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27 novembre 2003

 

L’invenzione della sessualità

 

Intervento di Cesare Miorin

 

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Intervento di Luciano Faioni

 

Dunque appare, da quanto dice Cesare, che la sessualità non sia un fatto naturale ma anzi ha posto l’eventualità che non vi sia alcun fatto naturale. È una possibilità. Ha posto la sessualità come invenzione, invenzione del linguaggio, ha precisato, dettaglio non marginale. Possiamo verificare se è proprio così oppure no. È ovvio che per fare questa operazione, verificare se è così oppure no, dobbiamo intanto sapere di che cosa parliamo, sia per quanto riguarda la sessualità, sia per quanto riguarda il linguaggio, è il minimo, e cioè fornire delle definizioni. Queste definizioni che forniremo, se avremo voglia di farle, di che cosa saranno fatte? Di proposizioni, di altre parole, come dire che una definizione, qualunque essa sia, in realtà non è che dica che cosa è esattamente un qualche cosa, la sessualità in questo caso, ma descrive, gira intorno a qualcosa. Qualunque definizione io possa dare di sessualità sarà sempre comunque arbitraria, non avrà mai la caratteristica di necessità, in quanto ciascuno può sempre fornirne un’altra, a buon diritto. Ciascuno sa per sé, grosso modo, che cosa intende quando parla di sessualità e potremmo anche dire, in definitiva, che la sessualità per ciascuno non è nient’altro che ciò che pensa che sia. In effetti, è con questo che fa i conti, con ciò che pensa che sia. Però, il più delle volte pensa anche che questa sessualità, che lo riguarda, sia qualche cosa di naturale, dicevamo prima, ma, come diceva Cesare, c’è l’eventualità che non sia un fatto naturale. Tant’è che il naturale è generalmente considerato come qualcosa di assolutamente vero, anzi, il più delle volte è posto a fianco della nozione di realtà. Tutto ciò che è naturale è reale, e viceversa, più propriamente tutto ciò che è reale è naturale. Ciò nonostante questa posizione può essere discussa anche perché muove dalla supposizione che tutto ciò che è naturale non dipenda dal linguaggio, anzi, pone il linguaggio come uno degli aspetti naturali. Ciò che invece stiamo ponendo è una questione un po’ più complicata, e cioè che il linguaggio non è uno degli elementi della natura, a fianco di altri, e che consente eventualmente di definire, descrivere, intendere, cogliere tante cose, ma è la condizione perché esista la natura, il che è diverso. Naturalmente abbiamo dei buoni motivi per pensare una cosa del genere, anzi, degli ottimi motivi che, per una serie di altri motivi, non sono mai stati presi in considerazione. Noi lo facciamo. E allora, considerate questa eventualità, che la natura sia fuori dal linguaggio, così come pensano i più. Bene, allora se è fuori dal linguaggio, innanzitutto occorre che mi ponga una domanda. Questo in ambito teorico ma se uno poco poco vuole considerare i propri pensieri lo fa, e cioè chiedersi come lo sa che è fuori dal linguaggio. Ché già dai tempi di Aristotele occorre distinguere tra il credere qualcosa, l’opinare e il sapere. Il sapere è ciò che muove da affermazioni certe, necessarie, sicure, l’opinare muove da cose assolutamente incerte, possibili, niente più che possibili e in ogni caso non provabili, ma sicuramente non provate se no non sarebbero opinioni. Dunque, come so che qualcosa, la natura in questo caso, è fuori dal linguaggio? Ora, il fatto che la più parte delle persone pensino una cosa del genere non è una prova, in effetti; almeno in ambito teorico non si considera una prova. Supponiamo che io abbia in animo di sapere esattamente perché la natura è fuori dal linguaggio? Per sapere una qualunque cosa mi occorre se non proprio una teoria almeno un criterio di verità, che mi consenta ciascuna volta di stabilire che ciò che sto affermando è vero anziché una stupidaggine, c’è sempre questa possibilità. Che cosa lo deciderà? Un criterio. Quale? L’osservazione? L’osservazione è stato uno dei criteri più praticati e lo è tutt’oggi, però è stato fortemente messo in discussione come criterio di validità già duemilacinquecento