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LUCIANO FAIONI

 

FREUD E LA PSICANALISI

De Saussure e la linguistica

 

BIBLIOTECA CIVICA CENTRALE - TORINO

 

PRIMO INCONTRO

27 maggio 2014

 

 

 

Presentazione della conferenza da parte della dott.sa Corgnini.

 

I quattro incontri che faremo saranno incontri divulgativi. Partirei subito dallo scenario in cui è sorta la psicanalisi, uno scenario sociale e politico ai primi del ‘900, che furono un periodo particolare, un periodo noto come “la belle époque”. L’Europa non era in guerra da un certo numero di anni e già sembrava una cosa meravigliosa, la scienza e la tecnologia sembravano promettere in quegli anni grandi sviluppi e soprattutto una felicità assoluta tra gli umani, ogni problema sarebbe stato risolto. Non è stato così naturalmente, però in quegli anni c’era quella che alcuni hanno chiamato una sorta di ubriacatura scientista e in quegli anni Freud incominciò a inventare la psicanalisi o psicoanalisi. “Psicoanalisi” è il termine che si usa come derivazione del termine tedesco di Freud “Psychoanalyse” mentre “psicanalisi” è venuto in uso dopo che Lacan, di cui parleremo anche oggi, si è occupato di psicanalisi e in francese si dice “psychanalyse”, per cui tutta la parte di derivazione lacaniana usa questo termine “psicanalisi”, gli altri “psicoanalisi”.

