso muove e cioè da ciò che ha imparato in definitiva, se ha imparato che il topo è l’equivalente del pene va in una certa direzione, se ha imparato che il topo è l’equivalente del male ancestrale va in un’altra direzione …

 

Intervento: in questo caso non sono riusciti a individuare l’essenza …

 

Sono solo delle sciocchezze, ognuno parte da quello che gli salta in mente in quel momento, e infatti si arriva a risultati totalmente differenti. Certo la persona che va dall’analista viene indottrinata in base alla dottrina che l’analista ha imparato, è ovvio, non può essere diversamente a meno che appunto ci si accosti a una teoria che non muove più da un atto di fede ma da qualcosa di necessario: supporre che il topo rinvii al pene non è necessario, tant’è che molti non lo pensano affatto, se al posto di questo si immette qualcosa di assolutamente necessario allora se è necessario è perché ha valore universale, cioè è così per tutti necessariamente, e che cosa può esserci di necessario se non quella struttura di cui abbiamo detto praticamente tutta la sera, lei metta questa a fondamento e allora non ci saranno più opinioni divergenti perché tutti utilizzano il linguaggio in ogni caso, possono utilizzarlo male, cioè prendere certe affermazioni per buone, perché non sanno interrogare ciò che gli capita sotto mano, e quindi le danno per buone, ci credono così come uno crede in dio e quell’altro crede nel topo, in paperino o chi gli pare, ma se avesse la possibilità di interrogare queste cose fino alle estreme conseguenze cesserebbe di crederci, è ovvio che deve avere l’opportunità di farlo e soprattutto gli strumenti per farlo, cosa che non è semplicissima ma si può fare anzi, si dovrebbe fare necessariamente …

 

Intervento: infatti è questo ma mi sembra un po’ utopistica come idea …

 

No, no non è solo praticabile, è praticata …

 

Intervento: ma quando si va dallo psicanalista …”tu da chi vai?” “Io vado da quell’altro”

 

Così come si va dall’estetista, sì certo. Martedì prossimo saremo qui con la conferenza: “La psicanalisi della depressione”, poi ciascun mercoledì, quindi domani sera, nella sede dell’Associazione che è in via Grassi 10, ci troveremo a discutere di questioni teoriche, l’incontro è aperto a che è interessato alla psicanalisi o comunque alle cosiddette scienze umane, chiunque può accedervi senza nessun problema, sarà sempre il benvenuto. Grazie a ciascuno di voi e buona serata.