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LOGICA vs CAOS

 

27 aprile 1999

 

Il tema questa sera è "Logica o caos", due temi importanti nella storia del pensiero. La questione antica è questa, cioè se il pensiero, e quindi la condotta, il fare degli umani, è retto dal caos oppure segue una logica. Ma ovviamente prima di affrontare una simile questione occorrerebbe definire entrambe le cose, la logica e il caos, perché dipende da cosa intenderemo con logica o caos ciò che risponderemo a questa domanda, dal momento che come accade ciascuna volta è fondamentale stabilire che cosa si intenda con un concetto per potere verificare la validità di questo concetto. Naturalmente, qualunque cosa intenda con caos o con logica questa definizione risulterà arbitraria, essendo arbitraria e quindi non necessaria, può essere sostituita con qualunque altra. Generalmente, si accolgono le definizioni che, così come fa la scienza o così come ha sempre fatto la filosofia, meglio si attagliano e meglio sono utilizzabili dall’obiettivo che si vuol raggiungere. Generalmente, con caos, oggi anche leggi del caos, si intende tutto ciò che muove ma di questo movimento non è individuabile l’origine, il punto di partenza, e pertanto non è prevedibile la traiettoria e quindi il suo andamento. Con logica invece si intende ciò che è retto da leggi di inferenza molto precise, la deduzione soprattutto ma anche l’induzione; in definitiva con logica, se qualcosa è mosso, è retto dalla logica ed è possibile individuarne l’origine, quindi la traiettoria e pertanto il punto di arrivo. Ma al di là dei vari sostenitori dell’una tesi o dell’altra, interessa qui mostrare come sia possibile costruire delle definizioni, tanto di logica quanto di caos, che risultino necessarie in modo da trovarci nella condizione di non potere stabilire con certezza né l’una cosa né l’altra. Prendete il caos, ad esempio: al di là delle considerazioni più antiche circa l’assoluta imponderabilità del pensiero dell’uomo e cioè del fatto che nei secoli passati non è mai stato possibile prevedere alcunché di ciò che sarebbe seguito e al di là ancora del fatto che a tutt’oggi l’arte della previsione è lontanissima dall’avere qualche fondamento, ciononostante, dicevo, il caos esercita un notevole attrazione sugli umani, soprattutto laddove tutte le dottrine, le discipline che sono o sono state preposte alla previsione e quindi alla sistematizzazione degli eventi, quando dunque tutto ciò fallisce, quando in definitiva la scienza, la logica falliscono, ecco che allora subentra a fianco del caos l’altra dottrina, cioè quella religiosa. Come sapete la religione ha sempre fiancheggiato il discorso scientifico, dove il discorso scientifico è più fortemente consolidato là la religione ha maggiore potere, proprio perché il discorso scientifico, portato alle estreme conseguenze e mostrando la corda, induce gli umani a volgersi verso qualche altra certezza. Ma rimane il caos. Il caos per alcuni versi politicamente è stato affiancato, anche se con molte riserve, al pensiero anarchico, cioè il pensiero che constata l’impossibilità di potere stabilire non soltanto qualunque certezza ma anche e soprattutto l’impossibilità di potere confermare qualunque valore. Dunque il caos, che etimologicamente potrebbe essere accostato all’assenza di origine. Le leggi del caos sono quelle che rilevano l’impossibilità di stabilire l’origine del movimento, di un qualunque movimento. Se non c’è origine non ci sono radici, non ci sono valori, così come vuole la morale e pertanto qualunque atto, qualunque gesto, è giustificato, non soltanto politicamente, come dire mostra l’acmé dell’incontrollabilità di ciò che circonda gli umani. Tuttavia, per potere fare queste considerazioni, per potere stabilire per esempio una assoluta priorità del caos, non soltanto nella vita di ciascuno, ma come ciò che regola l’andamento di qualunque elemento esista, per potere fare questo dunque occorrono delle leggi logiche molto precise. Per potere affermare una legge, quella del caos per esempio, per affermare che il caos impera occorre che una struttura logica consenta di compiere questa operazione e cioè consenta di porre un antecedente e un conseguente. Solo a questa condizione io posso rilevare l’esistenza del caos. Questo consente di stabilire un elemento fondamentale e cioè che senza la logica non può darsi il caos in nessun modo, cioè senza una struttura che mi consenta di accorgermi che esiste oppure soltanto di stabilire che esiste il caos. Dunque, la priorità della logica? Potrebbe essere, ma la logica intesa in tutt’altro modo da come viene intesa generalmente. Come sapete, con logica si intende una struttura che indica qual è il corretto