anni fa e ancora oggi, perché l’osservazione prevede, per definizione, l’osservatore e questo osservatore è sempre così attendibile? Certo, si può scegliere come criterio ma è un criterio arbitrario, non necessario. Si può scegliere qualunque cosa come criterio ma preferiremmo avere un criterio più solido. E allora, ecco la soluzione, che prevede un’altra considerazione prima, e cioè con che costruisco qualunque criterio di verità? Un criterio di verità è quella sequenza di proposizioni che vi consente di stabilire se ciò che vedete, sentite, pensate, ecc., è vero oppure no. Per esempio, un criterio è questo: se dico che Cesare porta gli occhiali allora vuol dire che non ci vede bene. E allora, il criterio è questo: tutte le persone che portano gli occhiali da vista non ci vedono bene. È un criterio un po’ così, molto semplice, tanto per dare l’idea, io utilizzo il fatto che porti gli occhiali per stabilire che è vera l’altra proposizione che afferma che non ci vede bene. È un criterio, però è un criterio tutt’altro che necessario, ché anche l’amico Gabriele, che ci vede benissimo, può mettersi gli occhiali e non per questo non ha una buona vista, anzi, ci vede male quando si mette gli occhiali. E allora generalmente si suppone di pensare in termini logici ma anche qui le cose non vanno meglio, perché sorgono problemi nel condurre delle conclusioni da delle premesse, come questa: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. Non fa una grinza, com’è che non sono dodici Pietro e Paolo? Eppure, sono apostoli, gli apostoli sono dodici e quindi sono dodici anche loro. Ma ciascuno sa in cuor suo che non è così perché è evidente, c’è qualcosa dell’ordine dell’evidenza qui che impedisce di credere fermamente che Pietro e Paolo siano dodici, se non altro un conteggio, Pietro e Paolo, due. I più suppongono che siano due e pertanto va bene così. Ma questo bislacco esempio di inferenza rappresenta grosso modo il modo in cui ciascuno pensa, e cioè muove da premesse assolutamente arbitrarie e conclude, o immagina di concludere, con una conclusione che ritiene necessaria. Questo è il modo con cui si pensa generalmente, questo è lo schema: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. Questo è il modello del pensare comune. E allora, ci è proprio necessario un criterio che sia solido per potere affermare con assoluta certezza che la sessualità non è naturale. Al di là di qualunque cosa qualcuno possa pensare oppure no, cioè delle cosiddette opinioni. Ecco che torniamo alla questione di prima, quale criterio? A questo punto vi do la risposta. Quello che non può non esserci, vale a dire, ciò stesso che mi ha consentito e mi consente, e che è la condizione perché io possa costruire qualunque criterio. Come ho fatto a costruire questo criterio che dice che se il mio amico Cesare porta gli occhiali allora non ci vede bene? Come ho fatto, come sono giunto a questa conclusione? Certamente, in base a delle acquisizioni, questo è ovvio, ma non bastano delle acquisizioni, occorre che io sia in condizione di mettere queste informazioni, queste acquisizioni, in relazione tra loro, una relazione che è inferenziale, molto semplicemente un “se … allora”. Da dove viene questa possibilità di compiere questa operazione? Chi me l’ha fornita e chi me la fornisce in ciascun istante? Qual è la struttura che sta a fondamento di tutto questo e che consente a me, come a ciascuno di voi, di pensare qualunque cosa e il suo contrario? Beh, è quella struttura che chiamiamo comunemente linguaggio, certo qui in un’accezione particolare, non intendiamo con linguaggio i vari linguaggi, il linguaggio dei fiori, il linguaggio delle api, il linguaggio del corpo, ecc., ma qualcosa di molto più radicale, vale a dire, quella struttura che consente a ciascuno di parlare, quindi di pensare, quindi di sapere di essere qualcuno, di sapere di esistere e insieme a questo qualunque altra cosa. Una struttura tale che in assenza, adesso vi faccio un esempio paradossale, allora non solo la sessualità non esisterebbe ma non sarebbe mai esistita, insieme con qualunque altra cosa, ovviamente. Ecco che a questo punto il linguaggio