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25-5-2004

 

Luciano Faioni

 

LA RELIGIONE DEL TERRORE

La lingua dell’odio e dell’amore

 

Incontro dibattito presso l’Oratorio San Filippo - Torino

 

Dunque diciamo che cosa intendiamo con religione, visto che siamo nell’ambiente: intendiamo con religione qualunque discorso o argomentazione che muova da una premessa che è immaginata, creduta, essere fuori dal linguaggio, e quindi, non potendo essere provata, richiede per essere creduta un atto di fede. Se ciò che la religione afferma potesse essere provato allora sarebbe una scienza, in effetti non si considera religiosa una persona perché crede nella legge di gravità. Si tratta a questo punto di porre una questione, e cioè che cosa accade quando, in un qualunque discorso, pensiero, si muove da un elemento che è immaginato essere fuori dal linguaggio. Però a questo punto dobbiamo definire anche il linguaggio se vogliamo essere corretti, e siccome vogliamo esserlo lo faremo: con linguaggio intendiamo quella struttura che consente a ciascuno di pensare le cose che pensa, di concludere le conclusioni cui giunge, di fare tutte le considerazioni possibili e immaginabili, queste considerazioni vengono fatte attraverso un’operazione che si chiama, per esempio, giudizio, si giudica che se fa freddo si mette il cappotto. Ecco, questa è un’operazione molto semplice di pensiero che però per essere attuata comporta una notevole serie di elementi, questi elementi non sono altro che elementi che fanno funzionare il linguaggio. Una delle cose più difficili da considerare, difficili per il solo fatto che nessuno mai insegna a fare una cosa del genere, è che ciascuno pensa attraverso il linguaggio, e questa banale considerazione non va senza degli effetti poiché tutto ciò che penserò, immaginerò, costruirò, sognerò ecc. sarà fatto di quella stessa struttura che mi consente di fare queste cose, e cioè il linguaggio, che per funzionare necessita di un sistema inferenziale che non è altro che la procedura che consente da un elemento di giungere a un altro, a una conclusione: Cesare mi guarda storto, quindi Cesare ce l’ha con me, ecco questa è un’inferenza. Molto semplice certo, poi è necessario che ciascun elemento sia distinguibile da ciascun altro, è fondamentale, provate a pensare a un linguaggio dove ciascun elemento significa simultaneamente tutti gli altri, sarebbe impossibile parlare, non ci sarebbe nessuna possibilità. Individuato questo, si individua ciò stesso che fa funzionare il linguaggio, cioè ciò che è necessario che ci sia perché il linguaggio funzioni. Avete mai provato a pensare a cosa accadrebbe se non esistesse il linguaggio? È una formulazione bizzarra, perché in effetti se ci pensate dovete utilizzarlo, ma in quel caso cesserebbero di esistere il passato, il presente, il prima, il dopo, cesserebbe di esistere qualunque cosa che voi consideriate esistente, poiché non avreste nulla per poterla considerare, nulla per poterne dire e quindi per accorgervi che esiste, nulla per potere pensare e quindi per potere giudicare. Sarebbe un problema certo, ma nemmeno, perché a quel punto non ci sarebbe neanche più la possibilità di pensare che è un problema. Questo appena per dire come qualunque cosa gli umani facciano o non facciano, dicano o non dicano, comunque è costruito, è consentito da questo sistema che chiamiamo linguaggio, che è ciò attraverso cui ciascuno pensa. Qualunque cosa io pensi, sia che organizzi una guerra nucleare, sia che mi chieda se una fanciulla mi desidera oppure no, che mi chieda se è meglio mangiare il vitello tonnato o le patate fritte, in ogni caso tutte queste considerazioni avranno sempre la stessa struttura, cioè saranno sempre costruite dalla stessa cosa, cioè dal linguaggio. Ma perché questo accostamento tra la religione e il terrore? Nell’accezione che abbiamo fornita di religione, cioè nell’accezione più ampia possibile, appare evidente che non vi è nulla che possa essere provato in modo assoluto, definitivo. Come sapete gli umani cercano una verità ultima, da sempre, da quando c’è traccia di loro, sia in ambito filosofico, sia in ambito quotidiano: per ottenere quel risultato è vero che devo fare così? Oppure no? Vero/Falso. Il vero è ciò che mi consente di muovermi, di operare, di fare tutte le cose che faccio, le faccio se le considero vere, se le considero false no, non le faccio e proprio per questo motivo, perché sono false. Per ottenere questo risultato devo fare così? Sì. Oppure no. Questo comporta che la mia condotta sarà vincolata, perché non farò quelle cose che non mi consentono di ottenere quel risultato e quindi è sempre molto importante sapere se nel proprio pensiero la propria opera corrisponda al vero oppure no, in qualunque ambito. In ambito filosofico si è cercata una verità che fosse suprema, quella ultima, quella per la quale o nei confronti della quale qualunque altra debba essere confrontata, ma sorge un problema, è sorto tre mila anni fa e sorge ancora oggi in parte, come faccio a sapere che qualcosa è la verità se ancora non so che cosa sia. Supponiamo anche che la trovi, come farò a sapere se è vera se ancora non so che cosa sia? È una considerazione legittima, ma in assenza dunque di una tale possibilità di reperire la verità si è trovato un altro sistema, perché la verità o si impone da sé attraverso l’argomentazione oppure si impone attraverso la persuasione