Torino, 25 ottobre 2011
Libreria LegoLibri
Luciano Faioni
Dalla psicanalisi alla scienza della parola: storia di un itinerario intellettuale
Terzo incontro
Abbiamo considerato negli incontri precedenti, in un certo senso, la fine del discorso occidentale, del discorso, potremmo dire, filosofico, del pensiero metafisico. Fine nel senso ha incontrato un limite oltre il quale non può andare. Il pensiero metafisico si chiede che cos’è una certa cosa: “ti es ti” il “che cos’è?”, per avere un fondamento, per sapere che cosa è vero e cosa non lo è, e abbiamo anche visto perché questa domanda è stata da sempre così importante, perché ciò che è vero pilota l’agire degli umani: se sanno che una certa cosa è vera vanno in quella direzione, se sanno che è falsa no. La fine di questo pensiero ha comportato degli effetti, pochi in realtà, perché di fatto le persone non si pongono interrogativi intorno alla verità in termini filosofici, il modo di pensare degli umani è molto più vicino al mito, dove ci sono delle affermazioni oracolari che funzionano da premesse generali e poi una serie di conseguenze, di implicazioni. La domanda se una certa cosa sia vera oppure no difficilmente si pone in termini radicali, è sempre riferita a qualche cosa di assolutamente contingente, più spesso di utilitaristico, invece il pensiero filosofico ha cercato che cosa è realmente vero, e ha fallito. Ha fallito consegnandosi, come diceva Heidegger, alla scienza, la quale di fatto non si chiede più cosa sono le cose ma come si maneggiano, come si manipolano, come si usano, come si possono utilizzare e produrre. La psicanalisi è sorta anch’essa nell’ambito di questo pensare metafisico così come tutte le scienze d’altra parte, poi abbiamo considerato invece un secondo momento, in cui è accaduta una cosa che ha qualche interesse, e cioè a un certo punto gli umani hanno incominciato, nel secolo scorso, a interrogarsi su come funziona il pensiero degli umani e questo per un motivo, diciamo pratico, perché si erano trovati nella condizione di costruire delle macchine pensanti e quindi dovevano spere come funzionava il pensiero per poterlo riprodurre. Macchine pensanti era un termine che usava Turing, in realtà si tratta di quelle cose che oggi si chiamano computer, e la cosa interessante è che si era trovato il modo di costruire un sistema tale per cui effettivamente era possibile progettare una macchina pensante, fornendo a questa macchina delle istruzioni e una struttura per poterle eseguire. La domanda è se di fatto anche gli umani funzionano a questa maniera, e cioè se il pensiero degli umani viene prodotto, viene costruito, reso possibile, attraverso delle istruzioni e dei metodi per eseguirle. Può apparire un po’ singolare detta in questi termini, però la questione che ci interessa è che gli umani a un certo punto incominciano a parlare, e incominciando a parlare incominciano anche a pensare, vale a dire a costruire concetti, a costruire reti di relazioni fra le cose che mano a mano acquisiscono, il problema è che questa rete di relazioni, di connessioni fra proposizioni, è straordinariamente complessa, c’è una notevole quantità di elementi che intervengono e questo ha indotto taluni a pensare che il pensiero degli umani comunque è sempre molto, non solo più complesso di quello che può avere una macchina, ma che una macchina non potrà mai pensare come un essere umano. È ancora da verificare se sia proprio così, però si può considerare che ciò che gli umani apprendono sono delle indicazioni, sono delle strutture, in definitiva insegnare a parlare non è nient’altro che insegnare a usare un sistema, una struttura, dire come si fa ad usare una certa cosa, come si usano le parole, come si usano le proposizioni e la cosa più straordinaria che è emersa anche nel secolo scorso è l’eventualità che questo sistema, questa struttura che chiamiamo linguaggio, sia anche quella struttura, che “costruisce” questo costruisce lo mettiamo per il momento tra virgolette, quella cosa che gli umani chiamano realtà. Non è un pensiero originalissimo, è un pensiero antico, già gli eleati avevano posto qualche cosa del genere e poi si era riposta nel medioevo con la disputa sugli universali e poi più recentemente con il neopositivismo. La questione della realtà in effetti ha interesse anche per quanto riguarda la psicanalisi; la realtà è comunemente intesa come il mondo che ci circonda, le cose, ma la prima domanda che occorre porsi per impostare almeno la questione è questa: per un leone che sta nella savana, per lui esiste la realtà, cioè esiste la savana, esiste la terra su cui appoggia le zampe, esiste un cielo sopra di lui, un sole? Per lui esistono tutte queste cose? È probabile che tutto ciò non esista per lui, non esiste perché tutto questo procede da una serie di concetti, di costruzioni che vengono fatte dagli umani in quanto parlanti, da una rete di relazione fra elementi e questa rete di relazioni costruisce, letteralmente, le cose che incominciano a esistere nel momento in cui vengono concettualizzate, nel momento in cui si incomincia a nominare qualche cosa, è lì che questa cosa incomincia a esistere, nel nominarla e nel metterla in relazione con le altre cose che mano a mano vengono acquisite. A questo punto avviene che queste costruzioni concettuali diventano effettivamente al realtà, il modo in cui gli umani si rapportano a quella che a questo punto decidono che sia la realtà. La questione della realtà ha sempre interessato gli umani che hanno cercato di intendere che cosa sia esattamente in modo da determinarla, cosa che poi si è rivelata, andando sempre più a fondo, sempre più difficile da individuare, fino ad arrivare alla meccanica dei quanti, dove le particelle subatomiche sono molto difficilmente determinabili, e sono la base di tutto, così si dice in fisica. Ma al di là di queste considerazioni che ci interessano fino a un certo punto, rimane il fatto che la