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Torino, 29 marzo 2011

 

Libreria LegoLibri

 

INTRODUZIONE ALLA PSICANALISI

Terza lezione

 

Luciano Faioni

 

 

Visto che siamo in pochi vediamo se qualcuno ha voglia di fare domande, porre qualche questione intorno ai due incontri precedenti, qualche dubbio, qualche perplessità, qualche delucidazione?

 

Intervento: … la questione dell’individualità nel senso del soggetto che ha imparato …che ne è del soggetto … mi interessa la psicosi, se può dire qualcosa sulla psicosi rispetto alla struttura del linguaggio… l’origine, dal punto di vista logico, del linguaggio, quindi sintattico … in questa analisi del linguaggio ha molta importanza la parte logica e quindi la semantica viene dopo

 

Rispetto alla sua prima domanda, cioè che ne è del soggetto, rispetto a tutto ciò che abbiamo detto rispetto al linguaggio, una domanda del genere presuppone un’altra riflessione cioè provare a intendere che cosa sia il soggetto oltre naturalmente essere un’istanza grammaticale.

 

Intervento: per me era il soggetto dei sintomi, scusi, perché va in una direzione per i sintomi quindi tutto questo percorso per il sintomo…

 

Il soggetto è un’istanza che è stata affrontata dalla psicanalisi fino ad essere poi eliminata dalla psicanalisi, almeno quella più recente, mi riferisco a Lacan tanto per intenderci, il quale scrive, come forse lei avrà notato nei suoi scritti, il soggetto con una S barrata. Dire che in effetti non c’è soggetto ma oggettuale, cioè una produzione del soggetto, e che non preesiste l’atto di parola, è già un primo modo per approcciare la questione. Ora, muovendo così come abbiamo fatto dalla struttura del linguaggio, in effetti, la nozione di soggetto scompare, nel senso che viene relegata a quello che è nella grammatica e nient’altro che questo, e cioè un’istanza che serve alla struttura del linguaggio per individuare per esempio un discorso, per differire un discorso, per esempio il mio da quello di un altro. È un indicatore in questo caso, quello che consente mentre sto parlando di sapere per esempio che sono io a parlare anziché lei. La nozione di soggetto non è che offra grande interesse in realtà, in buona parte anche per ciò che ne ha detto la filosofia, la psicologia, ecc., e cioè come quell’istanza che presiederebbe a tutti i fenomeni psichici e che potrebbe essere sano, malato ecc. Forse, le cose non stanno proprio così, d’altra parte anche la nozione di soggetto, una volta che l’abbiamo definita, potremmo sempre chiederci che cosa abbiamo fatto in realtà dopo che l’abbiamo definita: questo soggetto o lo poniamo come un’ipostasi, come qualche cosa che c’è da qualche parte magicamente, oppure anche la nozione di soggetto procede dalla struttura di linguaggio che lo produce come qualunque altra cosa, così come l’oggetto, così come il verbo e tutto ciò che serve alla costruzione di frasi, di proposizioni.

La questione della psicosi questa è abbastanza facile da intendere nel senso che già Freud ci ha messi sulla strada giusta per intendere appropriatamente la questione. Lui ci dice che di fatto nella psicosi la persona, anziché mantenere la mobilità di pensiero e cioè potere per quanto può interrogare le questioni, cessa di farlo, cioè le cose stanno esattamente così come il cosiddetto psicotico pensa che siano. Questo naturalmente allarga la questione della psicosi non più ai cosiddetti malati mentali ma a qualcosa che accade invece quotidianamente, e cioè quando una persona si pone nella condizione di immaginare di essere assolutamente proprietaria della verità e di sapere esattamente come stanno le cose e non volere come si suole dire sentire ragioni. Nella psicosi la verità, che si ritiene assolutamente certa, è tale da diventare prioritaria rispetto a qualunque altro gioco, che generalmente gli umani fanno e che nelle nevrosi in qualche modo, diceva Freud, continuano a essere mantenuti. In fondo lo psicotico, il cosiddetto psicotico, non si attiene a quei giochi linguistici che sono praticati dai più ma tutta la sua attenzione e il suo pensiero è convogliato verso quell’unica cosa che ritiene essere vera, non è molto lontano da un fondamentalista tutto sommato.

L’altra questione? Il modo in cui ho definito il linguaggio lo pone di fatto come la logica, che è differente dalla logica che voi trovate sui vari manuali o testi di logica formale e non, i quali non fanno nient’altro che muovere da alcune istanze che rilevano funzionare nel linguaggio per costruire delle sequenze. Faccio un esempio molto banale: per esempio, nella logica è proibito affermare una cosa e il suo contrario, cosa che invece nella retorica si può fare, ma perché è proibito? Non è che una cosa del genere l’abbia proibita il medico, la logica non fa altro che formalizzare, cosa che ha già fatto Aristotele ai suoi tempi, l’uso del linguaggio, il modo in cui ciascuno necessariamente usa il linguaggio. Perché funzioni così nessun logico lo sa, quei pochissimi che si sono fatti questa domanda hanno risposto “perché naturalmente si pensa così”. Ora, il richiamo alla naturalità porta poco lontani, il fatto che si pensa così è perché è il linguaggio che è fatto così, non c’è un’altra risposta, e la logica non fa che rilevare dei modi in cui il linguaggio funziona senza rendersi conto per lo più che è il linguaggio che funziona così, cioè descrive di fatto in alcuni casi, nella migliore delle ipotesi, il funzionamento del linguaggio. È questa struttura che chiamiamo linguaggio che impedisce per il suo funzionamento che una persona affermi una cosa e il suo contrario o faccia significare un singolo elemento linguistico tutti gli altri simultaneamente, se no cesserebbe di funzionare. È  per il suo funzionamento stesso che opera così, quindi, a questo punto ciò che abbiamo individuato come linguaggio, e la volta scorsa o quell’altra lo indicavo come una sequenza di istruzioni, di fatto, per la costruzione di proposizioni. Ebbene, queste istruzioni sono ciò che potremmo chiamare la logica, questa è la logica.

