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27 ottobre 2005

 

Libreria LegoLibri

 

Luciano Faioni

 

RETORICA: IL SUBLIME POTERE DELLA PAROLA

 

Se poi fu la parola a persuaderla e a illuderle l’animo, neppur questo è difficile a scusarsi e a giustificarsi così: la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà. E come ciò ha luogo, lo spiegherò /…/ e chi l’ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e l’anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento, a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere /…/ Così si constaterebbe l’imperio della persuasione, la quale, pur non avendo l’apparenza dell’ineluttabilità, ne ha tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una mente, costringe la mente che ha persuaso, e a credere nei detti, e a consentire nei fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu persuasa, in quanto costretta dalla forza della parola, a torto viene diffamata.

Gorgia, Encomio di Elena

 

 

Vi ho lette queste poche righe di Gorgia perché la questione che più ci interesserà questa sera sarà proprio la potenza della parola, e anche intendere perché ha tanto potere. Che abbia tale potere, come abbiamo visto, lo sapevano già gli antichi e lo si è sempre saputo, ciascuno utilizza la retorica continuamente lungo tutto l’arco della giornata potremmo dire, tant’è che se una persona, per esempio, vuole confortare qualcuno da qualche inconveniente, qualche disgrazia, userà certe parole e un certo tono, se invece vorrà offendere allora userà altre parole un altro tono. Ora questi modi in cui le cose si dicono in realtà sono modi retorici, potremmo dire anche questo, e è un altra delle definizioni che daremo di retorica, che la retorica è il modo in cui si dice qualcosa di particolare e ciascuna volta che si dice qualcosa lo si dice in un certo modo, a seconda dell’intento che si ha, del risultato che si vuole ottenere. Non ci occuperemo della storia della retorica ovviamente, di cui ci importa molto poco, ma di come funziona e soprattutto perché funziona. Ora un’altra questione che può essere curiosa è il fatto che uno psicanalista si occupi di retorica, così come anche di logica. La retorica abbiamo detto che persuade, costruisce discorsi che servono a persuadere, ma ciascuno non accade che faccia la stessa cosa nei propri confronti? E cioè si costruisca discorsi che lo portano ad essere persuaso delle cose che pensa, che crede, e una volta che è persuaso di qualche cosa è difficile dopo muoverlo da quella posizione. Una persona può, per esempio, persuadersi di essere oggetto di maldicenze, è capitato, come giunge a persuadersi di una cosa del genere? Come giunge a persuadersi di essere maltrattato o vessato da tutti o che addirittura esista un complotto ai suoi danni, come giunge a persuadersi di una cosa del genere? Anziché del contrario? Potrebbe farlo, nessuno glielo impedisce; come si fa a persuadere qualcuno? O, come stiamo dicendo, come fa ciascuno a persuadere se stesso? In fondo la tecnica è la stessa. Ecco perché la retorica può interessare e interessa anche chi si trova a fare questo mestiere, poiché la più parte delle persone è fortemente persuasa da qualcosa e se questo qualcosa di cui è persuasa contrasta altre cose di cui è persuasa, altrettanto fortemente, ecco che si crea una sorta di conflitto con la relativa paralisi in alcuni casi, una sorta di posizione di scacco in cui talvolta accade che una persona possa trovarsi. La retorica illustra la tecnica di persuasione e come sapete non si occupa del vero in quanto tale ma del verosimile, cosa distingue il vero dal verosimile? Vero è per definizione ciò che può essere dimostrato essere tale, verosimile invece è ciò che si avvicina al vero ma non ha questa pretesa perché se mai interrogato di provare la sua verità non lo potrebbe fare, la retorica si occupa del verosimile non del vero, poi vedremo se le due cose sono così distanti. Costruire un’argomentazione che risulti verosimile non è difficile, pensate a una menzogna, una menzogna sarà molto più persuasiva della verità per il semplice motivo che è stata costruita per essere creduta, costruita con tutti i crismi in modo da risultare assolutamente credibile, se no uno la smaschera subito, a questo punto vi rendete conto che per persuadere occorre che il discorso sia ben costruito, ma cosa significa che sia ben costruito? Qui ci sono almeno due aspetti che possiamo considerare: l’uno è la bellezza del discorso, un discorso bello persuade molto più facilmente di un discorso brutto, mal costruito, farraginoso, stentato, difficile ad ascoltarsi, un discorso bello, fluido, che accarezza le orecchie verrà con maggiore facilità considerato vero proprio perché è bello. Su questo già nel Medioevo si erano occupati alcuni della scuola di Chartres accostando il bello al vero, se una cosa è bella non può essere falsa, deve essere vera. Dunque costruire un bel discorso, per costruire un bel discorso occorre che quanto meno si attenga alle regole di costruzione sintattiche, frastiche, grammaticali e sia piacevole all’ascolto, per essere piacevole all’ascolto occorre che i concetti seguano l’un l’altro facilmente e l’uno sia deducibile facilmente dall’altro e non ci siano cacofonie cioè brutti suoni all’interno del discorso, insomma nulla che possa distrarre la persona che ascolta dal fascino che l’oratore sta producendo, per questo il discorso deve essere bello, anche per questo, se l’uditorio si distrae, se incomincia a pensare al contenuto di ciò che viene detto può essere un problema, incomincia a fare domande, incomincia a fare cose che non deve fare, invece in questo modo segue docile il discorso; l’altro aspetto fondamentale per costruire un discorso persuasivo è muovere da premesse che sono date come acquisite dai presenti, cioè le cose che non saranno messe in discussione né muoveranno qualcuno a fare qualche domanda perché sono evidenti, se uno muove da una premessa assolutamente evidente chiunque sarà assolutamente