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PSICANALISI VS PSICOFARMACO

 

25 maggio 1999

 

Inizierò ad affrontare la questione dello psicofarmaco non tanto come quel preparato chimico prodotto dalle multinazionali farmaceutiche, quanto come ideologia dello psicofarmaco. Lo psicofarmaco, come è noto, così come viene utilizzato per lo più nell’ambito della psichiatria ha la funzione di sedare; in buona parte viene utilizzato a questo scopo, rendere tranquille le persone agitate. Lo psicofarmaco non è altro che la rappresentazione di ciò che è utile alla società per fare in modo che permanga o si instauri una sorta di tranquillità. D’altra parte le persone che si rivolgono alla psichiatria per avere psicofarmaci, fanno questa richiesta: stare tranquilli, stare tranquilli da ansie, fobie, paure, a seconda dei casi. Lo psicofarmaco in parte soddisfa questa esigenza, cioè fa stare tranquilli. Ovviamente, non solo lo psicofarmaco, ci sono molte altre sostanze, però queste altre sostanze non hanno il beneplacito della medicina ufficiale e quindi non vengono utilizzate se non molto sporadicamente. La questione centrale che riguarda lo psicofarmaco è la necessità, utilizzando lo psicofarmaco, di potere pensare al proprio disagio come a una malattia più o meno organica, più o meno riconosciuta. Perché questo è un vantaggio? Perché, potremmo dire così, la questione dello psicofarmaco è la questione del senso delle cose. Un’ansia, una paura, un’angoscia, una fobia si rivelano spesso alla persona come sensazioni prive di senso. Una persona ha paura o prova ansia senza sapere esattamente il perché, lo psicofarmaco fornendo l’idea che si tratti di una malattia dà un senso. Ecco che il senso della fobia è una malattia, una malattia che produce fobia per esempio, o ansia o quello che volete. Questione tutt’altro che marginale. La prima cosa che la persona vuole sapere quando si reca da uno psichiatra è che cos’ha esattamente, prova una sensazione sgradevole e vuole sapere che cos’ha, cioè vuole che gli si fornisca un senso al disagio. Lo psicofarmaco risponde a questa domanda di senso, come dire "sei malato e quindi ti curiamo". Ora, lo psicofarmaco generalmente non cura, più semplicemente, come dicevo prima, allenta la tensione laddove c’è. Non solo lo psicofarmaco ma anche una sbronza certe volte può produrre lo stesso effetto, togliendo dunque la tensione induce uno stato di torpore e molte persone che fanno uso continuo di psicofarmaci sono molo tranquille, diciamo così per usare un eufemismo. Questa tranquillità è assolutamente funzionale a un sistema come quello del discorso occidentale, dove occorre che ciascuna cosa sia sotto controllo, tranquilla, che non si agiti e non crei problemi. Quindi, l’utilizzo dello psicofarmaco, che per altro oggi è sempre più diffuso, sembra che sia un affare di miliardi per le multinazionali farmaceutiche, l’utilizzo dicevo dello psicofarmaco produce sia nella persona sia nelle persone che le stanno vicine una notevole tranquillità che può anche essere un vantaggio per molti. Il problema che può insorgere è che queste ansie, fobie, che lo psicofarmaco dovrebbe sedare, sono sì schiacciate da sostanze sintetizzate chimicamente ma permangono, come dire che il disagio e tutto ciò che lo ha prodotto permane. Da qui la necessità dell’uso continuo dello psicofarmaco per rimanere tranquilli. In molti casi l’effetto è quello di un febbrifugo, è vero che toglie la febbre però ciò che l’ha prodotta no. E così una fobia, un disagio, voi potete togliere una fobia utilizzando degli psicofarmaci ma ciò che ha prodotto questa fobia e ciò che continua a mantenerla rimarrà e costringerà a utilizzare psicofarmaci per moltissimi anni. Questo può creare qualche altro problema, molti