Detto questo Freud, dicevo, si è trovato a cavallo fra l’800 e il ‘900 a fare qualche cosa di straordinario, di insolito per allora, lui era un neurologo e alcune persone andavano da lui e, anziché fare come gli altri neurologi non dava farmaci o prescriveva cose particolari, incominciò a fare una cosa che prima di lui nessuno aveva fatto, e cioè ha incominciato a lasciare parlare le persone, donne prevalentemente. Allora si diceva che erano malate di nervi, come se i nervi fossero una malattia, e lasciandole parlare, torno a dire questo perché è importante, era qualcosa che nessuno prima di lui aveva fatto, lasciandole parlare si è accorto che c’erano molte cose che queste persone dicevano, connesse direttamente o indirettamente con il disturbo, che accusavano moltissime altre cose. Naturalmente, si trattava di vedere cosa fare di tutte queste altre cose, come organizzarle, come intenderle, che significato avevano. Fu una sua paziente, una ragazza tedesca, una certa Anna O., di cui scrisse peraltro, che in realtà si chiamava Berta Pappenheim, che coniò il termine di “talking cure”, era il modo per indicare questa cura strana che stava facendo Freud, cioè una “cura” con la parola, una “cura” parlando. Freud faceva solo questo, lasciava parlare, non faceva altro almeno inizialmente; questo lo condusse rapidamente a considerare che questo disturbo, questo disagio che le persone avvertivano, aveva a che fare con pensieri, ricordi, immagini, sensazioni, una quantità di cose che di fisiologico non avevano niente, erano solo racconti. Dunque, che fare di questi racconti, che cosa c’era in questi racconti di così importante? Beh, c’era che lungo il racconto queste persone si trovavano a dire delle cose che erano sempre marginali, marginali rispetto al loro “sintomo” cosiddetto, come se ci girassero intorno, come se la causa del loro sintomo, adesso usiamo questi termini, fosse quasi inaccessibile, fosse dimenticata o non presente comunque nel loro racconto e, invece, a Freud interessava proprio questo, “trovare la causa del sintomo”. Vorrei ricordare che Freud era un medico, un neurologo positivista, cosa che non è indifferente. Ora, come fare in modo che queste persone riuscissero in qualche modo ad arrivare a ciò che aveva prodotto, provocato il loro disagio? Nel frattempo, incominciava a considerare che forse alcune cose, che erano accadute o erano state pensate o erano state desiderate, per qualche motivo non avevano accesso alla coscienza e incominciò a considerare anche che forse era questa la causa del disagio, del disturbo, e fu da lì che iniziò a teorizzare quella che è nota come “teoria della rimozione”, per la quale non qualunque desiderio è ammissibile, ci sono alcune cose, alcuni pensieri che, in base alla cosiddetta morale sessuale civile, non possono essere realizzati ma non solo perché non possono neppure essere pensati. Ciò nondimeno questi desideri insistono, ci sono, e allora, dice Freud, si trova un compromesso perché questi desideri “pare” che non possano essere eliminati, cancellati, come la persona, forse, avrebbe voluto fare, però, dice Freud, possono, e così accade, possono essere rimossi, eliminati dalla coscienza e, una volta rimossi, come dicevo, non è che scompaiono ma vanno a costituire in parte quella cosa che lui chiamava “inconscio”. Dicevo in parte, perché non ci sono solo gli elementi rimossi, e allora ecco l’idea di Freud: ciascuna persona si muove e vive ma questa sua esistenza è fatta anche di elementi che sono inconsci e dei quali, proprio perché inconsci, non sa nulla ma questi elementi “inconsci” agiscono, operano nelle sue decisioni, nelle sue scelte, in tutto ciò che fa, come se fosse questo “inconscio” a pilotare letteralmente la persona. Era questo sicuramente un passo notevole che lo portava molto lontano dal positivismo di allora, che immaginava che la scienza attraverso il calcolo della fisica, attraverso l’osservazione, avrebbe potuto spiegare ogni cosa. Freud stava dicendo invece che c’è qualche cosa che non è spiegabile, che non è accessibile alla persona, di cui la persona non ne sa nulla, ciò nondimeno tutto questo pilota letteralmente la sua esistenza. Questa è stata la prima trovata di Freud straordinaria, cosa che lo ha condotto in seguito a considerare con grande attenzione le fantasie, ma di questo ne parleremo. Dunque, elaborando questa teoria Freud si è trovato ad avere a che fare in particolare con le parole, con il discorso e, quindi, ciò con cui aveva a che fare era un racconto, erano parole, solo parole, e allora da qui l’interesse che Freud ha incominciato a manifestare per le parole, per i discorsi, scrivendo per esempio L’Interpretazione dei sogni, La Psicopatologia della vita quotidiana, Il Motto di spirito, testi che potrebbero essere considerati, e in parte lo sono, testi di linguistica perché lì in quei testi lui affronta la questione del linguaggio, come le parole si connettono fra loro e connettendosi cosa producono, in quale modo si connettono e come e perché le parole hanno tutto questo potere. Certo, non è stato Freud il primo ad accorgersi di una cosa del genere, era una questione nota già dai tempi di Demostene, però Freud la stava affrontando sicuramente in termini più precisi, più attenti e più interessati alla questione, cioè, cosa avviene mentre una persona parla, c’è soltanto quello che dice o c’è qualche altra cosa che la persona stessa ignora ma che dà forma a quello che dice? Per Freud è così: parlando ciascuno dice molto più di quanto immagina di dire, e questo è un altro modo di dire della presenza dell’inconscio. L’idea di Freud era che se questi elementi, che sono diventati inconsci sempre a causa della sessuale morale civile, potessero avere l’occasione di dirsi, di elaborarsi, ecco che allora verrebbe meno il motivo per il sintomo. Un’idea legittima, tra l’altro ancora un po’ meccanicistica però pareva funzionare tant’è che scrisse proprio a questo proposito un saggio Ricordare, ripetere, elaborare, perché è di questo che si tratta in un lavoro analitico, ricordare qualche cosa che sembra dimenticato ma non lo è, come appare, dove compare? Secondo Freud nei momenti privilegiati, cioè nei momenti in cui la censura è meno attenta, meno vigile, come nei sogni, negli atti mancati, nei lapsus, nel motto di spirito, lì affiora qualche cosa di ciò che Freud chiamava “inconscio”. Diceva anche che in molti casi, per esempio nel nevrotico, il modo di ricordare è ripetere, il modo in cui si ricorda di una scena, non è ricordare la scena in quanto tale, ciò che è avvenuto, le persone che erano presenti, cosa si è detto, ma il ripetere questa scena, ripeterla magari all’infinito. La cosa importante in ciò che stiamo dicendo è che Freud ha incominciato a occuparsi del linguaggio ma in un modo ovviamente diciamo “superficiale”, ma non ne stiamo facendo una colpa perché la linguistica, la semiotica, stavano nascendo in quegli anni, non la linguistica ma la semiotica senz’altro. Negli stessi anni, un pochino più a ovest, a Ginevra, un linguista, un tale de Saussure, stava proprio in quegli anni tenendo dei corsi di linguistica generale dove affrontava in altri termini questioni molto simili a quelle che si stava ponendo Freud; per altri motivi De Saussure cercava di dare una forma, una struttura alla teoria linguistica, Freud no ovviamente, cercava in un certo senso un “rimedio” alle nevrosi, però entrambi