disposto ad accettarla e a sottoscriverla, e quindi sarà ben disposto anche ad accettare le conseguenze se queste conseguenze sono condotte in modo coerente, fluido e semplice, in questo modo si può costruire un discorso che persuade ma la persona che per esempio si persuade di qualche cosa utilizza questa stessa tecnica oppure no? Certo, non necessariamente è stata addestrata all’uso e alla pratica della retorica è ovvio, una volta lo si faceva, adesso non più, cionondimeno vedremo che utilizza qualcosa di molto simile, infatti per giungere a una conclusione, per prendere una decisione di qualunque genere muoverà dalle cose che sa, inevitabilmente, non può muovere da ciò che non sa e le cose che sa le dà per acquisite, e sono appunto le cose di cui dicevo prima, che vengono poste come premesse e che sono accolte e accettate da tutti. Una persona ha un certo sapere, le cose che ha acquisite per esperienza, perché le ha imparate, perché le ha vissute, un’infinità di cose che per quella persona sono vere, queste cose serviranno da premessa per costruire argomentazioni e se muovono da una premessa che per lui è vera necessariamente giungeranno, se condotte attraverso passaggi coerenti tra loro, a una conclusione vera e si sarà persuaso e dirà: “quindi è così come penso”. Questo procedere generalmente non è consapevole né articolato, avviene molto rapidamente, con una rapidità straordinaria, quella stessa rapidità che grosso modo utilizzano le macchine, i computer per giungere alle loro conclusioni: collima con qualcosa che è già stato acquisito? Sì/no. Se sì, viene accolto se no, no. Se dicessi che se lascio questo aggeggio (orologio) lui resterà sospeso, immediatamente ciascuno di voi si chiederà se questa cosa è vera o è falsa e immediatamente concluderà che è falsa in base a tutte le cose che sa, e il procedimento è automatico, è velocissimo. Dunque si persuade muovendo dalle cose che sa, che ha acquisite per esperienza, che ha imparate, pensate a una persona che fa il suo lavoro, qualunque esso sia non ha importanza, cosa ha imparato? Una serie di istruzioni per svolgere il suo lavoro, queste istruzioni funzionano da premessa per tutto ciò che farà, questa cosa sia accorda con ciò che so? Sì/No. Ma è straordinariamente raro che accada che quella persona metta in discussione, cioè interroghi le cose che sa perché se le sa, le sa, e per definizione non hanno bisogno di essere messe in discussione perché le sa, non è che le crede. Per esempio il mio amico Cesare sa di chiamarsi Cesare, non lo crede, è diverso, mettere in discussione il proprio sapere è complicato, è arduo, perché comporta un’operazione che non è né ovvia né naturale: si tratta di interrogare cose che sono assolutamente ovvie, anzi corrispondono alla realtà dei fatti o più propriamente a ciò che per ciascuno è la realtà dei fatti e la realtà è questa, nessuno si metterebbe mai a discutere né gli verrebbe mai in mente di discutere se questo è un tavolo oppure no, a che scopo? Che senso avrebbe? La questione è che la stessa cosa avviene in qualunque ambito, ciò che la persona sa, cioè le premesse, ciò che utilizza come premesse per pensare, per ragionare, per giungere alle conclusioni, per decidere, per scegliere, in definitiva per vivere, queste non saranno mai messe in discussione, la retorica può farlo anzi, insegna a fare non necessariamente questo ma anche questo perché può fare anche questo. Se per esempio io sapessi dimostrare e simultaneamente confutare qualunque cosa, facciamo questa ipotesi, riuscirei a credere qualcosa? Provate a pensarci bene, anche perché per credere qualcosa occorre che io creda che questo qualcosa sia vero, perché così come sono fatti gli umani, poi vedremo anche di vedere perché, non è possibile credere vero ciò che si sa essere falso, non lo si può fare, qualcosa lo impedisce, se so che un cosa è falsa non posso credere che sia vera, per cui ciò che io so è necessariamente vero per me che lo so e non mi passerà mai per la mente di metterlo in discussione. Questo ha delle implicazioni in ambito sociale, politico, religioso, anche perché se io so che una certa cosa è vera e lo so con assoluta certezza, allora se un altro pensa differentemente allora i casi sono due, o ignora la verità oppure non la vuole vedere, perché la verità, checché ne dicano taluni filosofi, non accetta di essere condivisa da altre: una cosa o è vera o è falsa, può essere in attesa di essere dimostrata vera o falsa certo, l’ipotesi è questo, facciamo un’ipotesi “domani pioverà oppure domani non pioverà” questa ipotesi non significa niente finché non avrà la verifica, che avverrà domani, se domani pioverà allora sarà vera la proposizione che afferma che domani pioverà. A questo punto dobbiamo fare un inciso per rendere più semplice il prosieguo del discorso, e cioè dire che cos’è questa famosa verità di cui stiamo dicendo, perché se no sarà complicato andare avanti. Una volta consideravano la verità come una certezza, anche se non raggiungibile magari, però una certezza, poi si è abbandonata questa ricerca a causa dell’incapacità di reperirla e allora si è inventata l’ermeneutica, però c’è qualche cosa di straordinariamente semplice in tutto questo che appare invece complicato, pensate a ciò che ho detto prima: ciascuno non può credere vero ciò che sa essere falso, perché non lo può fare? Chi o cosa glielo impedisce? Bene, ciò stesso che gli consente di pensare questa come qualunque altra cosa, vale a dire la sua stessa parola, il suo discorso, ciò di cui è fatta la sua parola, la struttura che consente alla sua parola di essere tale, faccio un esempio molto semplice: considerate l’ipotesi che facevo prima, domani pioverà oppure non pioverà, una delle due sarà necessariamente vera, perché? Perché dovrà essere vera? Cosa la renderà vera? L’evento? Sì certo, abbiamo stabilito che questo evento sarà il criterio che deciderà della verità di questa proposizione, ma perché soltanto una sarà vera e l’altra no? È vero per esempio ciò che non può non