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PRATICARE LA PSICANALISI 1

 

25/6/1997

 

Coloro che hanno seguito il discorso che vado facendo si sono fatti un’idea a questo punto di cosa sia praticare la psicanalisi, però non tutti erano presenti e perciò riprendiamo la questione. Dunque dicevo ciò che è emerso lungo questi incontri è che si tratta in prima istanza di una riflessione intorno a che cosa debba intendersi ovviamente con psicanalisi, cosa che non è così automatica e neppure che vada così da sé. Voi sapete che vi sono moltissime scuole di psicanalisi e ciascuna sostiene una teoria come è noto, ciascuna scuola segue una teoria e in alcuni casi una dottrina e in effetti l’obiezione che molti fanno, obiezione legittima, riguarda la domanda circa il come mai ci siano così tante scuole di psicanalisi, anziché essercene una, se una teoria è vera questo esclude necessariamente che altre che le si oppongono siano altrettanto vere, questo per una questione molto antica che è connessa con il discorso intorno alla verità, se una certa proposizione è vera allora quella che la nega è falsa necessariamente e quindi se una di queste fosse vera tutte le altre dovrebbero, ora siccome questo non si verifica l’opinione più diffusa è che ciascuna di queste scuole dica qualche cosa ma che tutto sommato nessuna di queste sia in condizioni di affermare qualcosa di certo, opinione anche questa tutto sommato difendibile, perché ciascuna teoria psicanalitica e non, è fondata su un sistema e cioè su una sua visione del mondo, come dire: per me le cose stanno così e quindi ci si comporta di conseguenza e così qualunque psicanalista che appartiene a una certa scuola penserà in un certo modo e cioè interpreterà le cose e quindi le vedrà, le capirà in un certo modo. Uno psicanalista che appartiene ad un’altra scuola le capirà e le interpreterà in un altro modo. Questo chiaramente ha comportato e comporta qualche problema nel senso che, come dicevo prima, ciascuna di queste scuole si mostra (generalmente almeno) come la migliore cioè la più attendibile, poi di fatto non ha nessun argomento per sostenere una cosa del genere. Ciascuna teoria psicanalitica anche quella più interessante quella più elaborata, più articolata, più sofisticata, comunque muove da, chiamiamoli così, alcuni assiomi che sono totalmente arbitrari e cioè non necessari, non necessari significa che chiunque potrebbe assumerne un altro a pari titolo e con altrettanta legittimità, dunque a questo punto perché sceglierne una anziché un’altra? Riflettendo intorno a questo la considerazione che inesorabilmente veniva fatta è che ciascuna di queste scuole sosteneva qualcosa che era altrettanto legittima di ciò che sosteneva ciascun’altra e quindi in definitiva nell’assoluta indifferenza fra l’una e l’altra risultava difficile accoglierne una in particolare che immediatamente si poneva la domanda: perché questa anziché quella contraria? Ma allora la questione andava posta in altri termini e in un certo senso l’abbiamo posta in altri termini, e cioè non muovendo più da una teoria che veniva proposta, teoria assolutamente discutibile e facilmente confutabile, ma facendo una considerazione che invece muoveva dalla necessità, chiamiamola così, di compiere un percorso che non avesse la necessità di attestarsi a nessun atto di fede e cioè non dovesse necessariamente pensare un postulato totalmente arbitrario come necessario. Come sapete la pratica della psicanalisi, cioè ciò che fanno gli psicanalisti, è vincolata alla teoria che seguono e questo ci è parso comportare una serie di problemi dal momento che si trattava ciascuna volta per ciascuno di costoro di interpretare il discorso che si trovavano ad ascoltare secondo un certo modo che non aveva nessun interesse, nel senso che interpretare le cose in un modo anziché in un altro è certamente gratuito. Se io credo una certa cosa, se per esempio sono un fervente cattolico interpreterò il mondo che mi circonda in un certo modo, se sono invece un integralista islamico allora lo interpreterò in un modo differente, ecco esattamente allo stesso modo, ma come venire fuori da una situazione del genere? Chiaramente prendendo le cose molto seriamente e in termini radicali. Ciascuna di queste scuole, di queste teorie muove da dati totalmente arbitrari, bene allora non ci interessa, nessuna di queste, non ci interessa più di quanto ci interessi una qualunque favoletta, per divertirci nella migliore delle ipotesi, ma come muoversi, come proseguire nella pratica analitica? Considerando la questione centrale e cioè il fatto che una persona che si rivolge ad un analista, qualunque sia il motivo per cui lo fa, parla, racconta, dice delle cose, ciò che avviene per lo più è che queste cose siano prese e riportate ad un modello prestabilito che è quello cui ciascun analista si riconduce, cioè quello della scuola a cui appartiene. E se non si fa questo cosa si fa? Qui occorre aprire una parentesi che riguarda una domanda che è abbastanza importante e cioè che cosa ci si attende da una psicanalisi generalmente. Generalmente ci si attende di stare meglio e cioè che il disagio che si avverte scompaia. Ma pur essendo una questione importante non è la questione centrale, sono infinite le cose che operano questo miracolo e cioè