si trovavano di fronte alle parole, a combinatorie di parole, discorsi, racconti ed entrambi si chiedevano come erano fatti, da dove venivano, come si annodavano tra loro, se c’era una logica che connetteva questi elementi fra loro e se sì quale. Già Freud aveva notato che il modo in cui spesso le parole si accostano fra loro, attraverso similitudini, assonanze - anche una parola può evocarne un’altra per assonanza - anche se non gli era ancora chiarissimo per quale motivo avvenisse una cosa del genere, occorreva l’apporto della linguistica. Per dire qualche cosa di de Saussure dirò che il primo personaggio che ha preso sul serio questa connessione tra la linguistica desaussuriana e la teoria di Freud, è stato uno psicanalista francese, un tale Jacques Lacan, il quale ha avuto il merito, e difatti è stato il primo a farlo, di leggere Freud utilizzando i corsi di linguistica di de Saussure. De Saussure aveva riflettuto su che cosa fosse una parola e sul fatto che una parola fosse un segno fondamentalmente, cioè un qualche cosa che per essere quello che è deve rinviare a un’altra cosa, cioè un rinvio, un rinvio dove la parola non può esistere da sola ma è presa necessariamente in un rinvio. Questa è la prima immagine del linguaggio per de Saussure. Ma per illustrare in due parole la nozione di segno, la parola è un segno, diciamo che l’ha divisa in due parti, e cioè il significato poi ha messo una lineetta sotto e sotto ancora ci ha messo il significante (S/s), si è accorto che la parola è composta di questi due elementi, cioè c’è un significante, che è l’immagine acustica, il suono, e un significato, cioè che cosa quel significante vuole dire. Il suo famoso esempio è quello dell’alberello, forse qualcuno lo ricorderà, c’è la parola, era francese, e quindi scriveva “arbre”, poi il c’è il concetto di alberello e poi c’è l’alberello in quanto tale, cioè il referente. Ora, la relazione tra questi due elementi, il significato e il significante, è una correlazione che determina la cosa che è nota come significazione e, diceva de Saussure, non è possibile che ci sia un significante senza il significato, sarebbe un suono vuoto, dice niente, né d’altra parte è possibile che ci sia un significato senza un significante perché questo concetto potrebbe esprimersi in nessun modo, sarebbe niente. Questo per indicare la correlazione fra il significante e il significato, un rapporto strettissimo ma non basta questo, la cosa ancora più straordinaria che poi Lacan riprese prendendo il segno di de Saussure e lo capovolse, e cioè mise il significante sopra e il significato sotto (s/S), e questo per indicare la priorità del significante nella combinatoria linguistica. Fece un’altra cosa, cioè intese la barretta, che aveva segnata de Saussure fra significato e significante, la intese come la barra della rimozione, quella rimozione tale per cui il significante non ha accesso al significato perché appunto c’è una barra della rimozione, ma vedremo magari poi nel dettaglio. Dunque, dicevo, la cosa ancora più interessante è che il significante non soltanto non c’è da solo senza il significato ma è determinabile soltanto in una relazione differenziale con ciascun altro significante, cioè il significante è tale perché è in relazione con tutti gli altri significanti, fuori da questa combinatoria il significante non c’è, non c’è da solo, proprio perché sappiamo che un segno per essere tale deve rinviare a qualche cosa. È questo rinvio che lo definisce in quanto segno, quindi il significante è preso per sua stessa natura, usiamo questi termini, in una rete di significanti, la stessa cosa avviene per il significato. Quindi, individuare un significante diventa complesso, se questo significante esiste in quanto preso in una rete di altri significanti e senza questa rete non c’è. Qui, vedete che si incomincia a rendere un pochino più esplicita la questione che poneva Freud rispetto alla combinazione fra elementi, come gli elementi linguistici naturalmente, si combinano tra loro, che relazione c’è fra loro, come se ciascuna parola, ciascun segno in effetti anche per Freud in qualche modo fosse sempre e necessariamente connessa con altre parole, cioè con altri segni. Riprendendo il grafo di de Saussure, l’idea di Lacan era quella di mostrare in modo più semplice il funzionamento della rimozione, dunque Lacan scrive significante, la barra che è quella della rimozione e sotto significato (s/S), il significato cioè non è accessibile. Cosa significa che non è accessibile? Significa che quando parlo dico un significante, il quale significante, come diceva già de Saussure, ha un significato, ma questo significato come faccio a dirlo, a conoscerlo? Per dire questo significato sono costretto a dire un altro significante, un significante che avrà a sua volta un significato e questi significati rimarranno sempre sotto la barra, cioè non ci sarà mai accesso tranne in alcuni casi dove, in effetti, c’è la possibilità di reperire qualche cosa del “significato” ma non si coglierà mai tutto. Tra l’altro, se il significato è inaccessibile al significante allora la relazione tra questi due elementi, quella che indicava come “significazione”, sarà sempre mancante, mancherà sempre qualcosa, non sarà mai tutta. Ecco, allora, la questione della rimozione, cosa fa la rimozione? Cerca di cancellare qualche cosa, un elemento che per Freud era intollerabile e immagina che questa cancellazione, spera che questa cancellazione riesca ma non è così, dice Lacan, perché questa operazione che si svolge, come direbbero i linguisti nell’asse paradigmatico, comporta uno spostamento: il significato incontra un altro significante che ha un altro significato e così via in uno spostamento continuo, in una metonimia, in uno spostamento. Questo per Lacan consente di intendere quello che diceva Freud rispetto alla rimozione e alla resistenza: la rimozione non riesce ma rilascia qualche cosa, c’è sempre un resto in questa operazione, se riuscisse non ci sarebbe problema, il problema c’è perché questo resto, che comunque insiste, è quello che impedisce alla persona di eliminare quello che voleva eliminare, per usare le parole di Freud “ciò che è cacciato dalla porta rientra dalla finestra” cioè non c’è modo di eliminare ciò che la rimozione ha cercato di eliminare. A questo punto con Lacan la questione del linguaggio rispetto alla teoria di Freud diventa più consistente. “L’inconscio è strutturato come un linguaggio”, dice Lacan, cosa significa una cosa del genere? Che questo processo che Freud chiamava “inconscio”, dove in buona parte si situa ciò che viene rimosso, per Lacan non è proprio esattamente così ma l’inconscio è tutto ciò che passa, che continua a rimanere al di sotto di quella barra del segno di de Saussure, tutto ciò che c’è lì sotto, usiamo questi termini, ovviamente non c’è un sotto, ma tutto ciò che c’è lì rimane inconscio, come dire che l’inconscio non può togliersi. Se qualche cosa dell’inconscio può arrivare alla coscienza non potrà mai comunque togliersi, non potrà mai togliersi la rimozione, perché in Lacan la rimozione diventa una funzione del linguaggio, non è più esattamente così come l’aveva posta Freud, almeno negli scritti teorici di Freud, anche se molti vedono già negli scritti teorici di Freud questa questione, però, come ciascuno di voi sa, è sempre possibile far dire a chiunque quello che si vuole, non è impossibile.