o la forza, non ci sono altri modi: si persuade qualcuno attraverso una serie di argomentazioni più o meno ben costruite ma che non possono essere provate e di questo si occupa la retorica generalmente, oppure con la forza, perché non c’è modo di convincere una persona con la ragione, con la ratio perché non esiste una dimostrazione. Pensate all’esistenza di dio, è da 2004 anni che si cerca di dimostrare l’esistenza di dio, ma nonostante tutti gli sforzi non è stato mai possibile, come mai? La risposta è semplice, perché non è possibile costruire un criterio che valga a dimostrazione, in quanto qualunque criterio a sua volta viene sottoposto a un altro criterio, come dire: questo criterio che utilizzo è vero o è falso? Occorrerà un altro criterio, e così via all’infinito e allora questa, come infinite altre cose che riguardano le attività umane, non hanno una risposta definitiva ma possono essere credute, o perché si è persuasi oppure, appunto, perché si è forzati. Oggi si tende generalmente a utilizzare la persuasione, è più semplice, più comoda e anche più sicura della forza, c’è ancora qualcuno che utilizza la forza però tendenzialmente si preferisce la persuasione, anche perché se una persona è persuasa farà sua questa cosa, e sarà sicuramente contenta di questa nuova cosa, mentre se la si costringe allora si deve sempre stare lì a costringerla perché appena si molla la presa si rivolterà contro. Dunque un’infinità di cose che appartengono agli umani non possono essere provate, e fin qui non c’è nessun problema, nel senso che non potendo essere provate in realtà non si configurano né come vere né come false: che mi piaccia quel quadro laggiù in fondo va bene, ma appunto è una considerazione estetica e generalmente gli umani non considerano giudizi estetici le conclusioni cui giungono rispetto alla morale, rispetto all’esistenza, rispetto alla loro stessa esistenza, molto difficilmente fanno questo, considerano che ciò che si chiamano le proprie opinioni siano vere, ché se le supponessero false in questo caso non le seguirebbero, mentre non hanno modo di considerare che in realtà non sono né vere né false, sono dei giudizi estetici, come dire: piace pensare così, che è una posizione assolutamente legittima, però sorge un problema proprio nel momento in cui ciò che io suppongo essere in un certo modo, quindi suppongo essere vero, è creduto essere tale. In questo caso che devo imporre la mia opinione, perché se ciò che io penso è vero, e di questo sono assolutamente sicuro, se il mio amico Cesare pensa altrimenti allora non può essere vero quello che pensa Cesare, perché o quello che penso io è vero o è vero quello che pensa lui, dunque escludendo a priori che ciò che io penso non sia vero, non mi rimane che pensare che ciò che pensa Cesare sia assolutamente falso e tendenzioso. Pensa il falso o perché non ha conosciuto la verità oppure perché è in malafede, in ogni caso va ridotto, oltreché ricondotto, al vero. Le guerre di religione si fanno per questo, per imporre la propria opinione su altri, e ciascuno in un certo senso è costretto a imporre la propria opinione perché pensa che sia vera, e se il vero è quello, qualunque cosa si discosti è necessariamente falsa. Ma come fa a pensare una cosa del genere? Dove l’ha imparata? È come se sapesse perfettamente che una cosa o è vera o è falsa, chi glielo ha insegnato? E perché ci crede così fermamente? In fondo potrebbe anche non crederci. È curioso. Allo stesso modo ciascuno è particolarmente infastidito dal trovarsi contraddetto da qualcuno, quando pensa di avere ragione e altri gli dimostrano che ha torto e se ne ha a male, perché? Perché invece non gliene importa assolutamente niente se ciò che dice è vero o falso? Perché dunque le persone pensano in questa maniera? Perché è naturale? Che razza di risposta è? Non significa assolutamente niente o, nella migliore delle ipotesi, sposta la questione sulla natura, che nessuno sa bene che cosa sia o da dove venga però, dicevamo, perché gli umani pensano in quella maniera? Cosa li costringe? Dicevamo prima all’inizio che in effetti ciascuno pensa, considera, ragiona giudica perché esiste il linguaggio, che glielo consente, ora non sarà costretto a pensare in questo modo in cui pensa, unicamente perché il linguaggio è fatto in quel modo? Parrebbe, e in effetti potrebbe qualcuno pensare in modo diverso da questo, e cioè non utilizzare nessun sistema inferenziale, e utilizzare parole che significano qualunque altra? Potrebbe fare questo? Assolutamente no. E perché non lo può fare? Perché il linguaggio glielo impedisce, la struttura stessa del linguaggio, e quindi si trova, volente o nolente, a essere costretto a pensare in quel modo, con quella struttura. Risulta difficile supporre che questo sia assolutamente senza conseguenze, come dire che qualunque cosa io pensi o non pensi, in ogni caso sarà fatto di quella stessa struttura, è inesorabile. Cosa comporta tutto questo? Intanto che questa struttura di cui ciascuno è fatto non consente di uscirne, uno può pensare di uscirne, ma con che cosa? Se sono fuori dal linguaggio con che cosa penso, giudico, valuto, non c’è possibile uscita, dal momento in cui ciascuno è preso nel linguaggio non può uscirne, si potrebbe anche considerare un limite volendo, però in realtà non lo è poiché il linguaggio consente di costruire una quantità infinita di proposizioni, di storie, di racconti, qualunque