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Torino, 27 aprile 2010

 

Libreria LegoLibri

 

La logica dell’amore

 

Antonella Di Michele

 

Io non ho paura

 

Intervento di Antonella Di Michele

 

La paura è un emozione, la più forte delle emozioni, e l'emozione è ciò che si produce quando una conclusione è ritenuta vera all'interno di un certo gioco; per dirla meglio, essa è l'effetto inevitabile di un pensiero, di un ragionamento, che si presenta a noi con un emozione forte. Infatti le emozioni non sono altro che il risultato di nostre idee, o meglio, di nostri personali discorsi in cui le sensazioni esterne e le fantasie interiori si incontrano. L'attesa, il sogno, il proibito, il desiderio giocano infatti un ruolo molto forte nella produzione delle emozioni: lo stimolo esterno è solo l'occasione per una risonanza psichica. L'emozione si produce in seguito ad una conclusione di un pensiero, di un discorso ritenuto vero, un idea fantasticata e narrata a sé stessi, di una conclusione possibile: si immagina una scena, la si sogna, la si attende magari per anni, e poi si teme che il tutto accada oppure no. La proibizione infatti aumenta l'attesa: più sarà proibita qualcosa che ci interessa, più aumenterà il nostro interesse per essa e, di conseguenza, più forte sarà la nostra emozione. È importante sottolineare che l'interesse gioca un ruolo preminente: le cose, gli argomenti che ci interessano sono prioritari, creano una corsia preferenziale nei nostri pensieri, nei nostri discorsi e nelle narrazioni interiori. Non ci emozioniamo infatti tutti per le stesse cose, per la medesima persona, di conseguenza, appurato il fatto che la paura sia un emozione, non abbiamo tutti le stesse paure. È facile osservare che più di ogni altra cosa ci importano le nostre fantasie: esse ci attraggono perché seguono regole diverse da quelle della realtà. Ed è proprio per questo che ci piacciono, che siamo (inconfessabilmente) legati ad esse, anche quando si rivestono della spiacevole tonalità delle paure. Pensiamo alla paura originaria, la prima paura sperimentata da piccoli, la più comune, l'abbandono: la paura del bimbo di perdere i genitori, o il giocattolo, fino all'angoscia di perdere tutto, di perdere sé stessi, la paura del nulla, del silenzio e l'elenco può essere infinito, come infinite sono le fantasie. Se non ne avessimo, gli adulti fanno in fretta nel suggerire ai piccini l'orco che arriva, il lupo che li mangia in un sol boccone e la strega cattiva, loro immaginano tutto questo e dì più e aspettano il lupo e la strega che poi magari, anzi quasi sempre non arriva, ma intanto la fantasia produce e l'immaginazione va avanti. Non è proibito raccontare le favole, poiché crescendo si impara che il lupo cattivo non esiste, però quella emozione, quella forte paura resiste, è possibile che la stessa si sposti su altro. Si ricrea l'antica paura e la si sposta dal lupo cattivo al possibile inseguitore che ci pedina o al collega che ci toglie il lavoro o altro. Non importa quanto qualcosa sia vero, ma a quanto noi crediamo che lo sia: la stessa notizia, che domani finisca il mondo, ad alcuni provocherà terrore, paura, ad altri no, tutto dipende da quanto un individuo voglia ritenere vera oppure falsa la notizia. Se un individuo ritiene di valere poco o niente, finirà col fare poco o niente, se qualcuno pronto glielo conferma, diverrà una certezza, se una persona crede di non essere attraente e teme che il suo amato la lasci, molto probabilmente accadrà. Se credo di essere inseguito per strada e fatalmente scopro qualcuno al mio seguito sempre, avrò paura, riterrò vero e certo che qualcuno mi insegua, la realtà ha permesso un riscontro alla mia fantasia, poiché è di questo che si tratta: di una fantasia, la stessa che mi fatto sognare il primo bacio, il primo incontro, un figlio e altro. Le fantasie non sono reali, ogni cosa è possibile, nel bello e nel brutto e purtroppo il credere qualcosa vero ci condiziona e ci conduce inevitabilmente a vivere il nostro credo. Difficile ammetterlo, ma qui sta il punto fondamentale: il fatto è che le paure proteggono, ci proteggono, ci costringono al non fare, obbligano qualcuno a starci accanto, a non lasciarci