realtà viene considerata come un qualche cosa di saldo, di fermo, di immutabile, nonostante sia costruita attraverso dei concetti e sono i concetti a rendere tutto questo possibile, questo lo sapeva già Kant. C’è un passo in più che è possibile fare, questa struttura di cui sto parlando, che è il linguaggio, procede da istruzioni, cioè quando si insegna a parlare si insegna come usare delle parole, come usare delle proposizioni, queste proposizioni hanno come referente, cioè si riferiscono, ad altre proposizioni, e queste altre ad altre ancora costruendo una sorta di rete, di connessione di relazioni molto ampia. Il fatto che il linguaggio proceda da istruzioni sposta la questione perché non si tratta più di pensare il linguaggio come qualche cosa che ad un certo punto è sorto per definire ciò che c’è intorno e che non è linguaggio, ma come una struttura che consente di costruire una rete di relazioni che poi gli umani chiamano realtà, di fatto se io indico con realtà ciò che cade sotto i sensi, che è l’accezione più comune del termine, ho detto soltanto che io credo che la realtà sia quella cosa che cade sotto i sensi, ma non ho detto assolutamente nulla della realtà, ho posto il mio criterio per decidere che cosa chiamo realtà. Ponendo il linguaggio come qualcosa che viene costruito a partire da istruzioni, a questo punto la questione della realtà cambia completamente aspetto: non c’è più la necessità di stabilire che cosa esattamente sia ciò che di fatto non è nient’altro che una rete di connessioni, ma intendere che è proprio questo, che è una serie di connessioni, di relazioni. La questione che ha posta Freud ha qualche interesse perché tutto il suo lavoro l’ha improntato su questo, cioè a intendere come funzionano queste relazioni, queste connessioni, dando però per acquisita l’esistenza di un qualche cosa un “quid” che rappresenta la natura, la realtà delle cose che in qualche modo mette in moto tutto quanto, ma la domanda che molti si sono posti, alcuni, è se questa cosa che viene posta come sostrato, come la realtà, l’immanenza, “è un qualche cosa che possiamo individuare, identificare, definire, oppure di fatto non c’è nient’altro che queste relazioni, connessioni fra elementi, che sono elementi linguistici?”, e con i quali di fatto abbiamo a che fare perché a un certo punto Freud si è accorto che tutta la questione girava intorno al linguaggio, di cui parla tantissimo non soltanto nell’Interpretazione dei sogni, ma nel Motto di spirito, nella Psicopatologia quotidiana a proposito dei lapsus, delle dimenticanze, degli atti mancati, e si è accorto che tutta la partita si gioca lì, nel linguaggio, con le parole, nel modo in cui si connettono, si relazionano, si agganciano fra loro come se tutto quanto si svolgesse in ambito linguistico: paure, emozioni, sensazioni, affanni di ogni sorta, tutto si giocasse lì e soltanto lì.
La teoria dell’informatica ha posta una questione interessante e cioè ha dato una forma a quello che viene chiamato generalmente calcolo delle proposizioni, che è stato inteso come il modo in cui gli umani parlano, il modo in cui si costruiscono le proposizioni, quindi i pensieri e di conseguenza a cascata tutto quanto, questo modo è individuato dall’utilizzo, così dice la logica, dei connettivi, che sono solo cinque, sono la congiunzione, la disgiunzione, la negazione, l’implicazione, la doppia implicazione. Ora cerco di farvi un esempio per rendere la cosa più perspicua, comprensibile, per vedere se gli umani pensano veramente in questo modo cioè facendo dei calcoli, calcoli proposizionali, perché se è così la cosa si configura in modo completamente differente da come lo stesso Freud aveva immaginato, cioè non ci sarebbe più la necessità di andare cercare un qualche cosa che sta al di là del linguaggio, ma tutto si svolge all’interno di questa struttura. Supponiamo che una fanciullina stia cercando un suo fanciullino, e allora decide che deve essere bello e intelligente, è una aspettativa legittima, il fatto che sia raggiungibile questo è un altro discorso, ma è raggiungibile, si parte così in genere, deve essere bello e intelligente almeno, poi anche altre cose eventualmente, quindi cerca qualcuno che corrisponda a questi requisiti, ma non a uno, a tutti e due, e cioè bello e intelligente, in questo caso viene utilizzato un connettivo, cioè la congiunzione e questa congiunzione fa sì che questa proposizione sia raggiunta, cioè sia vera, a condizione che entrambi i termini siano veri: cioè sia bello e intelligente. Se è soltanto bello non va bene, se è solo intelligente non va bene, deve essere bello e intelligente, ma poi cosa succede? Succede che ci sono altre informazioni che la fanciullina ha acquisite, cioè per esempio che tutto non può essere raggiunto, tutto ciò che si desidera non può essere ottenuto, e allora modifica questa proposizione, da congiunzione la formula come disgiunzione: occorre che sia o bello, o intelligente, almeno una delle due, poi se è tutte due va bene, cioè è verificata sia che sia vera una delle due, sia che siano vere entrambe, quindi deve essere o bello o intelligente entrambe le cose. Tuttavia anche questo può costituire un problema, nel senso che magari non trova quella persona che è o bella o intelligente, rispetto ai suoi canoni ovviamente, di cui parleremo tra poco, e allora avviene un altro spostamento in base a un’altra informazione che lei ha acquisita, per esempio che una fanciullina deve avere un suo fanciullo perché se non ce l’ha allora non è completa, non è realizzata, come sa questo? Lo sa perché glielo hanno detto da bambina, perché persone che lei riteneva degne di fiducia più e più volte hanno ripetuto cose del genere, e queste proposizioni sono entrate come vere all’interno del suo discorso e funzionano come capisaldi, come premesse; è per questo che quando è in mezzo alle sue amiche, il fatto di essere da sola, cioè di non avere il fanciullino, la