psicofarmaci danno assuefazione. Corre voce, le malelingue, che le multinazionali che producono alcuni psicofarmaci utilizzino delle sostanze che producono assuefazione in modo tale che le persone non cessino di assumere il loro prodotto. Correva voce che la Weyett utilizzasse un sistema del genere. Sia vero oppure no, non è tanto questa la questione quanto una considerazione, che in ogni caso lo psicofarmaco deve essere preso per un tempo che in taluni casi è pari a quello della propria esistenza. Ma dicevo della tranquillità, della calma indotta dallo psicofarmaco che è indispensabile per la società così come è costruita, così come è pensata, una società che necessita che ogni cosa sia assolutamente sotto controllo. Ciò che sfugge al controllo, come per esempio un’ansia, una fobia, che sono assolutamente incontrollabili, una persona non può controllare la propria ansia, la propria fobia, cioè tutto ciò che non è controllabile è indicato come pericolo, come il male, questo da sempre nel discorso occidentale. Se uno avverte una notevole ansia e se gli si fa credere che è una malattia si tranquillizza, si tranquillizza perché sa che è un male e in quanto male è o potrà o potrebbe essere curabile. Certo, non tutti i mali sono curabili, in prima istanza il raffreddore che come ciascuno sa non è curabile. Tuttavia, non preoccupano le cose di cui si sa almeno dare un nome, è una malattia, una malattia questo mette a posto, in genere, moltissime persone. Quando tantissimi anni fa ci fu una ricerca da parte di alcuni psichiatri, soprattutto inglesi, mi riferisco a Glenn, a Cooper e ad altri, intorno al disagio mentale, questi formularono una ipotesi di qualche interesse, vale a dire che l’idea che una schizofrenia o qualunque altro disturbo fosse una malattia metteva i familiari del "paziente" molto più tranquilli, molto più tranquilli perché a quel punto potevano essere sicuri di non essere responsabili in nessun modo del disagio del congiunto, il quale ha preso la schizofrenia così come si prende un raffreddore o come un qualunque altro malanno, tanto più che nei casi di schizofrenia, o di altri disturbi relativamente fastidiosi, i congiunti sono chiamati in causa in prima istanza, con un certo numero di accuse da parte del cosiddetto schizofrenico, che si rende conto che la sua condizione non è del tutto disgiunta dall’intervento dei propri familiari, i quali se invece sono confortati dall’idea di una malattia, sono molto contenti perché in quel caso non c’è nessuna responsabilità: io non sono responsabile se il mio congiunto si prende l’influenza. Se, invece, la schizofrenia di un congiunto riguarda anche me, cioè riguarda il mio modo in cui io agisco nei suoi confronti, ecco che questo può creare dei problemi. C’è un ritorno in grande stile dello psicofarmaco, ma non soltanto, anche di altre operazioni chirurgiche, come l’elettrochoc per esempio, la lobotomia. Ancora non sono al corrente però non mi stupirebbe che venisse utilizzata la lobotomia. È un sistema molto efficace per rendere tranquille le persone, gli si amputa un pezzo di cervello dopo di che non dà più fastidio. Addirittura qualcuno sosteneva che amputandogli la testa il fastidio sarebbe stato risolto in modo ancora più definitivo. Il ritorno così massiccio dello psicofarmaco allude probabilmente anche ad un altro aspetto che riguarda il periodo attuale in cui ci troviamo e cioè la necessità di sbarazzarsi di qualche cosa senza, diciamola così provvisoriamente, senza assumersi la responsabilità di un disagio, di un fastidio, quindi senza la necessità di dovere confrontarsi con il disturbo, con un disagio qualunque esso sia. Lo psicofarmaco promette senza mantenere, molte volte promette una soluzione del problema in modo assolutamente indolore, indolore