La questione del linguaggio diventa fondamentale con Lacan e lo è stata per sempre dopo di lui, almeno in tutta l’evoluzione che la psicanalisi ha mantenuta, anzi, sempre di più direi l’apporto della linguistica e in particolare della semiotica è stato determinante. Intendere, dunque, la teoria di Freud come una teoria linguistica, Freud pone l’accento sul linguaggio ma non solo, dice anche che tutto quanto si svolge lì, cioè si svolge in relazioni linguistiche, cioè non c’è nulla di fisiologico, nulla di fisico, nulla di malato, perché se si tratta di parole, di discorsi, è chiaro che la questione della malattia, della sanità, ecc., incomincia essere messa in discussione, così come avvenne negli anni ‘60/’70 e negli anni ‘80 in cui la psicanalisi così posta, cioè “psicanalisi lacaniana”, ebbe un grandissimo successo non solo per l’innovazione che portava ma anche perché riproponeva e rilanciava la lettura e lo studio della semiotica, in particolare quella di Greimas, di Jakobson, di Benveniste, ecc. Tutto questo ha condotto a moltissime innovazioni, chiamiamole così, in ambito psicanalitico, era come se la psicanalisi da teoria, da tecnica per guarire sintomi, così come era stata posta inizialmente da Freud, medico neurologo e positivista, si spostava verso una direzione molto più ampia e anche più interessante, e cioè una direzione culturale e intellettuale, e cioè lo psicanalista come intellettuale, non come medico che “cura” perché non cura niente, le anime in particolare, ma come un’intellettuale, una persona che compie un percorso, peraltro di straordinario interesse, intorno al linguaggio, alla parola e, in prima istanza, la sua parola. Quella costellazione di termini, di elementi di cui vi dicevo prima, già Freud aveva intuito e che poi con de Saussure diventa quasi evidente, costituisce il pensiero. De Saussure indicava la “langue” come una sorta di nebulosa che non è nulla finché non prende forma nel segno, questo segno è ciò di cui le persone vivono, prese in un continuo spostamento, un segno rinvia ad un altro che rinvia a un altro che rinvia a un altro, e così via. Questo ha peraltro creato anche qualche problema in ambito teorico, non solo linguistico e semiotico, ma anche nelle teorie semantiche di cui si è occupata e se ne occupa prevalentemente la filosofia analitica, che ai filosofi piace contrapporre a quella continentale di stampo e di direzione per lo più heideggeriana, ma in ogni caso, dicevo, un problema rispetto al significato perché se ciascuna parola è tale, e solo tale, perché rinvia a un’altra, cioè presa in una rete di connessioni, allora reperire il significato di una parola può diventare arduo. Pensate alla nozione di “sistema” di de Saussure, e cioè come una rete di relazioni di elementi interconnessi fra loro, e poi la nozione di “struttura”, mi riferisco in particolare a quella di Benveniste, e cioè come quel sistema, quello di de Saussure, dove però ci aggiunge che la variazione di un singolo elemento comporta la variazione di tutti gli altri, e cioè variando un elemento è come se tutto il sistema venisse riassettato. Vi rendete conto che diventa sempre più problematico riuscire a stabilire per esempio che cosa sia esattamente un significato, al punto che qualcuno incomincia a domandarsi che cosa si debba intendere esattamente con questa domanda, cioè che cosa si sta cercando esattamente. La posizione della psicanalisi, parlo degli anni ‘60/’70 e primi anni ‘80, andava quindi in una direzione che in modo sempre più chiaro poneva delle forti obiezioni al pensiero occidentale inteso come pensiero metafisico, cioè il pensiero che si pone la domanda fatidica della metafisica “che cos’è?”, “che cos’è qualche cosa?”, quello che i greci chiamavano “ti es ti”, che cos’è? Domanda metafisica che non ha propriamente una risposta a meno che non abbiamo stabilito prima che cos’è il “che cos’è?”, anche questa è una posizione legittima, domanda alla quale è molto difficile rispondere, non è impossibile ma è molto difficile. Questa domanda riferita al “che cos’è?”, come sappiamo rispondere a questa domanda? E, soprattutto, come sappiamo che la risposta che diamo a questa domanda sia quella giusta? Come sappiamo che questa risposta sia proprio la risposta a quella domanda? Tutte queste questioni sorgono in parte anche in seguito al lavoro fatto dalla semiotica che di nuovo insiste sullo spostamento ininterrotto dei termini e quindi sull’impossibilità di fermarsi su qualche cosa. Questo non significa che non sia possibile parlare ovviamente, visto che sto parlando per esempio, però non è questa la questione che allora ci si stava ponendo ma si ci si stava interrogando su come funziona questo linguaggio che ciascuno utilizza in un modo o nell’altro e, allora, è proprio vero che c’è questa rete di connessioni fra parole, come diceva Freud: una parola si aggancia a un’altra continuamente e agganciandosi a un’altra modifica il significato, modifica il senso, una cosa che sembrava che fosse in un certo modo, ma interviene un dettaglio e cambia tutto, quella cosa non è più quella di prima, una cosa che peraltro ciascuno ha modo di esperire ininterrottamente, cioè come sia possibile cambiare idea, opinione, continuamente in base magari a un dettaglio che intervenendo tuttavia modifica tutto il sistema teorico, perché si tratta comunque di una teoria. Ciò che una persona crede è strutturato come una teoria, può anche essere ingenua quanto volete ma è pur sempre una teoria e cioè un metodo, un modo più o meno “scientifico” per orientarsi nel mondo che lo circonda, nel modo migliore se è possibile. Ma, ecco, qui interviene un’altra questione ancora, dicevo “nel modo migliore”, già, nel modo migliore per chi? Perché il modo migliore può apparire una cosa in un certo momento, un’altra cosa in un altro momento e nel frattempo cosa è cambiato? Qualche cosa è cambiato, un elemento è intervenuto, un elemento che evidentemente è importante ha modificato l’intera struttura. Ciò che la semiotica stava dicendo è che questo avviene ininterrottamente parlando, non è un evento che avviene una tantum, no, avviene parlando, fa parte della struttura stessa del linguaggio, due elementi intervengono in opposizione, come diceva Greimas, questa opposizione crea un terzo elemento, questo elemento poi andrà in opposizione con altri, e così via. Questo è il meccanismo, proprio il meccanismo molto banale del processo di semiosi, e cioè il modo in cui si produce il significato parlando. Ecco, la scoperta di Freud in tutto ciò rimane fondamentale perché come ho detto all’inizio è stato il primo che lasciando parlare le persone si è accorto che in ciò che si stava dicendo lì andava molto oltre ciò che la persona stessa intendeva dire, questione che poi ha elaborato in termini più precisi nella sua teoria intorno ai lapsus per esempio, atti mancati, una persona fa un certo movimento non si accorge che facendo un certo movimento dà uno schiaffo a qualcuno, è casuale questa cosa? Forse, ma forse no, forse c’è un motivo per cui questo atto è giunto a quella conclusione e Freud si interroga proprio su questi motivi ma andando a cercarli dove? Nel racconto della persona e lì, lungo questo racconto, emerge ad un certo punto… adesso vi faccio questo esempio banalissimo, una profonda antipatia nei confronti di quella persona, per un evento accaduto magari molti anni prima che però è rimasto, e allora in questo caso ecco che riutilizzando le parole di Lacan questo atto mancato in effetti è un atto riuscito, e cioè si è compiuto esattamente quello che la persona voleva ma che non poteva ammettere, non si può ammettere o provare dell’odio per qualcuno per motivi sociali, civili, ecc., però l’inconscio dice Freud non ha di questi problemi e lo manifesta nei momenti in cui la censura, quella cosa che ciascuno impara a utilizzare per vivere in mezzo agli altri, non c’è, e allora ecco che fa cose che sarebbero assolutamente inconcepibili e inammissibili, non solo ma anche, naturalmente non è che si sogni solo questo.