cosa, quindi potremmo chiamarlo un sistema chiuso e allo stesso tempo aperto. Che altro fa questa cosa che chiamiamo linguaggio? Intanto sta consentendo a me in questo istante di raccontarvi queste cose, e a voi di intenderle, di considerarle di valutarle, così come qualunque altra cosa, di accorgervi che siete esseri umani per esempio, con tutto ciò che questo comporta, di accorgervi di provare dei sentimenti, quindi di averne, di considerare ancora che avete un corpo che fa tutta una serie di cose, che prova delle sensazioni, alcune belle e altre brutte che in fondo non sono altro che giudizi di valore ma queste sensazioni che voi provate sono debitrici anche queste di questo sistema di cui stiamo parlando che è il linguaggio poiché, molto semplicemente, in assenza di linguaggio qualunque cosa accada a voi per esempio, per voi stessi, non significa niente, perché significhi qualcosa occorre che ci sia la possibilità che si dia un significato e quindi la necessità che esista un sistema tale per cui il significato esiste, se non esiste allora ciò che vi succede non ha nessun significato e pertanto non può essere né bello né brutto, né piacevole né spiacevole, niente di tutto ciò, anche se, come ciascuno di voi sa, il vostro corpo reagisce a degli stimoli, così come qualunque altra cosa ha delle reazioni, dicevamo tempo fa con gli amici che qualunque cosa ha delle reazioni a degli stimoli, se io do una martellata su questo registratore si spacca, oltre al fatto che magari Beatrice se ne ha a male, ma la prima considerazione è che si rompe, rompendosi ecco che succede la stessa cosa che accade a qualcuno di voi se si rompe una gamba per esempio. Certo voi potrete dire che la gamba vi fa male, questo aggeggio invece non lo può fare, però nulla ci impedisce di stabilire, visto che lo stabiliamo noi, che anche questo aggeggio soffre, basta modificare la definizione di sofferenza: soffre tutto ciò che modifica la sua condizione precedente, quando questa condizione viene modificata c’è una sensazione, se questa sensazione produce un mal funzionamento la chiamo sofferenza, se consente al sistema di proseguire la chiamo piacere e bell’è fatto. Vedete, con le definizioni si possono fare un sacco di cose, basta modificarle e cambia tutto, naturalmente qualcuno può supporre che anche in assenza di linguaggio il corpo possa sentire, molti lo pensano, molti pensano anche che ci siano i marziani, qualcuno suppone di averli visti, altri raccontano di parlare con i morti, altri ancora con i santi, ma che cos’è un’affermazione che non può essere provata? Che cosa vale in ambito teorico? Vale qualcosa o non vale niente? Perché se vale allora dovreste credere immediatamente a qualunque cosa io vi dica, qualunque, in fondo perché no? Ciascuno crede un sacco di cose, perché non quello che dico io? Si faceva un esempio tempo: fa io potrei anche dire di essere dio, perché nessuno mi crede anziché credere immediatamente a ciò che affermo? Commissiono al mio amico Sandro di scrivere una breve bibbia dove si certifica la mia provenienza dall’alto dei cieli, e così abbiamo anche le sacre scritture, poi sicuramente degli amici sono pronti a testimoniare di avermi visto fare cose incredibili, ed ecco che a questo punto io sono dio, e quindi ciascuno dovrebbe comportarsi di conseguenza… come mai non avviene? È ovvio, perché ciò che io affermo non può essere provato. Sì, è vero, neanche quell’altro che si ritiene più qualificato, a torto, può provare una cosa del genere, però sono passati un sacco di anni e come si suole dire, vox populi vox dei, se si è in molti a pensare una certa cosa questa cosa diventa vera, vera… viene creduta vera. Ma dunque dicevo che a me invece si sarebbe richiesto di esibire delle prove, perché? Forse perché un’affermazione che non può essere provata non significa niente? E se io affermassi che il corpo può sentire anche senza linguaggio, questa affermazione può essere provata? No. E allora perché deve significare qualcosa? C’è qualche buon motivo? Non basta che qualcuno affermi qualche cosa perché sia immediatamente vera, abbiamo visto prima, io posso affermare di essere chi mi pare ma non per questo… dunque si richiede di esibire delle prove quando si afferma qualcosa, ma anche in una relazione sentimentale funzione esattamente come nella fisica dei quanti, come nella fisica nucleare o nell’ingegneria meccanica, si richiedono delle prove. Per esempio: “tu mi ami? Voglio delle prove” è ovvio che il gioco è diverso, non è che uno si mette lì con carta e penna, tira giù una serie di algoritmi ed ecco, ti amo! È un gioco diverso, cionondimeno si esigono delle prove, e io torno a chiedervi: perché? Ma se ciascuno è fatto di questa cosa che stiamo chiamiamo linguaggio, potevamo anche chiamarla pippo, ma c’è questo termine e usiamo questo, se ciascuno come stiamo dicendo è fatto di linguaggio, allora non sarà che è il linguaggio che funziona così, che cioè per proseguire necessita di costruire proposizioni che all’interno di un gioco devono risultare vere? Se no perché mai agli umani sarebbe venuto questo ghiribizzo di chiedere continuamente perché? Si comincia fino da piccolissimi a chiedere: perché? Da dove viene questa richiesta continua? Di prove, di sapere qual è la verità? Di sapere se le cose stanno proprio così, chi ha ragione di noi due? Pensate a un gioco a un gioco qualunque, in fondo funziona allo stesso modo, alla