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24-4-2014

Biblioteca Bonhoeffer

 

Luciano Faioni

LA PSICANALISI E LA SCIENZA DELLA PAROLA – secondo intervento

 

La settimana scorsa ho accennato alla nascita della psicanalisi, e anche alla nascita insieme con la psicanalisi, da parte di altri, di teorie intorno al linguaggio e di come Freud stesso si sia occupato di linguaggio. Erano state poste al termine dell’incontro della volta scorsa due questioni che intendo proseguire perché sono importanti. La prima verteva sull’eventualità che la psicanalisi sia diventata obsoleta, l’altra invece era più specifica rispetto a delle fantasie, in particolare fantasie di abbandono, riprenderò entrambe le cose perché mi danno anche il modo di proseguire il discorso della volta scorsa specificandone alcuni aspetti. La prima questione dunque verte sulla eventualità che la psicanalisi, con psicanalisi qui intendiamo semplicemente la teoria inventata da Freud, la psicanalisi dunque in questi ultimi anni sia diventata obsoleta, cioè non sia più in condizioni di svolgere il suo compito visto il modo e la rapidità con cui le cose sono cambiate negli ultimi decenni, la questione viene dal fatto che un tizio, infatti veniva citato, un lacaniano, lamentava il fatto che da tempo manca nella società italiana e non solo, manca la funzione paterna. La funzione paterna sarebbe per Lacan la legge che si instaura nel simbolico, cioè nel linguaggio, e che permette all’individuo, alla persona di confrontarsi con qualche cosa che non è concesso, non in termini morali ovviamente, ma allude a un impedimento che è insito nel linguaggio, che fa sì che gli umani siano in condizioni di comportarsi nel modo in cui è richiesto dalla società in cui vivono: mancando la legge viene meno il desiderio, in assenza del desiderio non c’è etica. Tutti questi termini vanno intesi nell’accezione lacaniana ovviamente. Questa persona lamentava il fatto che in assenza di questa legge del padre ci sia un dilagare di una fantasia di onnipotenza dove tutto è permesso, dove non ci sono più limiti. Ora tutto questo dovrebbe comportare la caduta di uno degli aspetti fondamentali della psicanalisi connessi, come dicevo, con la funzione paterna, con la legge, e di conseguenza con la rimozione, venendo meno uno di questi aspetti fondamentali della psicanalisi ecco che tutta la teoria psicanalitica ne è inficiata al punto da renderla, come si diceva, obsoleta. Questo secondo i lacaniani. Però possiamo considerare le cose in modo un po’ diverso, tenendo conto anche di alcuni aspetti cui ho accennato la volta scorsa, vale a dire la portata della psicanalisi o più propriamente del discorso psicanalitico che non è la riproduzione più o meno fedele della teoria inventata da Freud. Sapete che Freud ha incominciato a occuparsi di ciò che poi chiamerà psicanalisi per motivi terapeutici, cioè per curare delle persone affette da nevrosi soprattutto, questo è stato l’avvio, poi però le cose hanno preso una piega differente. Non sempre il modo in cui si incomincia qualche cosa poi prosegue nella stessa via, per esempio internet è nato come un procedimento utile per scopi militari, come ciascuno sa, però oggi rappresenta uno straordinario mezzo di informazione e di comunicazione, cioè è andato molto al di là dell’utilizzo prettamente militare, e così è accaduto anche per la psicanalisi, che è andata molto al di là delle prime intenzioni di Freud, cioè di farne semplicemente un metodo di cura delle nevrosi. La psicanalisi si è posta e si è imposta per qualche verso soprattutto negli anni sessanta settanta in particolar modo, proprio per la sua portata intellettuale, culturale, politica, molto più che per l’aspetto clinico, e questo avvenne grazie al fatto che alcuni psicanalisti come Lacan per esempio, avevano accostato o meglio addirittura riletto Freud utilizzando i Corsi di Linguistica generale di De Saussure, linguista ginevrino. Lacan rilesse la teoria di Freud utilizzando la linguistica, rendendosi conto che Freud di fatto nel corso di tutta la sua opera aveva parlato prevalentemente di linguaggio, di parole, di discorsi, del modo in cui queste parole si annodano fra loro producendo altri discorsi e altri percorsi, che poi hanno a che fare con le fantasie e di questo diremo fra poco. Tutto questo negli anni sessanta settanta ha condotto alla considerazione che la psicanalisi fosse ben altro che una semplice tecnica di guarigione ma avesse da dire e da proporre delle cose di importanza notevole, ricordavo che anche in quegli anni oltre alla linguistica naturalmente, c’era un grande impulso nei confronti della semiotica in particolare, semiotica che anch’essa si occupava del modo in cui i racconti si producono, si articolano e significano quello che significano. Che è un aspetto molto vicino al lavoro che stava facendo Freud: una persona parla e parlando significa qualcosa, ma che cosa? Questa era indirettamente una delle domande che Freud si poneva e se le poneva anche la semiotica, penso in particolare a alcuni francesi per esempio Greimas, Bremond e molti altri oltre a De Saussure ovviamente. Dunque quando una persona parla che cosa succede esattamente? Certo, dice delle cose e vuole generalmente comunicare qualcosa