modo di ragionare, cioè indica quali sono le inferenze legittime e quelle illegittime, quelle che consentono di giungere a conclusioni certe e quelle che non consentono. Ecco, non è tanto in questa accezione che intendo la nozione di logica quanto piuttosto una logica che risulti assolutamente necessaria e cioè quella che è fatta unicamente delle strutture di cui è fatto il linguaggio. Intendo, quindi, con logica unicamente ciò attraverso cui e per cui il linguaggio esiste. Alcune di queste procedure le abbiamo individuate e sono quelle che già Aristotele aveva reperite nel linguaggio, i suoi tre principi fondamentali, "terzo escluso", "identità" e "non contraddizione". Posta la logica in questa accezione, come ciò che fa funzionare il linguaggio, allora effettivamente la logica risulta assolutamente necessaria anche per potere stabilire il caos. Senza questa logica, come dicevo prima, il caos non è soltanto reperibile ma non esiste in nessun modo, perché per potere stabilire che qualcosa esiste mi è indispensabile una struttura che mi consenta di farlo. Tuttavia, tutto ciò che attiene al caos ha sempre esercitato sugli umani un fascino notevole e in effetti il fascino procede dall’idea di potere sbarazzarsi di qualunque logica, di qualunque connessione, di qualunque connessione obbligata. Il caos non può in nessun modo fare a meno di connessioni ma si suppone che queste connessioni siano ciascuna volta assolutamente arbitrarie, imprevedibili. Tale arbitrarietà, tale imprevedibilità elimina tutto ciò che è costrittivo, non a caso l’anarchia, come movimento politico, aveva in animo di eliminare appunto tutto ciò che ha un carattere costrittivo, politicamente o socialmente, lasciando maggior spazio alle risorse individuali. Perché sbarazzarsi di ciò che è costrittivo? Questa è una questione notevole. Sarebbe il caso di considerare perché gli umani cercano sempre di togliere tutto ciò che li costringe, senza tenere conto che gli stessi umani hanno costruito tali costrizioni. Parrebbe che ciò che Freud individua come nevrosi ripeta all’infinito questo meccanismo e cioè di creare delle costrizioni per poi potersene sbarazzare. Un procedimento sicuramente economicamente poco interessante ma ciò nonostante sempre funzionante, così come avviene con estrema frequenza che una persona che apparentemente non ha problemi, che sta bene, come suol dirsi, trovi prima o poi il modo per stare male, dal momento che se ritiene di essere in preda al caos allora cerca disperatamente delle leggi che ordinino la sua esistenza; se invece la sua esistenza è regolata da leggi precise e rigorose allora si volge verso il caos per distruggere tali leggi. Questo andamento potremmo dire, così ciclico non è certamente cosa recente, funziona così da quando abbiamo traccia degli umani. Naturalmente ciascuna volta c’è la supremazia dell’una o l’altra cosa e lo stesso Thomas Kuhn rispetto alla rivoluzione scientifica giunge ad una considerazione per alcuni versi non lontanissima laddove dice che rispetto alla ricerca scientifica programmata da leggi stabili e salde occorre una sorta di rivoluzione, e cioè che il caos rifaccia la sua comparsa, solo allora è possibile sovvertire l’ordine esistente e quindi trovarne un altro. Fin qui tutto sembra abbastanza normale, abbastanza regolare. Stesso andamento che ritrovate nei cosiddetti depressi e che gli psichiatri amano chiamare ciclotimico: oggi entusiasti della vita, pieni di voglia di fare e di lavorare, domani affranti e assolutamente incapaci di muovere un dito…. Naturalmente tutto ciò non è che ci porti molto lontano. Ciò che invece interessa rispetto a queste considerazioni è il fatto che qualunque definizione risulti di caos, tale definizione sarà comunque sempre arbitraria, come qualunque definizione. Questa è forse la considerazione più interessante e più rilevante, in qualunque modo voi definiate il caos o definiate la logica, come vi dicevo prima, da questa definizione sarà possibile stabilire se legittimamente possiamo aspettarci il caos oppure la logica, oppure il rigore oppure la consequenzialità obbligata. Ciascuno poi in effetti nel quotidiano incontra o si scontra con questi due aspetti, vi dicevo prima che ciò che Freud indica come nevrosi non è altro che un modo di affrontare la questione in modo tale che ciascuna volta si riconduca a una sorta di ordine. Per esempio, il caos può essere inteso come l’impossibilità di stabilire il proprio pensiero, di dargli un ordinamento, trovarsi cioè in balia del caos appunto. Allora la nevrosi tenta a modo suo di individuare qualcosa di stabile, di fermo, delle leggi, in modo da regolamentare la sua vita, in modo che ci siano dei punti fermi. Prendete per esempio i casi che