 

Intervento: non so se mi ricordo bene però mi sembra che le così dette proposizioni apofantiche che hanno un valore di verità, le altre invece …

 

Un’affermazione apofantica è un’affermazione che può essere sottoposta a un criterio verofunzionale, può essere cioè o vera o falsa. Ovviamente, occorre un criterio per poterlo stabilire ..si distinguono generalmente da quelle apodittiche, che sono invece immediatamente evidenti, evidenti di per sé, simili a ciò che Kant indicava con il giudizio analitico a priori, qualcosa di prossimo. Ora, ciò che afferma il linguaggio, le varie proposizioni che costruisce, ovviamente possono essere sottoposte a un criterio verofunzionale, una volta che si è stabilito questo criterio ovviamente altrimenti no. Le istruzioni, invece, di per sé non sono né vere né false, un comando non è né vero né falso, e quindi cercare qualche cosa che renda vero il linguaggio o falso è una ricerca che non ha nessun esito perché si tratta soltanto di istruzioni: ciò che costruisce può essere sottoposto a un criterio verofunzionale dopo che si sarà costruito un criterio verofunzionale ma prima no. Per questo vi dicevo che la psicanalisi in realtà, così come l’abbiamo definita e descritta in questi precedenti incontri, non è altro che un metodo, semplicemente un metodo. Però, così come l’abbiamo descritta,  cioè questo metodo, consente di rendere conto di tutte quelle cose delle quali cose la psicanalisi in precedenza non ha potuto o saputo rendere conto, e cioè perché per esempio gli umani pensano nel modo in cui pensano, perché e come costruiscono delle fantasie, delle credenze, delle superstizioni, che sono quelle costruzioni senza le quali non c’è nessuna possibilità di costruire le cosiddette nevrosi: se una persona non credesse, per esempio in nulla, se non avesse addirittura il bisogno di credere in qualche cosa, ecco che allora non ci sarebbe la possibilità di costruire una nevrosi, molto semplicemente.