fine si viene a vedere chi vince, chi vince come in un agone dialettico, una gara retorica: vince chi riesce a piegare la ragione dell’altro o ridurlo al silenzio, oppure a fargli ammettere il suo torto. Una volta si usavano molto questi esercizi, peccato che oggi non si pratichino più, rende le persone molto più veloci di pensiero e meno facili ad essere persuase, ma aldilà di questo rimane la considerazione fondamentale, e cioè che il linguaggio per il suo stesso funzionamento costruisce proposizioni, discorsi, è fatto di questo ma tutte queste cose hanno una prerogativa: devono essere vere, se non sono vere il linguaggio non prosegue. Pensate ai paradossi, uno dei più antichi è quello notissimo di Epimenide cretese, il quale affermò che tutti i cretesi mentono, mente o dice la verità? Questa formulazione nota come paradosso comporta una sorta di diavoleria, per cui una certa cosa risulta vera se e soltanto se è vera la sua negazione. Come dire che io torinese che affermo che tutti i torinesi mentono, mento se e soltanto se dico la verità, è una curiosa formulazione. Di paradossi ce ne sono tantissimi, ciascuno poi si è sbizzarrito a crearne un certo numero ma che cosa comporta per quanto a noi interessa il paradosso? Il fatto che in quella direzione non è possibile proseguire. Così come quando ciascuno di voi riflette sul da farsi, ad un certo punto giunge a una conclusione, accoglierà quella che ritiene vera ed escluderà l’altra, e quest’altra la chiama falsa. Ma tutto questo non rispecchia altro che il funzionamento del linguaggio, noi pensiamo così perché siamo fatti di linguaggio, se non fossimo fatti così allora saremmo fatti da un’altra cosa che non è linguaggio. Ma sono quelle considerazioni che lasciano il tempo che trovano… dunque tutto ciò di cui gli umani sono fatti è linguaggio, non c’è altro, è l’unica ricchezza che gli umani hanno: la possibilità di pensare, di trarre conclusioni, di giudicare con tutto ciò che questo comporta, di costruirsi storie, di costruirsi una quantità sterminata di storie. Sarebbe possibile innamorarsi di qualcuno in assenza di linguaggio? Assolutamente no, l’amore, l’innamoramento non sarebbe mai esistito e non avrebbe nessuna possibilità di esistere, e quindi siamo debitori del linguaggio anche in questo, ovviamente siccome è una costruzione del linguaggio funziona sempre allo stesso modo, cioè necessita di costruire proposizioni vere, prima di tutto, poi di costruire continuamente proposizioni, il linguaggio non si può fermare, è l’unica cosa che non si ferma, procede ventiquattrore su ventiquattro che siate svegli o addormentati continua a costruire storie incessantemente, e quindi ciascuno essendo fatto di linguaggio è costretto a costruire sempre nuove storie, infatti se questo non accade si annoia. Si annoia perché in quella direzione, che per qualche motivo prima aveva trovata così interessante, non accadono nuove cose, nuove storie, nuove emozioni. E se ci pensate bene un’emozione non è altro che la conclusione di una serie di inferenze, tant’è che una persona si emoziona a partire dalle sue esperienze, dal suo vissuto, dalle cose che ha acquisite, dalle cose che ha credute, immaginate, pensate, una cosa emoziona una persona e un’altra lascia totalmente indifferente, perché pensano in un modo diverso, perché hanno costruito storie diverse. Perché ci sia un’emozione occorre che ci sia una sequenza inferenziale, se no non c’è nessuna emozione, così come non c’è nessuna altra cosa. Ma a questo punto è interessante considerare che cosa accadrebbe se una persona che dice “io” e poi come accade fa seguire il resto da un verbo, un predicato etc., potesse considerare che questo io che sta dicendo non è nient’altro che il linguaggio che lo sta dicendo, il linguaggio sta dicendo “io” sta costruendo delle proposizioni, e in realtà non sta facendo nient’altro che questo, cosa accadrebbe a questo punto? Se, facciamo questa ipotesi, potesse essere fatta una cosa del genere, “io”, poi verbo, predicato e tutte le altre storie annesse e connesse, ma questo “io”  non lo attribuisco più a una persona con tutto ciò che questo comporta e quindi a una serie di considerazioni, di giudizi di valore, di esistenza che fanno sì che io possa pensare a una persona, ma semplicemente un sistema, quello che chiamiamo linguaggio una sorta di sistema operativo che sta affermando “io”, e cosa afferma con questo? Si distingue da altro intanto, è una delle condizioni del suo funzionamento, potersi distinguere, ma questo sistema che cosa cerca? Cosa vuole il linguaggio? Naturalmente non dimentichiamo mai neanche per un istante che in questo momento è il linguaggio che in realtà sta parlando, nessuno può parlare al suo posto, che cosa vuole dunque? Niente, soltanto proseguire, è fatto per questo proseguire, proseguire quindi costruire proposizioni, storie, immagini, etc. se provassimo a considerare una cosa del genere che cosa cambierebbe esattamente? Sicuramente verrebbero modificati alcuni giudizi di valore, alcune cosa che hanno molto valore forse lo perderebbero, ma soprattutto avreste in questo caso la possibilità di considerare che vi trovate presi in ciascun istante all’interno di un gioco linguistico, dove ciò che è in gioco è in prima istanza il proseguire del vostro discorso, in seconda istanza la coerenza con le premesse che avete accolte e, in terza istanza, la necessità di giungere a una conclusione