a qualcuno, per lo più avviene qualcosa del genere, ma come accennavo la volta scorsa non c’è soltanto questo, e questa è stata una delle invenzioni forse più straordinarie di Freud, perché ha incominciato a volgere la psicanalisi non più come una teoria clinica ma come una teoria semantica, cioè letteralmente una teoria del significato: che cosa significa ciò che le persone dicono? Cosa vuole dire? In ciò che le persone dicono c’è molto più di quanto le persone stesse immaginino di dire, su questo “in più” Freud ha lavorato, ma che cos’è questo “in più”? Una teoria semantica generalmente si occupa del significato delle parole, dei discorsi o dei termini, il più delle volte riportando il significato delle parole secondo una direttiva referenziale alla cosa che la parola dice, oppure all’uso che per lo più viene fatto di un certo termine, ma non si spinge molto al di là di questo, Freud invece l’ha fatto. Le parole hanno un significato, grosso modo quello del dizionario, che più o meno ciascuno conosce ma non è tanto l’uso che si fa per lo più delle parole che interessava Freud, quello è banale, né il riferimento alla cosa, ciò che a Freud interessava era sapere che cosa quelle parole o quel discorso o quel termine significasse per quella persona in quel momento. Anche le teorie semantiche più recenti paiono tenere conto almeno parzialmente di questo aspetto, alcuni lo hanno fatto come Ogden e Richards o Paul Grice e altri ancora, ma il fatto di considerare che cosa significhi ciò che una persona dice per quella persona in quel momento, questo allude al fatto che ciò che la persona sta dicendo la riguarda, anche se sta parlando di cose che sembrano obiettive, ma ciò che sta dicendo in qualche modo la riguarda e a Freud interessava sapere in quale modo. Qui Freud ha aperta una via straordinaria, e cioè il discorso interno alla fantasia. L’altra volta accennavo alla Wirklichkeit che Freud usava per indicare la realtà psichica, non la realtà obiettiva ma la realtà psichica, cioè ciò che per una singola persona è la realtà. Già allora si incominciava a considerare che sì, c’è la realtà però poi di fatto per ciascuno questa realtà non è o non sembra essere esattamente la stessa cosa, tant’è che di fronte a un evento, anche se ciascuno dei presenti può concordare sul fatto che stia accadendo qualche cosa poi però sul che cosa esattamente stia accadendo, cioè su che cosa significhi quello che sta accadendo ci sono molte discordanze. Ascoltate la testimonianza di una qualunque cosa, una persona racconta delle storie e un’altra racconta altre storie, eppure l’evento, si dice, è stato lo stesso per tutti. A noi interessa invece intendere perché per ciascuno quel singolo evento ha rappresentato, ha detto, ha significato cose totalmente differenti, perché? La risposta è a un tempo semplice e complessa, incominciamo da quella semplice. Ciascuna persona vive la sua vita presa da pensieri, immagini, ricordi, sensazioni, emozioni, una quantità di cose che definiscono in definitiva la persona, che è fatta di queste cose, le cose in cui crede, le cose che teme, le cose che desidera eccetera, tutte queste cose Freud ha incominciato a considerare che non sono cose irrilevanti rispetto al modo in cui la persona significa ciò che incontra, ciò che gli accade innanzi, ma anzi tutti questi elementi concorrono a dare un significato a ciò che sta accadendo; c’è un evento, apparentemente sembra uguale per tutti ma ciò che differenzia ciascuno, che lo rende assolutamente unico e particolare, è il suo bagaglio di esperienze, di emozioni, di sensazioni, di ricordi, conoscenze, tutte queste cose dicevo contribuiscono e spesso determinano il significato per quella singola persona, il significato di ciò che vede, di ciò che ascolta, di ciò che incontra. Prima vi dicevo che questa invenzione di Freud è stata straordinaria perché da questo momento in poi si è potuto incominciare a pensare alle persone non più come pensava il positivismo, che andava molto di moda ai primi del novecento, come un qualche cosa di regolabile, governabile, la persona che come una sorta di macchina che reagisce a degli stimoli, quindi tutto sommato abbastanza controllabile, manipolabile, l’idea era questa: che attraverso la scienza e la tecnica tutto fosse controllabile. Questo avveniva ai primi del novecento quando c’era una grandissima fiducia nella tecnica e nella scienza, erano gli anni delle grandi esposizioni tecniche e scientifiche a Parigi, a Milano eccetera, alcune scienze stavano facendo grandi passi come la logica stessa e la scienza naturalmente. Le scienze dure, come la fisica e la matematica, inducevano a pensare il significato delle cose come un qualche cosa di definibile, univoco, e che quindi qualunque cosa fosse facilmente interpretabile, come si trattasse di una sorta di codice, si conosce il modo per decodificarlo e tutto si risolve facilmente, e questo avrebbe dovuto portare l’umanità a una fase di grande felicità, gioia e spensieratezza. Le cose non sono andate esattamente così, ci sono state un paio di guerre mondiali nel frattempo, e dopo la prima qualcuno ha incominciato ad accorgersi che la scienza forse non era proprio così attenta al benessere degli umani, e ancor più dopo la seconda, e