lo poniamo come la condizione per potere pensare, per potere parlare, per potere pensare anche che ciò che sto affermando per esempio non ha nessun senso. Questa affermazione utilizza un sistema inferenziale, se dice queste cose allora è matto oppure non ha capito niente; è un sistema inferenziale, che utilizzate per affermare che tutto ciò che io sto dicendo è falso. Ciò che sto affermando è che questo sistema inferenziale è la condizione per potere dire e pensare qualunque cosa. Se vi è alcuno tra voi che sta pensando che tutto ciò che io dico è falso, e cioè che il linguaggio non è la condizione per pensare, quindi per fare esistere qualunque cosa, allora sta costruendo una proposizione che è autocontraddittoria, perché per potere pensare questo utilizza ciò stesso che intende negare, cioè la assoluta priorità del linguaggio. Ma vi dicevo che il linguaggio è la condizione dell’esistenza di qualunque cosa, perché? Perché è la condizione della nozione stessa di esistenza. Ora, se io non posso né pensare né dire alcunché di questa nozione di esistenza, allora porsi la questione dell’esistenza, e cioè se qualcosa esisterebbe comunque oppure no, è ciò che in logica si chiama non-senso, non significa niente. Qualcuno può dire “sì, però la realtà esiste lo stesso”, va bene, posso anche dire che esiste la Madonna, i marziani, o quello che mi pare più opportuno, posso dire qualunque cosa. L’unico problema è che non lo potrò provare mai, in nessun modo, quindi rimane un’affermazione estetica, cioè mi piace pensare che sia così, mi piace pensare che la realtà esiste comunque, mi piace farlo e lo faccio, va benissimo, nessun problema. Il pensare in questo modo, che ha la struttura del sillogismo che indicavo prima, cioè affermare che comunque la realtà esiste al di fuori di qualunque cosa e non necessita di nulla, ha la stessa struttura logica di quest’altro sillogismo, cioè Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici. Un sillogismo che, come vi dicevo, è piuttosto bislacco o almeno all’apparenza, in realtà rappresenta il modo in cui le persone pensano. Ora, o ciascuno se ne accorge oppure continua a pensare che Pietro e Paolo siano dodici, il che non comporterebbe nessun grosso problema sennonché ciò che una persona pensa decide del modo in cui si muove, della sua condotta, delle cose che farà e questo può avere delle conseguenze, che vanno dal malinteso fino alla guerra nucleare totale, con tutti i vari passaggi intermedi. A questo punto, visto che abbiamo considerato che la sessualità non sia un evento naturale ma necessariamente una costruzione di quella struttura che ci consente di costruire tutto, di pensare tutto, di costruire noi stessi, in quanto è quella che consente di dire “io sono”, poi ciascuno ci aggiunge ciò che preferisce, allora anche la sessualità segue all’esistenza del linguaggio. Ora, qualche amico potrebbe dire “beh, ma l’animale è fuori dal linguaggio, non parla, non ci comunica i suoi pensieri, le sue deduzioni, neanche le sue controdeduzioni e ciò nondimeno ha una sua sessualità”, perché?, chiediamo noi, “perché io la vedo”, dice l’amico. Esatto, vede, ma che cosa vede? Vede qualcosa che riconosce, che ricorda qualcosa che conosce, la quale cosa, conosciuta, ha un significato per lui; in altri termini applica il modo in cui pensa a qualcosa che osserva, come perlopiù fa ciascuno, esattamente come quando una persona suppone che siccome pensa in un certo modo allora anche gli altri devono pensare in quel modo, se è assolutamente sicuro di una certa cosa non si capacita di come mai altri non riescano a giungere alla stessa conclusione, e allora o non hanno capito o sono in malafede. Ciascuno immagina, e non può fare altrimenti in linea di massima, che il suo modo di pensare sia il modo di pensare comune, anche perché lo ritiene necessariamente più corretto, reale, realistico e non si accorge che è il suo pensiero che costruisce la sua realtà e allora compie un percorso a ritroso, il suo pensiero costruisce la sua realtà, la realtà tout court, e non lo sa, vede soltanto una realtà, e allora stabilisce che quella realtà esiste indipendentemente da lui.