che riteniate essere vera. Di fatto in tutta la vostra vita non fate nient’altro che questo, solo questo, che non è poco, se preferite non è né poco né molto, in ogni caso non potete fare nient’altro. Primo, considerare se quello che state pensando è coerente con le vostre premesse e cioè con le cose che date per acquisite, per esempio in una relazione una delle premesse che viene accolta è che ci si debba volere bene, fa parte del gioco, è una regola del gioco, quindi se ciò che segue è coerente con queste premesse, secondo se ciò che si conclude è vero oppure no. E così in qualunque altro ambito, che sia appunto una relazione sentimentale o la costruzione di una bomba atomica, funziona sempre allo stesso modo, lo stesso calcolo numerico funziona allo stesso modo, funziona tutto in questo modo né, e questa è la questione principale, potrebbe funzionare altrimenti. A questo punto però avete il vantaggio di non essere più fermamente, assolutamente convinti di qualcosa che di fatto non è né vero né falso, ma è semplicemente, come dicevo prima, un giudizio estetico, però il fatto di crederlo vero comporta che la condotta ne sia fortemente modificata, perché se un fondamentalista islamico fa saltare per aria una stazione ferroviaria di un paesino della Brianza, è perché crede, e questa fede fortissimamente modifica la sua condotta, ché anziché andarsene al cinema con gli amici ecco che fa saltare per aria la stazione ferroviaria della Brianza e questo ha ripercussioni anche su altri. Se questo nostro amico fondamentalista islamico avesse la possibilità di considerare che quello che crede in realtà non è né vero né falso, ma non è nient’altro che un gioco linguistico al pari di qualunque altro e che chiedersi se Allah esiste oppure no è un non senso, allora cesserebbe di cercare di imporre, attraverso la forza in questo caso, la sua opinione, l’imposizione di qualcosa con la forza si chiama terrore generalmente. Questo è un termine che è venuto in voga in Francia, è un termine più antico ovviamente, ma in Francia si è cominciato a usare con questa accezione politica, il periodo del terrore, dove cadevano un sacco di teste si riteneva all’ora, e forse lo si ritiene anche oggi, che sia il modo migliore per eliminare le persone che non la pensano allo stesso modo, un sistema antichissimo ma sempre efficace. Eliminare l’altro comporta appunto il regime del terrore, ma perché io mi metta in mente di fare una cosa del genere occorre che creda fortissimamente che ciò che penso sia assolutamente vero, è la condizione, perché se invece mi trovassi a pensare che quello che affermo è qualcosa che il linguaggio sta costruendo e che non è nient’altro che un gioco linguistico, come faccio a credere che sia assolutamente vero? È vero rispetto a che cosa? Diventa alla stregua dell’affermazione che dice che mi piace la cioccolata, va bene, ma non sono più richiesto di imporre la mia opinione perché so benissimo che se volessi proprio cercare la verità allora non la troverei, né lì né altrove, ma unicamente all’interno di questa struttura che chiamiamo linguaggio, che per altro è l’unica che mi consente di trovarla e anche di cercarla, è anche l’unico che mi fornisce l’unico criterio pensabile. Insomma ciascuno è fatto di linguaggio e non può uscirne, o lo sa e agisce tutto questo, oppure lo subisce, nel primo caso c’è la consapevolezza, la leggerezza, nel secondo il terrore. Ciascuna religione, per definizione, ciascun pensare religioso è costretto necessariamente a stabilire un inferno, poi si configura in vario modo: i cristiani hanno le fiamme, i mussulmani qualcosa del genere, i buddisti hanno la reincarnazione, se si reincarna in uno scarafone schifoso allora vuole dire che in vita ha fatto qualche cosaccia… c’è sempre la necessità di punire chi ha fatto il male, chi ha errato, e per fare questo occorre stabilire naturalmente una norma, trasgredendo la quale si va all’inferno. Questione che impone almeno due considerazioni: la prima è perché gli umani si sono messi ad un certo punto a pensare una cosa del genere, la seconda è perché ci credono, questione non meno singolare, e la questione torna di nuovo alla struttura del linguaggio: il linguaggio impone di trovare qualcosa di vero, e se non ci sono le condizioni per accorgersi della struttura, del funzionamento del linguaggio, allora lo si cerca da qualche altra parte ma non può essere provato, e quindi deve essere imposto, e allora avete il terrore. Dunque o agire o subire il linguaggio, non c’è scelta, agirlo comporta il sapere come funziona, sapere come funziona comporta il non avere più la necessità di credere qualunque cosa, il subirlo invece comporta il trovarsi a credere qualunque cosa, non ha importanza cosa. Credere, cioè dare il proprio assenso incondizionato a qualcosa che in nessun modo può essere provato essere vero, il credere potremmo anche definirlo così. Nel frattempo possiamo proseguire come in una conversazione tra amici, e approfondire magari qualche aspetto che io, chiacchierando ho poco o non sufficientemente svolto. Qualche curiosità dunque, dubbi, perplessità, obiezioni, se ci sono domande io sono a disposizione, qualunque domanda voi vogliate porre, pronto a rispondere a qualunque obiezione e se volete a trasformare la vostra obiezione in un’obiezione ancora più potente o se preferite invece, eliminarla, come volete, posso fare qualunque cosa e il suo contrario…

