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IL CORPO E IL SUO PIACERE

 

Beatrice Dall’Ara

Luciano Faioni

 

23 ottobre 2003

 

Intervento di Beatrice Dall’Ara

 

Una domanda: potrebbe il mio corpo provare piacere se il piacere non fosse un concetto e in quanto concetto all’interno di una struttura linguistica, una struttura inferenziale? Come lo saprebbe il mio corpo che ciò prova, che ciò che sente è qualcosa che lo attrae se non potesse concluderlo cioè se non potesse inferirlo, se non potesse affermarlo? Del suo piacere non avrebbe conoscenza, non avendone conoscenza il suo piacere non esisterebbe. Cioè il piacere del mio corpo è dato dalla necessità che io possa inferire che provo piacere se non si dà questa necessità, se non c’è questa inferenza che utilizza anche il concetto di piacere il mio corpo non gode, né potrà mai godere. Il piacere del corpo è vincolato, nel senso che deve la sua esistenza alla struttura linguistica, senza linguaggio il corpo non può provare né piacere né dispiacere, senza linguaggio il corpo non dice e non dicendo non può neanche dirsi corpo, quali strumenti utilizzerebbe? È difficile considerare questa questione, è arduo trovandosi a parlare, avendo imparato a farlo senza poter decidere né quando, né come, trovandosi cioè linguaggio all’interno del linguaggio considerare l’unica certezza, l’unica verità, praticare l’unica certezza, l’unica verità e cioè che qualsiasi cosa questa è necessariamente e inesorabilmente un gioco linguistico. È arduo è difficile, ma non impossibile, è possibilissimo e non occorre andare al di là del principio di piacere, o al di là del bene o del male occorre praticarlo il piacere, il linguaggio lo ha messo e lo mette a nostra disposizione se vogliamo e cioè se giochiamo, se continuiamo a giocare se il gioco non preclude altri giochi, se possiamo considerare il gioco del piacere del corpo un gioco linguistico fra altri. Confrontandoci con il corpo e inserendolo là da dove non è mai uscito e cioè in una struttura linguistica non abbiamo poi fatto un gran ché, di fronte a un pacchetto di sigarette ciascuno sa benissimo che è un termine in uso nella lingua italiana, che rinvia alla sigaretta che è fatta di tabacco, che rinvia alla nicotina che è una sostanza chimica, ciascuno facilmente può trarre la conclusione che se va avanti inesorabilmente e inevitabilmente concluderà ad un altro elemento linguistico, non ha problemi ad accorgersi di questo e quindi può concludere facilmente che sono elementi linguistici ciò di cui si tratta come dire che di fronte ad un pacchetto di sigarette non ho grossi problemi a concludere che si tratta di elementi linguistici, pochi rinvii e non trovo la cosa, trovo sempre e soltanto basta che non mi stanchi un elemento linguistico ma di fronte alle regole di uno dei possibili giochi che compie la sigaretta per esempio quello che afferma che il fumo uccide, qui è più difficile quasi impossibile considerare che perché il fumo della sigaretta uccida occorre un sistema linguistico, occorre un sistema inferenziale, occorrono dei passaggi da un elemento linguistico ad un altro, senza questo, senza l’essenziale non potrei provare piacere né morire per il fumo della sigaretta, perché il fumo della sigaretta possa uccidere l’essenziale è che funzioni il linguaggio cioè che il linguaggio produca delle proposizioni, che affermi delle proposizioni e ciascuna volta che lo fa deve essere vero ciò che afferma se così non fosse ogni elemento resterebbe indeterminato, indifferenziato quindi non utilizzabile per trovare, per passare ad un altro elemento, qualsiasi elemento varrebbe come un altro e questo il linguaggio non lo può fare perché cesserebbe di esistere, questo è essenziale, perché il linguaggio per passare da un elemento ad un altro è necessario che ciascuna volta lo affermi e questo perché deve continuamente funzionare e funzionando produrre qualsiasi cosa, non importa come, non importa che cosa. Ma da dove trae le proposizioni vere che gli servono per continuare a girare, cioè per continuare a produrre proposizioni? Le trae dal suo sapere, dalla sua esperienza, le trae da ciò che questo sistema ha stabilito essere vero, le trae dalle proposizioni vere che deve utilizzare per continuare a girare, può mettere in gioco le sue verità un sistema linguistico? E perché dovrebbe farlo visto che funziona, visto che ha sempre funzionato, mettere in gioco le sue verità per una struttura linguistica è un non senso, non