fanno stare meglio, la psicanalisi è solo una delle tante, prima fra tutte la religione. Come sapete la religione offre un bagaglio di elementi tali che se creduti producono benessere, la psicanalisi così come generalmente è intesa, lo stesso, nel senso che se viene creduto ciò che si dice, cioè se viene creduta per esempio l’interpretazione questa produce del benessere. Perché tutto questo produca del benessere questa è un’altra questione, che magari affronteremo dopo, però dicevo non è tanto questa la questione quanto intendere a quali condizioni una persona possa avvertire del disagio. Ecco che a questo punto si pone una questione tutt’altro che semplice, ma torniamo a quella di prima, cioè una persona si rivolge allo psicanalista e inizia a raccontare, generalmente i suoi malanni, ma non necessariamente, incomincia a raccontare e cioè cosa accade? Che si trova di fronte al suo discorso, alle cose che dice e se non ci precipitiamo a tradurre ciò che dice in qualche altra cosa che a noi pare più opportuna allora le cose che dice è come se rimanessero sospese. Questo discorso che va facendo procede, come ciascun discorso, in un modo particolare e cioè procede da alcuni elementi che si intendono stabiliti e procede per inferenze, questa è la struttura di qualunque discorso sia che voglia dimostrare il proprio malessere sia che voglia dimostrare l’esistenza di dio o la legge di gravità universale, procede sempre allo stesso modo, dato un elemento segue quest’altro e se quest’altro allora quest’altro ancora. Questa è la struttura di ciascuna inferenza, ma prima ancora di affrontare questo aspetto occorre reperire le connessioni. A una persona che afferma delle cose sfuggono perlopiù gli elementi da cui trae la sua conclusione, gli elementi da cui procede e allora è come se gli si domandasse: "come sei giunto a questa conclusione?". Generalmente questo percorso è poco noto o noto solo per sommi capi, si tratta invece di stabilire con precisione quali siano le connessioni cioè che cosa ha condotti a stabilire quella conclusione, a giungere a quella conclusione, la conclusione può essere per esempio la proposizione che afferma "io sto male", è una conclusione come un’altra, strutturalmente non ha nessuna differenza rispetto a qualunque altra, è soltanto l’ultimo elemento, l’ultima proposizione di una serie di inferenze. Reperire questo percorso fornisce come una sorta di rete di elementi che si aggiungono e che perlopiù sono ignoti. Freud ha avviato questo percorso invitando, come sapete, le persone che parlavano a compiere quelle che lui chiamava le associazioni libere, è un modo per incominciare a reperire delle connessioni perché la proposizione che afferma che sto male può intervenire apparentemente senza nessuna connessione, uno sta male e basta, dunque quali sono gli elementi a fianco, da quali altre proposizioni viene, da quali altre affermazioni o credenze, in alcuni casi superstizioni, superstizione in accezione più ampia del termine. Potremmo intendere con superstizione qualunque affermazione che afferma di sé di essere vera senza sapere perché e cioè la quasi totalità delle affermazioni, dunque reperite questa serie di connessioni a questo punto ecco, io so che so che sto male perché ho pensato questo, prima questo e poi questo e allora tutto questo percorso che adesso conosco e che mi è noto è logico e ineccepibile e quindi a maggior ragione sto male, se prima non sapevo perché adesso lo so e a maggior ragione quindi posso stare malissimo e allora a questo punto si tratta di compiere il passo successivo: perché questa serie di inferenze si ritiene così necessaria? Perché se questo allora necessariamente quest’altro? Potrebbe non essere così automatico. Si tratta di incominciare a porre qualche obiezione circa la necessarietà di una inferenza per esempio, dal momento in cui ci si accorge che una certa inferenza, un passaggio da un elemento all’altro non era poi così necessario (questo lo si può riscontrare per esempio, accorgendosi che dalla stessa premessa possono trarsi conclusioni diametralmente opposte e altrettanto legittime) una volta accortisi della non necessarietà di queste inferenze c’è un altro passo ulteriore, la constatazione dell’assoluta arbitrarietà di un’inferenza. Come dire che a questo segue quest’altro non per necessità ma perché io ho deciso che sia così, è una mia decisione, anche se non è che sia mai avvenuto che io mi sia messo a tavolino e abbia stabilita questa cosa, ma è una decisione del discorso, il discorso in cui mi trovo, fino a giungere a considerare che quest’ultima proposizione di cui si diceva, quella che afferma per esempio che sto male può essere una qualunque altra, ed è allo stesso modo e per via della stessa struttura una decisione. Questi tre momenti che ho indicati in modo schematico, a scopo descrittivo… non è che avvenga a compartimenti stagni, prima questo e poi quest’altro, sono dei momenti che si alternano e spesso si intersecano, adesso ne ho indicati tre probabilmente ce ne sono di più, ho detto così molto schematicamente. Tutto questo percorso che cos’ha di particolare? Innanzi tutto questo, non necessita di una teoria a fondamento di tutte queste operazioni, una teoria che mi consenta di trasferire o di riportare o di tradurre, letteralmente di