in quanto non necessita ovviamente di nessuna messa in gioco del disagio. Perché un’ansia, una fobia, una paura, di fatto si pone per lo più come un rimedio, come una sorta di male minore di fronte a qualcosa che senza sapere, inconsapevolmente, è avvertito come il male maggiore. L’ansia, per esempio. non è altro che l’attesa di una catastrofe incombente. Prendete una persona che soffre di ansia, immagina che possa accadere qualcosa di terribile da un momento all’altro oppure semplicemente qualunque cosa faccia la mette in agitazione. Potremmo dire che ciascuna volta c’è un motivo particolare, come dire che se una persona prova ansia ha degli ottimi motivi per provarla. I motivi possono essere molti, indubbiamente, ma generalmente ciò che caratterizza l’ansia, visto che stiamo parlando dell’ansia, è una sorta di grande eccitazione, il timore di non essere all’altezza, per esempio, di una situazione qualunque e quindi di sbagliare, di fallire, di fare una figuraccia ecc.. Naturalmente, muovendo da un timore del genere, ci sono buone probabilità che questo si verifichi anche perché in molti casi dispone le cose in modo tale perché ciò che teme accada e quando accade ovviamente ha la conferma dei suoi timori e quindi l’ansia, la volta successiva, sarà ancora maggiore. Ora per esempio, tale timore di non essere all’altezza di per sé non è necessario, non occorre che uno si senta all’altezza di fronte a una qualunque situazione. Certo, ci sono situazioni di fronte alle quali uno non è preparato ad affrontare: se mi trovassi nella necessità impellente e immediata di dovere pilotare un Boeing 747, mi troverei di fronte a una situazione in cui sono assolutamente impreparato ma questo non mi produce nessuna ansia, a meno che il pilota sia morto, il discorso è allora differente. Invece l’ansia prova la stessa cosa ma come se fosse reale però non è, come dicevo, necessaria. E allora perché lo fa? Certo, lo psicofarmaco può alleggerire l’ansia perché dà come una sorta di botta in testa, uno è un po’ inebetito e non si accorge di quello che succede, per cui non si accorge neanche dell’ansia. L’ansia può essere ascoltata anziché soppressa anche perché come dicevo si può sopprimere provvisoriamente, poi torna appena cessa l’uso dello psicofarmaco. Ecco, ascoltare l’ansia vale a intendere perché per la persona che la prova l’ansia è necessaria, cioè non può farne a meno. Altri che magari la osservano dall’esterno dicono che non c’è nessun motivo di essere ansiosi, che le persone che incontrerà sono assolutamente ben disposte nei suoi confronti, che non si preoccuperanno minimamente se ha un capello fuori posto, ma per l’ansioso a nulla vale tutto ciò, continuerà a temere di essere considerato inesorabilmente la peggiore persona di questo mondo non appena si affaccerà. Dunque, ascoltarla è intendere perché questa persona ha bisogno di provare questa sensazione, a che scopo visto che non è necessario né alcuno la obbliga. Qui inizia un percorso che è differente da quello psicofarmacologico dove non si tratta di sedare, di eliminare provvisoriamente l’ansia. Ci sono molte cose che eliminano provvisoriamente l’ansia, anche un incendio per esempio che si verifica nella propria casa elimina immediatamente l’ansia, perché la persona necessariamente è costretta a salvare la vita. Non a caso Freud notava che per esempio in periodo bellico sotto i bombardamenti o nelle trincee o comunque laddove il pericolo di vita è immediato, reale, le nevrosi scompaiono. Se uno è impegnato a salvare la propria vita non ha né tempo né animo per dedicarsi ad altro, cerca soltanto di arrivare alla sera vivo; quando invece questo pericolo non è così imminente, ecco che allora sorgono un’infinità di altri problemi, quando una persona è