ci sono verità più vere di altre in una struttura che funziona, ci sono elementi utili al suo funzionamento e se non sono utili vengono scartati, non ci sono più. Ecco interessarsi al funzionamento a come funzionano degli elementi che costruiscono il discorso il proprio discorso perché abbiamo visto che senza discorso cioè senza la possibilità di concludere non c’è piacere e soprattutto non c’è un corpo che prova piacere, dolore, fame, sete, cosa importantissima per gli umani, umani che hanno un corpo, il corpo degli umani è la sostanza per definizione è la cosa più importante forse proprio perché è considerato una sostanza e quindi qualche cosa che si può toccare, che si può misurare e perciò si può vedere, qualcosa che esiste al di la del discorso che lo fa esistere ed essendo una sostanza può essere studiata, può essere sezionata, può essere mostrata, la difficoltà sta nel fare muovere questo corpo sta proprio in questo nel fare, nel trovare una soluzione al suo movimento, al suo essere tratto o attratto da qualcosa o da qualcuno. Per compiere questa operazione sono stati inventati, sono stati costruiti molti giochi da millenni a questa parte e ciascuno può raccontare quello che utilizza per lo più cioè quello a cui crede, in genere ci si affida alla natura, alla divina natura è naturale che un corpo muova e che cerchi un altro corpo, è naturale che parli anzi il corpo parla è il corpo il supporto del linguaggio se non ci fosse un corpo non ci sarebbe linguaggio. E questo afferma il luogo comune e questo affermano i sapienti, e questo affermano i governi, le istituzioni e questa è la menzogna, l’inganno colossale cui i parlanti sono presi non potendo considerare l’essenziale e cioè che sono parlanti, non lo possono perché continuamente distratti a rincorrere il piacere di un corpo che per esistere deve continuamente porsi all’osservazione, deve mostrarsi, deve esibirsi, deve inserirsi in una storia, in una storia di cui è artefice ed è l’unica storia che conosce, perché è la storia che gli procura tutte quelle sensazioni e quelle emozioni che gli sono peculiari per continuare a produrre linguaggio, a produrre linguaggio cioè a proseguire nell’unica direzione consentita dipende da quali fantasie utilizza o da quali sono le realtà che utilizza. Ripetere una storia per mostrarsi, per esibirsi per mostrare a sé di esistere, perché deve compiere questa operazione? Cosa gliene importa questo esibirsi se non il bisogno di confermarsi di esistere, il piacere di esistere ma perché ha bisogno di questa conferma? Quasi che l’esistere fosse reso dalla risposta che ne traggo, dagli effetti del mio mostrarmi, dagli effetti del mio agire, pur di confermare il mio agire, la mia potenza sono pronto a combattere, pronto a cacciarmi in tutti i guai possibili pur di essere importante, pur di esistere per qualcuno, pur di far sentire qualcuno importante in questo scambio di esistenza. Questa fantasia di abbandono, questa necessità di essere amato una delle fantasie che utilizza la sessualità femminile per imporre la sua potenza, la potenza di chi ha bisogno di mostrare la sostanza per sedurre e cioè per continuare ad affermare che ha ragione, che è vero, vero al di là della costruzione che mette in atto per ricominciare a parlare e quindi ad esistere. Questo è una delle storie che portano una persona ad intraprendere un percorso analitico, nel prosieguo avrà l’occasione se lo vorrà di intendere un’altra direzione e cioè di intendere come la sua esistenza /…/ corpo dagli istinti in qualche caso bestiali, infatti gli umani sono animali bipedi e contro gli istinti nulla può la parola, il corpo segue a leggi naturali contro le quali non c’è parola che tenga, questo è il luogo comune che lo afferma, l’istinto dell’uomo è quello di uccidere l’altro uomo e solo l’amore o la paura possono distoglierlo da questo obiettivo, da questo piacere quasi che questo piacere di uccidere sia legato indissolubilmente ad un piacere erotico, al piacere dell’erotismo allo stato puro, grezzo, come se per l’umano compiere un omicidio o compiere l’atto sessuale fossero la stessa cosa, e a questo si attengono e restringono sempre più le regole dei giochi per confermare questo. Tutti i governi e tutte le religioni insegnano e promuovono leggi a confermare l’istinto a confermare il potere il loro potere, la loro capacità di salvaguardare i corpi dalla distruzione. Il corpo è la sostanza ciò di cui è possibile la distruzione, anzi con la vita