quindi sorsero notevoli movimenti di ribellione a questa sorta di monopolio scientista e tecnicista dei primi del novecento, durante la famosa bell’époque, dove sembrava appunto che ogni cosa sarebbe stata possibile e la felicità e il benessere assoluto sarebbero stati alla portata di tutti. Ma non si è tenuto conto che le cose non stavano proprio esattamente così, e Freud, proprio in quegli anni, incominciava ad accorgersene perché gli umani non pensano attraverso un sistema così semplice, ma sono straordinariamente complessi, e la complessità viene proprio dalle fantasie di cui sono fatti, cos’è una fantasia? Una fantasia è una costruzione, è un discorso in definitiva, anche se il più delle volte non appare così, ma è un discorso che consente alla persona di orientarsi nel mondo che la circonda, nel modo in cui appare a questa persona più efficace. Il modo in cui si è costruito questo discorso è fondato, è costruito su altre fantasie, altre idee, cose che la persona ha sentite, cose che la persona ha lette, cose che lei stessa ha elaborate, ma in particolare queste fantasie hanno un obiettivo specifico: pensate al tipo classico di fantasia, la cosiddetta “fantasia a occhi aperti”, una persona costruisce una scena, una storia, un racconto nel quale la persona occupa una posizione di rilievo, è importante, le cose accadono praticamente intorno a lei, è il centro di tutto. In una fantasia è facile costruire una cosa del genere, certo diventa più difficile ovviamente al di fuori di questa fantasia, la fantasia costruisce questo scenario che, essendo uno scenario così attraente e affascinate, appunto per questo viene costruito, diventa uno scenario difficilmente rinunciabile, al punto che in alcuni casi diventa la chiave interpretativa di qualunque cosa, cioè qualunque evento accada è come se io lo approntassi con questa mia fantasia. Se in qualche modo riesco fare collimare ciò che accade con questa mia fantasia, chiamiamola pure “fantasia di potenza”, allora la cosa mi piace e va bene, la accolgo, la perseguo, in caso contrario no. Vedete già a questo punto in questo esempio molto banale che ciò che determina le decisioni, anche in alcuni casi molti importanti che le persone prendono nel corso della loro vita, non sempre è sempre così obiettivo e razionale come alcuni sono indotti a pensare ma, torno a dirvi, questa è una delle cose più straordinarie del lavoro di Freud. Le persone decidono, si impegnano in una direzione anziché in un’altra e scelgono qualunque cosa tenendo conto, anziché di una valutazione razionale di tutti i dati che hanno a disposizione, decidendo invece in base a una fantasia, perché questa è più importante. È questo il motivo per cui si sceglie in base a una fantasia anziché in base a dati che vengono forniti e che potrebbero eventualmente costituire una maggiore razionalità nella decisione, ma la fantasia è più importante perché è quella che dà maggiore soddisfazione ed è il motivo per cui accade alle persone di rifugiarsi, nei momenti magari difficili o sconfortanti, nelle proprie fantasie, fino ad arrivare al punto di non riuscire più a distinguere queste loro fantasie dal mondo che le circonda, cioè la fantasia diventa sovrastante su qualunque altra considerazione, è come se diventasse l’unico gioco, l’unico gioco interessante e quindi l’unico gioco praticabile. È quella situazione clinicamente nota come delirio. Incominciare a intendere che gli umani sono mossi per lo più dalle loro fantasie cambia completamente la prospettiva nei confronti della società, nei confronti delle scienze anche, soprattutto nel modo in cui ci si rapporta verso gli umani, perché la fantasia è qualche cosa alla quale la persona molto difficilmente rinuncia perché è quella cosa da cui trae il maggiore piacere; qualunque tipo di fantasia che la persona abbia costruito e abbia fatta sua diventa irrinunciabile, è la cosa in assoluto più soddisfacente e più bella e più confortevole in un certo senso, e quindi non la si abbandona. Tuttavia, e sta qui l’aspetto che qualche volta crea qualche problema, può accadere di non considerare questo discorso come una propria fantasia, quella che Freud chiamava “Wirklichkeit”, cioè la realtà psichica. Freud si accorse che una buona parte dei problemi che le persone incontrano nell’arco della loro esistenza sorge proprio da questa sorta di inconsapevolezza che ciò di cui stanno parlando, ciò che stanno vedendo, ciò che stanno ascoltando non è quella cosa lì, ma sono loro fantasie, al punto che, come dicevo prima, può accadere di perdere la capacità di distinguere fra ciò che è una propria fantasia e invece ciò che sta accadendo. Ma la questione prese una piega ancora più radicale partendo da Freud stesso, e qui mi riallaccio a teorie psicanalitiche molto più recenti, che hanno incominciato a porsi una questione, anche tenendo conto del lavoro della semiotica, si sono poste questa domanda importante: ciò che la persona vede, ascolta, incontra eccetera tutto questo potrebbe non essere, adesso uso questo termine mettetelo fra virgolette “filtrato” dalle sue fantasie? Oppure inevitabilmente qualunque cosa la persona incontri in ogni caso è costruito dalla sua realtà psichica, e quindi, come conseguenza, le persone non