Dicevo di un metodo, un metodo che si avvale tanto della retorica quanto della logica. La retorica è importante e dovrebbe costituire uno degli insegnamenti per chiunque abbia in animo di divenire analista, la retorica insegna a costruire controesempi, controargomentazioni, che consentono di cessare, per esempio, di ritenere assolutamente vere o inoppugnabili certe affermazioni che sono invece assolutamente discutibili, consente anche di affrontare delle affermazioni alle quali la persona crede e immediatamente di valutare che tale affermazione è sostenuta da un asserto assolutamente arbitrario e che pertanto non necessita di essere creduto. Vedete, una fantasia così come una teoria è costruita su una premessa che si ritiene essere vera, perché magari procede dall’esperienza o da un’intuizione o perché l’ha detto qualcuno ritenuto autorevole, e da lì attraverso dei passaggi spesso coerenti fra loro giunge a una conclusione. Anche una fantasia è costruita così, anche una fantasia è una costruzione che rende conto del perché di alcune cose e se può vi pone rimedio. Vi faccio un esempio molto banale: prendete per esempio un’agorafobia, uno si trova all’aperto e comincia ad agitarsi e a stare male, beh, non è per niente che si agita e che sta male, è che in base ad alcune sue argomentazioni ha considerato che stare all’aperto può portare dei pericoli, ha torto? No, certo che no, non ha torto, una volta che esce di casa può succedergli di tutto, di essere rapinato, ucciso, investito da un auto, aggredito, investito da onde radioattive, rapito dai marziani e qualunque altra cosa possibile e immaginabile, la sua argomentazione è corretta, è la premessa da cui parte che per lui è assolutamente necessaria, vera assolutamente, per altri è arbitraria, sanno naturalmente che uscendo di casa possono accadere questi malanni, valutano che le probabilità sono minime o comunque non sufficienti a trattenerlo in casa. D’altra parte, tutto ciò che la persona che si trova in queste condizioni afferma è assolutamente plausibile, che un asteroide colpisca in pieno il pianeta su cui viviamo e lo spacchi in due non è impossibile, potremmo dire che è improbabile ma forse è assolutamente possibile, però nessuno organizza le sue giornate e le vacanze tenendo conto di un evento del genere o di qualunque altro, naturalmente. Quindi, per questa persona la premessa da cui parte, l’asserto su cui ha costruito questa paura, è assolutamente vero, quindi, come tutte le teorie d’altra parte una volta che sono state avviate non soltanto ritengono di sé di essere vere ma reperiscono in qualunque cosa una conferma della veridicità di tale teoria, tutte le prove scientifiche o buona parte delle prove scientifiche sono fatte così. Una teoria, così come una fantasia, è un sistema molto ingenuo, ingenuo perché prende per vere cose che non possono dimostrare di essere tali, quindi sono arbitrarie, quindi sono contingenti, può accadere, può anche non accadere. Posso farvi un esempio di come funziona la ricerca scientifica, la sperimentazione, ne prendo uno che procede da una teoria che adesso sembra avere maggiore successo, va più di moda diciamo così, quella dei neuroni specchio, non so se qualcuno ne ha mai sentito parlare? Conoscete questa teoria laggiù in fondo? () Bene, siete informatissimi. Questa teoria ha immaginato, partendo da alcuni esperimenti sulle scimmie, non so quali scimmie fossero, sicuramente non gorilla, curioso che non si fanno mai esperimenti utilizzando i gorilla anziché le scimmiette (Sono troppo grosse!) Sì, perché poi si innervosiscono e succedono cose sgradevoli. Sia come sia, si sono accorti che queste scimmie hanno una prerogativa e cioè imitano certi movimenti che fanno gli umani - è noto da sempre che abbiano questo aspetto, d’altra parte anche i pappagalli ripetono certe parole – però, a partire da qui hanno incominciato a considerare che nel momento in cui una persona fa un gesto e la scimmia ripropone quel gesto, si illumina, come dicono loro, una certa aerea del cervello, questo li ha rapidamente indotti a pensare che l’“apprendimento” da parte della scimmia sia qualche cosa che precede l’apprendimento di qualunque altra cosa, tant’è che hanno esteso la questione anche agli umani, cominciando a considerare che la prima cosa che viene imparata dagli umani è una sorta di ripetizione, di gesti, di atti, prima ancora che avvenga il linguaggio naturalmente e che quindi l’apprendimento degli umani sia di qualche cosa di prelinguistico e avvenga proprio attraverso l’utilizzo di certi neuroni cosiddetti “specchio” perché rispecchiano l’attività di quell’altro. Ora, possiamo fare questa considerazione, e cioè che risulta sempre un passo straordinariamente arduo da compiere proprio in ambito teorico: i neuroni sono dei trasmettitori elettrochimici, nient’altro che questo, e allora, come si passa da trasmettitori elettrochimici al sapere, alla conoscenza e a tutte quelle cose che gli umani possiedono generalmente? Ad un certo punto ci deve essere un passaggio che da questi trasmettitori elettrochimici conduce per esempio alla consapevolezza, alla conoscenza, alla consapevolezza di sé. Ora, sicuramente non è dentro ai neuroni perché sono fatti di cellule, le cellule sono fatte di atomi … dove si va a cercare la consapevolezza? Può costituire un problema una cosa del genere e, infatti, su una cosa del genere si tende a glissare con estrema facilità. Recentemente c’è stato in un’incontro dove un neurofisiologo ha illustrato la teoria dei neuroni a specchio portando delle prove sperimentali, due erano per validare la sua tesi che i gesti, cioè il comportamento altera o meglio modifica in parte o rende più evidente il significato che poi questo gesto ha nelle parole, nell’intenzione, e ha fatto un primo esperimento, cioè ha messo una persona anzi ha fatto salutare con la mano una persona e mentre saluta gli ha fatto dire ciao, un gesto molto banale, molto semplice. Ha rilevato che se nel compiere questo gesto si aggiunge il saluto, cioè il ciao, la formante, si esprimono così non ci posso fare niente, diciamo la componente sonora, fonica di questo ciao, risulta più evidente, più marcato; se, invece, fa soltanto il gesto senza che ci sia nessuno da salutare e dicendo sempre ciao, senza che ci sia nessuno da salutare, allora appare meno evidente, meno marcato il suono. Ora, naturalmente, si potrebbe retoricamente riprendere la questione di prima e fare immediatamente una controargomentazione, un controesempio. È ovvio che se io saluto con la mano qualcuno e questa persona è a distanza parlerò più forte, se una persona è a trenta centimetri di distanza non la saluto agitando la mano anche perché gli darei uno schiaffo in testa. L’altro esempio, nel quale volevano valutare la capacità raziocinante, una persona che parla agitando le mani, quindi facendo dei movimenti, ha una capacità raziocinante superiore e l’hanno dimostrato costringendo una persona prima a parlare con le mani libere dopo invece con le mani bloccate, si è seduto sulle sue mani praticamente, quindi non poteva usare le mani. Hanno considerato che in quest’ultimo caso la capacità raziocinante di questa persona diminuiva ma se avessero sospesa questa persona per i piedi e a testa in giù sicuramente la capacità raziocinante di questa persona sarebbe stata ancora inferiore pur avendo le mani assolutamente libere. Ora, queste che passano come prove scientifiche non sono state raccontate fra amici una sera per ridere, sono state pronunciate a un congresso di neurofisiologi, un congresso molto serio, dove queste cose venivano portate come conferme di una teoria. Quando mi è capitato di vedere questa cosa mi è venuto in mente di un altro esperimento compiuto dagli americani negli anni ‘60/ ‘70 da un gruppo capeggiato da Don D. Jackson e Paul Watzlawick e altri che si occupavano di schizofrenia, una cosa molto vecchia. Provarono ad estrarre, a sintetizzare un siero di schizofrenico dopodiché provarono a iniettarlo in un ragno. Accorgendosi che il ragno dopo l’iniezione di questo siero iniziava a costruire tele, anziché abbastanza geometriche come fa generalmente, tutte squinternate e sghimbesciate, ecco, allora dissero “abbiamo trovato il siero della schizofrenia”. Ora, anche lì ci fu qualcuno che fece un controesempio, provò a iniettare a questo ragno “porello” della camomilla e anche in quel caso ha cominciato a costruire tele tutte squinternate. Questo che vi sto dicendo, che appaiono delle amenità, in realtà costituiscono quasi sempre il criterio di ricerca scientifica, la quale poi offre dei risultati che passano come accertati, come scientificamente provati, si dice così adesso, ma le cose il più delle volte non sono affatto così, ciò che è stato provato in realtà non prova assolutamente niente. La capacità di ciascuno di costruire controesempi, contro argomentazioni, e qui mi limito all’ambito retorico, non sto ancora parlando di logica, ovviamente può diventare tale che difficilmente una persona sarà disposta a credere a delle affermazioni che vengono fatte con tanta leggerezza o a dimostrazioni che di fatto non dimostrano assolutamente niente. Ora, se questa persona fosse in condizione di compiere la stessa operazione rispetto ai suoi pensieri, non a quelli altrui ma ai suoi, e cioè cessare di credere vere delle cose in cui crede fortemente, allora si troverebbe nella condizione di chi abilmente sa trovare controesempi, contro argomentazioni. Una persona, dicevo prima, che ha paura di uscire per strada può considerare facilmente la quantità sterminata di cose che potrebbero capitargli, molte più di quelle che lui immagina in realtà, compreso appunto l’asteroide che spacca in due il pianeta, arrivando a un punto tale di insostenibilità della cosa che effettivamente qualche cosa che poteva essere vissuto come drammatico può incominciare ad apparire risibile. D’altra parte qualunque tragedia, e questo ce lo ha mostrato per anni la critica letteraria e soprattutto la semiotica, qualunque tragedia se vengono modificati degli elementi di questa tragedia può facilmente trasformarsi in commedia e cioè non spaventare più. Perché qualcosa spaventi così fortemente, come dicevo forse la volta scorsa, è necessario che sia creduto fortemente, che sia creduta vera questa cosa, se è creduta falsa o se è possibile riconoscere la sua falsità o la sua indifferenza cessa di spaventare naturalmente e questo è un effetto collaterale, perché questo metodo, dicevo prima della psicanalisi come metodo, in effetti è un metodo che va al di là dell’utilizzo della pratica clinica ma può effettivamente interrogare qualunque teoria, qualunque scienza, qualunque dottrina, chiedendo a questa di rendere conto degli asserti su cui si basa. Se voi fate questo esperimento, più saggio di quelli precedenti illustrati, vi accorgerete che a fatica troverete una teoria che sia in condizioni di reggere a una tale interrogazione e a quel punto ovviamente vi troverete di fronte alla necessità, dopo averle interrogate, di chiedere a queste teorie come sono state costruite, chi le ha costruite, chi le costruisce di fatto? Come fanno gli umani a costruire una teoria? Con che cosa? Con la loro osservazione? L’osservazione è un criterio piuttosto infido anche perché, come spesso accade, di uno stesso fenomeno ciascuno osserva quello che gli pare più opportuno, da qui lo sterminio di teorie, ovviamente, e la cosa può anche andare oltre, arrivare a livelli inimmaginabili.