 

Intervento di Luciano Faioni.

 

Come dire che se non ci fosse linguaggio allora non ci sarebbe neanche il corpo, come dire ancora che se non ci fosse linguaggio non ci sarebbe l’esistenza, poiché il considerare l’esistenza comporta inesorabilmente considerare l’eventualità che o l’esistenza esiste di per sé oppure esiste per qualcosa che la fa esistere. In ogni caso, qualunque cosa avrò inteso con questo significante “esistenza”, che cosa avrò fatto esattamente? Supponiamo che io definisca questo termine “esistenza”, dopo che l’ho definito che succede? O immagino che questo elemento, così come il corpo, così come qualunque altra cosa, sia fuori dal linguaggio in attesa di essere individuato, delimitato, conosciuto, oppure è un elemento che trae il senso che ha, che incontra, unicamente dal gioco linguistico in cui è inserito. Come diceva Beatrice prima, generalmente si suppone che questo elemento sia fuori dal linguaggio, per lo più si pensa così, però si può muovere almeno una considerazione, e cioè se fosse così effettivamente, cioè fuori dal linguaggio… Con linguaggio qui intendiamo semplicemente una struttura, esattamente quella struttura che mi sta consentendo di fare queste considerazioni o le sue contrarie, e senza la quale struttura non potrei né pensare quello che penso né dire quello che dico né il suo contrario, perché non lo potrei fare, non avrei nessuno strumento per farlo. Ora, dicevo che se questo elemento è pensato fuori dal linguaggio allora sorge un problema, se ci si riflette, e cioè come lo so, come so che è fuori dal linguaggio? È una domanda alla quale, almeno in ambito teorico, occorre rispondere perché in caso contrario diventa un atto di fede, cioè io credo che sia fuori dal linguaggio e bell’è fatto, così come credo alla Madonna o a qualunque altra cosa. Però, se ci si muove in ambito teorico ecco che sorge la necessità, ciascuna volta che si fa una affermazione, di doverla provare. Io affermo che questo è vero, benissimo, chiunque a questo punto domanderebbe “perché?”, come mai lo chiede? Come mai lo chiede anziché dare per buono o per vero qualunque cosa indiscriminatamente? Come mai? Anche questa è una domanda di qualche interesse, perché evidentemente utilizza un criterio, un criterio di verità, che lo sappia o no, e in base a questo criterio stabilirà se la cosa che dice o che ha ascoltato sarà vera oppure no. E questo criterio chi glielo ha fornito? Tante cose, ovviamente, le sue letture, le sue considerazioni, le sue riflessioni, però è possibile non fermarsi a questo e mettere in discussione le proprie acquisizioni, ripetendo questa stessa domanda “come lo so?” o se leggo di qualcuno “come lo sa?”.