essere, l’antica nozione di necessario, se non può non essere allora è sicuramente, e se è sicuramente è anche vero, ché se è, esiste, e se esiste è vero, così dicevano gli antichi. Ma cerchiamo di rendere la cosa più semplice ancora. Supponete che un elemento sia simultaneamente vero e falso e non ci sia nessuna possibilità, né adesso né mai, di potere stabilire o l’una cosa o l’altra, questo elemento, all’interno di un qualunque pensiero, di qualunque sequenza di proposizioni coerenti, è utilizzabile oppure no? Supponiamo che qualcuno mi chieda da che parte si trova Milano e io indicassi simultaneamente due parti opposte, avrebbe qualche utilità questa informazione? No. Perché no? Perché è simultaneamente vera e falsa, è inutilizzabile, ma è inutilizzabile non per un ghiribizzo, per un gusto estetico di qualcuno, è il discorso che non può accogliere per la sua stessa struttura un elemento che sia simultaneamente falso e vero, questo ci mostra un aspetto del funzionamento di quella cosa che comunemente chiamiamo linguaggio, quella struttura che consente a ciascuno di pensare, di pensarsi e quindi di esistere in definitiva. È fatto così, esclude che se una cosa è vera allora lo sia anche la sua contraria. Cosa ha a che fare tutto questo con la retorica, visto che la retorica utilizza moltissimo queste figure? Una, per esempio, l’ossimoro che è fatto proprio di questo: “la neve nera”, la neve è bianca, non è nera, ma perché funzioni l’ossimoro, così come qualunque altra figura retorica, occorre che ci sia la possibilità di ricondurre l’espressione retorica a qualcosa di certo, cioè al fatto che la neve è bianca, una metafora è tale perché c’è qualcosa che non lo è, per questo posso usare la figura retorica, perché so come funziona il linguaggio e ciascuno lo sa perché lo usa continuamente e lo sa al punto tale che se qualcuno gli dice che una certa cosa che lui sa essere vera gliela prospetta falsa si ribella, è la cosa più banale del mondo, perché ciascuno cerca sempre il vero quando parla, quando pensa, e esclude invece tutte quelle cose che ha riscontrato essere false, perché le esclude? O perché se mentre qualcuno parla, discute etc. se qualcuno gli fa notare che tutto ciò che sta dicendo è completamente falso, perché se ne ha a male anziché esserne contento e continuare per la sua strada? Potrebbe farlo, in teoria nulla glielo impedisce, ma non lo fa, e non lo fa perché non lo può fare, la struttura del linguaggio di cui è fatto glielo impedisce, ecco perché non lo fa. Questo pone un ulteriore elemento cui adesso andremo a dire, sempre riguardo alla retorica. La retorica come dicevamo si occupa del verosimile in questo inganna dicevano perché non è il vero, è verosimile, ma inganna? La questione è complicata, potremo anche dire che qualunque discorso è ingannevole, qualunque, abbiamo visto che la retorica è ingannevole perché muove da premesse che non sono necessarie, spesso utilizza questo schema: taglia via la premessa maggiore che non sa né può dimostrare, sorvola e passa direttamente al medio e alla conclusione, pensate ai proverbi, funzionano così “chi la fa l’aspetti”, occorrerebbe una premessa maggiore che certificasse che in tutti i casi chiunque la fa allora l’aspetterà, e deve essere provato. Il proverbio di questa premessa universale non sa che farsene, la elimina, e dà per buono tutto ciò che segue. La domanda che Vi pongo adesso è questa: gli umani pensano così? E cioè così come sono fatti i proverbi o altrimenti? In tutti i loro pensieri, le loro conclusioni, le loro decisioni importanti o no che siano non ha nessun interesse, operano in questo modo, cioè saltano allegramente la premessa maggiore per giungere alla conclusione che pertanto sarà, nella migliore delle ipotesi, verosimile? Oppure no? È una bella questione, perché se è così allora tutto ciò che gli umani hanno costruito, pensato, detto, fatto, immaginato, allora è falso. O più propriamente non è né vero né falso, non è né vero né falso perché non è possibile così come non lo è per un proverbio ricondurlo a un criterio che possa verificare se è vero o se è falso, e per essere vero, questo già Aristotele ce lo indicava con molta precisione, occorre che la premessa sia necessaria. E la retorica che cosa fa? Vi consente, nella sua forma più estrema che rappresenta l’eristica, di mostrare e confutare qualunque cosa, in qualunque momento, mostra proprio questo: qualunque argomento voi pensiate, immaginiate che sia stato pensato e costruito dalla filosofia, dalla religione, dalla scienza non ha nessuna importanza, qualunque di questi argomenti è confutabile, basta essere sufficientemente abili e avere sufficiente tempo a disposizione ma in alcuni casi non ci vuole neanche molto tempo, e cosa vuol dire che è confutabile? Che io posso, di quella stessa cosa, costruire una sequenza di proposizioni, un discorso, che la rende vera, e un altro che la rende falsa, allo stesso titolo e con la stessa forza. Questo fa la retorica ma se, e qui torniamo alla questione precedente, io sono in condizioni di sapere dimostrare o confutare e provare che una certa cosa è falsa e vera come mi pare, qualunque cosa, sarò ancora in condizione di credere vero qualcosa? Sarà difficile, sarà straordinariamente difficile, e dunque cesserò di credere. Ma credere che cosa? Beh, credere che ciò che mi viene detto, per esempio, mi costringa all’assenso, così come ciò che leggo, ciò che studio, ciò che considero, ciò che ascolto, allora tutto ciò se non è più né vero né falso che cos’è? Sicuramente una sequenza di proposizioni intanto, che sì, può essere vera, ma all’interno di un gioco, perché fuori da quel gioco non significa niente assolutamente niente, non ha nessun valore universale, assolutamente nessuno, e quindi non costringe nessuno a credere e di conseguenza a muoversi in quella direzione, perché se uno crede vera una certa cosa si muoverà anche di conseguenza, così come avviene per un fondamentalista islamico: crede certe cose e si muove di conseguenza, se