mette a disagio, la fa sentire in inferiorità, quindi se si sente in inferiorità allora vuole dire che ha perso il potere nei confronti delle sue amiche, non si sente al loro livello, e lei vuole sentirsi al loro livello quindi si dice: “se voglio sentirmi una di loro devo avere un ragazzo, ma voglio essere una di loro allora devo avere un ragazzo”. È una implicazione, però rimangono anche le richieste precedenti, cioè deve essere bello e intelligente, quindi cosa succede: da una parte è importantissimo per lei trovarsi in mezzo a delle amiche, che rappresentano il suo mondo, l’ambito in cui si muove, quindi essere importante per le sue amiche, essere considerata una di loro perché questo? Per altre cose alla quale la fanciullina crede, e cioè che per essere valutata in modo positivo, quindi essere interessante per qualcuno, occorre che la sua condotta sia adeguata a quell’ambito all’interno del quale lei vuole essere, perché ritiene quell’ambito come quello dal quale si aspetta di essere importante, considerata, apprezzata, ma d’altra parte rimane il fatto che lei cerca un fanciullino con certi requisiti: entrambe le cose permangono, diciamo che sono entrambe vere. Ma a questo punto sorge un problema perché per fare parte di questo ambito in cui lei si sente importante deve avere qualcuno, ma questo qualcuno occorre anche che abbia quei requisiti che lei si aspetta, ma al tempo stesso deve decidere se è più importante avere comunque un qualcuno pur di far parte di questo ambito oppure rinunciare a fare parte di questo ambito per ottenere quello che vuole. Si trova cioè in una condizione, in una posizione in cui qualunque scelta farà sarà sbagliata, perché qualunque scelta, sia che vada da una parte sia che vada dall’altra, esclude quell’altra che comunque è irrinunciabile e si crea quella cosa che comunemente si chiama conflitto, che non ha soluzione finché permangono due verità salde e incrollabili, non c’è nessuna possibile soluzione. Allora la nostra fanciullina si trova in una condizione difficile da risolvere: qualunque cosa farà, comunque avrà sbagliato, e capita talvolta di trovarsi in una situazione del genere, ma a quali condizioni si verifica una condizione del genere? Qui occorre porre la domanda in termini più precisi, e cioè a quali condizioni io mi trovo a credere assolutamente vera una certa cosa e cioè, nel caso della fanciullina, di essere considerata e quindi importante a condizione che non sia da sola, perché questa cosa diventa assolutamente vera? Perché la fanciullina ci crede così fermamente al punto da considerarlo un elemento indispensabile nella sua esistenza, da dove arriva? Dalla realtà? Quale realtà? Sono soltanto considerazioni, credenze, superstizioni, convinzioni che la fanciullina ha acquisite nel corso della sua esperienza a partire da cose che ha sentite, che ha accolte come vere, perché o dette da persone che lei riteneva autorevoli o perché le ha lette, o perché le fiabe che leggeva da bambina dicevano che ci vuole il principe azzurro per vivere felici, o per una serie di altre cose, ma grosso modo appartenenti a questa struttura. Dal momento in cui incomincia a credere vere delle cose, vere nell’accezione metafisica, in quell’accezione di cui dicevamo e cioè incrollabilmente vere, da quel momento la fanciullina, come chiunque altro si trovi nella condizione di conflitto, in conflitto con altre verità che mostrano di essere fatte allo stesso modo, cioè delle verità incrollabili, sicure, certe, ma che offrono, che cosa? Nel caso della fanciullina offrono il valore: “se le amiche mi accolgono all’interno del loro consesso allora io valgo per loro, e se valgo per loro allora valgo in assoluto”, questa è un’idea abbastanza comune, che procede naturalmente dal fatto di non considerare le proprie opinioni, le proprie idee come qualcosa che potrebbe valere di per sé, ma ha bisogno sempre di qualcuno che le supporti, che le confermi, che le sostenga. Perché tutto questo? Da dove viene? È una domanda importante, perché sono queste le cose con le quali ciascuna persona si confronta, io ho fatto l’esempio della fanciullina, ma potrebbe essere qualunque cosa, qualunque conflitto si crei, di natura etica, estetica, politica, economica: che cosa è meglio, e in base a che cosa deciderò? In base all’utilità? Nel caso della fanciullina qual è l’utilità? Che cosa è “utile”? Ciò che la fa stare bene, ma entrambe le cose la fanno stare bene, ma non può averle entrambe per esempio, e quindi in base a che cosa sceglierà? Perché a un certo punto sceglierà, in genere, non sempre, certe volte c’è una sorta di paralisi, di arresto, il sistema si blocca e rimane lì in attesa di un qualche cosa che decida al posto suo, qualche volta accade, altre volte no. La fanciullina deciderà in base a quella cosa che per lei è più importante, è più vitale, cioè quella cosa che le da maggiore sicurezza, la garantisce di più, nel caso dell’esempio di prima la fanciullina sicuramente si rivolgerà alle amiche e cioè troverà chiunque, pur che sia, in modo da esibirlo alle amiche rinunciando quindi a tutti i suoi progetti, pure legittimi: è più importante sentirsi parte di un gruppo che dà sicurezza, perché lì tutti pensano le stesse cose e se tutti pensano la stessa cosa allora questa cosa è vera; i gruppi si costituiscono per questo, per sentirsi importanti, per sentirsi nel giusto, per sentirsi considerati, almeno all’interno di quell’ambito. Tutto ciò Freud le chiamava fantasie, che si costruiscono a partire da delle proposizioni che occupano una certa posizione all’interno del discorso, che potrebbe essere indicata come una premessa di una serie di argomentazioni, premessa che naturalmente risulta assolutamente vera, ed essendo creduta vera conduce o deriva verso una serie di implicazioni che portano a dei conflitti, anche perché come sappiamo la rete di connessioni, di discorsi, che una persona ha acquisiti nel corso