avrebbero accesso a quella cosa che si chiama “realtà”, che era una fantasia di Kant, come sapete, l’idea che la cosa in sé, in quanto tale non è conoscibile. Questa idea ha preso una portata non solo più consapevole ma più attenta, perché se così è, tutto cambia radicalmente. Non è casuale che la psicanalisi, posta in questi termini e cioè come un percorso intellettuale, culturale e scientifico anche, insieme con la semiotica abbia avuto il suo “splendore” chiamiamolo così, negli anni sessanta, settanta, cioè negli anni della cosiddetta contestazione, perché forniva una strumento molto valido e molto potente per opporsi a tutto ciò che si cercava di fare passare come verità. È ovvio che se la realtà, il dato di fatto in quanto tale è inaccessibile agli umani chi ha il diritto di appellarsi alla realtà o al dato di fatto per imporre la sua volontà o la sua opinione? Nessuno, e questo gli studenti del 68, l’avevano capito subito. Utilizzando dunque queste cose, insieme con altre ovviamente, per combattere qualunque ideologia, qualunque forma di religione, intendetela qui nel modo più ampio possibile quindi non come credere in un dio particolare, dunque opporsi a tutto questo con strumenti teorici sufficientemente potenti da controargomentare a chiunque volesse imporre la propria volontà appellandosi alla cosiddetta realtà, o al cosiddetto stato di cose, si obiettava che questo stato di cose, questa realtà non c’era se non nella sua fantasia che era una fantasia di potere. In quegli anni si aveva molto chiaro, forse addirittura più di quanto sia chiaro oggi, che chi detiene il potere ha un solo obiettivo, che non è sicuramente il bene dei cittadini ma è il mantenimento e l’accrescimento del suo potere, questo è l’unico obiettivo. Cosa che per altro curiosamente fece dire Eisenstein a un suo personaggio di un film famosissimo “Ivan il terribile”. Cito Eisenstein perché viveva sotto il regime stalinista “il primo obiettivo di uno stato è quello di mantenere il potere e difenderlo dai nemici interni ed esterni” questo è il primo e potremmo aggiungere forse l’unico obiettivo. Queste cose venivano fortissimamente messe in discussione anche grazie all’apporto della psicanalisi in quegli anni, che come dicevo, mostrava appunto l’inconsistenza di affermazioni di verità, di realtà e tutti i vari richiami da parte delle istituzioni a un bene, a uno stato di fatto, a uno stato di cose che già allora si diceva che si era inventato per esercitare il potere. La psicanalisi ebbe in quegli anni tanto successo nel movimento politico e intellettuale che era in atto in quegli anni perché la psicanalisi ha una portata, lo accennavo forse la volta scorsa, una portata sovversiva, forse è il pensiero più sovversivo che sia mai stato pensato da quando gli umani pensano, perché non mette in discussione soltanto i dati di fatto, la realtà, la verità eccetera, ma mette in discussione soprattutto, è questo l’aspetto più radicale, le cose in cui le persone credono, i loro pensieri, le loro certezze, i loro punti di riferimento, o come si suole dire generalmente, i loro valori. Compiendo questo la psicanalisi compie un gesto assolutamente sovversivo perché mette le persone nella condizione non soltanto di non credere più a qualunque cosa gli venga detta, ma le mette in condizione di non avere più bisogno di credere in alcunché, ma al posto di questo pone invece uno domanda, una curiosità intellettuale continua e inestinguibile, cioè volere sapere, non come stanno le cose perché non è di questo che si tratta, ma come stanno funzionando e perché. Le persone che si fanno troppe domande, come sapete, non sono sempre molto gradite perché c’è il rischio che incomincino a porsi domande intorno a cose sulle quali è meglio che non si facciano domande, ma meglio per chi? Ovviamente per chi ha il potere, di qualunque potere si tratti è irrilevante. La psicanalisi oltre che sovversiva è irriverente, non ha da omaggiare né da inginocchiarsi di fronte a nessuno, ma continua a chiedere, a domandare e a domandarsi anche di se stessa, cioè a mettere in discussione continuamente e incessantemente anche la propria struttura teorica, il proprio impianto teorico che non dà mai per nessun motivo per scontato. La conoscenza della psicanalisi porta dunque a una sorta di consapevolezza del fatto che le persone agiscono, si muovono, pensano, decidono in base a quelle cose che prima chiamavo fantasie. Una di queste fantasie, una fra le più potenti è la fantasia di abbandono, l’idea di essere abbandonati da qualcuno o da un consesso di persone, cioè essere estromessi da un gruppo di persone, di conseguenza la volontà fortissima di essere riconosciuti e accolti all’interno di un gruppo di persone. Per ottenere l’ingresso all’interno di un consesso di persone spesso si è disposti a qualunque cosa, perché si fa questo? Anche questo aspetto la psicanalisi lo ha interrogato, fare parte di un gruppo di persone generalmente comporta l’idea che queste persone siano detentrici di qualche cosa, di una qualche verità, di un qualche potere, un qualche cosa comunque di importante. Che sia il gruppetto di ragazzini, che sia una religione fatta di miliardi di persone la struttura è la stessa perché si tratta sempre di