 

Sto descrivendo come generalmente si pensa, però abbiamo visto che non è esattamente così, è un modo di pensare che potremmo definire ingenuo. Ma se dunque la sessualità non è un fatto naturale ma una costruzione, allora qualche cosa si modifica. Cesare faceva riferimento ai cosiddetti problemi legati alla sessualità, quand’è che la sessualità costituisce un problema? Quando per qualche motivo non si ritiene soddisfacente oppure quando non collima con un modello che si ha in mente. Ora, nel secondo caso è ovvio che, non essendoci nessuna sessualità naturale, uno può considerare che il modello cha ha in mente è assolutamente arbitrario, se l’è costruito lui per i fatti suoi, magari per stabilire che la sua sessualità non va bene, per esempio. Non è neanche così insolito. Oppure, non la trova soddisfacente, è ovvio che in questo caso possono essere moltissimi i motivi per cui non la trova soddisfacente ma se c’è la possibilità di considerare che questa idea di soddisfacimento che ha non viene da chissà dove ma viene unicamente dai suoi pensieri, ché sono questi che l’hanno costruita, tant’è che una persona si soddisfa in un modo chi in un’altra, ognuno ha i suoi ghiribizzi, ecco che ha l’opportunità, oltre che l’occasione, di considerare che è con questi suoi pensieri, con queste sue credenze, che occorre che si confronti. “Per essere soddisfatto occorre che succeda questo” , perché? Eh, sembra quasi che l’abbia ordinato il medico… chi ha detto questo?, è qualcosa che io credo che sia e allora la domanda può spostarsi sul perché, come mai crede una cosa del genere. Le risposte che possono trovarsi in questa occasione molte volte sono di notevole interesse. Così come avviene lungo un’analisi, per esempio, il problema non è che una persona abbia chissà quali problemi, il problema fondamentale sono le cose in cui crede, in particolare, quelle in cui crede fortissimamente, la sua “realtà”. È la realtà, ciò che più propriamente è creduto tale, il problema. Della realtà è stato detto tantissimo, che esiste, che non esiste, ecc., non si tratta di questo, di porre il problema se la realtà esiste oppure no, anche perché dovremmo porci un’altra questione, cioè ci stiamo chiedendo se esiste oppure no che cosa esattamente? È una questione non facilmente riducibile. La realtà non è niente altro che ciò che ciascuno crede che sia, quella è la realtà, non ce ne sono altre. E più fortemente ci crede e più fortemente si attiene a questa cosa, diventa una cosa costrittiva, addirittura terroristica in alcuni casi: le cose stanno così, quindi non si può fare altrimenti. Un consiglio che è possibile fornire alle persone è di imparare la retorica, non solo perché è un’antica e nobile arte, ma perché vi consente di potere dimostrare vera o falsa qualunque cosa a vostro piacimento. Questa capacità ha degli effetti, il primo fra questi è incominciare a pensare in modo meno ingenui, il secondo è il porvi al riparo, in un certo senso, di trovarvi a credere, senza accorgervi, in una certa cosa, con tutto ciò che questo comporta, perché, come dicevo prima, la vostra condotta è pilotata dalle cose in cui credete, così come la condotta di un fondamentalista islamico è pilotata dalle cose in cui crede.

 

Intanto, se qualcuno vuole aggiungere qualcosa ciò che abbiamo detto, rispetto a qualunque cosa. La questione della sessualità in quanto tale è stata tenuta un po’ a margine, però forse occorreva precisare certe questioni. D’altra parte molte questioni intorno alla sessualità sono state dette lungo tutti questi incontri che hanno come tema centrale e generale la psicanalisi e la sessualità e quindi ne abbiamo dette di cotte e di crude intorno alla sessualità.

 

Intervento: …

 

Matto, la psichiatria usa termini più precisi, paranoico, schizofrenico, ecc., è colui che non accetta le regole del gioco sociale, per qualunque motivo non ha importanza, ma non le accetta e pertanto viene eliminato. Magari non necessariamente fisicamente, qualche volta sì, comunque viene messo a riposo, ritirato dalla circolazione, perché impiccia, dà fastidio, una persona che non sta al gioco dà fastidio. È come se lei si mettesse a giocare a poker con gli amici e ci fosse tra i vari giocatori uno che non accetta le regole del gioco, vuole giocare con le regole che vuole lui, le dà un sacco di fastidio.