lasciata libera e ha a disposizione tempo per pensare a sé generalmente pensa le cose peggiori. Molti in effetti temono il tempo libero, da una parte lo desiderano ma dall’altra lo temono come il peggiore dei mali, come già il nostro amico Leopardi, noto pessimista aveva perfettamente notato: "riman tristezza e noia". Per molte persone la domenica è una giornataccia perché se non riescono a occupare il tempo che hanno a disposizione e quindi sono in preda alla depressione. Perché questo? Perché non essendo occupati da altro, un po’ come accade nella guerra, non essendo occupati dalla guerra o dall’ufficio, si trovano preda dei propri pensieri e sembra che trovarsi a pensare sia una cosa molto pericolosa e quindi non è casuale il rientro ufficiale e in forze dello psicofarmaco, dato che ha la funzione di impedire di pensare. Ma come mai uno si trova senza avere nulla da fare e incomincia a deprimersi? Si trova di fronte a tutto ciò che durante la giornata viene tenuto a bada da altri pensieri più urgenti, più pressanti, non avendo questa pressione ecco che sorgono i pensieri "ma allora io cosa faccio?" "a che servo?" "come passo il tempo?" "chi sono?". Generalmente le questioni vertono intorno all’inutilità, se una persona non ha nulla da fare si sente inutile e quindi sentendosi inutile la sua vita perde il senso. Inizia ad essere in questo caso preda della depressione, non avendo nulla da fare la sua vita non ha nessun senso, se la sua vita non ha nessun senso allora nulla ha più senso e inizia la depressione. Inizia la depressione che diventa ingestibile e la persona incomincia effettivamente a stare male. Tuttavia non è necessario, talvolta è sufficiente domandarsi perché si ha paura di pensare o quali sono i pensieri che generalmente fanno paura. Per esempio questo dell’inutilità è molto diffuso, la paura di essere inutili, come se fosse un dovere, come se l’esistenza fosse degna di essere vissuta soltanto se si è utili al prossimo. È una visione molto cristiana ma non è necessaria, uno può essere assolutamente inutile e vivere benissimo, per esempio. Poi, è da verificare questo "essere utili al prossimo". Al di là di questo, la perdita di senso della propria vita merita di essere interrogata. La vita non ha più senso? Può darsi, può darsi a condizione chiaramente di intendersi sul che cosa sia esattamente il senso. Supponete che le persone incomincino a pensare, sarebbe una catastrofe di proporzioni immani, perché pensando cosa succede? Se pensa lo fa sul serio, quindi si accorge che per affermare che la sua vita non ha senso occorre almeno che sappia che cos’è il senso, cerca quindi di fornire un senso al senso e si accorge che l’operazione non è semplice, si accorge che qualunque operazione di definizione di qualunque cosa è complicatissima e rinvia ininterrottamente ad altre cose fino al punto da considerare che forse parlare di senso in assoluto non ha nessuna utilità perché il senso non è altro che ciò che io desidero fornire una certa cosa, o che altri forniscono. Ma, continuando a pensare, c’è l’eventualità che si accorga che non è affatto necessario, che tutto ciò che esiste esiste perché c’è qualcuno per cui esiste, che afferma che esiste, fino a giungere, c’è questa eventualità, a considerare che qualunque cosa accade è necessariamente costruita e che nulla esiste di per sé, senza qualcuno che lo faccia esistere e lo fa esistere grazie alla struttura di cui è provvisto e cioè il linguaggio ecc.. Insomma, iniziando a pensare avviene una catastrofe, avviene che le persone possono cominciare a considerare che molte cose non sono affatto necessarie ma sono assolutamente gratuite, arbitrarie, compresi i propri disagi, i propri disturbi. In alcuni casi anche questo è avvertito come un pericolo.