ne credesse altre si muoverebbe altrimenti. Ecco perché dunque la retorica può insegnare ancora molto, insegnare a pensare, nel senso che mostra come funziona il pensiero, che cosa lo sostiene e perché funziona in quel modo e soltanto in quello, ci sono alcune cose che sono immutevoli, non possono cambiare, dal momento in cui esiste il linguaggio, per ciascuno alcune cose non cambiano più, come dire in altro modo che non c’è uscita dal linguaggio, ci sono alcune cose, quelle che lo fanno funzionare, che non possono essere modificate in nessun modo da nessuno, perché se venissero modificate il linguaggio cesserebbe di funzionare e quindi cesserei di potere pensare e quindi cesserei di potere anche, per esempio, pensare di modificare il linguaggio perché non ho più nessuno strumento per farlo. Per questo la questione del linguaggio di cui abbiamo parlato spesso in questa sede rimane importante e di notevole attualità, e la retorica ne è un aspetto, quello più folcloristico, quello che sorprende con gli effetti speciali, crea effetti speciali, la retorica è fatta apposta, così come è fatto apposta ciascun discorso, compreso quello che sto facendo in questo istante, perché ottenga l’effetto che vuole ottenere che poi l’ottenga oppure no questo è un altro discorso però, però l’intendimento è questo e quindi costruirà un discorso fatto in un certo modo, detto in un certo modo, esposto in un certo modo per ottenere un certo risultato, e questo è retorica, nient’altro che retorica. La mamma che sgrida il bambino perché ha mangiato la marmellata utilizza un certo tono, usa certe parole, ed è la retorica che insegna a fare questo anche se quella mamma non ha avuto l’occasione né la necessità di apprendere il funzionamento della retorica, ma la retorica non è altro che il modo in cui si dicono le cose ciascuna volta e ciascuna volta è particolare, specifico a quella situazione e a quella intenzione, a quell’uditorio, a quella persona. Il potere della parola, come diceva Gorgia costringe, la parola costringe e non aveva torto, oggi si suppone che la persona non sia costretta da un discorso, ché suppone, in buona parte dopo le varie disquisizioni fornite da Agostino sul libero arbitrio, che ciascuno abbia la facoltà di decidere, ma che invece non abbia la facoltà di decidere quando è costretto dalla forza, e la forza per esempio può essere la canna di una P38 appoggiata sulla fronte, questo è un elemento di forza che costringe, ma invece Gorgia ci dice che il discorso costringe esattamente allo stesso modo e per questo la discolpa Elena, se è stata costretta dal discorso non poteva opporsi, perché non poteva opporsi? E perché oggi ciascuno invece pensa che non sia una costrizione, cioè che il discorso non costringa una persona la quale rimane comunque arbitra delle proprie decisioni? Invece il discorso costringe più della P38 perché anche in quel caso uno può decidere di muoversi, di ribellarsi, di fare qualcosa rischiando la vita certo, però molti lo hanno fatto e invece il discorso è più potente, è più costrittivo ancora perché mette in gioco una cosa, e qui riprendiamo per altro verso ciò che abbiamo detto prima, mette in gioco la cosa che è più importante per gli umani della vita stessa: la verità; qualcosa per cui sono disposti in moltissimi casi a mettere a repentaglio o a perderla addirittura proprio per questo, in omaggio a questo e che cosa rende così potente e così forte il discorso? Proprio la verità. Il discorso piega che cosa? La ragione, quindi impone la mia verità sull’altro, una volta che l’altro è piegato alla mia ragione accoglie la mia verità e la mia verità diventa la sua e da quel momento si muoverà di conseguenza. La potenza del discorso viene soltanto da lì, dall’indicare la verità, e una volta che l’ha indicata tutto ciò che segue viene da sé, non ha bisogno di altro, così esattamente come ciascuno appena sa che una certa cosa è falsa immediatamente l’abbandona e cerca quella vera, da sempre, chiunque, necessariamente non può fare altrimenti. Non lo può fare perché è costretto a fare così, perché pensa così, e pensa così perché il linguaggio di cui è fatto funziona così, non ha alternative. Chiunque di voi se pensa, riflette su qualche cosa, raggiunge una conclusione e si accorge che la conclusione cui è giunto è falsa l’abbandona, è assolutamente inevitabile, e cercherà quella vera, ciascuno affermando qualcosa immagina che ciò che afferma sia vero tant’è che lo difende, se no a che scopo difenderlo? Sarebbe una stupidaggine al pari di qualunque altra e invece no, lo difende così come si difende la verità, così come il fondamentalista islamico difende la sua con i mezzi che conosce. Naturalmente sto facendo un abbondante uso della retorica, uno degli intendimenti era quello di mostrare, esibire ciò di cui sto parlando. Facciamo l’ipotesi che qualcuno mi ponga un’obiezione dicendomi che le cose non stanno come dico io, è possibile, perché mi pone un’obiezione? A che scopo? se non perché suppone che le cose che pensa siano vere e le cose che penso io sono false? E porta delle motivazioni, delle argomentazioni per mostrare che la sua tesi è vera e se la sua è vera e se la mia è contraria, la mia sarà necessariamente falsa, non ci sono alternative. E quando si dice che è vero quello che dico io ma può essere vero anche ciò che pensa lui, si usa di nuovo una formulazione retorica, nota come captatio benevolentiæ, che è come dire che l’altro non ha capito niente e sta dicendo un sacco di stupidaggini, però non glielo si può dire e allora si dà per buono che forse in qualche circostanza quello che dice potrebbe, eventualmente, in casi particolarissimi essere qualcosa di abbastanza simile al vero. Popper sosteneva una cosa del genere: la verità c’è perché da sempre tutti quanti la cercano e quindi se tutti quanti fanno una certa cosa questo sarà vero, cosa abbastanza discutibile, ma in ogni caso però non la si può trovare perché sarà sempre spostata rispetto a ciò che troveremo, allora ci si pone un