 

Intervento: …

 

Se questo modo di pensare, quello che ho esposto questa sera anche se sommariamente, se fosse praticato sarebbe una catastrofe, perché è quanto di più sovversivo sia mai stato costruito, e cioè pone le persone in una condizione particolarissima, cioè non avere più bisogno di credere. Questo per ciascuna istituzione, per ciascuno stato, per ciascun governo, è la cosa peggiore che possa accadere. Cessare di avere bisogno di credere in qualunque cosa. Non avendo bisogno di credere ovviamente non crede, cioè non dà per buono nulla senza che questo qualche cosa sia sottoposto a una verifica. È ovvio che qualunque cosa voi incontriate in generale, se sottoposto a una verifica si dimostra né vero né falso ma una considerazione estetica, che vale quello che vale, ma sicuramente nulla che costringa all’assenso. Quindi, a questo punto lei può crederci oppure no, è una sua decisione, della quale rimane e rimarrà assolutamente responsabile. Per questo, dicevo, è quanto più di sovversivo si possa immaginare, perché toglie la possibilità stessa di credere….

 

CAMBIO CASSETTA

 

Intervento: …

 

Lei pone una questione particolare, quella del narcisismo in ambito psicotico. Si può porre la questione in questi termini, considerando che generalmente si considera il narcisismo come il porre se stessi come oggetto di attrazione, non solo ma anche. Ora, qui occorre distinguere perché ciò che la psicanalisi inizialmente ha posto come narcisismo in realtà non ha fatto niente altro che cogliere, osservare dei comportamenti e chiamarli in un certo modo. Questo rientra in definitiva in quello che dicevo prima anche rispetto allo psicotico e cioè gioca con regole diverse da quelle che comunemente sono accettate. Si pongono dei rimedi a una cosa del genere, la psichiatria serve a questo, e cioè a fare in modo che, non solo il narcisista fino all’autismo, rientri all’interno di un sistema che è stato deciso essere migliore per lui. Certo, la questione non è semplice, ci vorrebbe un incontro solo per questo, sulla psicanalisi così come è stata posta generalmente, perché il narcisismo, mentre Freud lo pone come una delle componenti normali di ciascuno, in ambito clinico, se portato alle estreme conseguenze, diventa una patologia, così come la dicono gli psichiatri, una persona non è più in condizione, così come la psicosi, di relazionarsi con altri. È una questione tutta da esplorare in realtà, se lei ci pensa bene tutto ciò che è stato detto intorno alle psicosi non va molto lontano né d’altra parte c’è la possibilità a tutt’oggi di fare alcunché per lo più. Molti ci hanno provato, i risultati sono molto scarsi, si utilizzano psicofarmaci per lo più, ma forse se si pone la questione in termini più radicali c’è forse la possibilità di trovare una via che per il momento non è neppure intravista. Si parla di disturbo ma che cosa è disturbato? La sua condotta, certo, è ciò che ciascuno può notare, ma questa condotta non può non seguire a ciò che pensa, ovviamente, e allora è un disturbo del pensiero. Come fa un pensiero a essere disturbato, che cosa intendiamo esattamente? Ponendo la questione in termini radicali, cioè il modo in cui il linguaggio funziona, per ciascuno necessariamente, perché anche lo psicotico più acuto, più devastato, trae delle conclusioni. Le cose che pensa, per quanto appaiano squinternate, scollegate a qualunque altra cosa, comunque procedono per inferenze, non ha altro modo per pensare. Sono squinternate fin che vuole ma lui giunge a delle conclusioni: quindi, per esempio, questo registratore mi guarda male.

 