Da sempre il disagio, la malattia, hanno avuto due risvolti che sono importantissimi, l’uno è quello di tenere occupati, se io sto male mi occupo della malattia e non penso ad altro; l’altro, esercitano una sorta di seduzione. Generalmente, la persona ammalata, almeno qui nel mondo occidentale, attira l’attenzione del pubblico, attira l’attenzione di altri su di sé, uno persona dice "sto malissimo!" e tutti si premurano di sapere che cos’ha, perché sta male ecc.… Generalmente avviene così, è difficile se sta malissimo che altri dicano "e allora?…..", per cui affermando di stare male si hanno buone probabilità di attrarre l’interesse dell’altra persona, risvolto tutt’altro che secondario. La perdita del disagio può in alcuni casi essere un problema. Come disse una volta una persona "e se non sto più male cosa faccio, come passo il mio tempo?". Sì, la persona che prova il disagio sicuramente enuncia di volersene sbarazzare ma è una formulazione paradossale, perché se lo volesse effettivamente se ne sbarazzerebbe immediatamente. Ovvio che la persona dirà che non può, che non riesce, ma questo non riuscire, questo non potere, se viene ascoltato e se la persona ha modo di accorgersi di ciò che sta dicendo, di ciò che sta avvenendo, è un non riuscire determinato da una sorta di tornaconto. La difficoltà maggiore nell’eliminare un disagio, un disturbo, può essere una paura, un’ansia, una fobia, si tratta di porre le condizioni perché una persona si accorga di qual è il tornaconto e di porre le condizioni perché possa abbandonarlo. Solo a questo punto non avrà più la necessità di stare male, ma finché questo tornaconto permane non lo lascerà. È un po’ come avviene per coloro che assumono delle droghe pesanti, quelli che bucano, si offre loro in cambio di cogliere le patate ma dopo un po’ si accorgono che ciò che offre l’eroina è meglio della raccolta delle patate, l’eroina da più emozioni, dà maggiori sensazioni e quindi torneranno a bucarsi, come si suol dire. E così, esattamente allo stesso modo, la persona che soffre di ansie, di fobie, di depressione, ecc., cercherà di tornare alla condizione di malessere perché questa sensazione di malessere produce delle sensazioni forti e gli umani ben difficilmente rinunciano alle forti emozioni. Lo stare male è una delle emozioni più forti… La psicanalisi è un percorso sicuramente lungo, complesso, però, però consente di giungere al punto in cui lo stare male non è soppresso provvisoriamente ma non è più necessario, il che può costituire un vantaggio…

