HOME

 

 

 

26 maggio 2005

 

Libreria LegoLibri

 

LA SODDISFAZIONE

 

Sandro Degasperi

 

/…/

 

Luciano Faioni

 

È stato detto della soddisfazione in termini precisi, cioè come ciò che interviene in seguito alla soluzione corretta di un problema, a questo punto sorge quella sensazione che è nota come soddisfazione, quindi sempre la conclusione, il compimento di qualche cosa, tant’è che una cosa incompiuta, incompleta, si usa dire che lascia insoddisfatti e è stato anche detto in modo preciso che non è per un ghiribizzo che gli umani, tutti quanti, fanno una cosa del genere, ma costretti da ciò di cui sono fatti e ciò di cui sono fatti è, come diceva giustamente Sandro, il linguaggio, quella struttura che consente a ciascuno di pensare, di accorgersi di esistere, di dire, di parlare, di confutare, di obiettare, di affermare etc. Quindi verrebbe da considerare che in assenza di linguaggio non ci sarebbe alcuna possibilità di essere soddisfatti da alcunché, come dire che il linguaggio in questo caso è la condizione della soddisfazione e se gli umani cercano fin da quando esiste traccia di loro e per tutta la loro vita la soddisfazione, allora effettivamente occorre considerare che ciò che cercano, ciò che dà senso alla loro esistenza, ciò che fornisce un motivo per esistere lo trovano nel linguaggio, e cioè in questa serie di pensieri con i quali viene costruito il mondo esterno, con i quali viene costruita la propria certezza e tutte quelle cose che si credono, in molti casi con molta fermezza. Credere qualcosa procede da una serie di considerazioni, di giudizi, e i giudizi non potrebbero essere fatti senza linguaggio quindi, per potere giudicare e quindi stabilire come stanno le cose, è necessaria l’esistenza del linguaggio. Potremmo dire che è necessaria l’esistenza del linguaggio anche per considerare la nozione stessa di esistenza, in ogni caso la questione che appare importante è che la cosa che gli umani cercano e che sembra determinante alla loro stessa esistenza è fatta di quella cosa di cui gli umani invece non tengono mai conto, e cioè delle cose che pensano, delle cose che dicono, del perché pensano quelle cose che sono loro che le dicono, come se in realtà il linguaggio non avesse una grandissima importanza se non come quello strumento che consente di descrivere qualcosa che linguaggio non è. Per lo più è posta in questi termini la questione, anche da molti linguisti, cioè da persone che si occupano di linguaggio, che lo fanno di mestiere, ma in ogni caso il linguaggio rimane sempre quella cosa estranea, uno strumento, così come un cacciavite serve per avvitare, il linguaggio serve per descrivere delle cose. Però si potrebbe considerare la questione in termini più precisi, vale a dire che ciò che ciascuno crede è di per sé automaticamente vero, ma automaticamente vero nel senso che, come diceva Sandro giustamente, se lo crede suppone anche che sia vero, perché se pensasse che fosse falso non lo crederebbe vero ovviamente, ma qui l’ovviamente andrebbe forse sottolineato o posto tra virgolette a seconda dei casi perché potrebbe non essere affatto ovvio e in realtà non lo è, ma perché in effetti una persona non crede vera una cosa che sa essere falsa? Appare una banalità, una ovvietà ma è ovvio perché le persone sono avvezze, addestrate a pensare in un certo modo e cioè a utilizzare il linguaggio in un certo modo. Ciascuno viene addestrato a pensare che le cose che vengono dette tendenzialmente sono vere, e tutto ciò che è vero è anche reale, per cui di fatto qualunque cosa è vera fino a prova contraria e soprattutto ciò che è ritenuto reale è assolutamente vero, il reale è il vero per definizione, sempre, e il falso è ciò che non è vero, che non è reale, che non esiste. Ciascuno è stato addestrato a pensare in questo modo, che esiste una realtà che è assolutamente vera, vera solo perché reale. Qualcuno si è posto qualche domanda qua e là, ma con scarsi risultati, però pensare in questo modo è il modo comune della filosofia, il modo della logica, quello che prima si indicava come il discorso occidentale, quello che i più credono perlopiù, modo di pensare piuttosto bizzarro perché si afferma come assolutamente vero cioè ciò che ciascuno crede essere reale, e lo crede assolutamente vero senza però potere mostrare mai nessuna prova di ciò che afferma, che è curioso, viene richiesta la prova soltanto se qualcuno afferma il contrario se no, no, se no è ovvio, è automatico, è autoevidente. Ma se non fosse così? C’è anche questa possibilità, in effetti qualunque certezza viene costruita attraverso delle considerazioni che partono da una premessa e attraverso una serie di passaggi più o meno coerenti fra loro si giunge a una conclusione, a questo punto si giunge a un’affermazione: “affermo che è così”, naturalmente sempre ammessa la correttezza dei passaggi intermedi, ma questo avviene se la premessa è anche lei necessariamente vera, e se non lo è? Chi la verificherà? Ecco dove si è fermato il discorso occidentale, il discorso scientifico, anche il discorso logico, su queste premesse generali, universali, si è costruito tutto. Ma interrogate con fermezza e determinazione non hanno saputo mostrare di sé di essere vere, da qui il fenomeno noto come crisi dei fondamenti dell’inizio del novecento: tutto ciò che gli umani credono con assoluta certezza è certo perché lo credono tale, credono che sia così e quindi si comportano come se lo fosse ma in realtà non lo è. Questo