problema: se non la troveremo mai, quindi non sappiamo che cos’è, come facciamo a sapere che siamo nella direzione giusta? Che andiamo nella direzione giusta anziché in quella contraria? Questo invalida la posizione di Popper? Sì, e cioè la sua affermazione risulta falsa. È chiaro che le cose non sono sempre così semplici ovviamente, perché si possono inserire all’interno di un certo gioco infiniti altri giochi per cui una certa cosa può essere vera all’interno di quel particolarissimo gioco ma non essere vera all’interno di altri, certo, ma all’interno di quel gioco o è vera o è falsa, non ci sono vie di mezzo e non ci sono perché è il linguaggio che funziona così, così come se vogliamo pensare dobbiamo usare il linguaggio, una sequenza di elementi che muova da qualcosa che chiamiamo premessa e attraverso dei passaggi che si cerca di costruire in modo coerente si giunge a un’altra cosa che chiamiamo conclusione, abbiamo altri modi per pensare? No, non ce ne sono altri, questi passaggi possono essere più o meno veloci, più o meno percepiti ma ci sono sempre. I computer rappresentano in modo semplificato il pensare degli umani, anche perché essendo stati inventati dagli umani non potevano pensare altrimenti, il computer funziona esattamente allo stesso modo, vero/falso, non si dà una terza possibilità, quella che Wittgenstein cercava, non c’è perché è il linguaggio stesso che la impedisce, non c’è e se non c’è allora una cosa o è vera o è falsa, ma perché sia vera a questo punto, ed è sempre il linguaggio che ci costringe a compiere questa operazione, occorre provarlo che lo sia, e se questo non avviene allora è un’ipotesi: potrebbe essere così, sì, potrebbe essere così come potrebbe essere il contrario, e cosa ce ne facciamo? Niente. Come rispondere forse sì, forse no, forse in tutt’altro modo ancora, che utilizzo ha? Ha un utilizzo estetico certo e in effetti è questo il motivo per cui si sceglie una dottrina, si sceglie una teoria, si sceglie un pensiero, per una questione estetica, a una persona piace una certa cosa, a un’altra ne piace un’altra che gli è più congegnale, gli muove delle cose, lo fa pensare, esattamente come un romanzo, perché un romanzo a una persona piace e a un’altra no? A uno sembra di essere in mezzo a delle avventure tra le più strepitose, lo riempie di emozioni e di palpitazioni a quell’altro invece gli pare di leggere la guida del telefono. C’è un motivo anche per questo, ma in ogni caso la scelta è dettata dal gusto personale, da quanto una certa cosa, un certo discorso riesce a muovere dei pensieri che però in quanto tali non sono né veri né falsi, e allora potremmo dire che una qualunque teoria scientifica, religiosa, sociale, economica, politica è al pari della fiaba di Cappuccetto Rosso? Potremmo dire questo oppure no? Oppure questa teoria ha qualcosa di più? L’utilizzo? Anche la fiaba di Cappuccetto Rosso ne ha uno, può far chetare un bambino che piange, può far sognare dei bimbetti modificandoli per tutta la vita per esempio, perché no? Certo che ha un utilizzo, può essere fondata la teoria di Cappuccetto Rosso? No. E una qualunque altra teoria può essere fondata? No. Ora qui siamo al punto in cui è sorta l’ermeneutica, cioè la disperazione, nulla è fondabile quindi una direzione vale l’altra, non è esattamente così, perché in effetti c’è qualcosa di fondabile e assolutamente fondato ma non è la retorica che se ne occupa, la retorica mostra soltanto la direzione, consente, giocando, di accorgersi che forse le cose sì sono così come penso ma anche altrimenti, in definitiva delle opinioni. Ma che importanza hanno le opinioni, se avessimo la verità che cosa ce ne faremmo delle opinioni? Assolutamente niente, sarebbero totalmente inutili, l’opinione è un pensiero che attende di essere verificato, il sapere no, è già verificato, però di questo parleremo. Qualcuno può intervenire, aggiungere o togliere cose a seconda degli intendimenti, ho solo mostrato una parte ridotta dell’utilizzo della retorica, ciò che può fare e anche ciò che non può fare, non può mostrare ciò che è vero, ecco l’inganno, però inganno rispetto a che cosa? Perché dovrebbe essere rispetto a qualche cosa che inganno non è, e quindi può essere fondato, quindi può essere mostrato, può essere provato, per esempio la fanciullina che si addobba per uscire con il suo fidanzato e cerca di rendere più belle le cose che ritiene di sé essere belle e magari nascondere o mitigare quelle che ritiene che siano meno belle, inganna? A nessuno verrebbe in mente di pensare una cosa del genere, eppure la retorica fa questo, abbellisce il discorso e cioè enfatizza le parti più gradevoli, più piacevoli e nasconde o dissimula quelle meno gradevoli, quelle che potrebbero fermare l’attenzione o richiamare l’attenzione su qualcosa sulla quale non si vuole che l’attenzione sia richiamata, esattamente allo stesso modo, la struttura è la stessa. C’è qualche questione intanto? Altrimenti io proseguo, chi sapeva già qualcosa di retorica? Nessuno se ne è mai interessato? È possibile. È una cosa divertente in effetti questa sorta di moto giubilatorio che si incontra quando ci si accorge per esempio che una certa cosa che ci è stata raccontata, spiegata, insegnata ecc. è falsa, perché? Perché c’è questa soddisfazione quando si risolve un problema, si compie un’operazione, si giunge a qualche cosa che si è desiderato, perché? È sempre in gioco ciò che prima indicavo come verità, qualcosa giunge a compimento cioè è così, è così come dicevo io, è così come ho pensato, è così come ho fatto. Al contrario l’ansia, il fastidio, certe volte, la noia quando non si riesce a concludere in modo soddisfacente, e il modo soddisfacente soddisfa appunto quando raggiunge qualcosa che è ritenuto essere vero, se invece è ritenuto essere falso non è affatto soddisfacente per i motivi che indicavo prima per sommi capi, mi rendo conto di essere stato molto sommario ma il tempo a disposizione è quello che è e mi tocca viaggiare veloce se voglio dire delle cose…