mai soli, ci limitano e nel bloccarci, fanno i modo che ci si esponga, ma solo fino ad un certo punto, che ci si metta in gioco, ma solo un pochino. Questa la vera funzione della paura, la paura se esiste, se è stata creata, cosa assai difficile da ingoiare, ha una sua funzione, se c'è, a qualcosa serve. Se ci limita, ci blocca e ci porta alla paralisi, la paura ha un motivo, quella che Freud chiamava, del tornaconto: la paura protegge e frena, la cautela a cui ci porta può per eccesso condurci al blocco alla paralisi: forse tutti noi conosciamo quel brivido, le mani sudate, il battito cardiaco che aumenta, il rossore, quel panico che o ci spinge a muoverci a fuggire, oppure ci ferma, ci paralizza. Altra paura è quella di essere felici godere delle cose belle, la paura che tutto vada bene, la paura della perfezione, esiste anche quella! La paura, sia che ci induca al blocco difensivo, sia che ci spinga a muoverci altrove, alla fuga, sembra un meccanismo onnipresente, ma perché? Il fatto è che ce le costruiamo noi le paure, ciascuno a proprio uso e consumo e questo spiega perché diverse, perché non siano uguali per tutti. E a questo punto è chiaro che per ognuno soddisferanno esigenze diverse. L'unico modo per liberarci dalle nostre paure è comprenderne la funzione, lo scopo personale e specifico per cui sono state costruite, (fabbricate e trasformate negli anni dal nostro pensare e dal nostro fantasticare):solo così si può far luce sulle radici autentiche di una paura, farne oggetto di una conoscenza razionale, e quindi dissolverla. Pensiamo ai primitivi e alle paure di fronte all'ignoto: la paura del tuono, dei fenomeni della natura, paure poi scomparse una volta che se ne è saputo di più. Certo che la conoscenza ci obbliga a prenderci delle responsabilità. Se veniamo a conoscenza e accettiamo che le paure sono costruite da noi, siamo obbligati a trarre delle conclusioni in termini di autonomia e di impegno personale. Al contrario possiamo scegliere di rimanere bloccati dalle nostre paure, imputare alle cose e alle persone la responsabilità del nostro comportamento: questa è senza dubbio la più grande delle tentazioni e perciò il più grande degli ostacoli. L'altro grande pregiudizio da eliminare è quello delle emozioni tanto care all'essere umano, perché senza di esse non si potrebbe vivere, ma nessuno dice di rinunciare alle emozioni: il fatto è che una cosa è affrontare le emozioni sapendo cosa sono, ben altra cosa è farsi travolgere da esse. Farsi travolgere dalla paura? Essere paralizzati dalle paure? Essere spaventati dalla felicità? A qual fine? Perché accettare che qualcosa di forte, brutta o bella che sia debba condurre il gioco al posto nostro? Si può essere padroni di sé solo attraverso la conoscenza, al contrario si è solo in balia-di emozioni die ci condizionano, che lo si voglia o meno. La società in cui viviamoti la cultura del nostro tempo non ci aiuta: ovunque respiriamo la cultura della paura, dalla fine del mondo, alla paura del diverso, le paure sociali, a tutte è stato dato un nome e vi risparmio l'elenco infinito di quei nomi deliziosi rubati per la maggior parte alla lingua greca. Assisto ad una angoscia collettiva di perdita d'identità e di spaesamento, che fa volgere lo sguardo di molti di noi al rimedio delle religioni antiche e nuove. Aumenta il bisogno disperato dì credere, di credere al bene e al male, infatti non è da sottovalutare la facilità con cui l'individuo sogna, si spaventa, domina e incanta gli altri offrendo le sue verità: da una parte i giusti e dall'altra i cattivi. Nella storia troviamo ampia conferma di questo: la religione e la scienza senza fatica incantano, promettono e all'occorrenza spaventano, alternandosi in un gioco infinito presentano ora la somma verità, ora il peccato. È più facile gestire un uomo spaventato, si gestisce meglio non crea opposizione, non è pericoloso e si conduce dove si vuole, basta ricordagli la paura, ci promettono che sconfiggeranno il cancro in tre anni, già il cancro, il terrore degli ultimi anni con una bella e credibile promessa: quale formula migliore? È vero, cancro e perdita del lavoro sono paure tangibili in questi anni, coltivarle non migliora l'esistenza, anzi