Occorre intendere che cosa avviene per cui un certo gioco, quello più diffuso, quello che fanno tutti per cui nessuno si sognerebbe dire che quel registratore guarda male se non come battuta di spirito, che cosa interviene per cui a un certo punto un certo gioco non viene più accettato, che cosa lo impedisce, per quale motivo. Probabilmente a questo punto si può intendere che cosa funziona in una psicosi. Per il momento non ce ne siamo ancora occupati in modo così diretto, però, certo, è una questione che si tratterà di affrontare ma in questi termini, così come stiamo procedendo. Questo comporta, certo, procedere più lentamente ma un procedere attraverso proposizioni verificabili, verificabili attraverso il linguaggio, non c’è nessun altra possibilità di verifica, e cioè che risultino proposizioni necessarie. Lei diceva giustamente che talvolta lo psicotico attribuisce ad altri il proprio corpo. È una possibilità, certo, ma finché non c’è accesso al modo in cui lo psicotico pensa allora è difficilissimo stabilire se effettivamente crede che quell’altro sia il suo corpo oppure sa benissimo che non lo è ma lo dice per qualche motivo. Questo soltanto lui può dirlo, occorrono soltanto le condizioni per poterlo fare. E questo lo faremo, richiede tempo, per il momento le nostre energie, i nostri sforzi sono stati indirizzati alla costruzione di una teoria. Lei sa che di teorie psicanalitiche, psicologiche, ce ne sono a bizzeffe, le abbiamo considerate tutte nell’evenienza che ce ne fosse almeno una che risultasse fondabile oltre che fondata. Però, interrogando ciascuna di queste teorie, è risultato che era fondata su assiomi, su principi, assolutamente gratuiti, e cioè per accogliere quella teoria occorreva un atto di fede, tant’è che molte persone non si avvicinano alla psicanalisi proprio per questo motivo, considerano che se esistono tutte queste scuole di psicanalisi, tutte sempre in lotta tra loro, allora non ce n’è una unica che sia valida. È una conclusione abbastanza legittima, in definitiva. E quindi ci siamo posti questa questione una decina di anni fa, questo ci ha condotti a considerare tutte le teorie psicanalitiche, non soltanto ma anche filosofiche, logiche, linguistiche. Ora, nel momento in cui si constata che tutte queste teorie sono costruite su principi arbitrari, cioè non provabili, allora ne può seguire una sorta di sconforto, allora, come suole dirsi, muoia Sansone con tutti i filistei. Però, abbiamo considerato a questo punto un’altra eventualità, che forse era possibile costruire una teoria assolutamente fondata, l’unica, la sola, non ce ne sono altre. Per fare questo occorreva un criterio indubbiamente e qui, come ho detto all’inizio, abbiamo trovato l’unico criterio possibile, che non potesse essere fatto di nessun altra materia, per così dire, se non di quella che ci consente di costruire, di pensare, qualunque criterio, e cioè il linguaggio. A questo punto abbiamo costruito una teoria che muove unicamente dal funzionamento del linguaggio, da ciò che non può non essere, da ciò che è necessario che sia. Uno potrebbe chieder: beh, io come faccio a saperlo? E’ molto semplice, perché se così non fosse, se non ci fosse il linguaggio come condizione di qualunque pensiero, di qualunque criterio, allora non potrei pormi questa questione, perché se la pongo questa domanda è perché c’è qualche cosa che me lo consente, di nuovo il linguaggio. Linguaggio, sempre nell’accezione che dicevo prima, una sorta di sistema operativo, avete presente Windows, un qualche che fa funzionare tutto il resto, la condizione del pensare, che è fatta praticamente di due cose, molto semplici, un sistema inferenziale e un principio di identità, e cioè, perché il linguaggio funzioni, occorre che ciascun elemento sia distinguibile da ciascun altro e che ciascun elemento sia possibile porlo in una sequenza inferenziale. Non c’è bisogno di niente altro, voi fornite questo e funziona tutto; togliete uno solo di questi aspetti e non funziona più niente, cioè il linguaggio cessa di funzionare e se il linguaggio cessa di funzionare nulla sarebbe mai esistito. Però, non cessa di funzionare e quindi non c’è nessuna preoccupazione.

 

Con ciò che stiamo dicendo in realtà stiamo considerando qualche cosa che è la condizione stessa dell’esistenza degli umani, di tutto, senza la quale cosa nulla sarebbe mai esistito.

 

Intervento: …

 

Posto così come abbiamo posto la sessualità all’interno di una costruzione linguistica è ovvio che per ciascuno si configura nei modi e nei termini in cui è configurato il suo pensiero. Può avere una valenza politica, nel ’68 lo si pensava…

 

Intervento: …

 