Intervento: …in principio era il verbo dicevano anche…

Così recita, sì, ci sono persone che sono andate molto vicino alla questione, penso anche ai Sofisti per esempio, sono andati vicinissimi, poi hanno mancato l’obiettivo, ma anche altri molto più vicini a noi come Wittgenstein o Austin per esempio, hanno posto la questione in termini straordinariamente precisi, senza compiere il passo che noi abbiamo compiuto e che è determinante: applicare le stesse cose che andavamo dicendo a ciò stesso che dicevamo, una sorta di funzione ricorsiva, per cui tutto ciò che mano a mano si stava costruendo veniva applicato al nostro dire, allo stesso teorizzare. In effetti tutto è partito da una domanda: “a quali condizioni penso” ora qualcuno potrebbe pensare “a condizione che ci sia il cervello” va bene… ma a quali condizioni io posso affermare una cosa del genere? Ecco che proseguendo lungo questa via si trova che l’unica condizione che consente qualunque altra è l’esistenza di questo sistema operativo, chiamiamolo così provvisoriamente, noto come linguaggio, il quale per funzionare ha bisogno di pochissime cose, un sistema inferenziale e cioè la possibilità di passare da un antecedente a un conseguente “se A allora B” questo è fondamentale, senza questo non c’è linguaggio, poi la possibilità di distinguere un elemento da un altro, come dicevo prima se ciascun elemento non fosse distinguibile da ciascun altro il linguaggio cesserebbe di funzionare, e poi da un sistema che organizza tutto quanto, per esempio la grammatica, la sintassi etc. Sono regole del gioco, in fondo per funzionare necessita di queste due procedure che indicavo prima e da regole per giocare, come tutti i giochi ha bisogno di regole, le regole non sono altre che delle istruzioni che consentono certe mosse e ne impediscono delle altre, tutto qui, con questo funziona il linguaggio…

Intervento: sembra quasi che il linguaggio impedisca di applicare questo principio a se stesso

Non lo impedisce propriamente, non è necessario, come dire che il linguaggio funziona benissimo senza sapere assolutamente nulla del suo funzionamento. È questa la questione fondamentale, che funziona perfettamente, ha funzionato per tremila anni prima che arrivassimo noi, dopodiché abbiamo inserito all’interno di questo sistema delle istruzioni che riguardavano il funzionamento del sistema stesso,e cioè abbiamo cominciato a chiederci come funziona. Certo l’analisi del linguaggio non è che esiste da adesso, però nessuno, nemmeno De Saussure ha applicato ciò stesso che andava mano a mano elaborando al suo stesso elaborare, cosa che invece abbiamo fatto, ed è questo che ci ha consentito di rilevare che in effetti l’unica condizione che hanno gli umani per esistere è che ci sia il linguaggio, senza questo non esistono, né sarebbero mai esistiti. Perché qualcosa esista occorre che esista per qualcuno e questo qualcuno occorre che sia in condizioni di accorgersi che esiste, per compiere tutto questo occorre di nuovo quella struttura che chiamiamo linguaggio. Ora so benissimo che ciascuno è stato addestrato da sempre a pensare invece che le cose esistono di per sé, e che non richiedono affatto l’esistenza del linguaggio, se non appunto la trasmissione di informazioni, cioè quella che comunemente molti chiamano la verbalizzazione. Ma il linguaggio non è quella cosa che mi consente di esprimere queste cose che ho pensate, è quella cosa che mi consente di pensarle, che è diverso, e quindi da quel momento anche pensare che esistono, ma come dicevo all’inizio ciascuno di voi sa di esistere, di essere qualcuno perché esiste un sistema che glielo consente, se no non potrebbe nemmeno porsi la questione, in nessun modo. E tutto questo in effetti appare difficile, non perché lo sia, in realtà è semplicissimo, ma perché come dicevo ciascuno è stato addestrato a pensare in un altro modo e cioè che le cose esistono di per sé e tutto il mondo che lo circonda lo induce a continuare a pensare in quel modo, nonostante sia il modo che conduce a costruire argomentazioni assolutamente non provabili e quindi totalmente arbitrarie, alle quali cose si sopperisce immaginando che ci sia un qualcuno o un qualcosa che invece è assolutamente vero, certo non potendo ovviamente provare nemmeno questo, però lo si crede, e lo si crede senza sapere neanche perché lo si crede, lo si crede perché il linguaggio costringe a costruire una conclusione che sia necessariamente vera rispetto a quel gioco, se no non funziona, non può proseguire tant’è che non prosegue in tutte le direzioni: quando voi pensate a una certa cosa escludete dal vostro pensiero miliardi di altre cose, in base a cosa le escludete? Perché? Se dovete andate a Mantova escludete di pensare come si fa la pasta al forno? A meno che non sia la condizione perché là qualcuno vi aspetta e vuole la pasta al forno… perché dunque escludete miliardi di altre cose? Perché quel gioco ha delle regole in cui sono previste delle sequenze di proposizioni che soddisfano certi requisiti, tutto ciò che non soddisfa questi requisiti viene eliminato, questo è il funzionamento del linguaggio, per cui vengono accolte soltanto le proposizioni che soddisfano alcuni requisiti e che siano coerenti con le premesse cioè non le contraddicano, l’ultima di queste considerazioni è quella che in ambito logico si chiama teorema, cioè la proposizione vera. Se piove prendo l’ombrello. Piove, quindi prendo l’ombrello. Basta riflettere su come gli umani pensano e immediatamente sorge questa struttura, che è la condizione per pensare e quindi per esistere, anche perché la nozione di esistenza è un concetto linguistico, stabilito anche qui da certe regole, perché io stabilisco, per esempio, che l’esistenza di qualcosa è tutto ciò che cade sotto i miei sensi? Perché? Chi l’ha stabilito? Lo stabilisco io certo, è una regola del gioco, come quella che afferma che ne poker quattro assi battono due sette. Diceva giustamente Wittgenstein: quando avremmo compiuto una dimostrazione perfetta che da dalle premesse, attraverso passaggi coerenti, giunge all’ultima proposizione che chiamiamo teorema, che cosa avremo fatto esattamente? Cosa possiamo dire con assoluta certezza che avremo fatto? Soltanto che ci siamo attenuti scrupolosamente alle regole di quel gioco, nient’altro che questo. Posso stabilire che esiste tutto ciò che cade sotto i miei sensi, va bene, e allora? Ho stabilito le regole per giocare un gioco ma questo gioco è necessario che sia? Devo sapere che cosa è “necessario” prima, e come lo saprò? Questo appena per rispondere alla questione che ha sollevato. Qualcun altro vuole aggiungere o togliere cose o confutare tutto quello che ho affermato e rendere tutto totalmente falso? Se c’è chi vuole farlo lo faccia, io sono pronto a fare il contrario. Ché se nessuno vuole dire niente continuiamo a parlare io e la mia amica Daniela. Sandro…