la peggiora. Questo è un vecchio gioco per i potenti, per i leader di tutte le stagioni, ma se ci pensiamo è lo stesso gioco che faceva con noi la mamma: se fai questo verrà il lupo cattivo a punirti! Sempre il più forte si erge a autorevole, e a potente, contro il più debole e non a caso, il più debole è sempre quello che non sa, a me vien da dire quello che non vuol sapere. E il non sapere autorizza a sbagliare, ad essere vittima delle persone, delle circostanze, del prepotente di turno visto che generare paura e terrore è altro che un'arma potente! La conoscenza ci fa liberi: bisogna trovare il coraggio di guardare in faccia le nostre emozioni più forti, le nostre paure, guardarle e riguardarle attentamente, per scoprire che altro non sono che il frutto di nostre credenze e fantasie, scatenate a loro volta da storie costruite da noi stessi, scene forgiate dal nostro stesso desiderio profondo, che vogliono condurci ad un unico risultato: esattamente quello che vogliamo. Sottolineo ancora la grande responsabilità che ha il credere: pensare che la causa venga dall'esterno non ci aiuta, ci deresponsabilizza soltanto. Le nostre idee, i nostri pensieri, sono un nostro prodotto, non vengono da lontano. Siamo gli artefici del teatro delle nostre emozioni: siamo noi con il nostro linguaggio, con i nostri pensieri a produrre fantasie, opinioni, situazioni. Ecco spiegato il successo dei romanzi gialli, dei thriller che ci permettono di rivivere in una situazione psicologicamente economica e sicura, al riparo della ricostruzione romanzesca di scene, le emozioni della paura. Se una persona si spaventa in genere non si muove e non fa, e quindi in qualche modo è assolto da critiche e conseguenze del suo agire. Chi non agisce si sente al sicuro non si espone, non si sente di rischiare, non osa sfidare il pericolo, reale, ma molto spesso immaginario, che si celerebbe dietro la paura. Altro pericolo è la questione dell'aspettativa: ci prefiggiamo un modello alto (ideale) da raggiungere e intorno a questo ideale alto, scomodo, irraggiungibile, ci costruiamo la paura di non poterlo conquistare. Ci fabbrichiamo noi stessi un idea di perfezione che poi ci può creare dei problemi, portarci in una situazione di stallo, immobili a metà del guado tra ciò che sogniamo di raggiungere e la tentazione di non far niente. Anzi l'aspettativa elevata può diventare l'alibi per la nostra inerzia, tanto è certo che non riusciremo a raggiungere il bel sogno: troppo bello, troppo perfetto come dicevo irraggiungibile. Risalire alla radice della paura, scoprirci autori delle nostre paure più forti, tutto ciò può essere profondamente eversivo, perché non ci libera soltanto dai tanti 'rimedi 'difensivi del nostro mercato psichico interno (ansie, blocchi, spostamenti),ma anche soprattutto, perché può liberarci definitivamente dalla credenza e dalla dipendenza dai mille espedienti artificiali costantemente offertici dal gran mercato della società contemporanea per fuggire dalle nostre fobie, ad esempio lo psicofarmaco, ne abbiamo in circolazione per ogni tipo d'ansia, farmacon in greco è rimedio e non soluzione! Reprimere le emozioni, provare vergogna, nascondersi, non confidarsi per paura del giudizio altrui, percepire sempre gli altri come potenziali aggressori o aggredirli preventivamente per aggredirli a distanza, questi errori possono trasformare una emotività imbarazzante in una malattia invalidante. Se siamo affetti da patologie varie, che riguardano il nostro fisico, corriamo da un medico subito, perché non intervenire subito anche per le paure, le emozioni invalidanti? Le paure quindi non hanno meriti, costituiscono una sofferenza e un handicap per gli individui che ne sono vittime. Se la paura occupa un posto nella nostra esistenza conviene chiedersi quale funzione ha, comprenderne la costruzione, l’unico modo per poterla dissolvere, sarebbe utile agire subito, poiché le paure comportano cattive abitudini, che non è sempre facile abbandonare. Peccato condurre un'esistenza con i tutti i limiti che le paure comportano, peccato non essere liberi di emozionarsi e perché no, anche di avere paura magari del nuovo potendo godere anche di questo momento, senza però esserne vittima!