- Intervento: Lo psicofarmaco va preso per sempre senza che cambi assolutamente nulla.

Sul momento effettivamente può risolvere nel senso che toglie un ansia, però ha soprattutto un risvolto ideologico. L’uso dello psicofarmaco conferma che il disagio è una malattia e come tale va trattata e quindi non c’è bisogno di affrontare nulla, è semplicemente una questione chimica. Gli psichiatri hanno sempre cercato, per esempio, il siero della schizofrenia, fra un po’ pubblicheranno la notizia che è stato scoperto il virus della schizofrenia, va bene, gli americani ogni tanto hanno un’uscita singolare. C’è una differenza fra una psicanalisi e lo psicofarmaco, è la stessa che accudirsi da sé oppure continuare ad essere accuditi, accuditi dallo psicofarmaco, accuditi da ciò che consente di continuare a non pensare. Io insisto sulla questione del pensare perché è notevole, perché pensare è la cosa più pericolosa che gli umani possano fare e per questo non lo fanno.

- Intervento:….

Sì, infatti è una questione di responsabilità, ovviamente. Essere responsabili per esempio della propria ansia è determinante, come dire che l’ansia non viene da un virus né da un bacillo ma dal mio discorso. È il mio discorso che l’ha prodotta e che continua a produrla e allora è il mio discorso, cioè sono io in definitiva, e se lo faccio avrò qualche buon motivo. Il percorso analitico serve a reperire questo motivo, perché faccio una cosa del genere visto che nessuno me l’ha ordinato, nessuno mi obbliga a farlo, nessuno mi obbliga a costruirmi una cosa del genere. La fobia è una costruzione, un discorso che viene costruito per un motivo. Ecco, sapere il motivo per cui si produce l’ansia, il motivo per cui è necessaria nel proprio discorso, a cosa serve? Questo è un passo per incominciare ad affrontare il proprio discorso, perché affrontando il proprio discorso uno viene a sapere un sacco di cose di sé che magari ignorava o che non considerava e che invece risultano determinanti, comunque molto importanti.