In tutto questo contesto ho provato a illustrarvi come si è incominciato a pensare che il pensiero degli umani fosse fatto di parole e che la parola fosse ciò che caratterizza gli umani e che in assenza di questa parola gli umani non sarebbero, anche perché non potrebbero neanche dirsi umani. Tutto ciò conduce verso una posizione che potremmo dire di priorità della parola, del linguaggio, quindi del racconto, della narrazione, ecc., ma di questo ne parleremo poi più avanti, però qui mi premeva illustrarvi come si è giunti a considerare la priorità della parola su qualunque altra considerazione, muovendo da questa idea che qualunque pensiero gli umani abbiano, bello o brutto che sia, è strutturato in un certo modo, cioè è consentito perché organizzato in un certo modo. Questo è stato l’apporto della linguistica, e in parte anche della semiotica, questa organizzazione che consente al pensiero di formarsi in un racconto, in un discorso, questo è opera del linguaggio. Come diceva Hjelmslev, è il linguaggio che dà dignità agli umani, o almeno quella che hanno, senza il linguaggio gli umani non ci sarebbero, cioè sarebbero come gli animali, senza nessun turbamento, senza ideali, senza desideri e di conseguenza senza lussuria ma tutto avviene come se non esistesse né il passato né il futuro ma solo il “qui e adesso”. Però, non è di questo che si tratta qui ma del fatto che è importante incominciare a considerare gli umani come esseri parlanti, questa è la prima cosa essenziale, poi cominciare a valutarne le implicazioni, le conseguenze di una cosa del genere, perché non basta immaginare che gli umani sono esseri parlanti perché sì, questo più o meno lo sanno tutti, ma che cosa implica una cosa del genere e che cosa implica soprattutto il fatto che non possono uscire dal linguaggio. Altra questione importante: dal momento in cui la persona è nel linguaggio, da quel momento in poi non ne ha più uscita. Considerazione non priva di conseguenze. Molte persone si sono interessate ovviamente a un problema del genere, non soltanto per dare alla linguistica una struttura scientifica sufficientemente potente o logica, molti logici e filosofi del linguaggio hanno fatto questo, il gesto di Freud rimane per un verso insuperabile, nel senso che intendere che tutto ciò che gli umani fanno è mosso, adesso lo chiamiamo “inconscio” perché lui lo chiamava così, poi vedremo di precisare, e quindi da fantasie, pone una questione straordinaria e cioè che anche la costruzione di qualunque teoria logica, linguistica, semiotica non è esente da fantasie, oltre al fatto che una teoria viene costruita in base a delle premesse che si ritengono valide, vere in alcuni casi, e qui la psicanalisi muove una perplessità perché si chiede legittimamente: valide rispetto a che cosa? Sì, può essere una convenzione, certo, però questo toglie nobiltà a molte discipline, a molte scienze, dire che procedono unicamente da una convenzione che è totalmente arbitraria e di conseguenza anche le conclusioni di quella teoria sono totalmente arbitrarie, non rispetto alla teoria stessa, perché sono coerenti con la premessa, ma rispetto al concetto di “verità” per esempio, di cui parleremo alla fine o quasi verso la fine perché è un concetto piuttosto complesso. Ciò che mi premeva dirvi questa sera, e spero di non essere stato troppo pesante ma l’argomento non è semplicissimo, è che Freud si è trovato a inventare la psicanalisi immaginando o pensando che gli umani sono per lo più fatti di parole e che tutti i loro pensieri sono fatti di parole e quindi occorre ascoltare le parole. In quegli anni de Saussure stava inventando la linguistica come è pensata oggi, perché la linguistica esiste da sempre, accorgendosi anche lui che le parole sono fondamentali perché sono ciò di cui la persona è fatta e poi Lacan che ha riletto la teoria di Freud utilizzando la linguistica e insieme con loro la semiotica, la filosofia del linguaggio e parte della logica, tutto questo ha concorso a stabilire la priorità del linguaggio, a dire che gli umani sono fatti di linguaggio, che senza il linguaggio, se proprio dobbiamo dirla tutta, non sarebbero mai esistiti. So che abbiamo molto tempo a disposizione, abbiamo quattro incontri, nel frattempo io proporrei anche di lasciare spazio al dibattito.