 

Intervento: l’emozione ho inteso, l’emozione mi è più chiaro che con paura cioè come legare una paura ad una fantasia?

Intervento: se io uscendo di casa trovo delle persone che mi pedinano ecco questa è una fantasia, una mia fantasia che è una mia conclusione perciò per me una fantasia è qualche cosa che è vera … una mia fantasia che potrebbe provocarmi una paura è che uno qui dentro qualcuno potrebbe avere un’arma e spararmi, ma questa è una mia fantasia …

Intervento: la conoscenza non basta perché per non avere paura la motivazione deve essere forte …

Intervento: la questione della conoscenza … in questo caso la conoscenza è sapere come funzionano le proprie fantasie, in questo caso possiamo parlare di conoscenza cioè venire a sapere come funziona il proprio pensiero e a questo punto ecco che questa forma di conoscenza, diciamo di consapevolezza, conduce effettivamente a questo meccanismo di cui parlavi prima per cui la paura si dissolve, questa funzione ha la conoscenza la stessa funzione di quando si da una sberla a uno che sviene, per svegliarlo …

Intervento: anche la conoscenza di come funziona il pensiero ha un limite oppure no? conoscere questa cosa fino a che punto, conoscere il meccanismo dei così detti pensieri fino in fondo al cento per cento o ci sono dei punti in cui mi devo arrestare?

Intervento: perché non è possibile interrogare i propri pensieri …

Intervento: un conto è interrogarlo questo si può fare ma conoscerlo fino in fondo? Penso alla logica che c’è dentro al linguaggio, le regole dell’inferenza logica … se penso così allora è così, non so quello, è una domanda …

 

Intervento di Luciano Faioni

 

È una bella domanda, la conoscenza, fino a che punto è possibile conoscere? Questione complessa anche perché bisognerebbe avere ben chiaro cosa si intende con conoscere intanto, ma aldilà di questo, conoscere il pensiero ché non si tratta di conoscere qualunque cosa, non basta conoscere per esempio, la geologia marina, ma si tratta di conoscere il funzionamento del pensiero, cosa che di per sé è abbastanza semplice e cioè si tratta di cogliere quali elementi ciascuno mette in atto quando pensa e cioè quali sono quelle procedure che fanno funzionare il pensiero. Queste procedure sono procedure linguistiche cioè è il linguaggio in realtà che sta funzionando e sapere come funziona il linguaggio come dicevo prima è semplice: il linguaggio dicevamo anche la volta scorsa non è nient’altro che una sequenza di istruzioni che servono a costruire proposizioni, ciascuno potrebbe avere continuamente presente, anche se ovviamente non è semplicissimo, che di fatto si tratta di questo, di istruzioni per costruire proposizioni quindi tutte le cose che pensa che quindi ha costruito di fatto sono sequenze di proposizioni, che senso hanno queste proposizioni? Il senso di queste proposizioni procede da altre proposizioni ovviamente e così via per cui trovare il senso di ciò che si dice rinvia naturalmente ad altri pensieri, ad altre costruzioni, ad altre scene, però torniamo alla questione principale cioè come so cosa costruisce il pensiero e se è possibile andare oltre il limite del consentito. Supponiamo di conoscere esattamente come il linguaggio costruisce le proposizioni, a questo punto abbiamo una sorta di, chiamiamolo sistema operativo, per fare il verso all’informatica, che ci dà il modello base che è necessario per la costruzione di qualunque proposizione e di conseguenza di qualunque discorso, qualunque esso sia, questa conoscenza di base comporta il fatto che queste istruzioni semplicissime vertono sul fatto che un elemento deve essere riconoscibile e quindi deve essere distinguibile dagli altri, e un sistema inferenziale che consente di trarre da un elemento un altro. Questi elementi sono più che sufficienti per costruire proposizioni e di conseguenza discorsi, di conseguenza pensieri di qualunque genere essi siano, che siano pensieri bellissimi o bruttissimi questo è totalmente indifferente, si tratta sempre e soltanto di sequenze di proposizioni, perché appaiono brutte per esempio? Perché si è imparato che alcune cose sono male oppure si è creduto che alcune cose sono pericolose; ciascuna volta ciò che è in gioco è sempre qualcosa che è stato creato, prodotto dalle sequenze di proposizioni quindi dai propri pensieri che sono giunti a una certa conclusione e questa conclusione, se è accolta dalla persona come vera, allora la persona si muoverà di conseguenza per cui a questo punto si è giunti effettivamente al limite, alle colonne d’Ercole oltre non è possibile andare, e cioè non c’è uscita dal linguaggio. Inteso come funziona il linguaggio allora c’è la possibilità di sapere sempre e comunque perché si pensa ciò che si pensa e c’è anche la consapevolezza che non c’è uscita dal linguaggio …