degli anni è praticamente sterminata, ma che cosa ha incominciato a fare il lavoro di Freud? A intendere ciò che vi ho detto adesso, e cioè intendere da dove vengono certe convinzioni, senza sapere esattamente che cosa le abbia costruite, ci sono e tanto basta, e una volta che ci sono bisogna porre rimedio, fare in modo che la persona possa accorgersi che ciò che sta facendo è dettato da fantasie, ma che cosa abbia costruite queste fantasie, questo non si sa. Ma è una questione importante, perché ciò che le ha costruite può continuare a costruirle, anche una volta che quelle particolari sono state eventualmente eliminate, intendo dire questo: se una persona ha bisogno di credere in qualche cosa, anche se per qualche motivo ciò in cui crede viene eliminato, rimane il bisogno di credere e quindi ne troverà un’altra e la questione si riproporrà esattamente negli stessi termini. La psicanalisi è arrivata fino a questo punto, cioè ha mostrato che le decisioni, le scelte, ciò che pilota la vita di una persona sono le sue fantasie, che tendenzialmente ignora, e tanto più le ignora tanto più queste fantasie sono efficaci, ma Freud non è arrivato a chiedersi, non poteva neanche farlo perché gli strumenti a sua disposizione non erano sufficienti a intendere che cosa costruisce queste fantasie: come è possibile che si costruiscano delle fantasie, perché ci sono le fantasie? Perché? Eppure la risposta a questa domanda potrebbe essere straordinariamente semplice: se a un certo punto, quando il linguaggio si avvia, cioè la persona incomincia a parlare, se elementi si strutturano all’interno del discorso che incomincia a farsi con dei capisaldi, adesso usiamo parole molto semplici, che consentono delle premesse, che consentono la costruzioni di infinite serie di proposizioni, cioè una verità, allora questi elementi costituiranno quelle cose che per la persona continueranno a essere importanti e continueranno a produrre proposizioni sempre mantenendo salda questa premessa naturalmente, questa verità. Sto dicendo che è la struttura del linguaggio è il modo in cui è fatto il linguaggio che consente la costruzione di fantasie, quelle fantasie, come diceva giustamente Freud, che pilotano l’esistenza delle persone. Torniamo ora all’esempio della fanciullina e della difficoltà in cui l’abbiamo messa, e supponiamo che abbia la possibilità di accorgersi che il trarre il proprio valore, le proprie certezze, la propria sicurezza da queste altre persone potrebbe non essere una garanzia così assoluta, e che potrebbe non essere vero che le cose che pensa lei non vanno bene e che invece vanno bene quelle che pensa il gruppo, c’è questa possibilità, è ovvio che se cessa di credere vere certe cose il conflitto cessa, non esiste più, può trovarsi cioè ad avere a che fare con i propri pensieri, con la propria storia e intendere anche come si è costruita la propria storia, e che cosa l’ha costruita e perché si è costruita nel modo in cui si è costruita, a questo punto perde una sorta di ingenuità, ingenuità nei confronti delle cose in cui crede: di fronte a certe verità che prima la schiacciavano in modo totale e apparentemente senza possibilità di uscita, può trovarsi a sorridere, a sorridere del fatto di avere credute certe cose, così come accade che una persona possa sorridere del fatto di avere creduto a quattro anni all’esistenza di babbo natale o all’esistenza di un dio, o di qualunque altra cosa del genere. Sorridere dell’ingenuità, cioè del fatto di avere creduto senza pensare, senza usare la propria intelligenza, di essersi cioè messo in quella condizione che è quella necessaria per la produzione di conflitti, che di per sé potrebbero non essere necessari, ecco perché a questo punto la psicanalisi, dopo avere considerato che le persone sono pilotate dalle proprie fantasie, incomincia trasformarsi in qualche altra cosa e cioè intendere che cosa costruisce le fantasie, intendere perché si costruiscono, perché il linguaggio le costruisce, e a questo punto cambia la situazione e la psicanalisi incomincia a diventare una scienza, una scienza della parola. Scienza della parola, vale a dire un percorso che articola, considera, riflette sul come si costruiscono le parole, sul perché si costruiscono in un certo modo, e sul modo in cui si relazionano fra loro, cioè a quali condizioni si creano certe relazioni, ma il tutto avviene non più, come voleva Freud e cioè da una parte c’è qualcosa di naturale che produce il tutto e dall’altra le fantasie costruite, no, è un sistema che all’interno di sé costruisce queste cose che chiamiamo fantasie e costruisce quella cosa che chiamiamo realtà e costruisce tutte quelle cose che chiamiamo in qualunque modo, visto che senza linguaggio non potremmo chiamarle in nessun modo. Da qui sorge la considerazione che tutto quanto sia all’interno di una struttura, e che fuori da questa struttura ci sia quella cosa che gli umani continuano a chiamare nulla, potremmo a questo punto indicare l’esistenza, uno dei termini cardine della metafisica, di tutta la filosofia, come ciò che appartiene alla parola, all’atto di parola, e in nulla come ciò che è pensato fuori da questo ambito, fuori da questa struttura. Gli umani incominciano a esistere dal momento in cui incominciano a parlare, prima non c’è nessuna esistenza, dicevo prima del leone: per lui esiste il cielo sopra di lui? Esiste la savana? Esistono tutte queste cose? No, chiaramente no, perché ci sia l’esistenza di qualche cosa occorre che ci sia un concetto, occorre che ci sia una riflessione, solo allora le cose incominciano a esistere. Praticare questa struttura, a questo punto è quanto di meglio gli umani possano fare, visto che di fatto non hanno nient’altro che questo, hanno solo questo: le loro parole, i loro discorsi, i loro pensieri, non c’è nient’altro, è tutto qui, che non è poco naturalmente considerato ciò che gli umani hanno fatto da quando c’è traccia di loro.