- Intervento: Il termine dello psicofarmaco e della psicanalisi …

CAMBIO CASSETTA

… che una buona percentuale dei pazienti che sono in cura farmacologica si uccidono e questo risolve il problema, come dire che in buona parte costituisce comunque la fine dell’assunzione dello psicofarmaco. In molti casi non c’è una fine propriamente con l’assunzione dello psicofarmaco, in alcuni casi sì ma in moltissimi no. Lo psicofarmaco deve essere ripreso a intervalli, però va avanti, perché se, come dicevo prima, permane il motivo dell’ansia io posso sì sopprimerla provvisoriamente ma appena cessa l’effetto questa ritornerà. La psicanalisi può concludersi al momento in cui si è avuta consapevolezza del motivo che ha costruito e ha mantenuto l’ansia. In questo caso la psicanalisi può concludersi, in alcuni casi prosegue invece per altri motivi, cioè non c’è più necessità di affrontare i propri malanni ma permane una curiosità intellettuale o per alcuni l’intenzione di ascoltare altri, e allora cambia il discorso, in questo caso l’analisi può durare più a lungo sicuramente. Accade che una psicanalisi avviata per i motivi più disparati come l’ansia, l’angoscia, ecc., ad un certo punto concluso il malanno instauri una sorta di formazione che la persona intende proseguire per poter poi a sua volta ascoltare altri, questo accade. Diceva qualcuno che occorrono molti psicanalisti, però occorre che ciascuno lo desideri di divenirlo. Preoccupata del termine? Le hanno detto che sono cose lunghissime? Non necessariamente…..(………) Sì, accade che la persona che assume psicofarmaci inizi poi una psicanalisi, lentamente inizia a cessare l’uso dello psicofarmaco perché di per sé si oppongono le due cose, l’una è fatta per evitare di pensare e l’altra invece è proprio per pensare, e quindi dopo un po’ l’uso dello psicofarmaco scompare da sé. Non è che lo psicanalista sia favorevole o contrario, non gli importa nulla ma è proprio la struttura del percorso analitico che induce ad un certo punto ad abbandonare l’uso dello psicofarmaco, come assolutamente inutile, un contributo alla multinazionale!….Sono potentissimi tra l’altro gli psicofarmaci sono uno dei più grossi businness, di gran lunga superiore a quella della droga, delle cosiddette droghe, un affare di una quantità enorme di quattrini. Per questo, come dicevo, correva voce che alcune grosse multinazionali inserissero negli psicofarmaci sostanze assuefacenti. D’altra parte gli interessi economici non sono marginali soprattutto quando sono in ballo molti miliardi. Sì, ci sono altri che vogliono aggiungere qualche elemento, qualcuno che ha fatto uso di psicofarmaci? Anche perché sembra che in Italia, ma credo in tutto il mondo occidentale, non c’è famiglia in cui almeno un componente non abbia fatto uso di psicofarmaci o non faccia uso e quindi è una diffusione immensa…. E c’è qualcuno che ha fatto uso di psicofarmaci, vuol dire? Lei che mi sorride? Lei non ha mai fatto uso di psicofarmaci….(...)

- Intervento: Non ho capito la questione della malattia….in accezione negativa e lo psicofarmaco come medicinale e quindi il suo uso…..

Sì, è l’uso dello psicofarmaco che induce a pensare (che fa pensare alla malattia) Sì, perché se non esistesse nessun farmaco, uno direbbe "non è una malattia ma sarà un’altra cosa", anche per la sua natura (ma allora è utile…) Sì, ma la questione è che (...) è difficile che uno che ha la depressione possa sbarazzarsene dicendo che (…..) Sì, l’accostamento dei disturbi psichici alle malattie ha in effetti molto a che fare con la questione spirituale, come dire, la causa è sempre altro da sé, nel primo caso è una alterazione organica, biochimica, quello che vi pare, nel secondo caso è una possessione demoniaca, però è come se la persona in questione fosse sempre, comunque non responsabile di ciò che sta accadendo. Come dicevo all’inizio, se prendo l’influenza non sono responsabile, magari potevo mettere la maglia di lana, però non è una responsabilità psichica, non è il mio discorso che produce l’influenza ovviamente, ma nei disagi cosiddetti psichici, un’ansia per esempio, se prodotta dal proprio discorso, pone la questione della responsabilità rispetto al mio discorso, se produco dell’ansia allora ho dei buoni motivi per farlo, se quest’ansia è indotta da un virus o da un bacillo allora io non c’entro niente. Esattamente come nel caso della possessione demoniaca, se il diavolo mi possiede io non c’entro niente, io sono innocente, se no sono "colpevole" tra virgolette, non si tratta di colpevolezza ovviamente ma di responsabilità. È un po’ come accade in alcuni atti mancati per esempio. Appunto come si diceva talvolta c’è una sorta di responsabilità nell’atto mancato, non è del tutto casuale in molti casi e giustamente prima veniva sottolineato questo aspetto della casualità, la responsabilità non è altro che considerare per esempio l’ansia come produzione del proprio discorso e quindi cominciare a considerare perché il proprio discorso produce questa sensazione, a che scopo. Se lo fa ha dei buoni motivi, alcuni li ho accennati ma altri sicuramente se ne trovano, però ecco è una questione che riguarda le cose che dico, le cose che penso, le cose in cui credo, da lì sorge il discorso e quindi tutte le sue varianti compresa l’ansia, l’angoscia, la paura, ecc. Se io ho una paura di qualunque cosa posso anche cercare il virus della paura ma non lo troverò, posso anche pensare che dio lo vuole, però anche così non cambierà un granché. Invece magari questa paura è funzionale a qualche cosa e allora, ecco, posso accorgermi che questa paura è stata letteralmente costruita per un buon motivo e in ciascun caso si tratta di trovare quale. Trovato questo, c’è una buona probabilità che io cessi di avere la necessità di avere paura. Questo è ciò che occorre che faccia una psicanalisi, togliere la necessità di stare male e instaurare invece la necessità del pensiero, cioè non è più possibile non pensare. Non so se ho risposto almeno in parte alla sua questione? Altri che abbiano qualche questione?