avvantaggiarsi, entrando a fare parte di un gruppo, di quella stessa verità di cui quel gruppo è portatore, verità, chiamatela valore, importanza o potere. In un bellissimo saggio scritto nel sedicesimo secolo un francese, Etienne De La Boétie, scrisse un volumetto in cui considerava proprio questi aspetti; si chiedeva perché mai le persone attribuiscono a qualcuno un potere, si lasciano governare, sfruttare fino all’osso, felici e contente, perché? Lui ha trovato dei motivi che però arrivano soltanto fino ad un certo punto chiaramente, non aveva gli strumenti, però si è accorto che le persone vogliono fare parte, vogliono essere “amiche” di qualcuno di importante perché se io sono amico di quel tizio che è importante è come se diventassi importante anch’io. L’idea quindi è di partecipare, prendere parte a qualche cosa che si ritiene importante, è questo il motivo per cui una fantasia di abbandono può funzionare, perché se no non ci sarebbe motivo, anche se molte persone “non mi considerano” eccetera la cosa, tecnicamente, potrebbe essere irrilevante ma non è così, non è così perché se queste persone che io reputo importanti non mi considerano allora questo significa che io non sono importante, se non sono importante questo comporta immediatamente che le cose che dico non hanno nessun valore. Per ottenere il consenso da parte di altri siano un gruppo o una persona, e questo allude a quanto sia importante per la persona, si è disposti a fare qualunque cosa. Accennavamo la volta scorsa al caso della fanciullina che si trova a dovere scegliere quale via prendere per dovere mantenere, per esempio, l’affetto del papà che per lei appare essere importante, e cioè o essere ciò che lui dice che io sono, cioè incapace, ché il papà dice che lei è incapace, non riesce mai eccetera, e allora se il papà è quella persona importante che è non può dire stupidaggini quindi è così, è vero “io sono incapace”. Per mantenere vera questa posizione del papà deve assumere l’incapacità, fa questa rappresentazione, delle volte per tutta la vita, oppure gli si oppone radicalmente: il papà dice stupidaggini, non ha capito niente, e quindi si oppone e va a cercare ovviamente il consenso altrove. Nessuna delle due è la scelta più facile, in entrambi i casi è sempre comunque una cosa molto sofferta e molto difficile. È per fare un esempio molto semplice, molto banale di come una persona possa trovarsi in una situazione dove deve prendere decisioni ardue, talvolta terribili, pur di soddisfare una fantasia di appartenenza a un qualche cosa di importante, per evitare di esserne esclusi. L’esclusione può essere vissuta, sempre fantasmaticamente, come la peggiore tragedia, abbiamo visto anche recentemente delle ragazzine che si sono uccise perché dei ragazzini le hanno prese in giro, un gesto estremo sicuramente ingiustificato, però questo rende conto di quanto per quella ragazzina una cosa del genere sia importante, per lei in quel momento è una questione di vita o di morte, letteralmente, e in alcuni casi come abbiamo visto sceglie la seconda, pur di evitare l’abbandono. È una cosa per la quale si è disposti a dare la propria vita, non è poco. Tutto questo che vi sto dicendo è per mettere in evidenza quanto il lavoro avviato da Freud intorno alle fantasie sia determinante in tutto il lavoro psicanalitico ma non solo, al punto in cui si può giungere a concludere che gli umani sono fatti di fantasie e cioè di questi discorsi costruiti in un certo modo, che ci riporta a concludere che gli umani sono fatti di discorsi e cioè ancora, se vogliamo arrivare proprio alla questione cruciale, sono fatti di linguaggio. Senza linguaggio cioè senza discorsi tutte queste cose che vi ho descritte molto sommariamente, non solo non esisterebbero ma non sarebbero mai esistite. Da qui come vado ripetendo spesso l’importanza per la psicanalisi di riflettere sul linguaggio, sul modo in cui funziona, sulla sua struttura e soprattutto sull’importanza, la priorità che ha per gli umani, che potrebbero essere considerati a questo punto dei parlanti. Dire che se gli umani non parlassero non sarebbero mai esistiti può sembrare un’affermazione azzardata, ma non lo è. Senza il linguaggio, senza la parola, senza la possibilità di articolare la parola quindi di compiere argomentazioni eccetera, nessuno avrebbe mai saputo di essere un umano, non avrebbe mai potuto dire di sé di essere un umano, così come per esempio un topo non può dirsi di essere un topo. È proprio per questo, perché gli umani sono esseri parlanti, proprio per questo costruiscono fantasie, fantasie che potremmo a questo punto indicare come fantasie di potere, e cioè potremmo dire che qualunque fantasia punta al potere, a rappresentarselo, a immaginare di averlo, a pensare di doverlo ottenere in qualche modo, a aumentarlo. Era illuminante la proposizione di Nietzsche quando avvertiva gli intellettuali dell’epoca, che tutto il lavoro che è stato fatto da millenni intorno alla verità, tutto ciò che è stato scritto, detto anche da pensatori robusti, tutto questo, ci dice che non era per amore della verità, amore della conoscenza, è soltanto per avere potere, per questo la ricerca della verità, perché sanno benissimo che chi detiene, controlla la verità ha il potere…