Dunque, vi dicevo un metodo, un metodo per riflettere, per considerare, per pensare tout court, un metodo che consente una maggiore attenzione alle cose. Tutto ciò che io credo essere vero in un modo o nell’altro contribuisce o determina il modo in cui io agisco, con tutte le conseguenze, ovviamente. Spesso si lamenta che gli umani non hanno più i valori, forse il problema è esattamente il contrario, è che ce li hanno questi valori. Il valore è qualche cosa che deve essere mantenuto, custodito, difeso all’occorrenza contro tutti coloro che lo minacciano, è un po’ come la bandiera, adesso non usa più, una volta in battaglia la bandiera era importantissima, mai doveva cadere nelle mani del nemico per nessun motivo, piuttosto la morte, era il valore supremo. In effetti, i valori devono essere difesi e così si fa generalmente ma anche il valore di una teoria va difeso e il più delle volte viene difeso contro ogni evidenza. Di fronte anche ad esperimenti che non significano niente l’interessato difficilmente perde la fede in quella teoria perché di fede si tratta e non la abbandona e naturalmente, se vuole trovare delle giustificazioni, ne trova così come la persona che ha paura di uscire di casa di buoni motivi ne trova quanti ne vuole, anzi, volendo potremmo dirgliene più di quanto lui stesso ne immagini. Trovare questo metodo è stato importante, è qualcosa che ha consentito di fare un passo notevole rispetto a ciò che già Freud aveva fatto ai suoi tempi, e cioè interrogare le cose molto al di là di quanto lui stesso abbia potuto o saputo fare. Certo, abbiamo quasi sempre parlato di linguaggio in questi incontri, non per caso ovviamente, dal momento in cui abbiamo considerato che è la sola cosa di cui e per cui gli umani vivono ci è parso importante intendere come funziona perché sapendo come funziona il linguaggio si sa come pensano gli umani necessariamente, come e perché costruiscono, come dicevo all’inizio, tutti i loro pensieri, le loro fantasie, le loro speranze, affetti e tutto ciò che generalmente caratterizza gli umani. Però avevamo detto che avremmo lasciato molto spazio al dibattito anche se non siete tantissimi ma possiamo farlo perché nel primo incontro non c’è stato praticamente tempo per niente, il secondo un pochino. Se avete delle questioni da porre ovviamente…

 

Intervento: la seconda prova dei neurofisiologi, riguardo ai neuroni a specchio?

 

La prima era far salutare qualcuno dicendo ciao simultaneamente oppure fare il gesto e dire ciao ma senza che ci sia nessuno presente; la seconda è fare ragionare una persona impedendogli di muovere le mani (credevo fosse la stessa prova) no, non sono stati elencati come due test fondamentali.

 

Intervento: non capisco … specchio che cos’è? È imitazione, no? Muovere o no le mani cosa c’entra? Forse il saluto…

 

Perché la teoria dei neuroni a specchio si basa sulla considerazione che l’apprendimento avvenga attraverso l’imitazione di movimenti, cioè della condotta di qualcuno anziché attraverso apprendimento per esempio logico, ecc., come in altri casi viene detto e quindi l’importanza del movimento. Non mi interessava nulla dei neuroni specchio, era soltanto per farvi un esempio di come funziona un esperimento scientifico, della modalità che viene utilizzata il più delle volte, e cioè esperimenti che come dicevo non dimostrano assolutamente niente perché la stessa cosa può avere quella risposta, quella spiegazione, poi un’altra, poi un’altra ancora, un’altra ancora e un’altra ancora e tutte perfettamente legittime e sostenibili da forti argomentazioni. Il problema quando si cerca la spiegazione di qualche cosa al di fuori della struttura che l’ha costruita, e cioè al di fuori del linguaggio, ecco che accade quel fenomeno noto da sempre come infinitizzazione, e cioè risposte a un dato fenomeno possono darsene quante se ne vuole all’infinito, quale si accoglie? Quella che piace in quel momento. In fondo, l’accoglimento di un elemento è dove ci si ferma anziché un altro, è una questione puramente estetica, cioè piace così o è funzionale a qualche cosa che in quel momento appare utile ma, di fatto, se voi cercate la risposta di una qualunque cosa vi trovate presi in un vortice senza fine, che potrebbe anche essere molto utile perché una cosa del genere, se praticata effettivamente, porta all’impossibilità di credere assolutamente vero qualcosa e quindi di costruire una paura, una fobia, una depressione, un’ansia, un acciacco qualunque, non c’è possibilità.

 

Intervento: E, quindi, in una prospettiva pratica lo psicanalista è una persona che deve individuare in una persona affetta da fobia una premessa da cui sono partite le argomentazione e quindi contro argomentarla?

 

Trovare gli asserti da cui muove una fantasia non è così difficile, no, non si tratta di controargomentarla ma di mettere la persona nelle condizioni di accorgersi di quali sono gli elementi da cui è partito per costruire tutta la sua paura per esempio. Adesso lei stava parlando di una fobia, mettiamola così, che cosa è necessario che lui creda fortemente per poter continuare ad avere paura? Gli asserti, come dicevo, da cui muove una paura non è difficile reperirli, sono quelle cose nelle quali la persona più fortemente crede, sono i suoi valori per dirla proprio in modo spiccio, i suoi valori, le cose in cui crede, le cose importanti per lui, lì si reperiscono quegli asserti, quegli elementi che gli sono serviti per costruire anche la paura, non solo quello ovviamente ma anche quella. Non è che debba perdere tutto ciò naturalmente ma semplicemente accorgersi di che cosa è fatto, basterebbe questo. In fondo, sono sequenze di proposizioni tutto ciò che gli umani hanno costruito, pensato, desiderato, sperato, disperato da quando esistono, sono sequenze di proposizioni che poi naturalmente costruiscono altre sequenze, costruiscono immagini, scene, e se prese, usiamo questo termine realisticamente, ecco che portano qualche implicazione, dal dissidio personale alla cosiddetta nevrosi, fino ai conflitti mondiali. In fondo, la struttura non è così differente, si tratta sempre e comunque di imporre una verità, di stabilirla con certezza contro tutto e contro tutti.