Intervento: quindi non perché si pensa come si pensa? Perché quello è il linguaggio sono le colonne d’Ercole …

Sì, sapere il modo in cui si pensa necessariamente, e il modo in cui si pensa è il modo in cui è fatto il linguaggio e non c’è un altro modo per potere pensare, cioè si parte da una premessa che si considera vera, si compiono dei passaggi e si giunge a una conclusione, non c’è un altro modo di pensare, poi che questi passaggi siano più o meno consapevoli questo è un altro discorso, come dicevamo forse qualche intervento fa, la cosiddetta emozione che appare essere qualcosa di immediato, fuori dal linguaggio, di fatto anche quella è il risultato di una sequenza di proposizioni, cioè considerazioni, di conclusioni, di decisioni: perché qualche cosa produca un emozione occorre che qualche cosa sia importante, e perché qualche cosa sia importante occorre che gli sia attribuito un valore, e questo comporta una decisione. Dunque è possibile sapere esattamente come funziona il linguaggio, si tratta a quel punto di agirlo anziché subirlo come avviene comunemente, sapendo come funziona e non potendo non saperlo ciascuno è come se in ciascun istante non potesse non sapere che qualunque cosa faccia, non faccia, pensi non pensi in ogni caso si trova all’interno di giochi linguistici, non solo, ma se procede poco oltre con le sue considerazioni sa anche che questi giochi linguistici sono per niente, non hanno un fine ultimo …

Intervento: se non affermare la propria verità …

Esattamente questo è ciò che fanno gli umani interrottamente: affermare continuamente ciò che credono essere vero. È possibile arrivare dove si vuole, non c’è nessun limite, l’unico limite che abbiamo è il linguaggio perché non è possibile uscirne. Nessuno si accorge di essere fatto di linguaggio, e questo è singolare, perché è una considerazione che ciascuno potrebbe fare con assoluta semplicità eppure non viene fatta e questo ha costituito un grosso problema in questi ultimi duemila anni. È stato necessario a un certo punto riflettere su ciò che si stava facendo, accorgersi che ciò che si stava facendo è consentito dal linguaggio, e che in assenza di linguaggio non si può né pensare, né sperare, né desiderare, né avere emozioni, niente, assolutamente niente …

Intervento: ho trovato molto interessante che la paura è solo una difesa, e quindi altri vantaggi secondari in altri casi quando sono leggere le paure vada ma quando sono grosse a volte sono una buona protezione, il bambino di cui Freud parlava della paura dei cavalli ma se si fosse reso conto di cosa c’era dietro … o si capisce l’origine delle paure oppure quasi quasi è meglio tenersele …

Le paure di per sé non sono né bene né male, cioè una persona può, se vuole, avere tutte le paure che ritiene opportune. In effetti procedendo lungo questo percorso ciò che si incontra è una distanza, una distanza che inesorabilmente accade di prendere, per esempio, da tutto ciò che riguarda le cosiddette emozioni che provano gli umani, per cui anche la paura, ma distanza significa semplicemente che si sa di che cosa tutto questo è fatto, a che cosa serve, come si diceva prima, qual è la sua funzione, in altre parole si sa come funziona il linguaggio e di conseguenza il discorso e perché sto pensando le cose che sto pensando. Quali altri elementi, quali altri discorsi mi hanno mosso a pensare quelli che penso adesso, e soprattutto ho la consapevolezza assoluta e irreversibile che si tratta sempre e soltanto di sequenze di proposizioni, che di per sé non servono a niente se non a proseguire se stesse, del resto parlare di utilità, di servire a qualche cosa è complicato anche perché poi si arriva a fine corsa e allora bisognerebbe chiedersi a che cosa serve vivere, assolutamente a niente è ovvio però …

Intervento: che brutta cosa che ha detta!