riportare ciò che ascolto a una proposizione che io ritengo corretta, non c’è nessuna di queste necessità, ma è la persona che parla che mano a mano si trova a considerare e constatare e in fine ad accogliere la assoluta e irreversibile responsabilità dei suoi discorsi (con responsabilità non intendo responsabilità penale, non si tratta di questo, ma non potere non tenere conto che le cose che affermo e che ritengo essere eventualmente la rappresentazione della realtà procedono dal discorso che le produce) e tale responsabilità è il non potere non tenere conto che qualunque conclusione a cui si giunga non è necessaria, non è indotta dalle circostanze, dalle cose, ma interviene esattamente come una decisione, cioè io decido che è così e mi accorgo che questa conclusione a cui sono giunto non procede dagli eventi, da ciò che mi circonda, dalla realtà esterna, ma è una costruzione. Considerazione cui sono giunti anche alcuni linguisti, in particolare alcuni logici e cioè la considerazione che ciascuna proposizione (parliamo di proposizione perché di fatto non si dà null’altro) è una costruzione che non ha nessun referente da qualche parte, cioè nessun riferimento necessario ma unicamente dice se stessa, dicendo se stessa produce ciò che generalmente si chiama mondo con tutto ciò che ci si vuole e ci si può mettere dentro. Esisterebbe il mondo senza il linguaggio? In nessun modo e per nessun motivo. Se voi per esempio leggete Wittgenstein che forse più esplicitamente di altri si è posta la questione in termini abbastanza espliciti, giungeva a considerare in modo interessante qualcosa di molto simile e cioè che parlare di mondo esterno, di realtà ecc. non significa nulla in effetti, ma significa soltanto all’interno di un gioco linguistico, e allora per tornare alla questione psicanalitica, visto che è questo l’argomento della serata, accorgersi di ciò che si dice o accogliere ciò che si dice non è altro che non potere non considerare che qualunque cosa si dica non può non essere che all’interno di un gioco linguistico, non può non esserlo e non c’è via di scampo, non resta che accogliere questa cosa con tutto ciò che comporta, e cosa comporta in prima istanza? Comporta che una qualunque affermazione cui giungo è all’interno di un gioco linguistico, è formulabile grazie alle regole e alle procedure del gioco linguistico, e che fuori da questo gioco linguistico è niente, assolutamente nulla, cioè non esiste, non esiste per un motivo straordinariamente semplice, che fuori dal linguaggio che mi consente di parlare di esistenza non posso parlare di esistenza, e allora in questo caso l’esistenza non esiste, non esiste perché non c’è nessuno per cui esista, perché esista occorre che esista qualcuno che dica che esiste, in caso contrario è nulla, è un non senso nella migliore delle ipotesi. Per tornare alla psicanalisi, praticare la psicanalisi nell’accezione che sto indicando, quella accezione che non necessita di nessuna teoria che la sostenga, nessun modello cui riferirsi, praticare la psicanalisi dunque è fare funzionare i giochi linguistici e porre le condizioni perché ciascuno possa accorgersi in primo luogo che stanno funzionando e secondo come funzionano. Se mi trovassi nella impossibilità di non considerare che tutto ciò che dico è tale all’interno di un gioco linguistico potrebbe risultare assolutamente improbabile una proposizione che afferma che sto male, per esempio, improbabile in quanto non sostenibile. Non sostenibile in nessun modo cioè non credibile, per dirla in altri termini, e se non posso credere una certa cosa è molto difficile che questa cosa mi travolga, mi coinvolga al punto tale da produrre effetti devastanti né, per questioni grammaticali, posso credere vera una cosa che so essere falsa, non posso crederci. C’è l’eventualità che in questi frangenti non tanto non si dia più lo stare male, ma non possa porsi la questione, quindi non poi porsi nei termini: ormai priva di senso. Questo può costituire una sorta di chiamiamolo effetto terapeutico. Perché non sto più male? Perché non ne ho più bisogno, per esempio, potrebbe apparire una formulazione bizzarra, però è esattamente così, non ho più questa necessità, se l’avessi starei male, ma non ce l’ho e quindi… E qual è la posizione dello psicanalista in tutto ciò? Abbiamo accennato prima porre le condizioni perché una cosa del genere possa darsi, ma come? Visto che non interpreta nulla, se non come provocazione giusto perché prosegua un discorso, non credendo minimamente che con queste interpretazioni interpreti qualche cosa cioè possa tradurre qualche cosa, è un intervento per indurre una persona a proseguire un certo discorso per esempio, e quindi ciò che fa principalmente uno psicanalista è invitare a considerare la portata di ciò che si dice, ma non tanto riferita a elementi immaginati esterni né a una dottrina, ma semplicemente alla struttura del discorso. Proprio come avviene da sempre solo che chiaramente non ci si accorge, come si fa per esempio a stabilire come stanno le cose? Come faccio a stabilire se per esempio rispetto a una certa cosa io ho ragione oppure no, utilizzo un criterio ovviamente a meno che lo decida d’autorità, se no utilizzo un criterio e questo criterio funziona così, muove da alcuni elementi che ritengo