Ho accostato il pensiero degli umani alle macchine, perché quando si ragiona, quando si decide, quando si sceglie qualche cosa, quando si operano delle decisioni, come facevo prima l’esempio della fanciullina avviene un calcolo, un calcolo fatto nel modo in cui deve essere fatto e cioè attraverso una struttura, dei connettivi che sono calcolabili in un certo modo “deve essere bello e intelligente” se è solo uno dei due è falsa, se entrambe sono vere allora è vera, i computer funzionano così, e quando uno ragiona su qualche cosa di fatto sta calcolando, sta facendo quello che fa una macchina. Non è una cosa strana né così scandalosa, dopo tutto le macchine sono state fatte dagli umani e quindi hanno riprodotto il modo in cui gli umani pensano, certo, attualmente è molto schematico, è molto semplice, però il giorno in cui saranno le macchine a progettare altre macchine allora forse le cose prenderanno un altro aspetto, ma siamo ancora abbastanza lontani, per il momento accontentiamoci di intendere qual è la condizione perché tutto questo funzioni, perché tutto questo esista. La condizione è quella cosa che chiamiamo linguaggio: tutto ciò che avviene nel pensiero degli umani è possibile perché esiste, adesso facciamo un allegoria informatica, un sistema operativo. Prendete un computer, togliete il sistema operativo, è un pezzo di ferraccio, non serve a niente, ora prendete il cervello di un umano, levategli il sistema operativo che per gli umani è il linguaggio, il suo cervello va bene per farci il fritto misto, non ha molte altre utilità. È il delirio delle neuroscienze trovare all’interno dei neuroni i significati delle cose, le emozioni, le sensazioni, ma come dentro ai neuroni? I neuroni sono degli interruttori, sono fatti di tre parti c’è il corpo, l’assone e i dendriti, se l’input supera una certa soglia allora output lo restituisce in un certo modo, sono interruttori, come i transistor, cosa volete trovare dentro ai transistor? Passa la corrente certo, la corrente elettrica, esattamente come nelle macchine, solo che il cervello umano ha un sistema di rete neurale più complesso dei circuiti logici dei computer, almeno per ora, ma tecnicamente potranno anche essere molto più complessi di quelli degli umani, perché no? In fondo è solo una questione tecnica, cosa che non deve né scandalizzare né sorprendere, anche il cervello umano è fatto di circuiti, neurali, che consentono i passaggi di corrente, e sono questi passaggi di corrente all’interno quei circuiti che consentono al linguaggio di potere costruire attraverso, possiamo chiamarli per quello che sono, cioè degli algoritmi, dei pensieri: “deve essere bello e intelligente” se è bello e intelligente vero, se solo uno dei due, falso. È così che funziona, ma è anche tutto ciò che ha sempre inorridito gli umani, e cioè il fatto che una macchina possa per esempio avere delle sensazioni, delle emozioni, certo che può averne, basta immettergli dei comandi tali per cui possa reagire in un certo modo, magari anziché piangere si accenderà un led, ciascuno reagisce a modo suo, però volendo si può fare anche questo. Non so che utilità potrebbe avere una cosa del genere, però tecnicamente non è impossibile.
Questo mi interessava dirvi: come la psicanalisi, a fronte del crollo della metafisica, cioè della possibilità di stabilire che cosa c’è veramente dietro le cose, cioè la realtà, che non c’è, di dire che cosa realmente è, quando si è arrivati a fine corsa, alle particelle subatomiche, ci si è accorti che sorge un altro problema irrisolvibile e cioè queste particelle non sono individuabili, non sono determinabili secondo un determinismo newtoniano, se si considera il flusso della luce in un certo modo è ondulare, se si considera in un altro modo è corpuscolare, è ondulare o corpuscolare? È entrambe le cose, e nessuno delle due, a seconda di come lo si considera cambia aspetto. Ecco, se questa appare la realtà ultima delle cose. allora dal modo in cui si considera la realtà cambia aspetto. Però non è tanto questa la questione ovviamente, perché le parole, i discorsi, non sono particelle subatomiche, a noi interessa soltanto intendere che c’è un’altra possibilità rispetto al pensiero occidentale, un’altra possibilità di porre la questione, in modo radicalmente differente: non c’è più un qualche cosa che garantisca, un sostrato un “Grund” come dicevano i filosofi che garantisca tutto quanto, compresa la realtà, ma una rete di connessioni, di relazioni fra parole, e le parole si costruiscono in base a istruzioni che sono quelle istruzioni che, per esempio, la mamma fornisce al bambino, lo informa, ma non soltanto gli insegna a nominare le cose e quindi a farle esistere da quel momento, ma anche come si connettono fra loro, non che gli faccia un corso di logica formale naturalmente ma dicendogli, parlandogli, gli mostra come si chiamano le cose, dà i nomi alle cose e gli insegna anche come usare questi nomi, come usare le proposizioni, insomma gli immette un sistema operativo. Nei computer il sistema operativo si installa manualmente, digitando su una tastiera oppure tramite porte, gli umani lo apprendono attraverso porte acustiche, visive, tattili, sono anche quelle porte tramite cui vengono acquisite informazioni. Mi rendo conto che sono cose non semplicissime, però cose sulle quali potrebbe essere interessante riflettere. Qualcuno aveva posta una questione intorno alla fede. Da dove viene la fede a questo punto? Come si struttura? Perché esiste? Si suppone che magicamente, o come una chiamata. Tutte cose molto fumose, molto evanescenti, intorno alle quali si può dire qualunque cosa e il suo contrario, oppure anche la fede è riconducibile a una sequenza di proposizioni che sono ritenute vere in base ad altre informazioni, che si stabiliscono come vere e hanno questa prerogativa, il famoso “credo quia absurdum” di Tertulliano, e cioè il fatto di non avere una prova della loro validità costituisce una chiamata ad attenersi a queste cose, è una regola del gioco …