Ora, dunque, se pongo un elemento fuori dal linguaggio, per tornare alla questione centrale, come lo so, in base a che cosa? Mentre posso affermare con assoluta certezza che qualunque elemento appartiene alla struttura linguistica, se invece suppongo che un elemento sia fuori dal linguaggio allora, come dicevamo, occorre che io possa anche provarlo e certamente in ambito teorico non è sufficiente che io dica che lo sento, che me lo hanno detto, che l’ho imparato, tutto questo non significa un granché, anche perché posso affermare il contrario tranquillamente.

Che cos’è una prova? Niente altro che un percorso che muovendo da un elemento giunge a un altro confermando il precedente ciascuna volta. Vedete, il linguaggio è una struttura particolare che non soltanto consente a ciascuno di compiere delle considerazioni, di domandarsi se una certa cosa è bella o brutta, se vera o falsa, se è buona o cattiva. Il più delle volte è come se si nascondesse mentre funziona e cioè non ci si accorge che tutto ciò che si sta facendo non è nient’altro che una sequenza di proposizioni, le quali proposizioni hanno come referente altre proposizioni. Come dire che mentre si parla, si discute, si considera, si decide, non ci si accorge minimamente di tutto ciò che consente questa struttura che chiamiamo linguaggio.

Ma la questione può essere portata ancora oltre, non è soltanto questa struttura che consente di fare questo ma è questa struttura che costruisce delle proposizioni che affermano una certa cosa, una volta che questa cosa è affermata allora per il parlante diventa vera. Ma cosa significa esattamente che diventa vera? Immagina che questa cosa abbia un’esistenza di per sé, al di fuori di quella struttura che l’ha prodotta. Come dire che in questo caso, anziché giocare il linguaggio se ne è giocati e allora si continuano a credere una quantità sterminata di cose, darle per vere e di conseguenza muoversi anche in relazione a questo. Il discorso occidentale ha sempre considerato il corpo un po’ come la matrice di qualunque cosa, la condizione di ciò che chiama percezione, non a caso dico che “chiama” percezione, perché la percezione, come qualunque altra cosa, non è un’entità che esiste lì da qualche parte. Quando parlo di percezione intendo qualche cosa, posso dire benissimo che cosa intendo, ma definendo questo termine “percezione”, di nuovo, come dicevo prima, che cosa ho fatto esattamente? Ho individuato qualche cosa che è al di fuori di questa struttura che chiamiamo linguaggio oppure, di nuovo, non è altro che una costruzione del linguaggio?

Il passo fondamentale, che stiamo proponendo da qualche tempo, è questo, cominciare ad accorgersi, anche se non è semplicissimo, che in ciascun atto qualunque cosa io decida, faccia, pensi, oppure non decida, non faccia, non pensi, tutto ciò è possibile perché esiste una struttura che me lo consente e questo non è del tutto marginale. È questa stessa struttura che mi consente di pensare la realtà, di definirla, di credere che sia una certa cosa oppure un’altra, di pensare che esista o che non esista, di dare alla nozione di esistenza un suo valore o significato. E quindi cosa comporta il cominciare ad accorgersi della presenza del linguaggio? Comporta che, per esempio, ciò che chiamo realtà è un elemento linguistico, è altro da questo? Sì, lo posso credere, lo posso credere perché il linguaggio mi consente di farlo. Posso provarlo? No, non lo posso fare, qualunque prova io ponga in essere, questa prova avrà come criterio ultimo esattamente quella struttura che chiamiamo linguaggio, perché è sempre con quella che io potrò costruire una prova, contro o a favore a seconda dei casi. Supponiamo che io voglia dimostrare che esiste un elemento che è fuori dal linguaggio, uno, uno solo, ne basta uno, bene, cosa dovrò fare per dimostrare questo, e cioè inficiare tutto ciò che sto affermando? Beh, dovrò costruire una prova, una dimostrazione, almeno questo. Benissimo, e con cosa la costruirò? Togliamo di mezzo il linguaggio, con cosa la costruisco? C’è questo sistema, che poi non è nient’altro che un sistema inferenziale, se proprio volete dirla tutta, con che cosa la costruisco, con cosa da un elemento inferisco un altro, con che cosa giungerò a una qualunque conclusione? Ciascuno di voi sa che la conclusione non nient’altro che quell’elemento che segue, attraverso certe regole, un altro elemento chiamato premessa; attraverso una serie di passaggi, che si suppone siano coerenti tra loro, giunge a questa conclusione, e cioè utilizza un sistema inferenziale, il linguaggio. Come dire che per dimostrare che un elemento è fuori dal linguaggio io sono costretto a usare il linguaggio, non ho altra scelta. Cosa comporta questo? La costruzione di un paradosso, come dire che posso dimostrare che esiste un elemento fuori dal linguaggio se e soltanto se non lo posso fare, con tutto ciò che questo comporta, ovviamente.