certi, poi scendendo, per dirla così, da questi elementi mano a mano, sempre badando che ciò che segue sia implicito in ciò che precede, procedendo in questo modo giungo a considerare che l’ultima proposizione è quella che necessariamente procede da tutto ciò che era certo, e se necessariamente procede da qualcosa che era certo, sarà certo necessariamente anche lei, questo è il sistema in cui si pensa generalmente e con il quale si costruiscono tutte le varie conclusioni cui ciascuno giunge e poi tenendo ferma queste conclusioni, queste certezze in alcuni casi costruisce la sua esistenza e quindi si muove di conseguenza. Ecco dunque abbiamo detto che il pensiero funziona grosso modo in questi termini, dunque muove da elementi che ritiene certi, compiendo un’operazione che gli umani da almeno 2500 anni cercano di rendere assoluta, da Aristotele in poi, e cioè trovare un elemento che sia così certo da essere assolutamente indiscutibile, e dopo di che un criterio che consenta logicamente di procedere da questo elemento per cui qualunque cosa si aggiunga sarà assolutamente e necessariamente certo. Dico questo perché è il modo in cui ciascuno di fatto pensa, quando vuole concludere qualche cosa che immagina debba essere vero, qualunque discorso di qualunque tipo e fatto a qualunque titolo, e dunque al pari di coloro che si occupano di logica, di linguistica ecc. occorrerà muoversi ponendo delle obiezioni circa la necessarietà delle inferenze, perché finché le ritengo necessarie non mi muovo di un millimetro e anzi rinforzerò sempre di più la mia convinzione che sia esattamente così come io penso che sia, finché ovviamente non si insinua qualche elemento che incomincia a mettere in discussione eventualmente questa certezza e qualcuno potrebbe obiettare che è grosso modo quello che cerca di fare qualunque psicanalista, in parte è vero, il problema è che se in parte lo fa nei confronti di una persona che si rivolge a lui, non può farlo nei confronti della teoria che sta seguendo e sulla quale si fonda, su quella no, perché se lo facesse non avrebbe più nessun strumento, nessun elemento per muoversi. E questo è un altro degli elementi che ci ha indotti ad abbandonare qualunque teoria, abbandonarla perché di nessun interesse e allora dicevo che gli elementi che si tratta di considerare sono proprio questi connessi con la struttura del linguaggio, e cioè con ciò che mi ha consentito, per esempio, di giungere a una certa conclusione sulla quale si è costruito un altro pensiero dal quale procede la certezza che se le cose stanno così non posso che soffrire, per esempio. Dunque apparentemente un’operazione linguistica, apparentemente perché non è solo questo, o forse qui "linguistica" va intesa in altra accezione, perché se intendiamo con questo un intervento rispetto al modo in cui la persona parla, allora sì certo, è un intervento linguistico, e su che cosa intervenire se no? Se non su ciò che la persona dice, né possiamo fare un processo all’intenzione, come fanno taluni, lui ha detto questo ma in realtà voleva dire quest’altro, perché mai? Come lo sa? Ecco quindi un’operazione linguistica che si fonda unicamente su ciò che non è possibile eludere, perché di fatto sta parlando e quindi le cose che dice che pensa, che fa, che crede, che immagina, che suppone sono tali per via di una struttura che consente di pensare, di credere, immaginare tutta una serie di cose e senza la quale lui non penserebbe, non crederebbe, non farebbe nulla e allora questo ci ha indotto a considerare che la struttura forse non è del tutto indifferente né del tutto marginale, anzi forse è determinante, visto che questa persona che ci sta parlando utilizza questo strumento che generalmente è noto come linguaggio, "strumento" fra virgolette perché poi non è propriamente così, e allora questo racconto che fa non è tanto da trasporre, da tradurre in un’altra cosa, altrettanto arbitraria altrettanto bizzarra, ma è da intendere come si struttura, cosa lo sostiene e perché, tradurlo in un’altra cosa abbiamo detto in varie circostanze è un’operazione molto religiosa. Se uno di voi volesse affermare qualche cosa, io potrei darvene un’interpretazione freudiana, junghiana, kleiniana, raichiana, lacaniana, e anche bioniana, se volete, se proprio mostrate di volere anche questo e dopo? Potete scegliere quella che vi piace di più, certo però perché tutto sommato accoglierne una anziché un’altra, a che titolo? Perché è più vera, come lo so? Questioni apparentemente molto banali, molto semplici, che però non sempre ci si è posti, anche perché comporterebbero per taluni qualche problema. Provate a considerare invece un discorso come un testo, un testo qualunque, non importa quello che dice, non ha nessuna importanza, che si stia lamentando perché il marito la tradisce, o uno si lamenti perché il lavoro va malissimo e ha perso tutto, o che si lamenti per la situazione politica o lamenti un forte mal di testa oppure che ha paura di topi, del buio, del prossimo, del vuoto, del pieno, di qualunque cosa, non ha importanza che cosa dice ma come lo dice e cioè attraverso quali considerazioni, quali inferenze giunge ad affermare ciò che afferma, questo importa, perché ciò che interessa è la struttura del suo discorso, quello che afferma è soltanto un’esca, l’avvio