 

Intervento: io voglio chiedere una cosa. Cos'è che distingue, differenzia il retore dal sofista? Perché sono un po’ confusa

 

Ho fatto forse un accenno al sofista e d’altra parte Gorgia era un sofista. I sofisti, letteralmente, erano i sapienti, coloro che sanno, coloro che sanno come funziona, potremmo dire oggi, certo loro non lo potevano dire non avevano gli strumenti, come funziona la loro arma cioè il linguaggio, non avevano nessun altra arma. I sofisti come lei sa andavano in giro per le piazze a persuadere i giovani di una cosa e il giorno dopo invece della cosa contraria, tutti erano assolutamente convinti il giorno prima di una cosa e il giorno dopo del contrario. Insegnavano a costruire argomentazioni vere e false su qualunque cosa, per questo poi furono cacciati dalla città, perché il loro insegnamento non conveniva né allo stato né alla religione ovviamente. Il retore ha più limitato il suo campo, i tre tipi di retorica, quelli classici, sono il giudiziario, i tribunali dove si stabilisce se qualcuno è colpevole o innocente, quello deliberativo: stabilire se si deve fare oppure non fare una certa cosa e infine quello esortativo: persuadere le folle a muoversi in una certa direzione. Quindi muove sempre in un’unica direzione il retore perché deve convincere di quella cosa, non del suo contrario, se no è un problema…

 

Intervento: quindi gioca di più il sofista

 

Il retore, come l’avvocato in tribunale, non può mettersi a dimostrare anche la colpevolezza di chi difende, solo per gioco, è pericolosissimo…

 

Intervento: a proposito della persuasione…

 

Anche presso gli antichi c’era in effetti una sorta di confusione fra retore e sofista, entrambi sanno fare la stessa cosa però la retorica si gioca in un ambito più ristretto, la retorica vuole persuadere qualcuno a fare qualcosa. Il sofista gioca con le parole e basta, si diverte a mostrare l’inconsistenza delle certezze, delle credenze, delle superstizioni, di tutto ciò che gli umani credono, pensano, l’inconsistenza cioè la non dimostrabilità perché se una cosa fosse dimostrabile sarebbe più complicato dimostrarne la falsità…

 

Intervento: ecco, e lo psicanalista è più vicino al retore o al sofista?

 

Lo psicanalista non ha da persuadere, pone la possibilità che le cose possano non essere così come una persona pensa che siano, all’inizio facevo l’esempio di quello che si crede al centro di un complotto planetario, magari lo è, magari no, è più probabile che non lo sia però lo crede fortissimamente e questa convinzione gli viene da tutta una serie di argomenti che lui si è accumulato e sommato, la cui conclusione è quella, il ragionamento può anche essere corretto e il più delle volte è molto corretto, è solo che è la premessa è un po’ discutibile. Ecco che allora si può giocare qui, sulla premessa, sulla verità della premessa mostrando che potrebbe non essere necessariamente quella, e se cade la premessa cade anche tutto il resto. Ora l’ho detta così in due parole, è chiaro che non è così semplice sapere giocare con le parole, avere la consapevolezza che qualunque cosa si decida di affermare comunque non è altro che un giudizio estetico: piace affermare questo, c’è qualche altro motivo? Potrebbe non essere semplicissimo addurlo. Ho tralasciato tutta una parte ovviamente che riguarda invece ciò che è dimostrabile, ciò che è provabile in modo inattaccabile, ma lo faremo. Lo psicanalista è un sofista? In un certo senso sì, nel senso che non ha da credere qualche cosa, né da difendere qualche cosa…

 

Intervento: lo psicanalista non ha da credere qualche cosa dando per scontato che le cose esistano in un certo modo fuori da una struttura che invece le supporta e questo è l’esercizio che occorre fare quando si intraprende un percorso analitico quando si riesce a confutare ciò che si crede perché non c’è molta differenza tra il fondamentalista islamico che ci serve come esempio per parlare di colui che crede e non può mettere in gioco la sua credenza e quindi si muove facendosi esplodere, non c’è nessuna differenza, ciascuno si trova a credere per questo lo psicanalista deve essere un abile retore, un sofista deve essere in grado di confutare qualsiasi cosa si ponga fissa, fuori, immobile perché solo quello può provocare l’esplosione…

 

Di quale esplosione sta parlando adesso?

 

Intervento: di quella che fa il fondamentalista islamico al momento in cui crede che Allah lo voglia

 

Anche questo è un argomento di persuasione, non propriamente retorico…

 

Intervento: ma al momento in cui ci si accorge che ciò che si sa e quindi ciò che si crede condiziona il proprio movimento, rende automatica la propria azione, beh, allora può essere importante chiedersi perché si crede ciò che si crede e si pensa ciò che si pensa, per fare questo occorre confutare qualsiasi cosa che intervenga come la verità assoluta e non come un gioco, un gioco che il pensiero si trova a fare…Faioni prima parlava del pensiero, non parlava di altro

 

Sì, una sorta di automatismo per cui qualunque cosa viene interrogata, certo, non ci si ferma, non ci si accontenta delle risposte e si continua a interrogare all’infinito finché mostra di che cosa è fatto, cioè di niente…

 

Intervento: parlava del “terzo escluso” e in effetti se una cosa è vera come la sua contraria, il pensiero non muove, non può farlo, e questo non per grazia divina

 

No, nemmeno lei avrebbe potuto costruire questa frase che ha costruita, non avrebbe potuto farlo…

 

Intervento: una cosa… lei diceva, prima parlava delle premesse implicite che rappresentano la verità elaborata nel corso della sua esperienza vissuta no? La retorica rispetto a questa premessa come si comporta? Dato che rappresenta la verità… non le può considerare così brutalmente…

 