 

Intervento: io volevo chiedere, la fantasia di cui lei parla è la fantasia di potenza quindi del potere, quando la fantasia prende il posto della realtà per cui se io non la uso più solo temporaneamente è solo per cancellare un momento brutto, e quindi entro nel delirio?

 

Il delirio è una situazione estrema in genere…

 

Intervento: in un momento, può accadere, diciamo che questa penna non è più la penna ma qualunque altra cosa, quindi il delirio è sempre un delirio di onnipotenza…

 

Sì di controllo, di un controllo cioè di un sapere assoluto sulle cose. Se lei per esempio quella penna la considerasse un’altra certa cosa, per esempio un dio, per lei questo sarebbe la verità assoluta e attraverso questo avrebbe la possibilità, sempre fantasmaticamente, di controllare qualunque cosa. Voglio dire che alla base di qualunque fantasia c’è sempre l’idea di dovere controllare qualcuno o qualcosa, anche una fantasia che si costruisce, come diceva lei per rimediare a una situazione sgradevole, e in questo modo controllo la situazione, sono io il padrone non è più la situazione che controlla me, ma io controllo la situazione costruendo questa scena, questa immagine. La questione dell’esistenza e della realtà, quindi anche della verità, è molto complessa, prima dicevo che è semplice da una parte ma anche molto complessa e su questo hanno contribuito molto anche i filosofi del linguaggio introducendo la nozione di giochi linguistici. Perché la realtà, quella che si immagina, che ha sempre pensato la metafisica e anche l’ontologia, questa non si è mai trovata, non si è mai riusciti a sapere che cos’è veramente qualcosa. Posso dire per esempio che la realtà è ciò che cade sotto i sensi, ma con questo non ho detto che cos’è la realtà, ho soltanto indicato un criterio per indicarla, ma non ho detto che cos’è quella cosa, e non lo si può fare per una serie di buoni motivi, che alcuni filosofi del linguaggio hanno anche reperito. Quando si dice che la realtà non c’è, non si sta dicendo che non esistono giochi linguistici che vengono fatti ininterrottamente con delle regole alle quali ci si attiene. Per esempio se lei vuole comperare del pane va dal panettiere e non dal farmacista, per cui si attiene a delle regole semplicissime, e così tutta l’esperienza di una persona è costruita su giochi linguistici appresi e considerati come la realtà, però questa realtà se la si pensa in termini metafisici di fatto non c’è. Anche la fisica che è considerata una delle scienze dure, è giunta a una conclusione simile quando ha incominciato a occuparsi dell’estremamente piccolo, mi riferisco alla fisica dei quanti. Alcuni stanno reintroducendo la questione del soggetto come l’elemento che modifica l’osservato: osservandola, la particella si modifica. Cosa significhi tutto questo è difficile, ma in ogni caso, nel momento in cui sembra di avvicinarsi a sapere di che cosa è fatta la realtà, a sapere veramente la “cosa”, questa si sottrae e c’è un motivo per tutto questo ed è anche il motivo per cui non si potrà mai rispondere a questa domanda: che cos’è veramente la cosa, qualunque essa sia. Si immagina che questa cosa debba rispondere da sé alla domanda, senza intermediari, qualunque intermediario la modifica, ma come fa a rispondere da sé? È come se questa cosa da fuori del linguaggio dovesse dire lei stessa che cos’è, oltre al fatto che se, facciamo questa ipotesi per assurdo, che se lo dicesse, lo direbbe all’interno di un sistema linguistico e cioè con tutti i limiti e i vincoli di un sistema linguistico, oltre al fatto appunto che dovendo rispondere di sé senza intermediari, senza linguaggio non può dire assolutamente niente. Questo è il motivo per cui non c’è modo di sapere che cos’è la realtà, è una ricerca che è stata avviata dalla metafisica soprattutto, e dall’ontologia che vuole sapere “che cos’è?”, questa è la domanda tipica o la metafisica cioè “perché quello che è, è quello che è?”. Queste domande non hanno una risposta, non possono averla, non l’avranno mai, sarebbe come chiedersi come si penserebbe, anche se non è la stessa cosa, ma è simile la struttura, come si penserebbe in assenza di linguaggio? È una contraddizione in termini, pensare significa costruire sequenze, costruire argomentazioni, cioè usare il linguaggio, dunque immaginare come sarebbe pensare senza linguaggio è una contraddizione in termini allo stesso modo. Domandare che cos’è qualche cosa, è, per lo stesso motivo, una contraddizione in termini, perché la cosa non può rispondere in nessun modo…