di un percorso che giunge a considerare poi la struttura del suo modo di pensare, finché si accorgerà del suo modo di pensare. Ecco dice: "penso così, chissà perché?" il perché poi magari lo incontra in seguito a una serie di riflessioni intorno a ciò che ha funzionato come una sorta di principio, di postulato, come vi dicevo prima se io sono un fervente cattolico la mia visione del mondo sarà una visione molto particolare, molto cattolica, allo stesso modo Hjelmslev notava che quando si incontravano Kennedy e Kruscev entrambi parlavano di democrazia, ma ciascuno dei due aveva una nozione di democrazia totalmente differente, eppure il significante era lo stesso, da qui qualche fraintendimento, qua è là, nel senso che la mia nozione di democrazia non sorge dal nulla ma da una serie numerosa di considerazioni fatte a partire da altre considerazioni a cui sono giunto e che ho credute vere e che mano a mano hanno costruito un modo di pensare, e un po’ alla volta si è costruito come una sorta di blocco più o meno unitario per cui è così per cui la democrazia è necessariamente quello che io penso che sia, né può essere altro, e se altri pensano differentemente o sono male informati o mentono sfacciatamente. Anche queste sono considerazioni molto banali, molto semplici (che però non sempre vengono condotte alle estreme conseguenze) una delle quali è l’assoluta impossibilità di stabilire un qualunque elemento per esempio, in quanto sorgerà sempre una proposizione che nega questa affermazione, la confuta, e poi d’altra parte perché dovrebbe essere così, e quindi si tratta in definitiva di una cosa molto semplice, e cioè invitare una persona a riflettere sulle considerazioni che occorre, che è necessario abbia fatte per giungere alle conclusioni che sta affermando, per potere poi di nuovo, come dicevo prima, riconsiderare la questione e constatare che magari non è proprio esattamente così, e che anzi affermare che è così non ha nessun senso e quindi se afferma che è così e perché qualche cosa nel suo discorso si è posto come una sorta di postulato, di un punto di partenza assolutamente ovvio, mentre ovvio non è affatto, anzi è assolutamente gratuito. Qualunque cosa possa considerarsi, dalla più certa, dalla più sicura, la più incrollabile, più ineliminabile, più indubitabile rimane comunque necessariamente assolutamente arbitraria, cioè una costruzione. Una costruzione può essere fatta per una serie di motivi ma essendo una costruzione rinvia alla responsabilità di chi l’ha costruita, inesorabilmente, e quindi alla necessità di confrontarsi con questa cosa, ma se io la ritengo necessaria non mi ci confronto affatto con questa cosa, perché non potrebbe essere altrimenti, cos’è che è necessario? Ciò che non può non essere, e se non può non essere non ho nulla da interrogare, è così e non c’è nessuna responsabilità in queste mie affermazioni in questo caso, perché non farei altre che illustrare uno stato di cose, un dato di fatto, una necessità, ma se invece non fosse altro che è una mia opinione anche la cosa che ritengo più vera, più indubitabile, più necessaria allora in questo caso lungo un itinerario analitico occorre che questa opinione sia considerata. E perché questa operazione? Perché tutte le cose che credo costituiscono altrettanti limiti, altrettanti sbarramenti, come diceva Dante: "posti là acciò che l’uom più oltre non si metta" se io credo una certa cosa non vado oltre perché è così e quindi è un limite. Ciò che andiamo mano a mano elaborando e riflettendo è invece un percorso senza limiti, senza limiti perché la parola, il linguaggio non hanno limiti, tranne quelli che fanno funzionare il linguaggio, e cioè se affermo una certa cosa non posso negarla simultaneamente, delle due l’una, posso farlo naturalmente all’interno di una struttura retorica, ma possa farlo perché una è vera e l’altra e falsa, perché ciascun elemento è quello che è, ciascun elemento è quello che è e nessun altro, se fosse ciascun altro il linguaggio si dissolverebbe perché direbbe tutto e niente, non sarebbe utilizzabile, certo è una questione che richiederebbe ben altra discussione, però adesso… è soltanto un accenno a ciò che è possibile considerare oggi con psicanalisi, se e soltanto se non si intenda fare un discorso religioso, come dire: "io dico che è così e voi dovete credermi", in questo caso no, non è necessario credere nulla, in effetti non vi sto dicendo come stanno le cose, vi sto soltanto dicendo che se qualcuno parla, cioè è preso nel linguaggio, allora inevitabilmente questo linguaggio, questa struttura non sarà indifferente. Per dirla con una tautologia: che ciascuno in quanto parlante parla, può negarsi? No, perché per negarlo occorre che parli e cioè che faccia esattamente ciò che dico di non fare, solo questo, e quindi come vedete non comporta la necessità di credere a nulla, semplicemente il constatare che è una regola grammaticale che mi vieta di negare di fare ciò che sto facendo, salvo come figura retorica ma una figura retorica in quanto variante necessita di una invariante, se no varia rispetto a che? Però adesso altri possono aggiungere delle considerazioni…. dov’è Sandro, Lei voleva aggiungere qualcosa perché sta leggendo un libro proprio intorno alla questione dell’interpretazione in psicanalisi…