Se si limitasse a persuadere del contrario creerebbe una religione contraria, anziché quella premessa ne metterebbe un’altra, come spesso avviene, una sorta di conversione…

 

Intervento: ma soprattutto si sentirebbe attaccato nella propria verità, e probabilmente non riuscirebbe a persuadersi di qualche cos’altro…

 

Un sistema, retoricamente, è quello di accogliere le premesse dell’interlocutore e una volta accolte modificarle in modo tale da renderle all’uditore stesso come irriconoscibili, però dopo averlo condotto passo passo fino a quella conclusione, è chiaro che se si impongono immediatamente delle premesse che sono totalmente contrarie, dall’altra parte ci sarà un rifiuto e bell’e fatto, il discorso è bell’è che finito, non si va da nessuna parte. Lo stesso Aristotele nei Topici, questo è un consiglio che dava agli avvocati, suggeriva di fronte ai giudici di non dire cose che lui non conosce o che gli siano sgradevoli, perché questo lo mal dispone, bisogna sempre dirgli cose molto semplici in modo molto chiaro, in modo che capisca…

 

Intervento: deve essere verosimile

 

Sì certo, e allora sarà più facilmente propenso ad andare nella direzione in cui lo si vuole fare andare, può essere un pubblico ristretto, possono essere le folle, ci sono poi altri artifici che affiancano, come la composizione della sala, le luci etc. Un testo importante a questo riguardo è, anche se vi parrà bizzarro, il Mein Kampf di Adolf Hitler, lui è riuscito a muovere le folle, non soltanto con le sue parole, però quelle migliaia di giovani che lo seguivano erano mossi prevalentemente dal suo discorso, poi c’erano anche altri aspetti è ovvio, ebbene mostra come organizzare un incontro, a quali ore del giorno, della notte, una notazione banalissima: le persone sono molto più agguerrite e disposte al combattimento verbale di giorno anziché di sera, di sera sono già un pochino più assonnate e sono più facili all’assenso, invece la mattina sono arzilli e pronti a combattere. Anni fa dicevo che è un ottimo manuale di sociologia, è chiaro che va letto in questo modo, poi quando si perde su questioni di razza e di sangue è discutibile, però ci sono altre cose che invece sono interessanti…

 

Intervento: la retorica così come ha posto lei indaga sulle persone che deve cercare di convincere di qualche cosa…

 

Tecnicamente sì, dovrebbe fare questo, ma difficilmente ha il tempo di indagare su tutte le persone che ha di fronte, da dove vengono, che cosa pensano, cosa fanno, cosa credono ,però sì certo la retorica deve tenere conto dell’uditorio che ha di fronte, deve cercare di capire se le cose che in quel momento sta dicendo sono accolte o sono rifiutate, perché se è sufficientemente abile saprà volgere a suo vantaggio qualunque situazione, quindi deve sempre tenere sott’occhio il pubblico ma è difficile anche perché il pubblico è eterogeneo, per questo se uno vuole avere successo deve già scegliere il pubblico quindi limitarlo ad alcune persone e quindi crearsi un pubblico particolare in modo che sia più semplice. Sono cose note da sempre, non è che siano cose così insolite. Piegare la volontà altrui non è semplice ché ciascuno è attaccato alla propria verità, non la molla facilmente, non è questione che sia migliore o peggiore di quell’altra, è che la propria verità è in fondo ciò che gli consente di orizzontarsi, di orientarsi nel mondo che lo circonda e quindi non la abbandona facilmente. È ciò che gli dà la direzione, come dire: se questo è vero allora tutto il resto che non è questo è falso, per esempio, semplice: se questo è buono allora quest’altro è cattivo, se questo è bello quell’altro è brutto, se questo è giusto questo è ingiusto, semplice no? Tutti quanti sono d’accordo nel dire che il bello è meglio del brutto, i problemi sorgono quando si tratta di definire che cosa sia. Sì, qualcun altro, la in fondo? Ecco Lodari, dica…

 

 

Intervento: come al solito ho trovato molto stimolante e interessante ciò che ha detto…

 

Lei è sempre molto gentile…

 

Intervento: c’è una questione che io da tempo continuo… in che cosa consiste la ragione dopo Freud, che cosa apporta di nuovo Freud nella logica, nel pensiero occidentale… e l’altro radicalmente diciamo l’inconscio cioè Freud ci dice sostanzialmente guardate che esiste una verità e la verità non è degna di mantenersi tale se non in quanto rimossa e quindi per qualche verso mi pare che ponga radicalmente in questione la logica aristotelica, ci dice è decisamente il “tertium non datur” che fa tenere qualsiasi discorso, paradossalmente, allora mi pare che sia questa la questione cioè dire finché noi abbisogniamo di una verità possiamo porre una menzogna e quindi come tale è una verità di menzogna, la verità in quanto tale ma questo l’aveva detto Heidegger, la verità in quanto tale è la rete cioè a dire ciò che funziona in non nascondimento, che si dà in quanto fugge, in quanto non posso pretendere di acchiapparla mai come un furetto, questo animaletto che fugge, mi pare che è una forzatura di cui si parla sempre quando si parla di verità è proprio quello di non considerare che la verità in quanto tale è intrinseca al linguaggio, mi spiego meglio, si parla di giochi linguistici, di una verità interna ai singoli giochi linguistici dimenticando che il linguaggio è precisamente ciò che comprende tutti gli altri e quindi la verità appartenendo a quel gioco non può appartenere a qualsiasi gioco, non so se mi spiego, mi pare che logicamente sia ineccepibile certo anche questo si presta a obiezioni se io dico logicamente ineccepibile allora da dove trae questa verità? E quindi è interminabile la questione, non si può dire che esiste la verità assoluta mi pare che sia stato detto anche qui, però non significa che esista una verità relativa, è quello che io contesto, non esiste la verità del singolo gioco esiste la verità in quanto questione sulla verità quindi in quanto irraggiungibile altrimenti ricadiamo in una religione idealismo ecc. in un sistema qualsiasi filosofico che mi pare che con la psicanalisi non abbia molto a che fare, in sostanza non so se ho colto la questione… la verità sì c’è questa traccia irraggiungibile che si tratta di inseguire che però non posso pretendere di fissare in alcun modo, non posso fondare un sistema logico a partire dalla verità, dal momento che è la verità che mi consente di costruire quel fondamento logico e se la verità non la raggiungo mai il sistema logico è destinato come tutti i sistemi filosofici… non arrivo al nichilismo ma insomma…