Intervento: è anche la risoluzione di un conflitto … è anche un tentativo di risolvere un conflitto che non si può risolvere …
Sì certo, tutto ciò che gli umani si sono inventati come miti, come religioni, hanno esattamente la funzione che lei ha indicata: risolvere conflitti che altrimenti non sono risolvibili. Gli umani hanno cercato, dopo questi grandi miti come i miti post filosofici, il cristianesimo e islamismo, attraverso il pensiero di risolvere questo problema, il problema dell’Essere. Per i filosofi è sempre stato questo, per i fisici il problema della natura, individuare cioè che cosa sta al fondo di tutto, qual è il principio e la causa di ogni cosa, “archè” e “aition”, dicevano i greci, il principio e la causa, cioè che cosa fa esistere quello che esiste. Questo tentativo è fallito, dopo tremila anni non ha raggiunto nessuna soluzione, salvo paradossi irresolubili, aporie terribili, come dire che il pensiero a un certo punto ha distrutto se stesso in questo tentativo: se la condizione perché il pensiero possa sostenersi è proprio quello di raggiungere questo obiettivo allora non raggiungendo questo obiettivo il pensiero si autodemolisce, crolla tutto, così come è avvenuto, però i miti reggono, perché i miti non hanno bisogno di essere fondati, nessuno chiede a un mito di fondarsi, di dire di sé perché è così, dimostrare la sua validità, nessuno chiederebbe alla storiella di Cenerentola di esibire la sua validità metafisica, non fa parte del gioco, perché deve essere presa per quello che è, creduta per quello che è. C’è una regola che dice che questa cosa deve essere creduta senza essere interrogata, e gli umani per lo più sanno quello che dicono a condizione di non interrogare quello che dicono, è l’unica condizione per cui possono affermare con certezza di sapere quello che stanno dicendo: non interrogarlo mai, per nessun motivo, se no crolla tutto, come è avvenuto. Nei primi del ‘900 è avvenuta la famosa crisi dei fondamenti, sembrava che ogni cosa crollasse ed effettivamente era così, il pensiero, arrivato al suo limite, ha distrutto se stesso. Ha mostrato di non potere essere fondato in nessun modo anzi, ha esibito che il suo fondamento è il nulla, da qui il nichilismo di vari personaggi, Nietzsche, Sartre, Heidegger. Se a una qualunque cosa si chiede di esibire il proprio fondamento, ebbene non lo può fare, ma se consideriamo, come di fatto è, che si tratta soltanto di istruzioni allora un’istruzione di per sé non è né vera né falsa, è un’istruzione, è un comandi: se io decido, per giocare a poker, che il re di cuori vale più del fante di picche, questo è vero o falso? Non è né vero né falso, è una decisione, io ho stabilito questo, l’ho stabilito per giocare a poker; bene, esattamente allo stesso modo queste regole, queste istruzioni, sono quelle che sono necessarie per giocare il linguaggio, sono solo istruzioni per giocare, certo ci si può porre la domanda: a che cosa serve il linguaggio? L’unica risposta che abbia un senso è di continuare a costruire se stesso. D’altra parte prendete il codice genetico, quella cosa che chiamiamo codice genetico, a cosa serve? A costruire corpi, sì, appunto, la zanzara, il dinosauro, o miss universo, ma a che scopo? Perché lo fa? Per niente, lo fa e basta perché ha queste istruzioni che esegue all’infinito, molto semplicemente. Nel caso del linguaggio è più complicato, perché ciò che le parole costruiscono di fatto appare essere quella cosa che gli umani chiamano realtà, diciamo che se non fosse mai esistito il linguaggio, non sarebbe mai esistita neanche la realtà …
Intervento: più è assurdo e più devo crederlo …
Sì è ovvio, certo, ma a che scopo secondo lei impegnarsi in questa operazione così singolare? Perché rinunciare all’intelligenza, alla capacità di pensare, di riflettere, di elaborare, di considerare? Perché volontariamente, con fredda determinazione si decide di abbandonare la propria intelligenza? Perché?
Intervento: io non lo vedrei tanto come un punto di partenza, lo vedrei come un punto di arrivo …
E allora è una catastrofe, se è il punto di arrivo …
Intervento: però l’idea che la risoluzione del conflitto …
Perché lei da per implicito in questo modo il fatto che per gli umani sia necessario dovere credere in qualche cosa, e questo andrebbe almeno considerato, argomentato, potrebbe non essere così …
Intervento: per alcuni forse non lo è …
Questa è un’altra questione, ma occorre a questo punto riflettere sul perché. È vero quello che lei dice, funziona così per la quasi totalità delle persone, però potremmo anche domandarci perché mai avviene una cosa del genere? Perché gli umani si trovano a credere in cose che non stanno né in cielo né in terra, perché? Perché devono credere in qualche cosa per sentirsi più sicuri, per sentirsi più importanti, immaginare di valere qualche cosa, perché? Queste sono domande che meritano di essere considerate, e forse la risposta a queste domande, che comunemente non c’è, invece forse si trova proprio all’interno di questa struttura, nel suo modo di funzionare: se gli umani sono fatti di linguaggio allora agiscono esattamente come fa il linguaggio. Come funziona il linguaggio? In un modo molto semplice, per procedere parte da un qualche cosa che ritiene vero all’interno di un sistema, e attraverso dei passaggi coerenti giunge a una conclusione, deve giungere a una conclusione, così funziona il linguaggio. La conclusione cui giunge logica è il teorema, ma la certezza è qualche cosa che viene stabilita per potere poi, da lì, procedere con un’altra catena. Se il linguaggio funziona così, allora gli umani funzionano così, e cioè devono raggiungere qualcosa di vero, ma non perché è la loro natura, ma perché è il linguaggio di cui sono fatti che li costringe a comportarsi in questa maniera. Gli umani sì hanno bisogno di credere in qualche cosa di vero perché questo qualche cosa di vero consente loro di continuare a parlare, che è esattamente quello che devono fare, non devono fare nient’altro, però questo non possono non farlo e lo fanno in questo modo, l’unico che conoscono, l’unico possibile.