Sì, certo. Oppure non la considera così ma la si considera invece come un rapporto che unisce le due facce, come già Platone a suo tempo aveva supposto, insomma la si può considerare in vario modo indubbiamente e questo dipende dai modi in cui ciascuno pensa, il modo con cui ciascuno pensa deciderà di cosa sarà per lui la sessualità, se accoglierà una definizione oppure un’altra. Questo è il vantaggio di non considerare la sessualità un evento naturale, non è quello che è, è quello che ciascuno pensa che sia, vuole che sia, crede che sia. Per quanto riguarda la sua premessa, non è un giudizio analitico, che non è dimostrabile, no, è qualcosa di differente, è un’affermazione che può essere più che dimostrata, comporta una costrizione logica, che è una posizione ancora più forte di una dimostrazione. La dimostrazione, si sa, è sempre possibile confutarla, è sufficiente essere abbastanza abili, è sempre possibile farlo; una costrizione logica ha una natura differente, come dire che una costrizione logica comporta che la negazione di questa affermazione, per esempio che qualunque cosa è un elemento linguistico, produca una proposizione autocontraddittoria, e cioè un paradosso. Provare che questa affermazione è necessaria non è difficilissimo, è anche vera, è l’unica che è vera, anche perché è soltanto attraverso il linguaggio che possiamo decidere quale nozione di verità. E quale nozione di verità dovremo utilizzare? Non certo quella che segue all’opinione ma una verità che sia necessaria, inconfutabile, autoreferente se possibile.

 

Intervento: …

 

Lo si può pensare e in effetti molti lo pensano, non lo si può provare. Supponiamo che esista un elemento fuori dal linguaggio, facciamo questa ipotesi. Ora, questo qualcosa che è fuori dal linguaggio occorre che sia conoscibile da qualcuno o da qualcosa, soltanto se è possibile che abbia un senso, un significato per qualcuno allora possiamo dire che esiste. Se ha un significato per qualcuno allora, essendo un significato, è inserito in un sistema inferenziale, e cioè è la conclusione di una serie di inferenze che muovono da una premessa. Questa premessa può essere fuori dal linguaggio? Se questa premessa ha necessariamente la conclusione, perché se no non sarebbe una premessa, allora questo sistema, cioè premessa-conclusione, antecedente-conseguente, esiste in quanto esiste un impianto che consente una cosa del genere. Questo impianto lo abbiamo chiamato linguaggio, il quale linguaggio ha una caratteristica, ci è risultato così, di essere un sistema chiuso, cioè che non consente di uscirne, cioè io non posso pensare come penserei se non ci fosse il linguaggio, non lo posso fare. Ora, a questo punto sorge un’altra questione, affermo che x è fuori del linguaggio però non lo posso sapere. A questo punto questa affermazione che “x è fuori dal linguaggio” ha qualche utilizzo, a parte quello estetico? Se sì quale? Prima dicevo la Madonna esiste, un sacco di gente lo crede, ma non per questo questa affermazione diventa più accettabile, almeno in ambito teorico. Vede, anche questa questione è interessante, il fatto che qualunque prova sarà sempre costruita unicamente attraverso il linguaggio, attraverso questo sistema inferenziale. Se io affermo che esiste qualcosa fuori dal linguaggio sto dicendo che un elemento è fuori da un sistema inferenziale, quindi non è né antecedente né conseguente a nulla, non ha nessun significato né può averlo mai.

 

Intervento: …

 

Lei dice che è evidente? E se non lo fosse così evidente? È una possibilità, e cioè l’evidenza dell’oggetto è un’evidenza che muove da una nozione di oggetto, che devo avere in precedenza. Se non ce l’ho? Stessa cosa vale per il soggetto. L’oggetto, al pari della sessualità, quando io lo descrivo, quando dico “l’oggetto è questo”, che cosa ho fatto esattamente? Ho descritto che cosa? Una cosa che è fuori dal linguaggio? Se è fuori dal linguaggio con che cosa mi ci rapporto? Con un’altra cosa, quale? Non ce ne sono.

 

Intervento: …

 

Certo, ma queste cose producono affermazioni assolutamente arbitrarie.

 

Intervento: …

 

Non è sufficiente in ambito teorico, esiste anche Capuccetto Rosso, però se si pensa in termini teorici allora…

 

Intervento: …

 

Dipende da cosa intende con esistenza, ovviamente. E la nozione di esistenza, quando l’avrò definita, che cosa avrò fatto esattamente? Che cosa avrò definito? Qualcosa che è fuori dal linguaggio? No, perché se no non potrei definirla.

 

Intervento: …

 

Non si può superare una costrizione logica, la condizione stessa per potere pensare, non è possibile farlo, non è possibile uscire dal linguaggio. Qualunque cosa lei pensi o il suo contrario continuerà a utilizzare questo sistema.

 

Intervento: …

 

Questo lo si può pensare.