Freud considera di nevrosi ossessiva, i rituali i cerimoniali ossessivi, hanno questa funzione, di punteggiare la propria vita con dei punti fermi, fissi, saldi, appunto i cerimoniali, come dei riferimenti, riferimenti sicuri, da ripetere ciascuna volta in cui si è minacciati dalla incontrollabilità di ciò che circonda. In buona parte tutta la storia degli umani è costruita sulla necessità di eliminare il caos, e cioè l’imprevedibilità, dare un nome alla natura, dare un nome alle cose. L’invenzione delle religioni hanno questa funzione, eliminare il caos. Caos che tuttavia, come dicevamo all’inizio, è tutt’altro che eliminato dalla vita degli umani, anzi, solo che viene considerato caos, e cioè un elemento assolutamente imponderabile e ostile per lo più, almeno dalla più parte delle persone e anche tutto sommato da coloro che lo accolgono, immaginando che accogliendolo risulti meno ostile. Ma com’è che una cosa del genere risulta ostile e quindi nemica degli umani, dal momento che abbiamo considerato che per considerare lo stesso caos fosse necessaria una logica molto rigorosa? Avviene che lungo questa logica, di cui è fatto il linguaggio, che fa esistere il linguaggio, ci si imbatta nella impossibilità di uscire da tale logica, come dire che in qualunque modo tenti di uscire dal linguaggio comunque questo avverrà attraverso il linguaggio. Questo per esempio è uno dei modi per indicare che la logica di cui sto parlando è ineliminabile. Allora, di fronte a questa impossibilità, questa stessa impossibilità può in taluni casi essere avvertita come una minaccia come se gli umani fossero regolati e governati da qualcosa che non possono governare. In effetti non hanno tutti i torti, sono governati dalla struttura che consente loro di esistere, cioè il linguaggio, e che non possono governare, non lo possono governare perché loro stessi sono linguaggio. Per dirla altrimenti è come se il linguaggio fosse richiesto di governare se stesso. È a questo punto che sorge l’idea del caos, cioè di un qualche cosa che non sia più governato dalle leggi della logica e cioè in altri termini che sfugga al linguaggio: il caos sfugge al linguaggio, il caos non può essere gestito dal linguaggio, se no sarebbe sottoposto alle stesse regole rigorose. C’è l’eventualità, e la stiamo considerando, che gli umani abbiano da sempre immaginato il caos come ciò che è fuori da quella stessa struttura e che consente loro di occuparsene e cioè il linguaggio. Potremo dire che l’idea di caos è l’idea di un fuori della parola, lì c’è il caos immediatamente, e cioè nulla è più un senso. In effetti, senza una struttura che provveda tale senso qualunque cosa sarebbe priva di senso, dunque non si potrebbe più comunicare, parlare, esattamente come se ciascun elemento linguistico significasse simultaneamente e ciascuna volta ciascun atto linguistico. Ecco il caos, la cessazione del linguaggio. Caos dunque come l’idea di un fuori della parola, qual è l’alternativa al caos? Qualcosa che governi e che sia governabile e cioè che non sia qualcosa che governa gli umani ma che sia governato da questi, ecco l’idea di dio e cioè qualcosa che gli umani hanno inventato per potere gestire il caos e quindi il linguaggio, per poter dare un padrone al linguaggio. È un doppio giro che in effetti complica le cose molto più di quanto le semplifichi però funziona. In effetti, ciò che ha sempre governato il pensiero degli umani, laddove si è trattato di inventare una mente superiore, è stata questa idea che in assenza di questo nulla è più governabile, nulla ha più un senso e cioè appunto il caos, però... essere governati dal caos non è altro che, la fantasia più comune, è essere "governati" dall’assenza totale di qualunque regola del gioco. Se togliete la regola del gioco è impossibile giocare. Il linguaggio comporta la regola del gioco, le regole per giocare, se il caos toglie le regole allora non è più possibile giocare. Ma perché inventare il caos? A che scopo immaginare un’assenza di regole, cioè un assenza di linguaggio, anche solo la sua possibilità? In effetti, più che uno scopo è un’esigenza che muove dal timore fondamentale, antico, il timore che ciascuno possa venire distrutto dallo stesso linguaggio laddove questo si autodistrugge attraverso il paradosso. Ora, questo ha inquietato da sempre gli umani. Qualunque affermazione, come voi sapete, ha una contraddittoria, è sufficiente porre come vere entrambe e c’è una sorta di autodistruzione della proposizione, il congegno di autodistruzione che distruggendosi elimina la possibilità di proseguire il discorso. Se io affermo che una certa cosa è vera, e che è altrettanto vera la sua contraddittoria, il discorso non può proseguire in quella direzione, si