Intervento: è un po’ la questione del sintomo di cui si parlava anche la volta scorsa come formazione di compromesso, il sintomo che dalla metafisica è considerato un male, un male di cui ci si deve liberare alla scienza della parola lo si può considerare appunto come un conflitto fra giochi linguistici … così come funziona il linguaggio laddove trova due verità che si oppongono fra di loro, trova uno sbarramento e quindi per poter continuare a funzionare e quindi a dire delle cose, si diceva che costruisce per esempio l’uomo nero, una figura all’interno di una scena che ha la funzione di far proseguire il discorso, la parola, anche subendo la paura in questo caso avete presente i bambini, ma non solo, che si svegliano urlando ...
Sì, non subisce nulla che non abbia costruito …
Intervento: la paura è qualche cosa che gli umani subiscono e non sanno ma non vogliono soprattutto sapere che è il loro discorso che è capace di tanto, fin dalle prime parole che imparano l’altra volta lei faceva l’esempio del bambino al quale la mamma vieta la marmellata e siccome la mamma è colei che mi vuole bene per la quale devo essere il più importante, è il mio bene così come è un bene la marmellata che la mamma non vuole darmi, qual è il bene vero? E questa è una situazione di stallo in quel pensiero che deve trovare una soluzione per continuare a funzionare …
Sì, se il pensiero, se la psicanalisi non giunge a intendere che cosa muove tutto quanto, la psicanalisi non è nient’altro che una addestramento alla metafisica, e neanche dei migliori, però compiere questo passo è arduo, non tanto per la sua comprensione, perché è abbastanza semplice tutto sommato, ma è arduo abbandonare la metafisica, questa è la cosa più difficile …
Intervento: lo trovo un po’ instabile questa cosa …
Sì, in effetti è proprio ciò di cui stavo parlando, certo che è instabile, ma perché appare instabile, e che cosa si intende con stabilità? Non c’è cosa che non venga considerata e alla quale cosa non si dia una risposta, ma la risposta non è nient’altro che l’intendere da dove viene questa cosa, e cioè qual è la struttura che la consente, cioè che consente a questa idea di instabilità di esistere e perché ha un certo valore per esempio, perché? D’altra parte è una questione antichissima, pensate agli eleati, pensate ai sofisti, anche loro hanno mostrata una certa instabilità, e sono stati subito cacciati naturalmente, però ovviamente non avevano molti strumenti, si parla di duemila e cinquecento anni fa. Ma non c’è neanche l’instabilità, voglio dire che c’è sì, ma come concetto, non esiste da qualche parte, l’instabilità è un concetto, se ci crede, se crede che invece le cose debbano essere stabili allora devono essere stabili: sono stabili? No, quindi ecco un problema. Anche questa è una sequenza, una sequenza argomentativa, semplice ma efficace, perché se io credo che il mio benessere dipenda dalla stabilità, se sono fermamente convinto di questo, allora è ovvio che se le cose mi appaiono instabili mi senta a disagio, un po’ come la fanciullina che se si sente a disagio se le amiche non la fanno entrare gruppo, è la stessa cosa …
Intervento: prima diceva: la fanciullina rifiuta di ragionare, ma si affida al giudizio delle amiche …
Il giudizio delle amiche lo ha fatto suo nel frattempo, se no non funzionerebbe …
Intervento: tutte queste verità assunte non possono essere negate qualcosa di fermo deve permanere, se io comincio a distruggere ogni convenzione che mi è stata data …
È ciò che ha fatto il pensiero occidentale, la filosofia da quando è sorta fino ai primi del ‘900, per cui si è schiantato tutto, ha incominciato a dire che ogni cosa, ogni parola è un segno, formato da un significante e un significato, e che questo significato non può dirsi perché rinvia a un altro significato, e questo significato rinvia a un altro significato, e così via all’infinito, e non c’è quindi la possibilità di “affermare” alcunché, nemmeno quello che sto dicendo in questo momento, quindi nemmeno quello che ho detto prima, quindi nemmeno quello che dirò, tutto ciò non significa niente, non è possibile fermarlo in nessun modo. Questa sorta di caduta libera, di caduta agli inferi, dove tutto viene annullato, persino la matematica che si riteneva essere una delle cose più solide è stata schiantata malamente, la fisica stessa trova la totale instabilità di quelle cose che costituiscono la più piccola particella della realtà, cioè della natura. Ma a questo punto lungo, questa caduta inarrestabile una cosa rimane, una, quella che consente di compiere questa caduta, di pensare questa caduta: le parole, e queste non possono essere eliminate in nessun modo. Io potrei per esempio domandare a Eleonora: “Eleonora dì qualcosa che non sia una parola”, Eleonora si troverebbe in serie difficoltà. Allora rimane ciò stesso che ha consentito questa caduta, che ha consentito di creare la metafisica e di distruggerla, di creare il pensiero e annientarlo, e che può fare qualunque altra cosa volendo: le parole, e più propriamente quella struttura che le costruisce, tolta questa, effettivamente si toglie tutto, non resta più niente. Come un leone, lei sarebbe una leonessa nella savana, una leonessa per la quale non esiste la savana, per la quale non esiste la sera, non esistono gli alberi, non esistono le cose perché non ha un sistema concettuale per cui può dire “esiste questo o quest’altro, oppure non esiste”, non c’è la capacità di riflettere sulle cose, reagisce a degli stimoli, come diceva Pavlov. Se toglie il linguaggio allora effettivamente non solo non c’è più niente, ma non c’è neanche mai stato niente, a quel punto non ci sarà mai stato niente. Può sembrare strano ma è così, solo che è una situazione irrealizzabile, non c’è la possibilità di togliere il linguaggio, lei non può pensare in assenza di linguaggio e quindi immaginare come sarebbe senza linguaggio, non lo può fare perché comunque sta pensando come sarebbe, e cioè lo sta utilizzando. Affermare per esempio che “i parlanti in quanto parlanti parlano”, è una tautologia banalissima ovviamente, ma se ci pensa bene è un’affermazione che non è negabile in nessun modo, qualunque tentativo si faccia per negarla la conferma, perché si dovrà parlare, occorrerà averci pensato, ciò che si affermerà sarà la conclusione di una serie di argomentazioni. Alla fine di questa caduta inesorabile e tremenda del pensiero metafisico, l’unica cosa che rimane, effettivamente l’unica, tutto il resto è stato demolito, è appunto la parola, ciò che ha consentito di costruire tutto ciò e di demolirlo, di fare ogni altra cosa, per questo ho considerato da molto tempo la priorità del linguaggio e ho incominciato a intendere come funziona, visto che è la condizione, a questo punto possiamo affermarlo con certezza, di qualunque cosa e del suo contrario, anche perché per pensare il contrario devo comunque essere all’interno di questa struttura. È curioso ciò che è stato fatto in questi ultimi decenni, anche se la cosa è stata avviata nel secolo scorso, intorno a quelle che indicavo prima come macchine pensanti, un termine che usava Turing per indicare i computer, perché lì si è posta la domanda, volendo riprodurre il modo in cui gli umani pensano: come pensano gli umani? Occorreva rispondere a questa domanda, e per farlo è stato necessario riflettere su come funzionano gli schemi logici del pensiero per riprodurli, e questo ha consentito di vedere come sono fatti, come funzionano, come vengono eseguiti …
Intervento: e l’installazione del software? quello è complicato da pensare …
Perché? Adesso non si sta riferendo al computer ...