- Intervento: Il testo è di un certo (?) il quale sostiene l’affidabilità dell’analisi… ad un certo punto dice l’unica interpretazione possibile è quella sufficientemente buona. Il racconto in un analisi è estremamente mobile, il racconto è fatto di omissioni ed è curioso che l’interpretazione giunga a rendere chiaro ciò che invece è oscuro, ma non è la verità perché il racconto si costruisce ciascuna volta… un po’ come dicevamo la settimana scorsa rispetto alla prova giuridica che costruisce il fatto, il fattaccio…

Sì c’è una curiosa prossimità tra una serie di modi di dire intorno alla psicanalisi, alla psicologia, come questo che evocava lei prima del fare luce, del fare chiaro, prossimità con termini giudiziari o polizieschi, dove ciò che non è noto deve assolutamente essere posto in luce in modo che sia tutto chiaro, tutto illuminato e cioè tutto sotto controllo, questa è una delle fantasie più diffuse, potere controllare tutto, che poi in definitiva si riduce al controllo sulla parola che è forse la sola cosa che non può essere controllata, con tutti i corollari che sono intervenuti, come l’istituzione di una sorta di psicopolizia che deve valutare la sanità mentale delle persone e stabilire chi è adatto a fare una certa cosa e chi no. Una persona mi raccontava di avere sentito per televisione uno psichiatra, un certo Cassano, noto perché si prodiga a somministrare Prozac che è una sostanza chimica che viene utilizzata contro la depressione il quale ha sostenuto pubblicamente che il cervello sano è il cervello che pensa in modo religioso. Questa affermazione fatta da uno degli psichiatri più accreditati in Italia è molto emblematica e dà la misura di ciò che si intende generalmente, e cioè il pensiero religioso che scivola sempre di più verso l’aspetto giudiziario e quindi la colpevolizzazione di qualunque modo di pensare che non sia quello stabilito. In buona parte la psicanalisi, così come la psichiatria e la psicologia hanno contribuito a questo, in particolare la psicanalisi americana, hanno contribuito alla costruzione di un sistema poliziesco, dicevo prima una sorta di psicopolizia che non ci è parsa di grande interesse…