può avere dei contraccolpi, e li ha anche nel personale, quando cioè una persona è sicura assolutamente di alcune cose e quindi per nessun motivo al mondo sarebbe disposta a recedere da queste certezze fino a immolare la sua stessa vita in alcuni casi, e per che cosa? In fin dei conti per niente, perché tutto ciò in cui crede è sostenuto da niente, poi ciascuno fa ciò che ritiene più opportuno ovviamente, non è questa la questione, ma la questione che interessa e che è il compito della psicanalisi è mostrare che se, come è possibile provare, tutto ciò che le persone credono con assoluta certezza è fondato su niente, allora occorre andare a porre la propria attenzione su ciò che ha consentito di costruire queste certezze,  e quella cosa che ha consentita la costruzione delle certezze è quella che andiamo indicando con linguaggio, potevamo usare altri termini però visto che c’è questo usiamo questo. Il linguaggio ovviamente non come la verbalizzazione di qualche cosa, né la descrizione, o uno strumento per descrivere altre cose, ma come la condizione dell’esistenza, poiché in assenza di linguaggio non sarebbe possibile né pensare, né considerare, né avere alcuna opinione su alcunché. A questo punto chiedersi se le cose esisterebbero lo stesso in assenza di linguaggio è un non senso, perché in assenza di linguaggio non sarebbe possibile porsi questa domanda, è quel famoso non senso di cui parlava anche Wittgenstein cioè una cosa cui non è possibile dare alcuna risposta, nel senso che in ogni caso non sarà possibile provare sia quella immaginata vera, sia quella immaginata falsa, e quindi rimarranno lì come delle fantasie, come degli atti di fede. Si può credere certo, avviene spesso, avviene quasi sempre, gli umani credono qualunque cosa e il suo contrario senza che ci sia nessun problema però, dicevo, il compito della psicanalisi oggi è questo: fare in modo, porre le condizioni perché ciascuno che lo voglia fare ovviamente, possa incominciare a porre la sua attenzione su ciò che rappresenta la condizione del suo pensiero e quindi della sua esistenza. La condizione delle cose in cui crede, il motivo per cui le crede, a che cosa si agganciano, perché ha costruito quella certa cosa e perché è diventata così importante quella certa cosa, ché se non fosse stata costruita dal linguaggio non solo non esisterebbe, ma non sarebbe mai esistita quella cosa con tutta la sua immane importanza, che senza il linguaggio è niente, è assolutamente niente anzi, non è neanche questo, perché se fosse niente occorrerebbe che ci fosse qualcosa o qualcuno che la consideri tale, in assenza di questo non è neanche niente. Se questo dunque è il compito della psicanalisi oggi è chiaro che occorre un pensiero psicanalitico molto forte, solido, ché non può la psicanalisi andare a cercare le condizioni, per esempio, o le prove di una teoria se non è in condizioni di esibire le proprie, e quindi è questa la prima cosa che occorre che sappia fare, che possa fare esibire le prove di ciò che sta dicendo e cioè, in questo caso, che qualunque cosa questa è un elemento linguistico e non può non esserlo. La questione da porre a questo punto è il fatto che qualunque criterio io possa pensare è provvisto di premesse, passaggi e conclusioni esattamente, ciò di cui è fatto il linguaggio per cui se la condizione per costruire un qualunque criterio di verifica, di valutazione di qualunque cosa è il linguaggio, è inevitabile che qualunque cosa appartenga, sia fatta di linguaggio, perché se non fosse fatta di linguaggio allora sarebbe inaccessibile, sarebbe inaccessibile per gli umani, sarebbe fuori da qualunque possibilità di verifica, sarebbe fuori anche di qualunque possibilità anche di confutazione, sarebbe fuori dal pensiero, il pensiero non avrebbe alcuna presa su questa cosa e quindi in questo caso, io posso, certo, come fa la più parte delle persone immaginare che qualcosa esista fuori dal linguaggio, posso anche pensare che esista un dio, nessuno me lo impedisce, l’unico problema è che non ho nessuna possibilità di provare una cosa del genere, e la prova è importante perché la prova ha a che fare con la soddisfazione, come ricordava Sandro, la soddisfazione segue qualcosa che è stato provato essere vero, solo a quel punto sono soddisfatto, quando raggiungo un obiettivo o risolvo un problema, perché sono soddisfatto? Forse quando lo ho risolto in modo scorretto, in modo falso? No, non sono soddisfatto se, per esempio, baro facendo un solitario, non c’è nessuna soddisfazione, assolutamente nessuna, perché ci sia soddisfazione occorre che la soluzione sia trovata seguendo le regole di quel gioco, solo allora è vero, se no non significa niente, solo a questo punto sono soddisfatto, quando cioè avrò trovato esattamente ciò che il linguaggio mi impone di trovare, vale a dire la verità. La verità non è nient’altro che un motore per continuare a dire, per continuare a parlare, infatti posso continuare un discorso se i punti su cui arrivo di volta in volta sono veri, se mi accorgo che sono falsi di lì non posso andare. La verità si può considerare una sorta di motore, ciò che fa andare avanti il linguaggio, e non ha nessun altro referente se non il linguaggio, cioè ciò che lo fa funzionare e la soddisfazione sì, è motore anche degli umani certo, dire che è il motore del linguaggio e dire che è il motore degli umani è la stessa cosa, perché gli umani sono fatti di linguaggio, quindi li può fare muovere solo lui, nessun altro.