 

Intervento: Radicalizzare come lei sta dicendo perché a questo punto anche la posizione del positivo si regge sulla stessa logica poi a questo punto non godiamo più di nulla

 

Intervento: a questo punto anche la psicanalisi …è lo stesso discorso anche la psicanalisi è virtuale

 

Intervento: la questione era quella, io in fondo demolisco in una sorta di passaggio con la meta a ritroso, demolisco quello che mi porta al negativo e con la stessa logica demolisco quello che mi porta al positivo…

 

Non è propriamente una demolizione neanche nel caso di cose cosiddette negative. In realtà si tratta soltanto di intendere di che cosa sono fatte e, quindi, a questo punto le cose che a una persona piacciono, interessano, non è che scompaiano, semplicemente si rende conto di che cosa sono fatte e che cosa le ha prodotte, tutto lì. Non è che se una persona sa esattamente come funziona per esempio il gioco del poker poi non lo gioca più, lo gioca lo stesso e si diverte anche, però sa che è un gioco, mentre in alcuni casi è come se si perdesse questa sorta di consapevolezza che è un gioco ma pensasse invece che è una cosa assolutamente seria e che ne va per esempio della propria vita o dell’esistenza di altri, cosa che poi di fatto il più delle volte non è. Però, se una persona ci crede per la persona è così, non ci sono mezzi termini, una persona che ha paura di uscire all’aperto se quella persona esce fuori di casa il pericolo è reale, o una persona che sale sull’aeroplano per lui il pericolo è reale, non è un’eventualità come lo è per altri. Certo, chiunque salga su un aeroplano sa che c’è questa possibilità di…, anche salendo in macchina non è che … però è soltanto una maggiore e più potente consapevolezza che consente di pensare o di ripensare tutto ciò che per la persona costituiscono i cosiddetti valori. Le cose importanti di cosa sono fatte? Perché sono importanti? Perché valgono? Quando qualcosa vale qualcosa per qualcuno? A quali condizioni? Queste sono le domande che sarebbe possibile e interessante porre, perché una certa cosa ad un certo punto diventa un valore? Per convenzione? Sì, anche, certo, ma non soltanto, tutto ciò che per la persona costituisce una verità, qualcosa su cui poter costruire altre verità, altri discorsi, altre proposizioni. In effetti, il motivo per cui gli umani cercano la verità sempre e comunque, e una volta che suppongono di averla trovata cercano di imporla sul prossimo direttamente o indirettamente, il motivo di tutto ciò sta nella struttura di cui vi parlavo nel primo incontro e cioè del linguaggio, che li “costringe” a compiere questa operazione, perché è il linguaggio che funziona così. Per questo gli umani non possono non farlo a meno che anziché subire il linguaggio lo agiscano e allora lì le cose cambiano, agire il linguaggio significa semplicemente sapere e non potere non sapere in ciascun atto, in ciascun istante, che ciò che sta accadendo, ciò che mi sta accadendo, è un atto linguistico che procede da altri atti linguistici, che procedono da altri atti linguistici e così via all’infinito. Che valore dare a una cosa del genere? Quello che ritengo più opportuno, sapendo naturalmente che cos’è il valore, cosa si intende con valore e perché qualcosa ha valore, da dove viene, da dove arriva e a che cosa serve, naturalmente. Da quanto tempo gli umani cercano di imporre la loro ragione sugli altri in un modo o nell’altro? Da sempre.

 

Intervento: Si vede che la volta scorsa non sono stata abbastanza attenta, però sembra che questo discorso si regga su un bisogno quasi primario di verità, perché l’uomo ha così bisogno?

 

Lo stavo dicendo, è la struttura del linguaggio che li costringe a cercare questo, vale a dire, se si considera il funzionamento del linguaggio si può considerare che ciascun modo di pensare, ciascun pensiero ha sempre la stessa modalità, c’è una premessa che viene considerata vera, dei passaggi e una conclusione, quando si pensa si pensa così, non c’è un altro modo di pensare. Ora, questa sequenza deve concludere in un modo tale per cui appaia vera, come accade in una teoria né più né meno: si parte da qualcosa che si ritiene essere vero, da lì si fanno dei passaggi, dopodiché si giunge a una certa affermazione, la quale affermazione, per potere essere accolta, deve essere vera in una teoria ma in qualunque discorso in fondo (anche prima di Aristotele?) Sì, anche prima di Aristotele certo si pensava così, Aristotele ha soltanto formalizzato questo sistema, anche i presocratici pensavano così, questo indipendentemente dalla causa che ponevano come causa originale di tutto, questo è assolutamente irrilevante, ma il modo di procedere del pensiero, del modo in cui si pensa è sempre lo stesso: se questa cosa è vera allora ha delle implicazioni, quali? Ecco i passaggi sono questi, sono corretti, quindi, questa è un’implicazione, il punto di partenza è vero allora la conseguenza è vera, non c’è un altro modo per pensare. Aristotele l’ha formalizzata, ha fatto un buon lavoro, deve concludere dunque in un modo che appaia, che risulti vero per poter essere utilizzata questa conclusione per altri discorsi da costruirsi sopra, tant’è che se una conclusione risulta falsa non viene seguita quella direzione viene abbandonata. Una domanda che pochi si sono posti è perché, perché se una cosa appare platealmente falsa viene abbandonata? Chi costringe a fare una cosa del genere? Eppure, appare naturale, ma la natura c’entra molto poco, è che sono costretti a fare così da quella struttura che consente loro di pensare ma che consente di pensare in questo modo, perché questo è l’unico modo di pensare. Ecco perché cercano la verità.

 

Intervento: Quindi l’inconscio non è strutturato come un linguaggio? Perché nell’inconscio non esiste…

 