- Intervento: Una predomanda: la psicanalisi è una terapia?

Se decidiamo che lo sia allora lo è, se no, no..

- Intervento: È un punto di vista.

No, non è un punto di vista, è una questione grammaticale, se io decido che sia una terapia allora è una terapia; se io decido che non è una terapia, allora non è una terapia. Semplice.

- Intervento: Se io decido che questa bionda è una mia amica…

- Sì, Mirella potrà dire delle cose, però Lei può continuare a pensarlo, e questa è una questione che riguarda Lei…

- Intervento: è un criterio puramente linguistico, una persona si reca dallo psicanalista e spera di non fare solo giochi linguistici… ci sono degli scarichi emozionali.

È una questione che ci siamo posti, se ciò che si andava mano a mano considerando, elaborando fosse una questione unicamente linguistica, e allora ci siamo chiesti: dunque non c’è solo il linguaggio, perfetto, allora che altro c’è?

- Intervento: Le emozioni…

Non è che fossimo così ingenui, ci siamo chiesti di quale cosa potremmo sapere fuori dal linguaggio. Naturalmente la prima cosa che è venuta in mente a chiunque sono appunto le emozioni, le sensazioni, le immagini ecc. e allora abbiamo cominciato a riflettere. Ci siamo chiesti se per potere parlare e quindi considerare e quindi avvertire queste cose fosse necessaria una struttura che ci consentisse di compiere tutte queste operazioni, se non ci fosse il linguaggio - ci siamo chiesti - noi sentiremmo delle emozioni? E abbiamo considerato che la domanda non aveva nessun senso in quanto se fossimo stati fuori dal linguaggio non ci saremmo potuti chiedere queste cose, né se proviamo una certa cosa né se non la proviamo. Se non potessimo dire che la proviamo la proveremmo? Che cosa? Queste considerazioni che abbiamo fatte proprio all’inizio, allora quando si consideravano e si leggevano i vari testi di linguistica ci hanno indotti a riflettere sul fatto che considerare che qualcosa sia fuori dalla parola, qualunque cosa sia, è una formulazione strutturalmente paradossale o se preferisce un non senso, un non senso in quanto afferma che qualcosa è fuori dalla parola attraverso la parola, e soltanto attraverso la parola può affermare che tutto è nella parola, che nulla è nella parola ecc. ecc. .