 

Intervento: se c’è l’arbitrarietà del segno linguistico, se il concetto di “albero” è stabilito per convenzione, per esempio, la differenza nelle varie lingue fino a che punto, mi chiedo, puoi ritenerti libero di scegliere gli elementi? Se parliamo di un soggetto emotivamente scosso pensiamo a una donna nevrotica, parliamo di nevrosi al momento in cui dipende nel suo parlare da una società che ha deciso che un oggetto si deve chiamare in quel modo e che è comunque vittima di sovrastrutture, mi chiedo fino a che punto la scelta del significante e quanto può incidere o può incidere sul soggetto emotivamente scosso? E poi un’altra domanda, lei parlava di De Saussure e del confronto fra “langue” e “parole”, la “parole” è quella che si chiamerà appunto “performance” e poi la “langue” di De Saussure sarà detta da Chomsky “parola innata” … ora come posso collegare queste due idee, la dicotomia saussuriana “langue – parole” di fine 800 come può interagire con un nominalista, con un cognitivista quale Chomsky?

 

Bene, ciascuna di queste sue domande in effetti pone moltissime questioni ma cominciamo subito dall’arbitrarietà. Sì, per de Saussure il segno è arbitrario, come lei ricordava giustamente “albero” o “finestra” il significante può assumere varie forme

 

Intervento: un soggetto appunto fra virgolette “malato” potrebbe dire quella non è una finestra ma una …

 

Questa è un’altra questione ancora. Ciò che non è arbitrario per de Saussure è la relazione fra significante e significato, non quale significato ma la relazione, ogni significante, ogni immagine acustica, è correlata in solido con un significato, quale sia questo è irrilevante, un significato può essere espresso da molti significanti e viceversa ma è la relazione che per de Saussure non può non esserci, questa correlazione per cui il significante e il significato formano la significazione. Senza questa correlazione non c’è significazione, cioè il significante è niente senza significato e viceversa il significato senza significante è niente. Ora, certo, la persona si trova immersa in un consesso civile e apprende a parlare in un certo modo, se è italiano inizia a parlare con la lingua italiana, però non è questa la questione che a noi interessa, ma c’era un qualche cosa in ciò che lei diceva che faceva intendere un’interrogazione sulla scelta delle parole: perché si sceglie una parola anziché un’altra e questa scelta è obbligatoria oppure no? La “libertà” di cui lei parlava in effetti può essere anche intesa come libertà di scelta fra parole, almeno apparentemente Freud potrebbe essere letto anche in questo modo, e cioè come una teoria determinista per cui la scelta di una parola, per esempio, per Freud non sarebbe totalmente libera ma determinata e condizionata dalle fantasie della persona. Naturalmente, tutto questo, e lo faremo in parte nei termini del possibile, va elaborato ulteriormente, però, vede, quando si parla di “libertà”, o di qualunque altra cosa, si parla di qualche concetto che abbia una qualche rilevanza, è auspicabile, è preferibile, e in questo seguo un po’ la linea di Peirce, prima stabilire le definizioni, noi discutiamo di una certa cosa, siamo sicuri che usiamo nello stesso modo questo termine intorno al quale discutiamo oppure lo usiamo in accezioni differenti? È chiaro che non è così evidente che usiamo uno stesso termine in una stessa accezione, quindi occorre definire il termine, poi potremmo essere d’accordo o no. Però, ciò su cui occorrerà che ci si trovi d’accordo è sull’utilizzo di quel termine in quel modo, questo non vuol dire che quel termine significhi quella cosa, vuol dire soltanto che lo utilizzeremo in quel modo, che è tutt’altra cosa, perché non stiamo dicendo che cos’è veramente assolutamente, no, lo usiamo in quel modo, un po’ come fanno i logici quando lavorano soprattutto nella logica formale, stabiliscono che una certa cosa significa questo, perché? Perché lo decido io, solo che la cosa importante è che da questo momento in poi, facendo questo gioco, utilizzeremo questa cosa sempre in questa accezione se no non possiamo più discutere, se no diventa un macello. Quindi, parlare di “libertà”, potremmo intendere qui “libertà” come libera scelta ma libera da che? Libera dal proprio pensiero? Perché l’accusa di determinismo rivolta a Freud può essere capovolta formulando la domanda se la libertà si intenda come libertà dei propri pensieri, visto che i deterministi accusano Freud di dire che ciascuno non è libero nella scelta di un termine perché è vincolato alle sue fantasie, ma le sue fantasie sono “sue”, sono i suoi pensieri e quindi questa “libertà” come vede è complicata, però…