Sì, non esiste il tempo, non esiste la contraddizione, certo. (Non esiste la verità) No, non ne ha bisogno. Per questo dicevo che se avessimo voluto piegare Freud a quello che andiamo dicendo avremmo anche potuto farlo. In fondo, il linguaggio non è altro che una sequenza di istruzioni che servono a costruire proposizioni, di per sé non è né vero né falso, perché delle istruzioni non sono vere oppure false, sono solo istruzioni, comandi. E, quindi, ecco che Freud per primo ha intravisto la questione del linguaggio ma, non avendo le cognizioni sufficienti, l’ha chiamato inconscio. Se volessimo fare una cosa del genere ma non la vogliamo fare, quindi, cancelli tutto, certo, ma non solo Freud ma anche altri prima di lui hanno immaginato che all’origine ci fosse qualche cosa che non fosse né vero né falso e, in effetti, dicevo, per stabilire che una cosa è vera o è falsa occorre un criterio, ma questo criterio da dove arriva? O il criterio precede il vero e il falso ma allora come facciamo a sapere se questo criterio è vero, quello che stiamo utilizzando? Come dicevamo in varie occasioni per potere stabilire se qualcosa è vera oppure falsa occorre un criterio che sia vero ma se ancora non so che cosa è vero, come faccio a sapere se questo criterio sarà vero? C’è qualche cosa gli umani l’hanno intuito in qualche modo, potrei quasi dire da sempre, naturalmente ciascuno ci ha posto quello che gli è parso più opportuno ma forse la soluzione era così semplice, così a portata di mano, da sfuggire come talvolta accade, e cioè che questa cosa che è la condizione di qualunque altra si trova esattamente in ciò che mi sta consentendo di domandarmelo, e cioè in questa struttura che mi sta permettendo di pensare queste cose. Certo, ovviamente vincola il modo di pensare, c’è solo quello, non è che ne abbiamo altri, dei comandi, delle istruzioni. Una persona che è andata vicino a tutto ciò è Alan Turing, che ha inventato il computer. Quando si è posto il problema di costruire delle macchine pensanti, come le chiamava lui, si è posto dei problemi molto simili, e cioè come avviare, come insegnare a una macchina a pensare. La prima cosa che gli è veneta in mente è che si insegna a un bambino allo stesso modo, e cioè gli si immettono delle informazioni e insieme con queste informazioni gli si dice anche come utilizzarle e una macchina funziona così. È ovvio che non basta mettergli delle informazioni se no sarebbe un database spento, occorre che sappia come utilizzarle, ovviamente, e anche in una macchina gli si immettono delle informazioni che consentono di potere utilizzare informazioni che mano a mano gli vengono immesse. Sono informazioni, istruzioni soprattutto, molto semplici poi in realtà, un po’ come i quattro aminoacidi del Dna, di cui facevo l’allegoria l’altra volta. Primo, un elemento occorre che sia identificabile, e cioè non può essere necessariamente tutti gli altri. Oltre a questo primo comando ci sono altre due istruzioni, vale a dire, che non può essere altro da quello che è se no non è utilizzabile e deve avere la possibilità di inferire una cosa dall’altra. Non serve nient’altro tutto qui, con queste tre semplici istruzioni è possibile costruire qualunque pensiero, qualunque argomentazione, tutto ciò che gli umani hanno pensato, sperato, atteso, costruito, è costruito in questo modo. Adesso l’ho fatta molto rapida naturalmente, la cosa è un pochino più complessa, però chi può saperne di più può trovare quello che vuole sul nostro sito. Quindi, la psicanalisi è quel metodo che riconduce le cose là da dove arrivano e le mostra per quelle che sono, atti linguistici e quindi sequenze di proposizioni. Ora, la cosa può piacere oppure no, ovviamente. Però, non ci siamo mai posti un criterio estetico se una cosa sia bella o sia brutta, semplicemente ad un certo punto è apparsa come l’unica possibilità, non c’era via di uscita, l’unica possibilità, perché il linguaggio è quella cosa che consente la costruzione di qualunque criterio per potere stabilire che qualcosa è vero o è falso, se è buono o cattivo, se è bello o brutto. Prima del linguaggio, in effetti, non c’è niente e non c’è uscita dal linguaggio; dal momento in cui si è dentro non è più possibile uscirne, né peraltro è possibile pensare come sarebbe senza linguaggio perché è materialmente impossibile, con che cosa lo faccio? Certo, posso chiedermi se c’è qualche cosa fuori dal linguaggio, com’è fuori dal linguaggio, posso fare tutto quello che mi pare, il linguaggio mi consente anche questo, ma non posso formulare nessuna risposta. Tutto ciò che posso dire a questo riguardo sarebbero quelle cose che Wittgenstein chiamava non sensi, cioè cose che non hanno nessuna soluzione, nessuna possibilità di risposta, perché per rispondere, per farmi questa domanda, per concepire questa domanda, sono costretto a utilizzare il linguaggio, non posso venirne fuori. Ma, come ho detto prima, non è né bene né male, è semplicemente ciò di cui gli umani vivono e attraverso cui e per cui vivono tutta la loro vita, che non è né bella né brutta, né buona né cattiva, è una sequenza. Naturalmente, si possono costruire giochi linguistici che invece dicono che, per esempio, una certa cosa è buona o cattiva, certo, perché no? È possibile qualunque cosa, però provate a ricondurre qualunque cosa là da dove arriva e tutto apparirà per un verso straordinariamente semplice, di una semplicità incredibile, dall’altra vi troverete ad agire il linguaggio anziché subirlo, e cioè in un certo senso sapere sempre comunque perché pensate quello che pensate, da dove viene.

 

Intervento: Dunque, per la psicanalisi non esiste la fede?

 

Al pari di qualunque altra cosa la fede è un discorso che ha coinvolto molte persone e continua a coinvolgerle. Qualcuno ha anche pensato che se gli umani sono disposti a credere in un dio allora sono disposti a credere a qualunque cosa e il suo contrario. Abbiamo costruito la prova dell’esistenza di dio utilizzando la retorica e la logica, una prova abbastanza forte, ma una volta compiuta questa prova poi cosa abbiamo fatto in realtà? Abbiamo costruito delle sequenze di proposizioni, tutto qui. È per un verso anche uno strumento formidabile per fare tutta questa operazione, per costruire questo metodo è stato necessario perdere appunto ogni speranza, perdere ogni rispetto, perdere ogni comune senso del pudore, e cioè non rispettare più niente, più nessuno per nessun motivo, né la cosiddetta auctoritas, che interviene talvolta quando si ragiona in ambito teorico, né tutto ciò che era stato detto, fatto, scritto da tutte le persone che ci hanno precedute, che abbiamo dovuto considerare certamente, appunto senza nessun rispetto, e questo ha riportato degli effetti, dei risultati: all’inizio un vuoto, vuoto totale dicevamo la volta scorsa, e cioè l’assenza di qualunque riferimento. Bene o male che fosse la cosa, non ci ha preoccupati minimamente, perché dopo avere perduto ogni cosa ci siamo ritrovati con l’unica cosa che era rimasta, cioè quella che ci permetteva, ci consentiva in quel momento di …

 

Intervento: non ha chiuso la frase prima …

 