- Intervento: la parola verbalizzata o…

Parola in questo caso come un elemento del linguaggio, e con linguaggio intendo unicamente e molto semplicemente soltanto la struttura che mi consente di chiedermi che cos’è il linguaggio, e poi qualunque altra cosa. È una struttura, una struttura che è fatta in un certo modo e che mi consente di domandarmi che cos’è il linguaggio, di chiedermi se esiste qualcosa fuori dal linguaggio, di chiedermi se è tutto nel linguaggio, di farmi una infinità di altre domande, che senza questa struttura non mi farei e quindi non esisterebbero.

- Intervento:…

La teoria cognitiva è una teoria come qualunque altra, e come qualunque altra altrettanto sostenibile e altrettanto confutabile e con altrettanta facilità, e cioè sostiene delle cose che sono assolutamente arbitrarie, io cioè credo che sia così, va bene, io credo che esista dio, va bene… (…) la sperimentazione è un gioco linguistico che segue delle regole e che giunge a delle conclusioni, ma che non può essere sostenuta…

- Intervento: Il bambino fino ad una certa età non è nel linguaggio, il bambino è ricco di emozioni, sentimenti, passioni, gelosie, tensioni, addirittura l’animale ha un linguaggio che noi riusciamo a tradurre… quali energie portano avanti questo modo di comunicare..

Ci sono due aspetti importanti, il primo riguarda il fatto che noi attribuiamo agli animali una certa cosa che chiamiamo emozione, alla quale attribuiamo un certo senso e quindi è un’operazione che compiamo noi, alla assoluta insaputa degli animali. Che cosa prova un animale? Non lo saprà mai. Prova delle sensazioni? Noi diciamo così, ma siamo noi che lo stabiliamo, attribuendo a questo significante un certo senso. Però è un’operazione che viene compiuta da noi in modo assolutamente arbitrario, noi possiamo attribuire all’animale qualunque cosa, dire che provano delle sensazioni è assolutamente arbitrario, trasferire qualche cosa che noi immaginiamo sull’altro così come immaginare che le piante soffrano ecc. mentre non soffrono, così come l’animale nel senso che non ha gli strumenti per potere, per accorgersi di una cosa del genere, e quindi possiamo dire che soffre? E in base a che cosa? A ciò che noi stabiliamo?

- Intervento: Io andrei piano ad affermare che le piante non soffrono.

È una attribuzione dire che soffre o che non soffre, nel senso che non può, non c’è nessuna struttura che gli consenta di considerare una cosa del genere, se non la può considerare questo non esiste…

- Intervento:... della verità e della realtà, rispetto ad un linguaggio forbito, rispetto ad un linguaggio di un analfabeta. . .

Ha le stesse probabilità di riuscita la ricerca della verità, e cioè il fallimento più totale. La questione è che cosa si intenda con verità e allora qui sorgono dei problemi insormontabili, al punto che ci si scontra con un intoppo che è un’aporia vera e propria e cioè per stabilire la verità definitiva, ultima, quella assoluta, indiscutibile occorrerebbe che fosse fuori dal linguaggio perché soltanto a queste condizioni è assolutamente inamovibile, se è un elemento del linguaggio è una produzione e come tale la verità è ciò che penso che sia e quindi occorre che sia fuori di me, che sia una cosa assoluta e come lo so? Attraverso che cosa? Attraverso il linguaggio, se effettivamente fosse fuori non saprei assolutamente niente e allora cercare di definire che cosa sia già comporta problemi colossali, prima ancora di sapere se è reperibile oppure no, problemi che diventano insormontabili, diventano insormontabili perché si incontrano delle aporie, come le chiamavano gli antichi, insolubilia, cioè non hanno soluzione… e allora ecco quando parlo di verità che cosa dico esattamente?

- Intervento:…

Certo io posso pensare che sia quello che ritengo più opportuno, come perlopiù accade. Grazie e buona sera a tutti.