distrugge. Immaginate che sia possibile farlo per qualsiasi proposizione, che ciascuna proposizione abbia una proposizione contraddittoria e, quello che è peggio, vera. Alcune fantasie o ricerche intorno all’antimateria hanno a fondamento una cosa del genere, il discorso che distrugge se stesso, proposizione dopo proposizione, in modo tale che alla fine non resta nulla. Questa che adesso vi pongo così come fantasia in alcuni casi è stata posta come eventualità, soprattutto dagli antichi i quali consideravano il paradosso con una sorta di sacro terrore. Narrano gli antichi che Filita di Coo morì di paradosso. Di fronte all’impossibilità di risolvere un paradosso restano vere entrambe le due proposizioni contraddittorie e avviene, come dicevo prima, una sorta di distruzione del discorso o addirittura del linguaggio. Allora sorge la necessità di un criterio che consenta ciascuna volta di stabilire quale dei due corni del dilemma è vero e quale è falso, in altri termini che cosa è bene e che cosa è male, in modo da potere salvarsi dalla distruzione, dal caos. Il caos è la distruzione in quanto è non linguaggio, il paradosso allude al caos, se tutto ciò che affermo è necessariamente vero e necessariamente falso, voi immediatamente intendete che qualunque discorso non può più farsi perché non ha più nessuna direzione, si autoelimina. Questo, come dicevo, ha spaventato parecchio gli antichi, i quali immaginavano che ciascuna proposizione avesse come referente qualcosa di molto materiale, un quid, una sostanza, un’ ousìa come dicevano i greci, per cui il paradosso non era soltanto un ghiribizzo linguistico ma una minaccia per l’esistenza stessa delle cose. È chiaro che se una proposizione, qualunque essa sia, si riferisce a qualcosa di reale e cioè, paradossalmente, di extralinguistico, se viene distrutta la possibilità di tale proposizione, viene distrutto anche ciò che ne è il referente. Ciò che è sfuggito agli antichi, e continua a sfuggire, è che ciascuna proposizione non ha nessun altro referente se non un’altra proposizione e così via all’infinito. Questo ovviamente elimina il paradosso o lo pone unicamente sotto un piano retorico, una figura retorica. Retoricamente è sempre possibile costruire una contraddittoria ma logicamente no, nell’accezione di logica che indicavo prima, perché varrebbe a costruire una proposizione che indica il fuori dal linguaggio, cioè una proposizione appunto autocontraddittoria, che nega ciò stesso che le consente di esistere. Ecco dunque, il caos non è altro che l’idea del fuori dal linguaggio, del fuori da questa struttura e quindi la distruzione di qualunque cosa. E in effetti non a torto. Se il linguaggio si distruggesse verrebbero cancellate allo stesso istante tutti gli esseri umani, tutto ciò che è esistito, tutto ciò che esiste e tutto ciò che esisterà, anzi, tutto ciò non sarebbe mai esistito, per dirla in termini più appropriati. Vi rendete conto quindi di una certa apprensione che gli antichi mostravano nei confronti del caos, e quindi dell’assenza di regole e della possibilità che il linguaggio si potesse distruggere. Naturalmente non si distrugge ma il timore è stato forte, non si distrugge per un motivo molto semplice, e cioè che la proposizione che potrebbe distruggerlo in toto non è possibile costruirla, non è possibile costruirla perché richiede il linguaggio, vale a dire, ciò stesso che vorrebbe distruggere. Come dire che ha bisogno di tenersi in piedi per potere distruggersi. È una sorta di circolo vizioso da cui non esce. Eppure, non c’è nessuna eventualità che questo possa darsi, tuttavia le religioni hanno costruito un’entità che da fuori dalla parola non fosse autocontraddittoria e garantisse tutta la struttura portante. Uno sforzo notevole per costruire una cosa del genere lo fece Tommaso, costruire un’idea di un dio e cioè di qualche cosa che pur stando fuori dalla parola non fosse autocontraddittorio, questione che lo angustiò parecchio, finché risolse almeno parzialmente il problema nel De ente et essentia. Ma per tornare a una questione più semplice, come può avvenire che qualcuno tema di essere distrutto dal proprio discorso, come avviene nella malinconia, nella depressione o in altre figure come l’angoscia? Come può avvenire, come può pensare una cosa del genere? Eppure, se voi ascoltate un depresso, un angosciato, ecc., l’idea è che i suoi stessi pensieri possano giungere a distruggerlo. C’è l’eventualità che la struttura sia la stessa, cioè quella che indicavo prima e cioè il timore che i propri pensieri possano distruggere ciò stesso che consente di esistere, il che è pensato come le proprie credenze, i propri valori le cose su cui ci si fonda. Talvolta il discorso del cosiddetto …