Sì, era l’unica cosa che ci era rimasta, quella stessa cosa che ci aveva consentito di arrivare a quel punto, e cioè il linguaggio, dopo c’era niente. E, allora, da lì abbiamo cominciato a considerare che effettivamente poteva porsi come quella cosa che gli umani hanno cercato da quando esistono, da quando c’è traccia di loro, cioè il fondamento. Pensi a tutto il percorso che è stato fatto dalla filosofia, soprattutto ma non solo, per trovare il fondamento, la filosofia cercava l’essere, però senza naturalmente trovare alcunché perché ogni volta che veniva trovato qualcosa poi veniva scalzata da qualche altra. La trovata è stata di porre a fondamento ciò stesso che ci consentiva di pensare tutte queste cose e oltre la quale cosa non era più possibile andare perché non è possibile uscire dal linguaggio, con che cosa lo faccio? E, allora, abbiamo decisamente, risolutamente posto il linguaggio come il fondamento e da lì naturalmente considerare e riconsiderare moltissime cose che nel frattempo erano intervenute ponendo però sempre come riferimento non il possibile o il contingente ma il necessario, intendendo con necessario una cosa ben precisa e cioè: ciò che è e non può non essere, perché se non fosse allora non sarebbe né quella cosa né nessun altra. C’è una sola cosa che risponde a questo requisito ed è il linguaggio, qualunque altra cosa può essere tolta, modificata, aggiunta senza che per questo si cessi di parlare o di pensare …

 

Intervento: c’è un livello di arbitrarietà in questo nel porre a fondamento il linguaggio? (no!) perché arrivare fino a lì uno ci arriva, a me sembra una scelta di fede onestamente come tante altre, tutto il resto lo capisco, ma non capisco la necessità di porlo a fondamento …

 

Ci siamo giunti così ad un certo punto non per fede ma per esclusione e per necessità logica, e cioè l’unica cosa che era necessaria per fare qualunque considerazione, di qualunque tipo, in un senso o nell’altro, era questa, e cioè quella struttura che chiamiamo linguaggio. A questo punto abbiamo cercato naturalmente di considerare che potesse non essere l’unica condizione e per circa vent’anni abbiamo, perché eravamo in tanti, abbiamo cercato in tutti i modi di trovare delle argomentazioni retoriche o logiche per confutare questa affermazione. Ora, in questi venti anni abbiamo trovato moltissime cose ovviamente, però rimaneva il fatto che per confutare tutte queste cose, per trovare altre vie, altre direzioni, per trovare quindi altri criteri, altre teorie, comunque avevamo la necessità di utilizzare quella stessa cosa che in tutti i modi si cercava di neutralizzare in qualche modo. Non è stato un atto di fede, l’atto di fede è tale quando si crede in qualche cosa che non può essere provato, in questo caso può essere non solo provato, perché in realtà non c’è una prova, perché è qualche cosa che è al di qua di qualunque prova, è la condizione di qualunque prova.

 

Intervento: il fatto che quando apprendiamo il linguaggio non sappiamo il linguaggio, c’è un momento in cui …mi fa pensare non è che non esiste nulla al di fuori del linguaggio non esiste nulla di cui si può parlare chiaramente…

 

Che differenza fa?

 

Intervento: …no, se io necessito di trovare un fondamento l’unico che posso trovare in maniera forte e rigorosa sono d’accordo che è il linguaggio, però io potrei non necessitare di trovare questo fondamento perché non è che tutto esiste nel linguaggio…

 

La necessità di reperire questo fondamento non è stata in realtà una necessità, è stato reperito, e tanto basta, come qualcosa di inevitabile. Questo serve soltanto in ambito teorico per costruire una teoria che sia molto potente ed è risultata, oltre che molto potente, anche inattaccabile, inconfutabile, perché è un marchingegno che alcuni hanno giudicato diabolico che non può essere confutato salvo utilizzare questo stesso marchingegno. Questo è l’effetto di tutto ciò, non era quello che cercavamo in realtà però è risultato questo. Certo, possiamo dire che non tutto è linguaggio, l’ho appena detto, posso provarlo? No. Qui mi serve l’atto di fede, qui ho bisogno dell’atto di fede, devo crederci ma non posso provarlo, posso pensare a questo punto qualunque cosa e il suo contrario, è assolutamente irrilevante, posso pensare che sono stati i marziani a costruire gli umani, chi me lo vieta, lei stesso può affermare di sé di essere dio per esempio, lei non lo può provare, d’altra parte noi non possiamo provare il contrario. Quando si cerca, come dicevo prima, il fondamento a qualche cosa fuori dalla struttura che l’ha costruita ci si trova presi in un vortice da cui non c’è più uscita, e cioè può dare qualunque risposta e la sua contraria, andrà sempre bene, nessuna delle due sarà probabile.

 

Intervento: E comunque del linguaggio come se la cava con Gödel della logica che dice che la proposizione….?

 

Ed è più potente anche di ciò che ha fatto Gödel, vale a dire, del suo teorema di incompletezza, perché in questo caso, contrariamente alla matematica dove è possibile inserire un’affermazione che dice che non è dimostrabile e si può provarla, e questa è stata la spina nel fianco della matematica, dell’aritmetica in particolare, in questo caso invece io posso affermare che esiste qualche cosa che è fuori dal linguaggio ma non lo posso provare. Quindi, gödelianamente, il sistema è coerente e completo, perché contiene questa affermazione ma non la può provare, mentre il sistema di Gödel la contiene e la può provare, questo è stato il problema grosso, in questo caso no e, quindi, è completo e coerente.

 

Intervento: Quindi, di conseguenza un malato usa il linguaggio male? Essendo tutto derivante dal linguaggio

 

No, non è che usa il linguaggio bene o male o non sa formulare bene e correttamente le proposizioni e sbaglia i congiuntivi, non è questa la questione. Semplicemente, crede fortemente, lui come infinite altre persone crede fortemente alcune cose, credendoci fortemente queste cose in cui crede hanno delle implicazioni, delle connessioni, dei risvolti, che lo portano a quella condizione che può lamentare come un male, non necessariamente, ciò che per alcuni è male, per altri è benissimo ad esempio, questa è una cosa che è saputa da sempre.

 

Intervento: Quello che diceva prima di Gödel ha a che fare con la corrispondenza con la realtà, non con la logica del linguaggio, che io non possa provare che ci sia qualcosa fuori dal linguaggio non è all’interno del sistema logico del linguaggio, è una cosa…

 

Come no? Chi l’ha costruito? Chi ha costruita questa affermazione (regole tautologiche, quelle che diceva prima no? A è uguale ad A…)

 

Ho fatto una cosa molto semplice ho costruito una sequenza che dice che esiste almeno una x che non appartiene al linguaggio. Ora, questa sequenza l’ha costruita il linguaggio, è all’interno del sistema ma questa affermazione non può essere provata, è all’interno del sistema, quindi, il sistema è completo, perché afferma un qualche cosa che dovrebbe negarlo, lo negherebbe se questa affermazione fosse provabile naturalmente ma, siccome non lo è, il sistema rimane coerente se no sarebbe autocontraddittorio, così come Gödel ha rilevato dell’aritmetica …

 

Intervento: Noi lo apprendiamo il linguaggio, il fatto che noi l’apprendiamo quando non lo sappiamo il linguaggio non dimostra che esiste qualcosa fuori dal linguaggio?