Non c’è nulla che serva in realtà se non all’utilizzo immediato, cioè a fare un gioco linguistico, se dobbiamo parlare di utilità l’unica utilità che ha il linguaggio è proseguire se stesso, non ne ha nessun altra. Facevamo l’esempio la volta scorsa del Dna che costruisce proteine, per che cosa lo fa? Sono istruzioni, una volta che ci sono istruzioni queste producono quello che devono produrre, il fatto di domandarsi per esempio se la vita ha una finalità o non ha una finalità o ce l’ha bella o brutta ecco tutto questo, per esempio, in assenza di linguaggio non potrebbe mai porsi né sarebbe mai esistito. Gli umani costruiscono una quantità sterminata di pensieri compresa una paura, per esempio, non è difficile costruire una paura si può costruire anche in vitro, i governi lo fanno continuamente, naturalmente occorre avere un minimo di autorità sulle persone che si vogliono spaventare e produrre dei fenomeni tali che inducano le persone a credere che questa paura sia reale, questo che fanno i governi, e lo fanno da sempre. Se si considera invece rispetto al singolo è la stessa cosa, esattamente la stessa cosa e cioè si produce un qualche cosa che la persona ritiene essere vera e la ritiene altresì foriera di pericolo, che potrebbe benissimo non essere, però per la persona è realmente così, come nel caso del delirio …

Intervento: mi pare di avere capito che in assenza di linguaggio non ci sarebbero le emozioni …) Non solo, ma non ci saremmo neanche noi …

Intervento: ma ad esempio gli animali non dovrebbero avere il linguaggio quindi non dovrebbero avere emozioni, ma chiaramente se lei non ha un cane non può sapere …

Ne ho avuti, e ho sempre attribuito ai miei cani tutto quello che mi pareva più opportuno, tanto non rispondevano per cui potevo pensare che fossero contenti, fossero tristi, gioiosi o qualunque altra cosa. È anche per questo motivo che molti preferiscono stare con i cani perché in ogni caso gli si dice qualunque cosa e l’animale in questione non ha nessuna obiezione da porre a ciò che si afferma quindi se io decido che il cane è contento lui non obietta nulla.

Intervento: ha delle manifestazioni che sono inequivocabili …

Inequivocabili per chi?

Intervento: come è evidente lei diceva che la vita non ha uno scopo …

Questa è una deduzione, non è un’osservazione. L’osservazione è un fenomeno bizzarro che già gli antichi mal consideravano perché ciascuno osserva quello che vuole, ciò che ritiene più opportuno e in base alla sua osservazione stabilisce che le cose stanno in un certo modo, tant’è che ciascuno osserva una cosa e decide che la realtà è fatta in un certo modo, un altro osserva in un’altra maniera e decide che la realtà è fatta in un altro modo, altro è invece considerare che la condizione per fare tutte queste considerazioni, compresa l’osservazione, è qualche cosa di molto più radicale, si basa su quello che io penso in quel momento, su quello che ritengo più opportuno, che mi pare …

Intervento: però se il cane le vola addosso ha l’emozione che questo è arrabbiato …

È possibile, nel migliore dei casi possiamo dire che è possibile, noi attribuiamo a quella bestia quello che stiamo decidendo in quel momento, perché non sono in condizioni di fare quello che facciamo noi, non hanno la possibilità di parlare in definitiva e quindi di dire ciò di cui si tratta e questo ci autorizza ad attribuire loro qualunque, cosa come si fa con i bambini, prima che incomincino a parlare, si attribuisce a questi bambini qualunque cosa e il suo contrario come fanno gli psicologi normalmente. Aldilà di questo che tutto sommato ha scarso interesse, rimane che la condizione di tutto questo è la cosa più interessante, perché per potere fare un’osservazione per esempio occorre una struttura che è quella del linguaggio e quindi occorre già avere delle conoscenze, occorre che queste conoscenze siano organizzate in un certo modo, che ci siano delle decisioni, che ci siano delle conclusioni, che si ritenga a un certo punto una certa conclusione vera in base a delle considerazioni che si sono fatte e tutte queste operazioni sono quelle che caratterizzano gli umani sono consentite dal linguaggio. È per questo motivo che ci siamo soffermati a lungo sulla struttura del linguaggio, perché non solo è ciò che consente agli umani di parlare e quindi di fare tutto quello che hanno fatto da quando esistono, ma anche ciò che consente agli umani di dirsi per esempio umani e quindi dire che “io esisto”, che può anche essere poco importante, però in ogni caso lo si fa …

Intervento: una persona che nasce sorda muta e cieca …

È curioso che tutte le questioni che vengono poste quando sia accenna al linguaggio vertano su persone che non parlano, non vedono, non sentono etc.