CAMBIO CASSETTA

… una sorta di sostanza, di materialità o più propriamente di verità assoluta, necessaria. È questo l’intoppo perché, se cessassi di compiere questa operazione, tutto ciò che penso sarebbe assolutamente legittimo, soprattutto non avrebbe nessun effetto, nessun contraccolpo in quanto verrebbe colto esattamente per ciò che è, vale a dire, come una figura retorica, una costruzione linguistica più o meno divertente, più o meno utile, ma niente più di questo e pertanto cesserebbe di angustiarsi o più propriamente non avrebbe più nessun motivo per farlo. È esattamente ciò che fa l’analista della parola: porre le condizioni perché la sofferenza, il disagio ecc. non siano più necessari. Perché possano non essere più necessari occorre che alcune cose che sono ritenute incrollabili, certe e definite oltre che definitive, possano inserirsi all’interno di un gioco che ha regole differenti, dal momento che finché mantiene quelle stesse regole non potrà fare nient’altro che ciò che sta facendo e cioè per esempio stare malissimo. Ora, ciascuno può stare bene o stare male, come preferisce, ma in alcuni casi non ci si accorge che è possibile una cosa del genere, che è soltanto una preferenza e si ritiene una cosa ineluttabile, ineludibile da qui una serie di problemi. Vero Sandro? Qualche notazione Sandro?