Intervento: no, ecco appunto dato che non è così che avviene, cioè come si combinano le neuroscienze, il funzionamento fisiologico o biologico, come si combina invece con l’istallazione invece di un sistema operativo più complesso cioè come si avvia questo meccanismo? Non c’è una sede fisica del linguaggio anche se è stato creduto …
Le faccio un esempio semplicissimo, come si combina per esempio il passaggio di corrente elettrica attraverso tutti i transistor che compongono un processore, con il film che lei vede sullo schermo? Come si combinano? Son passaggi di corrente elettrica, se ci mette il dito prende anche la scossa, com’è che si combina con questo bellissimo film romantico che lei vede sullo schermo dove avvengono cose piacevolissime, dolci e meravigliose? A partire da passaggi di corrente elettrica? (allo stesso modo), qualcosa del genere certo, un sistema, che nei computer sono i circuiti logici, negli umani si chiamano circuiti neurali che (in fondo sono la stessa cosa) certo, funziona così, e queste reti neurali consentono il passaggio …
Intervento: però nel lettore dvd si inserisce il dischetto e questo riproduce …
Sì, ma non è una cosa che avviene per magia …
Intervento: sì lo so, però mi incuriosisce l’avvio invece in un umano che …
Incominci a fornirgli delle istruzioni, incominci a dargli, insieme con le istruzioni, degli schemi per l’utilizzo “questa è la mamma” “questo è un tavolo” “questa mamma non è un tavolo”, i circuiti elettrici sono già stati costruiti se ha un computer, infatti se lei cerca di insegnare il linguaggio a un ferro da stiro questo non reagisce, non lo impara. Esiste un sistema, quello che chiamavo rete neurale, che è abilitato, per così dire ,a ricevere impulsi, a trasmettere informazioni, e queste informazioni vengono trasmesse in un certo modo e cioè insegnando il linguaggio: si insegna come vanno messe insieme certe cose e c’è la possibilità di trasformare queste informazioni in impulsi elettrici, come fanno i neuroni …
Intervento: quindi le neuroscienze possono dire di aver ragione sostenendo che questi circuiti elettrici sono idonei per il passaggio di queste informazioni …
Questo è ovvio, cioè di lì passa corrente (non va bene qualsiasi circuito) no, stiamo parlando di quelli umani certo, (una sorta di predisposizione) diciamo che sono disposti in modo tale per cui questo sistema operativo possa funzionare, è per questo che sta funzionando di fatto, senza una rete neurale è difficile pensare a un sistema, occorrerebbe trovarne un altro, però per gli umani è accaduto così, non è che sia necessaria quella, ma per gli umani è accaduto così, poteva accadere in tutt’altro modo …
Intervento: con i loro studi gli umani hanno costruito gli umani così come sono fatti, hanno costruito la rete neurale, è questa la predisposizione, nel senso che tutto ciò con il quale abbiamo a che fare cioè con tutto il sapere dal quale derivano tutte le cose, cioè tutte le cose che ci sono, sono costruzioni del sistema linguistico cui gli umani appartengono e quindi la predisposizione ormai è questa …
Sì, sarebbe come domandarsi se esiste per esempio la teoria dei numeri senza il calcolo, domanda difficile, tecnicamente potrebbe anche esistere, a seconda del modo, e qui torniamo alla questione di prima, della posizione in cui ci si muove la risposta è sì, se ci si muove da un’altra posizione la risposta è no, questo in omaggio all’instabilità di cui dicevamo prima, è un po’ come avviene nella fisica ultimamente, a seconda della posizione anche di chi fa l’esperimento si ottiene un certo risultato, se la posizione è differente il risultato è differente: è necessario il supporto perché il linguaggio funzioni? Domanda ardua, e torniamo alla questione di prima, se ci si mette in una certa posizione la risposta è si in un’latra posizione la risposta è no, dopo di che possiamo forse considerare meglio la questione, cioè domandarci che cosa ci stiamo chiedendo esattamente, che forse è la cosa più interessante.
Intervento: sembrerebbe quasi che alla questione della certezza di qualcosa di una realtà o di una convinzione possa essere assimilata a una istruzione per quanto riguarda gli umani cioè un elemento che sembra costrittivo rispetto alla possibilità di pensare …
È costrittivo che il re sia superiore al fante nel gioco del poker? È una certezza? (no) nel gioco del poker sì invece, lo è …
Intervento: nel gioco degli umani sembrerebbe costrittivo di dover appoggiarsi a una certezza di qualunque tipo …
Sì, perché l’elemento deve essere individuato per potere essere utilizzato, ma questa è un’altra questione, riguarda la struttura del linguaggio.