- Intervento: Un discorso che fecero tempo fa a me. Gli assertori dello psicofarmaco dicono che lo psicofarmaco induce alla dipendenza come la psicanalisi… lo psicofarmaco come difesa….non possono ammettere che lo psicanalista non è solo chi ascolta ma è chi la fa l’analisi…

Sì, ed è una questione importante questo aspetto della dipendenza. In effetti, molte persone temono una cosa del genere, la questione non è che lo psicofarmaco o la psicanalisi creino dipendenza, è che ciascuno vive nella dipendenza ventiquattro ore su ventiquattro, dipende da qualunque cosa, cerca la dipendenza disperatamente, cerca cioè qualcuno che lo protegga, qualcuno che lo accudisca, che lo salvi, che gli indichi la via, la direzione. Da qui tutte le religioni, se le persone non cercassero la dipendenza non esisterebbe nessuna religione. La necessità di dipendere non riguarda in questo caso né lo psicofarmaco né la psicanalisi. Certo, gli psicofarmaci in alcuni casi aiutano soprattutto se vengono corretti con alcune sostanze ma ciascuno dipende da quando esiste e soprattutto cerca la dipendenza, e la trova immediatamente, come lo stato, ciò da cui ciascuno dipende, almeno da quando Platone ha sentenziato la sua nobile menzogna sulla necessità delle stato, una necessità quindi di qualcuno che indichi la via, che gli dica cosa fare, che gli indichi cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, questa è la dipendenza, qualcuno che pensi in definitiva per gli altri. Se avete voglia di passare una serata piacevole Freud ha scritto un saggio divertente su questo aspetto, Psicologia delle masse e analisi dell’io, dove considera, per alcuni aspetti in modo interessante, come ciascuno cerchi disperatamente un capo, qualcuno che lo guidi. Una guida può essere spirituale, economica, politica, una guida è ciò che dà la direzione, che orienta appunto, l’orientamento non è altro che guardare a oriente per sapere in quale direzione si sta andando, e le religioni in modo particolare soddisfano a questa esigenza di dipendenza. Togliere la dipendenza è uno degli scopi precipui di una analisi e del pensiero in generale ed è assolutamente controproducente per ciascuna istituzione, ciascuna organizzazione sociale, come lo stato per esempio, e quindi deve essere perseguita con tutti i mezzi. Una persona che non dipende più è un problema da gestire, perché non crederà più a un sacco di cose, non crederà nella necessità dello stato, non crederà nella necessità di un sacco di cose che riterrà assolutamente gratuite. Una persona che cessa di credere è una minaccia, una minaccia per ciascuno stato, una minaccia terribile, per cui occorre la dipendenza, occorre soprattutto che le persone credano e allora dipendono da ciò in cui credono, che è una delle dipendenze più formidabili. La dipendenza è assolutamente necessaria, così come la paura, senza la paura come si governa, come posso tenere a freno centinaia di milioni di persone se queste non hanno paura? È un guaio, finché sono terrorizzate sono sottoposte, sono sottomesse, hanno bisogno, credono di avere bisogno di qualcuno che le protegga, la struttura è quella della mafia "io ti proteggo dal pericolo", "ma non c’è nessun pericolo", "sono io, se non ti fai proteggere comincio a bruciarti la casa, ammazzarti le figlie, e vedi se poi non sono un pericolo". Quindi il bisogno di protezione, la persona che ha paura è sottomessa e quindi gestibile, una paura che occorre calibrare, una persona che ha paura diventa allo stesso modo ingestibile, una persona spaventata è pericolosa, avere paura ma non tanta, quanto basta perché stia tranquillo e non alzi la testa e allora tutto funziona, ecco la quiete, la calma, a cui dà un contributo lo psicofarmaco. Una calma familiare soprattutto, lo psicofarmaco, tranquillizza i familiari (...) Sì, c’è stato, lo so perché è stato pubblicato su La stampa, ecco perché è stato pubblicato, molti attori avevano utilizzato quel sistema americano del Prozac, Prozac che è stato pubblicizzato da uno psichiatra italiano, forse Cassano. Dopo una prima euforia generale c’è la notizia che molti di questi attori e cantanti dovevano tornare da lui perché tutte le paure, le depressioni, ecc., riaffioravano inesorabilmente e quindi il Prozac continua a vendersi, che è la cosa fondamentale, che preoccupazione c’è? (Sono delle droghe ufficiali, forse molto più pericolose delle droghe che circolano) Certo, talvolta sì, i familiari danno un contributo al disagio di qualcuno, avevano considerato appunto negli anni 70/80 alcuni psichiatri… poi queste persone sono state eliminate … però avevano messo l’accento sul fatto che c’è un notevole contributo della famiglia, non soltanto ovviamente … (Questo sfuggì a quegli psichiatri) Occorre che la persona da parte sua ci metta del suo se no non funziona, non bastano delle persone schizogene perché alcuni sono assolutamente refrattari alla schizofrenia, o ai disagi mentali, altri invece no. Per qualche motivo entrano dentro a questo gioco, si fanno coinvolgere e quindi diventano parte integrante del meccanismo, il quale continua a funzionare come un orologio finché lui è malato. Se lui cessa di essere malato si crea uno squilibrio così come in alcuni casi è avvenuto anche in casi di cui mi sono occupato, una persona che iniziava di cessare di assumere psicofarmaci e non voler più far parte di questo gioco familiare ha subito tali pressioni per cui ha dovuto abbandonare l’itinerario analitico perché la famiglia non lo ha più permesso. È un equilibrio, uno deve stare male e tutti gli altri lamentarsi chiaramente, però occorre che ci sia, se non c’è più di colpo c’è uno squilibrio che minaccia l’intero ménage familiare…. In questo senso il percorso che stiamo elaborando sempre più è assolutamente sovversivo e assolutamente incompatibile con qualunque forma di statalizzazione. Proprio agli antipodi, perché pone l’accento esclusivamente sul pensiero e cioè sulla capacità di ciascuno di incominciare a riflettere sulle cose, accorgendosi che man mano riflette sulle cose né scopre di belle, sia su di sé che sul prossimo.

- Intervento: Freud di fronte a quelle che lui chiamava nevrosi traumatiche, inventando la psicanalisi, si è interrogato e ha riflettuto su ciò che gli sembrava molto strano e cioè che quegli elementi che riguardavano il trauma e quindi molto spiacevoli e proprio per questo traumatici, tornassero nella "coscienza" mentre lo spiacevole dovrebbe "dimenticarsi" come di solito accade lo spiacevole si rimuove….

Infatti da lì si accorge che ciò che è spiacevole non è "soltanto spiacevole", ci sono altri elementi tutt’altro che spiacevoli.