Intervento: Mi viene in mente l’onnipotenza dei pensieri in Freud sulla distruzione …

Sì, l’idea, la fantasia dell’ossessivo è questa: non faccio niente perché se facessi qualcosa distruggerei il mondo, non succede nulla ovviamente …

Intervento: Anch’io avevo pensato all’onnipotenza del pensiero di cui parlava Freud, per cui se libero il mio pensiero succedono misfatti …

Sì, da dove viene un pensiero del genere? (Freud ha dato una spiegazione e cioè a un desiderio è congiunta la sua esecuzione, per cui avviene come un corto circuito… e l’elemento diventa ossessivo e continua a permanere, dà la capacità di poter costruire e decostruire a piacimento.….) Una sovrapposizione per l’ossessivo fra il desiderio e la sua realizzazione, per l’ossessivo il desiderio è già realizzato, basta pensarlo ed è già fatto … la sovrapposizione di due giochi differenti, ma nulla costringe se non una decisione a questa ripetitività del gioco. Quasi che comunque il piacere e la sofferenza continuino incessantemente, proprio per la necessità di differenza, per cui questa sofferenza e questo piacere sono in contrapposizione….ma in effetti sono dei termini che giocano lo stesso ruolo, come se significassero la stessa cosa…

Intervento: Il dizionario chiama caos ciò che c’era prima della creazione, perciò subito rimane già enunciato il discorso religioso, quindi senza poter riflettere….

Certo, dipende dall’accezione che si dà a questo termine, poi è ovvio che trovando sul dizionario una cosa del genere un ragazzino non mette in dubbio ciò che c’è scritto sul dizionario. Sul dizionario trovate un sacco di fesserie, questo è noto da sempre…(….) Sì, questo porterebbe a fare tutto un discorso sulla portata ideologica degli strumenti, non tanto degli insegnamenti in quanto tali, ma degli strumenti. Uno di questi è il dizionario, può essere un’enciclopedia, può essere la stessa grammatica, in molti casi sono fortemente connotate ideologicamente. È uno dei sistemi migliori per fare passare una ideologia, perché apparemente, puliti, non contaminati da ideologie, mentre non lo sono affatto. Come lei giustamente rilevava un dizionario è ideologicamente connotato e questo può essere un problema sicuramente poi, certo, se noi intendiamo caos come libertà, cioè assenza di costrizioni … però, ho tentato di intendere di dove viene questa idea del caos come appunto liberazione di una costrizione, e cioè che qualcosa costringe, o da dove può essere sorta un’idea di costrizione, però certe volte come dice lei è piacevole il caos…

Intervento:

Sì, anche se il nostro amico indica che in principio era il verbo anziché il caos … però in effetti che cosa ha fatto dio nel più bieco catechismo? Dal disordine generale ha detto tu sei sulla terra, tu sei un cane, tu sei una macchina da scrivere, cioè ha ordinato tutte le cose, ha dato un ordine, un nome soprattutto (….) ecco la famosa nomenclatura….

Intervento: La mancanza di valori …

Sì, il luogo comune è anche questo che lei enunciava, in assenza di regolamentazioni, di leggi e di valori c’è il caos o l’anarchia in questo caso si fa una sovrapposizione certo, anarchè è senza origine letteralmente….