 

Certo che lo apprendiamo, sì, è vero, lo apprendiamo da altre persone che lo parlano, naturalmente. Era come quella persona che, quando proponevo l’eventualità che la macchina riuscisse a pensare come gli umani esattamente come gli umani, disse “la macchina non penserà mai come pensano gli umani perché una macchina sarà sempre costruita da un uomo”. Ma anche un uomo è costruito da altri uomini, esattamente allo stesso modo. Certo che sappiamo tutte queste cose, qualche cosa che esiste prima del linguaggio lo diciamo continuamente, ne facciamo uso continuamente, utilizziamo questi giochi linguistici, che sono giochi linguistici, naturalmente, che non sono in nessun modo provabili, dimostrabili, in alcun modo, ma li utilizziamo come infiniti altri.

 

Intervento: Però, manca qualcosa Faioni,

 

Cosa manca? Sentiamo cosa manca? Ce lo inseriamo

 

Intervento: Certamente, anche a me manca qualcosa al momento in cui comincio a discutere con lei (ma in questo caso mi interessava cosa manca)

 

Intervento: Però, quello che mi sorprende, pur comprendendo benissimo quello che dice o lei ipotizza, le istruzioni, il Dna del linguaggio come innato e poi ancora però è come se lei considerasse un infante, non dico bambino, ma un infante come animale non umano mentre non è proprio così, il bambino non parla ma è già in relazione…

 

Queste sono questioni ardue (e lei se ne sbarazza velocemente) Sì, molto rapidamente

 

Intervento: E’ una affermazione sbrigativa la tua, vai a leggere sul sito per quanti anni abbiamo considerata proprio questa questione…

 

Se io affermo che il bambino è simile agli animali, cioè reagisce a delle cose, reagisce, certo. Però, ciò che io attribuisco al bambino è qualcosa che faccio io ovviamente così come faccio anche con gli animali, non sto dicendo che il bambino è un animale, qualcuno può anche pensarlo e poi secondo i casi ….  Ma dire del bambino che ha delle reazioni che lo avvicinano all’essere umano, chi lo dice in realtà? Lo dice il bambino, l’infante o lo diciamo noi? Che non siamo più infanti e il fatto che lo diciamo noi potrebbe non essere del tutto irrilevante.

 

Intervento: Certamente, però il bambino inventa strategie per soddisfare dei bisogni che sono fuori dal linguaggio, poi è vero che ci entra perché?

 

Sì, ma qualunque animale lo fa, ci sono società animali molto evolute come le formiche ad esempio, che hanno un’organizzazione sociale notevole. Ma qui torniamo alla questione di Benveniste, non so se se lo ricorda? Il linguaggio degli animali, il fatto che gli animali fanno certe cose, certo, fanno certe cose ma non hanno la possibilità di variare la loro condotta e soprattutto non possono fare una cosa che è tipica degli umani, non possono mentire, che prevede tutta una serie di giochi linguistici notevoli. L’animale, certo, reagisce a degli stimoli, qualunque cosa reagisce ad uno stimolo, anche una lampadina se cade per terra, reagisce a uno stimolo, si spacca, dipende che cosa intendiamo con reagire a uno stimolo, dipende da cosa intendiamo con stimolo, dipende da una quantità sterminata di cose, di definizioni che abbiamo dato preventivamente, che abbiamo accolte e sarebbe il caso di chiedersi perché le abbiamo accolte, in ambito teorico se si vuole procedere in modo corretto, si deve procedere così, cioè una definizione non è sufficiente, perché uno dà una definizione? Su cosa si basa?

 

Intervento: Però, ci sono tutta una serie di ricerche….

 

Abbiamo detto delle ricerche.

 

Intervento: Come la relazione madre bambino, che non possiamo non tener conto, è chiaro che la madre è già lì con il suo linguaggio quindi…

 

E il bambino imparerà a parlare e da quel momento sarà nel linguaggio e da quel momento non saprà più nulla di ciò che c’era prima, in nessun modo.

 

Intervento: Subire e agire, subire il linguaggio e agirlo, difficile dire chi viva meglio, vede un vantaggio, una miglioria nella natura piuttosto che subire il linguaggio? Io potrei vivere sentendomi parte di questo linguaggio, contrariamente a quello che diceva Heidegger…a me può anche piacere questo ….se c’è una priorità agirlo o subirlo?

 

E questo non glielo so dire, è una valutazione estetica che è assolutamente soggettiva. Posso dire che agire il linguaggio è sapere sempre e non potere non sapere che cosa sta accadendo in ciascun istante in ciò che lei sta dicendo, perché sta pensando quello che sta pensando, subirlo no, mette in condizione di pensare sicuramente più efficacemente e più rapidamente.

 

Intervento: beh dimentichiamo che parliamo sempre di psicanalisi, in una analisi una persona che va in analisi per esempio per una depressione è ovvio che agisce “il suo subire”, la sua sofferenza, la costruisce letteralmente, costruisce il suo “destino”. Ecco che continuando l’analisi ad un certo momento si trova ad agire il linguaggio e allora è meglio o peggio?

 

Questa è la scommessa, certo.

 

Intervento: per uno che produce malessere sicuramente è meglio ma se non ci fosse malessere…

 

Intervento: Sicuramente, dipende dalla struttura di discorso in cui si trova la persona ma è un esempio per intendere anche, volendo, che cosa vuol dire agire il linguaggio, una persona che va in analisi per una depressione, per cui è “costruttrice” di tragedia, ecco che ad un certo momento, se è estremamente curiosa, passo dopo passo, discorso dopo discorso, mettendo alla prova, le proprie verità, la propria realtà, si ritrova a fare questo ad agire il linguaggio, e questo è un esempio.

 

Ne faccio un altro ancora terra a terra, un fondamentalista islamico che si mette tutto il C4 e si fa saltare per aria sta benissimo non ha problemi, sta straordinariamente bene, anzi, è felice in quel momento perché sa che andrà con le settanta vergini famose.

Va bene dobbiamo chiudere qui, però queste conversazioni proseguono ciascun mercoledì sera alle ore 21 presso la sede dell’associazione. Chiunque sia interessato può venire quando vuole.