 

Intervento: sarebbe come rispondere in un linguaggio non conosciuto. Quindi tutto è riconducibile all’uso del linguaggio (…) io facevo il parallelo due persone non si conoscono usano due linguaggi diversi per cui il discorso della realtà, al di là del delirio, può esserci una persona che non sta delirando non conosce cos’è una penna la crede un’altra cosa, nel senso che non è così banale come noi pensiamo…

 

Non solo, ma può spingersi ancora oltre, non solo due persone che non si conoscono, ma anche due persone che si conoscono. Questo è stato il problema particolare della linguistica, Jakobson si è interrogato su questo e cioè la persona parla, dice delle cose ma il ricevente di queste informazioni cosa riceve esattamente? Le stesse informazioni? Come lo sa? Ma ancora di più, la stessa persona che parla tra sé e sé, uno potrebbe dire “beh mi conosco, so quello che voglio dire”, ma provi a spiegare che cosa sta dicendo, incomincia ad aggiungere altre cose, poi dovrà spiegare queste altre e ne aggiungerà altre, è un po’ come il paradosso del dizionario, un buon dizionario quante parole contiene? Centosessantamila più o meno, se è buono, apparentemente è un sistema chiuso e non si esce da lì, però ogni parola rinvia ad altre parole, le quali parole rinviano ad altre per il loro significato e così via. È un circolo vizioso che a un certo punto ha termine, cioè si torna al punto di partenza, almeno apparentemente, però a quel punto, quando è tornato al punto di partenza di fatto non ha niente in più, ha soltanto percorso un giro immenso per tornare al punto di partenza, ma non ha trovato quello che cercava, e cioè il significato vero di una cosa, perché ogni parola la rinvia a un’altra all’infinito. Tutte queste cose sono abbastanza note nella filosofia del linguaggio, in parte nella logica, nella semiotica, nella linguistica, ma è solo la psicanalisi che le ha portate alle estreme conseguenze accorgendosi che tutto questo è in atto in ciascuno mentre parla, non è una teoria astratta fatta al solo scopo di divertirsi a passare una serata dilettevole, ma è in atto in ciascun momento in cui qualunque persona parla, e anche se non parla perché se non parla pensa e quindi è comunque in atto tutto questo ininterrottamente…

 

Intervento: voglio tornare al discorso della fanciullina di prima. Da quello che ho percepito si tratta di una situazione dove c’è la figlia e il papà però in un ambito più allargato tradizionale dove c’è anche la mamma… Questo tipo di meccanismo è strettamente legato alla fanciullina?

 

No, era un esempio, può anche essere il fanciullo è irrilevante…

 

Intervento: questa cosa è bivalente o papà ha ragione o torto, può essere mediata dal fatto che parlandone si possa dissuadere dal fatto che si sia immaginata (la fanciullina) che il papà è una figura negativa? Per evitare che la fantasia negativa possa incidere … qual è l’aiuto esterno che può o chiedere o ricevere…

 