Intervento: questo titolo una certa eco che… guerre, una persuasione di questa cosa del terrore…

Scusi se la interrompo, ma sul pianeta da quando c’è traccia degli umani non si è mai verificato da qualche parte del pianeta che non ci fosse una guerra da qualche parte, non è una cosa assolutamente insolita e strabiliante, è sempre avvenuto così…

Intervento: non c’è dibattito che capita di ascoltare… come se l’accusa che viene fatta all’occidente di una sorta di predominio di un pensiero relativista o nichilista immaginando che l’occidente sia in qualche modo disarmato di fronte al pericolo alla minaccia che viene dall’Islam

Disarmato? Ha un arsenale nucleare formidabile…

Intervento: io dicevo come argomentazioni è una operazione retorica… però mi incuriosiva questa questione che si pensa al discorso occidentale come se fosse una sorta di pensiero relativista… come se la questione del fondamento da parte del pensiero occidentale contemporaneo fosse una cosa superata e quindi in questo si vede una sorta di debolezza del pensiero… tutta la storia del pensiero debole, il richiamo che si fa da parte di chi accusa questa cosa e che sono persone occidentali mi ha incuriosito moltissimo perché viene chiamato realismo… va bene tutto ma poi di fronte alla realtà non si può essere delle vittime ma combattere il nemico con le sue stesse armi. Mi ha incuriosito moltissimo perché questo realismo si propone come essere una sorta di criterio comune. Ovviamente come diceva lei prima il terrore ha a che fare con la questione del ricatto e imporre la verità è un atto terroristico

Sì, come dicevamo, se non può essere sostenuta dalla ragione allora o la persuasione o la forza, non ci sono altre vie…

Intervento: in effetti è così il ricorso alla forza in questo caso è fatto in nome… in un certo senso quasi di un ultima spiaggia che è costruita su un’idea di realtà

Sì, è un sistema, molti lo mettono in atto anche rispetto a se stessi, riescono a fare qualcosa soltanto se sono costretti a farla, se no, non la fanno. È un po’ la stessa struttura in effetti, tutte queste strutture di cui lei stava parlando sono fatte dagli umani, e quindi funzionano allo stesso modo…

Intervento: la forza deve comunque sempre essere utilizzata… qualunque guerra ha sempre avuto bisogno di una giustificazione divina non è mai sorta così…

Ha sempre una verità alle spalle “dio è con noi” c’era scritto sulla fibbia delle S.S. Dio è con noi e quindi contro tutti gli altri. In realtà sarebbe ciò che è vero per definizione, che è necessariamente vero, però anche lì deve essere creduto perché nessuno può provarlo, ciò che è vero è sempre reale, la realtà non mente si suole dire, se ne dicono tante …

Intervento: così come ha detto lei gli umani esistono in quanto esiste il linguaggio…il terrore quindi è frutto del linguaggio e allora questo terrore non si considera mai maschile o femminile la sua caratteristica…

Dipende, come struttura sì, perché è un sistema inferenziale, poi costruisce delle cose e a questo punto, lungo questa costruzione, ecco che compaiono il maschile, il femminile insieme con infinite altre cose, sono sempre costruzioni consentite da questo sistema operativo e allora c’è il maschile, il femminile. Ma quelle costruzioni che sorgono nel momento in cui il linguaggio è subito si cercherà di imporle, come la propria verità, anche perché avviene questo scambio di cui parlava prima in modo molto preciso Sandro tra la verità e la realtà, perché se si considera ciò che io ritengo vero, la mia opinione, corrisponda alla realtà delle cose e la realtà non può mentire perché le cose stanno così. Ecco perché il terrore: perché l’altro non si accorge di come stanno le cose, se se ne accorgesse allora mi darebbe ragione, ma non se ne accorge e allora o è in mala fede oppure perché non sa. Marzia cosa pensa delle cose che ho dette? Lei non mi aveva mai ascoltato prima? C’è l’occasione che mi riascolti ancora oppure dopo questa sera…?

Intervento: penso di sì…

Bene, ritiene che queste cose che ho dette siano assolutamente squinternate o ci sia un fondamento?

Intervento: potrebbero essere vere

Potrebbero, a quali condizioni? Ha detto bene, questa è l’ipotesi, l’ipotesi non è niente finché non viene verificata, ma come la verificheremo? Occorre stabilire delle regole tali che ci diranno se la cosa è verificata oppure no, per esempio se io dico: “domani pioverà, oppure non pioverà” quando sarà arrivato domani lo sapremo, a questo punto abbiamo però stabilito delle regole, e cioè il fatto che ci sia una certa condizione meteorologica soddisfa questo requisito. Come si fa a sapere che qualcosa è vero oppure no? Adesso le faccio una domanda difficile…