Intervento: …

Sì, gli uomini primitivi sono importantissimi, il problema è che non ci sono testimoni che ci possano spiegare ma comunque sia lei dice una persona che è sorda, muta, cieca, come comunica? Dipende, se in qualche modo è possibile fargli acquisire questo strumento fondamentale, questo linguaggio attraverso dei mezzi, dei codici, allora sarà possibile che questa persona possa comunicare se no, no semplicemente manca la struttura del discorso e quindi non sappiamo assolutamente nulla né per altro siamo autorizzati a questo punto a pensare qualunque cosa di lui e cioè che lui pensi comunque, che lui faccia delle cose, chi ci autorizza a pensarlo? Nessuno, è soltanto una decisione, ci piace pensare così e bell’e fatto, così come mi piace pensare che il cagnolino quando rientro in casa sia contento di vedermi, mi piace pensarlo, va benissimo, non c’è nessun problema. In ambito teorico le questioni sono un po’ più complicate, non basta che una persona decida che gli piaccia pensare le cose in un certo modo, non basta assolutamente, tutto ciò non ha nessun rilievo. Si tratta di muovere invece da qualche cosa di fondamentale, in questo caso come abbiamo accennato prima, la questione del linguaggio, e cioè quella cosa torno a dire che è la condizione perché gli umani si pensino tali e di ciò che ha consentito agli umani di costruire la teoria, la filosofia, l’astronomia, la fisica, costruire ponti, costruire qualunque cosa, dal monopoli alla bomba atomica, tutto questo è stato ed è possibile perché sono provvisti di questo linguaggio, è per questo che è importante sapere come funziona. Le persone si uccidono tra loro, fanno le guerre per esempio, massacri di proporzioni bibliche perché sono provvisti di linguaggio e soprattutto perché non sanno di essere linguaggio. Ogni volta che si muovono pensano di essere naturalmente nel giusto, nella verità, e quando si scontrano con altri che pensano che la verità sia quella loro ecco che si ammazzano a vicenda. Occorre riflettere su come si crea, per esempio, l’idea di essere nel vero, può essere interessante, può avere dei risvolti di qualche interesse …

Intervento: ci possono essere dei dubbi … lei diceva che uno vuole imporre all’altro la propria sicurezza …

Nel caso dei conflitti si, certo, per esempio guerre di religione, una verità contro un’altra, era un esempio, non è una legge universale, se una persona ha dei dubbi è perché ancora non l’ha trovata la verità, o ritiene che siano altri i depositari. C’è una struttura di discorso che già Freud aveva individuata ai suoi tempi come discorso ossessivo, che vive di dubbi, ma non per questo non ha certezze, soltanto che preferisce che siano altri a esporle e soprattutto a esporsi restando sempre un po’ nell’ombra, ma una persona che ha dubbi non per questo è meno sicura di infinite altre cose. Ma non è tanto questa la questione quanto piuttosto intendere come questa struttura che continuiamo a chiamare linguaggio costruisca pensieri e come una volta che questi pensieri sono costruiti impongono per così dire alla persona di muoversi di conseguenza, qualunque siano questi pensieri. Intervento: in poche parole direi che gli umani non si sono mai accorti di parlare e quindi di pensare di poter pensare, perché è soltanto perché parlano che gli umani possono pensare non il contrario dice “gli uomini pensano quindi descrivono delle cose quelle cose che sono nel profondo della loro anima” no è assolutamente il contrario gli umani pensano perché parlano, perché sono parlanti perché sono differenti dal cagnolino di cui si parlava prima, il cagnolino non è dotato di linguaggio, gli umani sì e hanno costruito tutto ciò che hanno costruito comprese la paure, le angosce, le nevrosi, le psicosi, la gioia, la felicità e via discorrendo, purtroppo parlando non accorgendosi di farlo costruiscono anche le guerre e si ammazzano fra di loro …

Bene, buona serata a tutti e grazie.