Certo ho inteso, è ovvio che la fanciullina costruisce intorno al papà una sua fantasia che generalmente non ha nulla a che fare con quello che pensa il papà, l’ha costruita, ora lei chiede come intervenire, la difficoltà, rispetto a una domanda più che legittima che lei fa, è intendere perché la fanciullina ha costruito il papà in quel modo, cioè lo vede come una persona ostile anziché come una persona amorevole che le vuole bene eccetera, perché ha dovuto fare questo? Tenendo conto per esempio, che il papà invece le vuole un grandissimo bene mettiamo, cosa che può accadere benissimo, perché ha dovuto fare una cosa del genere? Nessuno l’ha costretta, e qui torniamo alla questione delle fantasie. Una fantasia viene costruita per mantenere generalmente una certezza che per qualche motivo si è acquisita, in questo caso la certezza è che il papà non sbaglia, e che io non sbaglio nel recepire il suo messaggio, è questo alla base di tutto, cioè la fanciullina deve pensare che le cose che lei pensa intorno al papà siano assolutamente vere, perché se solo le mettesse in dubbio magari la cosa incomincerebbe a spostarsi. Dunque deve mantenere la sua certezza, ma non è solo un bisogno della fanciullina, è un bisogno di chiunque. Facevo l’esempio della fanciulla ma può fare la stessa cosa riguardo alla partecipazione a un gruppo nutrito di persone, in fondo io penso che tutte queste persone abbiano ragione e quindi io sto con loro, ma di conseguenza tutti gli altri hanno torto: se ciò che io penso è vero, chiunque pensi altrimenti da me non pensa il vero, pensa errato. È una conseguenza logica banalissima; è per questo motivo che, per esempio, non c’è una religione che possa accogliere altre religioni, nonostante le apparenze. Se il mio dio è quello vero, il suo non può essere altrettanto vero, perché il mio a questo punto sarebbe messo in discussione, e io non posso farlo perché non posso pensare che il mio dio non sia fonte di verità assoluta e quindi se il suo è diverso allora è falso. È un’argomentazione molto semplice che tutti fanno per altro, per cui il modo di intervenire nel caso specifico della fanciullina è intendere perché la fanciullina è così aggrappata alle cose che lei ha costruite, alle sue fantasie. Ciò che fa una analisi è incominciare a mettere in movimento questa certezza assoluta, una certezza assoluta che poi Freud in alcuni saggi ha definita come psicosi, dicendo tra l’altro che il discorso normale è una cosa che è a metà fra la nevrosi e la psicosi. La psicosi è quel discorso che crede assolutamente nella verità delle cose che pensa, una certezza incrollabile, mentre il nevrotico mantiene qualche dubbio, c’è un movimento che gli consente di fare anche altri giochi mentre lo psicotico no, è inchiodato su quell’unico gioco perché per lui è diventata la cosa, non solo più importante, ma l’unica al mondo che abbia un valore. Dunque occorre sapere perché la fanciullina in questione è così fortemente aggrappata a questa idea e perché abbia costruita questa immagine del papà. Freud per esempio avrebbe potuto avanzare un’ipotesi, qui siamo in ambito totalmente freudiano, del primo Freud, di un desiderio incestuoso nei confronti del papà che non può in nessun modo, a causa della morale sessuale civile, essere neanche immaginata, neanche pensata lontanamente, questo pensiero comporta un rovesciamento e cioè “non sono io che lo amo ma è lui che mi odia”. Questo rovesciamento lo descrive molto bene in un suo saggio, rovesciamento che consente di mantenere una relazione con il desiderio “rimosso” senza il quale rovesciamento non sarebbe possibile, perché questo desiderio incestuoso prenderebbe il sopravvento e la cosa per la fanciullina non sarebbe più gestibile in nessun modo, in questo modo invece riesce a gestirla, con gli effetti che tutto questo comporta ovviamente, e cioè il papà mi odia quindi pensa che io sono incapace. A questo punto si innesta quella fantasia di cui dicevamo prima: se devo mantenere l’affetto che ho per il papà lui ha ragione, quindi lui è bravo, è buono e sa, se sa allora è vero che io sono incapace; oppure l’altra via, lì scatena la guerra al papà, e questo anche a seconda delle strutture dei discorsi in cui la persona si trova. Tutto questo è molto freudiano, certo è anche così, non solo ma anche, tutto ciò che Freud ha detto non è che non sia così ovviamente, è anche così ma non solo, perché la questione può essere considerata in termini più radicali ancora di come ha fatto Freud, certo ci sono delle fantasie incestuose, possono intervenire, ma non c’è solo questo, bene ci sono altri che vogliono aggiungere?

 

Intervento: parlando di discorso, lei diceva l’altra volta, del discorso isterico come di qualcosa che non verrà mai soddisfatto…

 

Sì ricordo, una caratteristica di questa struttura particolare. Dagli anni sessanta, settanta, non si è più parlato di isteria, di schizofrenia, di nevrosi ossessiva o di paranoia, ma di discorsi, discorso isterico e non più di isteria, certo sembra una cosa irrilevante, però sposta la cosa cioè l’isteria non è più uno statuto ontologico di qualcuno che sarebbe isterico, è un discorso che la persona può fare, ché è diverso. Comunque, nel discorso isterico l’idea è quella che il proprio desiderio sia sempre insoddisfatto da tutto, ciò che viene offerto non è quello. Supponiamo che una fanciulla si trovi in questo discorso, continua a chiedere cose, e l’altra persona immagina che la sua richiesta sia appunto reale, cioè che sia quella cosa lì che vuole, ma non era quello. Continuando a domandare sempre altre cose è come se indicasse che il suo desiderio fosse impossibile da soddisfare, come se fosse un desiderio fine a se stesso, ed è per questo che Lacan accostò la struttura del discorso isterico al discorso dell’analista, perché anche l’analista continua a domandare e non è mai soddisfatto in un certo senso delle risposte che vengono date, ma continua a insistere perché si dica ancora dell’altro e ancora, e ancora. Lacan ha scritto un saggio che si chiama appunto “Encore” che è la parola emblematica del discorso isterico, che domanda ancora, non basta mai. Se le capita può leggere quello che ha scritto Freud sull’isteria nel caso di Anna O, che è uno pseudonimo, in realtà si chiamava Bertha Pappenheim.

Grazie a ciascuno di voi e buona serata.