 

Intervento: …

 

Lo è per lo più, certo.

 

Intervento: …

 

Questa è ancora un’altra questione che riveste in un modo più specifico la questione retorica, l’utilizzo della parola allo scopo di persuadere altri della bontà delle mie idee e cercare dunque di imporle ad altri in un modo o nell’altro (….) ma anche la persuasione è una forma di imposizione, nel senso che mira a modificare l’opinione altrui in modo che accolga la mia, a mio vantaggio naturalmente. Questa operazione, e cioè cercare di persuadere altri a proprio vantaggio, è ciò che esattamente fa la propaganda, la propaganda è questo, quindi si tratta a questo punto di vedere qual è il pubblico, che cosa grosso modo pensa il pubblico, in modo da potere agganciarsi a cose che al pubblico piacciano. È esattamente quello che si fa quando si mette insieme una giuria, almeno nel sistema giuridico americano, ci si informa di tutte le persone che faranno parte della giuria, si cerca di sapere tutto quanto di loro in modo da poterle manovrare il più facilmente possibile, non è mai possibile del tutto però ci si può provare. Infatti, non sempre riesce però in ogni caso ci si prova. Poi, naturalmente, occorre utilizzare un discorso molto semplice e far apparire al pubblico che l’oratore non ne sa tanto più di lui ma si mette anche lui al posto del pubblico in modo da non creare una distanza ma cercando di avvicinare il più possibile, se le persone si sentono più vicine sono anche più portate a interagire con l’oratore nel modo più semplice, più amichevole, come se le cose che dice fossero quasi più vere. E poi un discorso, questo lo diceva già la retorica di duemilacinquecento anni fa, occorre che sia un discorso anche bello, per una connessione fra il bello e il vero, ciò che è bello appare molto più facilmente vero, il brutto appare molto più facilmente falso, è comunque qualcosa da rigettare. Quindi, questa tecnica di persuasione di cui ho accennato due aspetti ha ovviamente a che fare con il linguaggio ma è un aspetto particolare del linguaggio cioè il suo uso specifico. Intorno all’ “uso” si potrebbero aprire altre parentesi, avvicinandosi alla questione di cui parlava Wittgenstein che mi sembra sia nel programma, cioè il “significato” come “uso”, ma adesso non mettiamo troppe cose ….

 

Intervento: …

 

Gli americani in buona parte sono oriundi di qualche cosa, tutti nomi polacchi, tedeschi, italiani…

 

Intervento: ….

 

La teoria di Chomsky, ecco, io ho sempre nutrito qualche perplessità intorno all’innatismo, e cioè a questa soluzione teorica che a mio parere è di comodo. Quando non si riesce ad andare oltre ad un certo punto, non si riesce ad argomentare più oltre un certo punto, cioè non si riesce a rendere conto di un certo fenomeno, di un certo evento, ecco che c’è l’escamotage dell’innatismo, che ha anche dei risvolti retoricamente e sociologicamente e politicamente abbastanza problematici. L’ innatismo si rifà all’idea che sia la natura a stabilire così, la natura è così e pertanto non possiamo fare niente. Il passo successivo è questo: ciò che io dico è conforme a natura dunque “non potete fare niente” perché le cose stanno così. Questo è il rischio, diciamo, in ambito politico, sociale dell’innatismo.

 

Intervento: a proposito di ciò che diceva Chomsky un aneddoto /…/ bambini inglesi che dopo poco tempo di vacanza a Capri salutano e parlano in dialetto napoletano con i nonni …. 1“innatismo” di Chomsky e “idee (iperuranio)” di Platone ….