È una serie di considerazioni appena per dire della portata del linguaggio, come ciascuno di fatto esiste e vive perché c’è il linguaggio, in caso contrario non farebbe né l’una né l’altra cosa, non esisterebbe né vivrebbe, non avrebbe la possibilità di costruire un concetto di esistenza. A questo punto sarebbe possibile dire “beh, esisterebbe lo stesso”, che cosa significa a questo punto questa affermazione, al di fuori di un atto di fede? Non significa niente, perché, affinché significhi qualcosa, sono costretto a inserire questo elemento all’interno del linguaggio e potere considerare che fuori dal linguaggio la questione della mia esistenza o non esistenza non potrebbe considerarsi in nessun modo. Pertanto, sono costretto a vivere non soltanto nel linguaggio ma di linguaggio e, come dicevo prima, con tutte le conseguenze che possono trarsi e che sono sterminate, anche se non è sempre così semplice né accoglierle né accorgersene.

Che qualunque cosa questa è un elemento linguistico gioca all’interno del linguaggio. Torno a ripetere che il linguaggio non è nient’altro che una struttura, piuttosto semplice, fatta prevalentemente di un sistema inferenziale. Quando voi pensate, giungete a qualunque conclusione, quando considerate una qualunque cosa buona, cattiva, bella, brutta, concludete, cioè avete costruito un’argomentazione, come si suole dire. Un’argomentazione di che cosa è fatta? Certo, comunemente si suppone che il linguaggio non sia altro che un mezzo per descrivere cose che linguaggio non sono. Si può pensare qualunque cosa e il suo contrario, non è un problema, il problema sorge sempre quando si vuole provare ciò che si afferma, lì diventa tutto straordinariamente complicato, soprattutto quando per negare qualche cosa sono costretto a utilizzare ciò stesso che intendo negare. Questo rende le cose terribilmente complicate. Però lo si può credere, alla condizione di non porsi la questione o, se preferite, alla condizione di non pensare, allora è possibile credere qualunque cosa e il suo contrario, come è noto. Gli umani per lo più credono qualunque cosa e la facilità con cui questo avviene segue al fatto che tendenzialmente non si pone nessuna questione, le cose stanno così, è sempre stato così, si pensa così e bell’è fatto. In linea di massima non si va oltre questo, che però poi di fatto crea una quantità enorme di problemi: uno crede una certa cosa, quindi la crede vera, la crede reale, nell’accezione che dà lui a questo termine, e cioè qualche cosa che è necessariamente così, non può essere altrimenti, per cui se è così, per esempio, allora non può fare una certa cosa, può trovarsi per esempio paralizzato, per esempio, di fronte a una scelta, o può avere paura di qualche cosa. Certo, se immagino che ciò che mi fa paura sia qualche cosa che è posta lì, che poi in realtà è come se avesse un’esistenza magica: io credo che sia così, quindi per me è vero. Ecco allora che questa cosa mi fa paura ma potrei avere paura di qualche cosa che so non essere, per esempio, né vero né falso, che so non essere niente altro che una sequenza di proposizioni costruite dal linguaggio, dal gioco in cui mi trovo, da infiniti altri giochi che altri fanno, potrei averne paura? Sicuramente più improbabile. Si tratta allora, percorrendo questo cammino, non soltanto di cessare di avere paura di qualunque cosa ma di cessare di avere la possibilità di avere paura o, se preferite, di averne la necessità in alcuni casi, è diverso.