Intervento:

Un po’ la stessa cosa avviene nell’economia propriamente detta, una oscillazione continua fra una parte "risparmio" e da quell’altra "grande investimento" …

Intervento: Il disagio come la risposta al caos. Mi chiedevo fino a che punto una persona che si considera disagiata sia convinta di controllare il caos …

No, non è che sia convinta di controllare il caos, talvolta accade che immagini di essere in preda al caos, al marasma, cioè tutti i suoi pensieri, le cose che la circondano non sono governabili, controllabili, in altri termini non vanno per il verso che vorrebbe lei e questo può creare qualche disagio. In questo senso, dicevo, si immagina circondata dal caos che la nevrosi tenta di gestire, incominciando a fermare qualche cosina, intanto.

Intervento:

Sì, è sempre possibile dare una mano a qualcuno a condizioni che lo voglia fare e cioè che questa persona si disponga a iniziare un percorso…(...) Però avverte il disagio e quindi si accorge che c’è qualche cosa che non funziona o non funziona come funzionava prima, magari ha degli elementi per accorgersi di qualcosa che preferirebbe modificare (….) Certo, se rifiuta qualunque offerta di qualunque tipo di aiuto gli si possa dare non si può fare niente (Quindi lo devono volere) Già. (Devono prima rendersi conto di qualcosa di anomalo e poi volerlo) Qualcosa del genere ché, come già diceva l’amica, già nei dizionari è inculcato un modo di pensare che comporta una serie di sbarramenti, impedimenti, per cui è sempre molto difficile che una persona possa considerare o pensare che il proprio modo di pensare comporti dei problemi. Generalmente, uno immagina che il modo in cui pensa lui sia quello giusto e questo rende le cose molto complicate, certo. In molti casi non è possibile fare nulla se non c’è una volontà da parte della persona di affrontare il proprio discorso. Ad esempio, nel caso di una psicanalisi, se una persona non vuole iniziare una psicanalisi non si può fare assolutamente niente, non si può intervenire in nessun modo, può ascoltare, sì, rendersi conto di molte cose, ma non può fare nulla. Questa era una delle vecchissime accuse che venivano fatte alla psicanalisi, di non potere agire sul sociale ma soltanto sull’individuo, perché occorre che l’individuo voglia fare questa cosa. Sul sociale in effetti non può intervenire, non può intervenire direttamente ma interviene indirettamente in quanto inserendo i migliori strumenti nei confronti dell’individuo, questo individuo si muoverà comunque nel sociale in un altro modo e quindi indirettamente c’è un ritorno nel sociale, anche se è chiaro che è un discorso un po’ a lungo termine…

Intervento:

Sì, in molti casi il ragazzino in tenera età, che magari già avverte qualche problema…. è possibile intervenire sui genitori, sul ragazzino è possibile fare molto poco, sui genitori invece sì. Occorre però che i genitori abbiano voglia di farlo se no non si può fare nulla né per l’uno né per l’altro. Invece nel caso delle scuole lì occorrerebbe fornire agli insegnati strumenti che non posseggono. Non aveva torto Peano quando diceva che inutile stare rompere le scatole alle persone all’università, insegnare cose che non faranno mai; invece a chi intende insegnare allora sì, questa persona deve essere addestrata molto bene, a questa persona occorre fornire strumenti raffinatissimi. Chi andrà a costruire villette a schiera non è necessario che sappia una quantità sterminata di cose, ma chi insegnerà a farlo sì…. Non aveva torto, agli esami all’università lasciava passare chiunque ma invece era dell’idea che occorresse pretendere molto da chi sarebbe andato a insegnare, generalmente il contrario di quello che avviene adesso, proprio perché è molto difficile intervenire su un ragazzino molto piccolo…. È possibile sì cogliere degli aspetti che poi è possibile utilizzare comunicandolo ai genitori, però dicevo se non c’è una richiesta da parte della persona è molto difficile (Ci può essere una chance…) Sì, perché se una persona qualunque crede già delle cose è sempre possibile utilizzando le cose che già crede portarla a credere anche altre, se invece strutturalmente non crede allora è difficile perché non c’è nessun aggancio.