 

 

Sì, la questione della verità è importante, lei dice che non c’è la verità, quindi affermare che invece la verità c’è, è falso? Lei ha inserita la verità all’interno di un gioco particolare, certo, però nei termini in cui l’ho posta io non è riferita a un gioco particolare ma al funzionamento del linguaggio, se io dico se la verità esiste in quanto particolare, in quanto rimossa, come preferisce, in questo caso non ha importanza, dico che esiste in quanto rimossa, quindi non è accessibile, ora, posso sostenere indifferentemente anche il contrario e costruire una teoria a partire da questo? Oppure no? Perché è questa la questione centrale: o la verità è quello che lei in questo momento sta pensando oppure è un’altra cosa, non può essere simultaneamente quello che ha detto e anche il suo contrario, simultaneamente, perché se lo fosse non riuscirebbe più a costruire niente…

 

Intervento: lo ho detto prima, la verità istituisce la possibilità del dire che qualcosa è vero e qualcosa è falso ma in quanto tale non la posso mai afferrare finché il vero e il falso si istituiscono l’uno in opposizione all’altro… nessuno ha la verità in tasca almeno presumo nessuno ce l’abbia, io non ce l’ho di sicuro e quindi…

 

Dipende da cosa si intende con verità, perché per affermare qualche cosa, ed è in questo modo che il linguaggio funziona, se affermo una certa cosa ne escludo un’altra, è una regola del gioco, una regola non è altro che un’istruzione che dice questo lo puoi fare e questo no, qualsiasi gioco funziona così, ora nel linguaggio c’è questa regola che dice che una certa cosa si può fare e un’altra no, per esempio affermare che una certa cosa è vera e allo stesso tempo non lo è, oppure dire che la verità non esiste, che potrebbe porsi come una sorta di paradosso perché vorrebbe dire che allora neanche questo è vero, che la verità non esiste, è il gioco che facevano gli scettici, però si può riflettere invece e trarre una nozione di verità che muova unicamente dal funzionamento del linguaggio il quale esclude che possa continuare a funzionare se un elemento è simultaneamente, simultaneamente vero e falso perché la proposizione non è più utilizzabile, se io dicessi che la verità esiste e la verità non esiste, posso costruire anche una proposizione fornita di senso se per esempio è all’interno di un sistema codificato e allora per esempio, compio una figura retorica, nel senso che “esiste e non esiste” allora vuole dire che c’è però magari non è facilmente reperibile, uno può pensare quello che vuole, però si tratta di un sistema di esclusione nel linguaggio come già De Saussure aveva colto dicendo che nel linguaggio non vi sono se non differenze, perché se non si differisce una cosa da un’altra il linguaggio cessa di funzionare, non funziona. Se una parola significasse simultaneamente tutte le altre il linguaggio non sarebbe più praticabile, è praticabile perché ciascun elemento è distinguibile, e la verità in fondo non è nient’altro che uno shifters, come direbbero i linguisti, un indicatore: se il linguaggio può proseguire in una direzione allora chiama quella direzione, quella proposizione, quella conclusione vera, se non può proseguire la chiama falsa, in fondo è tutto qui. Ciò che lei diceva rientra all’interno di giochi linguistici con delle regole molto particolari, come quello di Freud per esempio, in fondo se ci pensa bene perché dovremmo accoglierlo? Lei dice: “la verità funziona solo come rimossa”, basterebbe che io dicessi no, non è vero. Cosa facciamo? Non andiamo più da nessuna parte, ecco perché parlavo di giudizio estetico, ma la ponga in modo più semplice, nel modo più banale possibile e cioè come una regola di esclusione “questo sì, questo no” di qua posso andare di là no, se posso andare chiamo quella cosa “vera” potevamo chiamarla anche pippo, però la abbiamo chiamata vera. Se invece non posso proseguire allora è falso. Un bimbetto che ha appena acquisito il linguaggio già sa utilizzare il vero e il falso anche se non sa che cosa sono esattamente, gli si dice: “ti do un cioccolatino” mentre gli si dà un sasso, dirà “no, non è vero”, sa già distinguere, se è nel linguaggio, se parla, sa distinguere, è inevitabile perché il linguaggio è fatto di questo. Ecco perché la verità può essere reperita, quale sia il suo utilizzo questo è un altro discorso, il suo utilizzo passa attraverso la pratica del linguaggio, l’accorgersi e non potere non tenere conto che qualunque cosa si affermi è vera soltanto all’interno di quel gioco, così come una qualunque affermazione del linguaggio è vera all’interno del linguaggio, fuori dal linguaggio non significa niente, l’unico problema è che fuori dal linguaggio non ci si va…

 

Intervento: potremmo chiamarla verità assoluta

 

Possiamo chiamarla verità assoluta, possiamo chiamarla come volete, non cambia niente, ma più che verità è una sorta di costrizione logica, vi faccio un esempio molto banale, pensate a questa semplice sequenza logica: “se A allora B, e se B allora C, allora, se A allora C” è possibile che sia altrimenti? No, ma perché no? Perché se non fosse così, se potesse essere altrimenti allora tutto il sistema che mi consente di parlare, di pensare, di dire, cioè il sistema inferenziale, cesserebbe di funzionare e io cesserei di parlare e non potrei più fare niente e non potendo più parlare cesserei anche di esistere e bell’e fatto. Ma con Lodari avremo modo di discutere ancora a lungo. Buona notte e grazie.