 

Certo, questo ci induce a considerare che forse potremmo, magari più in là, porre una questione molto attuale e molto interessante, cioè questa: le macchine possono imparare a pensare come gli umani? E daremo anche una risposta, naturalmente aiutato in questo dalla mia amica Eleonora che si sta occupando proprio di questo, perché se il linguaggio si impara in un modo o nell’altro basta trovare il metodo di apprendimento, applicarlo a una macchina e la macchina eseguirà esattamente ciò che esegue un bambino, né più né meno. Ne parleremo poi perché la cosa non è che si risolva in quattro e quattr’otto ovviamente. Ciò che a me importava adesso cominciare a dirvi dell’importanza del linguaggio negli umani, solo questo praticamente, cominciare a riflettere che gli umani sono esseri parlanti e su che cosa comporta, cosa implica, quali sono i risvolti di una cosa del genere. Sono notevoli, anche le emozioni cosiddette, i sentimenti, anche queste cose sono il prodotto di considerazioni, tant’è che una cosa emoziona una persona e un’altra no, una persona si emoziona per una certa cosa perché questa cosa ha valore per quella persona, se non valesse niente non produrrebbe nessuna emozione e se ha valore è perché questo valore è stato prodotto da una serie di considerazioni a cui è giunta, a una conclusione, mettiamola così in termini spicci, una conclusione di un ragionamento, più o meno consapevole … c’è qualche altra questione, la signora?

 

Intervento: vorrei che queste conferenze non si spostassero più di tanto dal tema, Lacan per esempio, la linguistica di Chomsky…

 

Vede, io ho parlato di Lacan unicamente per questo fatto, che lui ha ripreso qualche cosa della linguistica per riferirla a quella di Freud, però dovevo dire giusto due cose per collegare…

 

Intervento: …

 

Però, come diceva la signora, non è un corso di linguistica o di semiotica…

 

Intervento: secondo me non si può parlare di pensiero, di mente senza considerare appunto il linguaggio.

 

Intervento: va benissimo io non riesco a parlare di qualcosa però non vorrei che ci si spostasse molto, Freud e la psicanalisi.

 

Certo, il titolo è questo, “Freud e la psicanalisi”, questo è il titolo generale, però se ci sono degli elementi che possono portare delle considerazioni, domande, riflessioni che possono andare al di là di ciò che ha scritto Freud, allora questo ci è consentito e ci è consentito anche, anzi, si è dovuto dire perché se ci allontaniamo per esempio dal testo di Freud lo facciamo e cioè chi sono quelle persone che hanno consentito di leggere il testo di Freud, in modo più, usiamo questo termine in modo più, proficuo.

 

Intervento: ….

 

Entro a certi limiti sì, io non è che sia interessato molto a Lacan, l’ho citato perché è stato il primo a fare quel gesto particolare, quel primo passo, è questo che a me interessava, la teoria di Lacan mi interessa molto poco in realtà per una serie di buoni motivi. Sì, c’è qualche questione?

 

Intervento: io consideravo ciò da cui è partito Freud e cioè la così detta “nevrosi” quella cosa che è considerata oggi come malattia, questo sistema di pensiero, perché anche Freud lo considerava un sistema di pensiero, così come de Saussure ha considerato la lingua un sistema entro il quale ciascuno si trova a vivere perché parla quella lingua e da quella lingua trae la significazione cioè ciò che per lui le cose significano, le cose che per lui hanno un senso, di qualsiasi senso si tratti. Ora consideravo la struttura di un sistema linguistico perché tutto si svolge all’interno di un sistema, prima lei parlava di Benveniste e di come una struttura, un sistema si modifichi in continuazione, la variazione di un elemento comporta il riassetto simultaneo della struttura, tornando alla nevrosi, la nevrosi invece è proprio un sistema di pensiero in cui le cose sono fisse, ferme, immobili, la persona continua a ripetere ma anche mettendo in scena…

 

Sì questo è interessante, perché è come se le cose che pensa la nevrosi fossero delle invarianti.

 

Intervento: Esatto, non si muove la nevrosi da quell’ambito in cui a lei, alla nevrosi, “le cose piacciono” tra virgolette anche se si tratta di una paura immensa, anzi, di un sintomo considerato tremendo dal luogo comune, che la fa soffrire in modo “sperticato” ma questo per la nevrosi questo è normale, il sistema di pensiero la costringe a muoversi sempre nella stessa direzione, ecco perché Freud invitava a parlare, fare analisi è parlare e quindi aggiungere sempre elementi, perché questi elementi agganciandosi ad altri e costruendo nuove catene sono quelli che mettono in moto la struttura di pensiero e quindi se ciascuno potesse considerare il modo in cui pensa, quella che oggi è decretata una “malattia” la depressione per esempio è considerata dai medici qualcosa che attiene alla sanità, se invece le persone potessero considerare il proprio sistema di pensiero, che non ha bisogno di fissarsi su qualcosa per continuare a funzionare, limiti invalicabili che non consentono modifica ecco che allora le questioni potrebbero cominciare a trovare altre strade, aperture sempre più grandi e non elettrochoc o psicofarmaci di varia natura e foggia.

 

La questione dello spostamento è importante e ne parliamo martedì prossimo perché riguarda proprio le fantasie, come Freud pone le fantasie, e infatti il titolo è “Freud e le fantasie”, “Il racconto della fantasia e il racconto della realtà” “la costruzione del racconto”, come si costruisce un racconto. E qui citeremo anche Propp e Greimas intorno alle fantasie.