Infinite cose fa il linguaggio, come è noto dai tempi di Gorgia. La questione bizzarra è che è sotto gli occhi di tutti da sempre, però per una serie anche di buoni motivi si è preferito legarla a qualcosa di inverosimile, di assurdo, di strano, di bizzarro. Uno dei motivi fondamentali è che se le persone cessano di avere paura cessano anche di essere governabili e questo è un ottimo motivo perché le persone continuino ad avere paura. Cessano di credere a qualunque sciocchezza gli si proponi, altra cosa estremamente pericolosa per ciascuna istituzione. È un po’ uno dei motivi per cui alcuni antichi, noti come sofisti, venivano cacciati dalle città. Insegnavano anche questo, a cessare di credere qualunque cosa e pertanto erano assolutamente sgraditi. Però, si può anche incominciare a porre la questione.

Non si tratta di accogliere una teoria oppure un’altra, che può essere più o meno gradevole, più o meno divertente, più o meno bella, non si tratta di questo ma di interrogare ciò stesso su cui ciascuna teoria necessariamente si fonda. Alcuni ci sono andati molto vicino, come vi dicevo prima, qualunque cosa pensiate, qualunque teoria costruiate, utilizzerete comunque e sempre lo stesso strumento, anche perché non avete altre possibilità, utilizzerete un sistema inferenziale. Avete presente quell’inferenza banalissima, se A allora B, se un elemento allora quest’altro, con delle regole ovviamente, regole di costruzione, potete intenderle come le regole del poker, degli scacchi, impossibile giocare senza regole, cioè senza delle informazioni che vietino certe mosse consentendone certe altre. Dunque, una riflessione, quella che faceva Beatrice, intorno al corpo, che è una delle più ardue da considerare. Ciascuno, come suole dirsi, il proprio corpo lo sente, sente caldo, freddo, fame, ecc., sente tutte queste cose. Cosa dobbiamo quindi trarre da una considerazione del genere? Che il corpo è fuori dal linguaggio? Traiamola questa conclusione, ma ci troveremo di fronte a una serie di problemi che condurranno queste affermazioni a un punto tale che è straordinariamente prossimo alla magia. “Se mi succede qualcosa, se mi rompo qualcosa, sento male”, è una possibilità. Certo, io stabilisco una cosa del genere come posso stabilire che se mi cade dalle mani un bicchiere e si rompe, questo si fa male, chi impedisce di dire una cosa del genere? Nessuno, visto che sono io a stabilire tutto posso stabilire che gli umani sono esseri raziocinanti e qualunque altra cosa mi piaccia pensare, posso stabilire che qualunque cosa esiste di per sé, fuori dal linguaggio, e da lì, come la natura, governa ogni cosa, perché no?, posso anche stabilire che ciò che governa il tutto è un dio, è già stato fatto, non è neanche una grande novità. E insieme con questo stabilire, affermare, tutta una serie di cose, ma che cosa avrò fatto esattamente? È una domanda legittima visto che ci occupiamo in buona parte di teoria, ci troviamo interrogati da queste domande che inesorabilmente sorgono. Come dicevo prima, io definisco una certa cosa in un certo modo, cosa ho fatto a questo punto? Ho fatto una cosa che ha un certo interesse oppure no? Ho soltanto agganciate delle proposizioni che mi sono apparse coerenti con le premesse? Ho fatto qualcosa più di questo? Se sì, cosa? Se no rimane una infinità costruzione, sequenza di proposizioni costruite sulla base di regole. Queste regole non sono altro che ciò che mi consente ciascuna volta di giocare un gioco. Faccio un esempio banale, la dimostrazione matematica è un gioco, una dichiarazione d’amore è un gioco, con regole diverse ovviamente, provate a fare una dichiarazione d’amore con un sistema matematico, funziona malissimo. Sono entrambi dei giochi ma con regole diverse. Comprare un chilo di pane è un gioco con delle regole ben precise. Potete considerare quella che comunemente si chiama esistenza degli umani come la risultante di una serie notevolissima di giochi linguistici che vengono in buona parte insegnati, ai quali ciascuno si attiene perché ci si attengono tutti. Se tutti quanti a un certo punto si mettono un cappellino blu in testa ecco che magari penso, me lo metto anch’io. Però, non è un gran criterio.