Intervento: con la deduzione

Sì, con la deduzione, ha detto bene…

Intervento: permette di arrivare al teorema

Esatto…

Intervento: le cose sono vere all’interno di certi giochi

Ha detto bene, dipende dal gioco in cui è inserito certo, la dimostrazione in ambito matematico segue certi andamenti, altri in ambito logico e in ambito chimico, fisico… occorre certamente avere stabilite delle regole, un criterio per dimostrare, una volta stabilito ci si attiene a questo criterio. Io per esempio stabilisco che un oggetto non è infrangibile se cadendo dal quarto piano si rompe, prendo il mio orologio lo mollo dal quarto piano, si spacca, ed ecco che soddisfa a questo requisito… soddisfa meno me però il requisito è soddisfatto, cioè io ho stabilito che se si fosse rotto cadendo dal quarto piano allora sarebbe stato fragile, si è rotto e quindi è fragile. La fisica funziona così, in modo un po’ più elaborato, più sofisticato però il principio è quello. Ma quando si cerca il criterio ultimo, quello che sia assolutamente affidabile rispetto a qualunque cosa, sorgono dei problemi. Supponiamo che io affermi questo qualsiasi cosa è un elemento linguistico, come faremmo a dimostrare una cosa del genere? Sapere se è vera o è falsa? Dovremo avere un criterio, un buon criterio perché lei potrà dire: “non è vero, ci sono cose che non sono linguaggio” io a questo punto però le chiederei di provare ciò che lei sta affermando, e cioè che una qualunque cosa x è fuori dal linguaggio, e a questo punto lei dovrebbe farlo se volesse sostenere le sue affermazioni. Saprebbe come fare? È complicato, complicato per due motivi innanzitutto, primo che qualunque cosa farà comunque saranno argomentazioni, secondo perché dovrà costruire un criterio, e questo criterio sarà costruito con che cosa?

Intervento: con il linguaggio

Brava, sì, e quindi lei potrà dimostrare che esiste qualcosa che non è linguaggio se e soltanto se esiste il linguaggio. Non è una forma paradossale? È un altro paradosso, potremmo dire che è la madre di tutti i paradossi quella affermazione che afferma che esiste qualcosa che è fuori dal linguaggio, perché può affermarsi se e soltanto se esiste il linguaggio, che è esattamente la forma del paradosso. Quindi affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio di per sé non è né vero né falso, è paradossale, quindi non può affermarsi perché a questo punto può affermare qualunque cosa e il suo contrario, è per questo che il paradosso impedisce, così come il falso, impedisce di proseguire in quella direzione, perché se la accoglie a questo punto non ha più nessun criterio e nessuna direzione, qualunque cosa vale qualunque altra cosa e il suo contrario, e quindi non è utilizzabile, non se ne fa niente, non può proseguire… come se lei mi chiedesse: va bene quella direzione per andare in un certo posto? E io le rispondessi sì e no, che cosa se ne fa di questa informazione? Niente, non è utilizzabile, non è utilizzabile per quel gioco che lei sta facendo. Questa è la questione centrale in tutto quello che abbiamo detto questa sera, qualunque criterio cercheremo di costruire per fare qualunque cosa, questo criterio lo costruiremo con il linguaggio e non abbiamo altro modo per farlo, per stabilire qualunque cosa o il suo contrario, anche appunto che qualcosa è fuori dal linguaggio. Ecco da qui la priorità che diamo al funzionamento del linguaggio, se ciascuno avesse l’occasione di sapere come funziona esattamente il linguaggio, avrebbe l’occasione di sapere cosa sta succedendo in ciò che sta avvenendo, in ciascun istante, in tempo reale. Perderebbe le emozioni? No, perché la condizione per provarle è il linguaggio e non solo lo pratica ma addirittura ne conosce il funzionamento, chi meglio di lui si troverebbe in questa condizione di forza di provare emozioni…

Intervento: allora dovrebbe rinunciare al terrore

Sì, non ne avrebbe bisogno, certo, non avendo necessità di attenersi a credere qualche cosa di assolutamente vero all’infuori di quell’unica cosa che mi consente di pensare, che è il linguaggio, non ha da abbattere nessuno perché sa benissimo che ciò che pensa non è né vero né falso, può essere esteticamente gradevole, piacevole, ma niente di più, che non è poco. Naturalmente ciascuno vive anche di questo, anzi soprattutto di queste piccole cose che danno soddisfazione nel quotidiano, e conoscendo il funzionamento del linguaggio ne trova a profusione. Potrebbe essere l’ora di chiudere, ma non lo è, ma potrebbe, dipende da chi? Da me chiaramente… qualcuno vuole aggiungere qualcosa? Magari le cose detto hanno indotto qualche pensiero, in fondo siete stati testimoni questa sera di un evento storico, abbiamo trovato ciò che gli umani cercano da tremila anni, facendo sforzi immani, scannandosi gli uni con gli altri e invece tranquillamente, amabilmente, tra amici, abbiamo stabilito che cosa è la verità assoluta, questa sera in vostra presenza, testimoni di un evento epocale! Va bene, martedì prossimo alla Libreria LegoLibri invece vi parlerò di una cosa bizzarra, e cioè di come si passa dalla tristezza, dalla noia, alla depressione e come se ne esce, senza usare neppure un’aspirina. E poi vi ricordo che in via Grassi, nella sede dell’associazione ci troviamo ciascuna settimana con gli amici per proseguire in termini più precisi e rigorosi, le argomentazioni che qui esponiamo in modo molto più semplice, ovviamente saltando molti passaggi. È un gruppo di lavoro che si occupa di elaborazione teorica e in effetti se questa sera ho potuto enunciarvi questa verità epocale è proprio grazie al lavoro che abbiamo fatto in questi anni nel corso che teniamo ciascuna settimana. Ciascuno è invitato, anche per semplice curiosità, per vedere cosa succede. Bene, allora grazie a ciascuno di voi e spero di rivedervi martedì prossimo.