Magari se intanto c’è qualche questione, possiamo avviare il dibattito, io sono disponibile a rispondere a qualunque domanda.

Intervento: …

Da che cosa viene la paura? Occorre che ci sia innanzitutto un elemento fondamentale per avere paura, e cioè prima di tutto che io sia assolutamente convinto che quell’elemento, quell’oggetto, quella cosa che mi fa paura, esista, ci sia da qualche parte. Fin qui non c’è nessun problema. Dopodiché ci deve essere un’altra inferenza, e cioè se avviene questa cosa allora sono in pericolo. E poi un altro elemento ancora, se sono in pericolo allora la mia esistenza è minacciata, se la mia esistenza è minacciata allora succederà qualche cosa che io non desidero, e così via. La paura è una costruzione, è una serie di cose che noi chiamiamo in questo modo. Certe volte piace provare paura, la si cerca, perché produce una forte emozione e questo è sempre gradito perché insieme alla forte emozione compaiono altre cose, altri pensieri, altre immagini, altre cose da pensare, da costruire, ecc.

Vi siete mai trovati a considerare la possibilità di vivere di linguaggio e nient’altro?

Intervento: …

Qualunque cosa sia costruibile è costruita dal linguaggio, non può uscirne.

Intervento: …

La difficoltà talvolta sta nel cogliere le implicazioni di una cosa del genere, cioè potere considerare per esempio che se una fanciulla viene abbandonata dal suo ragazzo questo rientra in un gioco linguistico, nient’altro che questo. Questo magari è più complicato. Voglio dire che ci sono delle situazioni in cui tenere conto del linguaggio, del gioco che in quel momento sta facendo, è complicato, possiamo dire che è sempre all’interno della struttura del linguaggio. Una tragedia, per esempio, spesso è ricercata, come si sa, ci sono persone che amano mettersi nei guai, per esempio, perché il trovarsi nei guai dà un sacco da fare, da pensare, da disperarsi, da agitarsi, ecc., cioè dà da fare che cosa esattamente? Costruire altre proposizioni. È come se il linguaggio, di fatto, non avesse nessun altro obiettivo se non proseguire se stesso. Che una persona costruisca proposizioni che mirino alla gioia, alla felicità, oppure alla disperazione, alla tragedia, ecc., per il linguaggio è esattamente la stessa cosa, ché comunque sta funzionando. Può considerarlo, facendo un’allegoria, come una sorta di sistema operativo, che funziona comunque, non importa che cosa costruisca, l’importante è che costruisca proposizioni. Il suo obiettivo è soltanto quello. E in effetti, se lei ci pensa bene, quale scopo potremmo attribuire al linguaggio, senza abbandonare il pensiero che queste considerazioni che stiamo facendo è il linguaggio che ci consente di farle? Se lei prova a considerare quale scopo, tiene conto che questa domanda è sempre all’interno della stessa struttura, giungerà a concludere che l’unico scopo del linguaggio è proseguire se stesso, cioè costruire proposizioni, è una cosa che non può non fare, tant’è che continua comunque sempre. Con delle varianti, certamente; in effetti, una situazione tragica offre a questa struttura una vasta opportunità di costruire proposizioni. Si è mai chiesta perché gli umani detestano essere felici, pur cercando di esserlo continuamente? Si comportano così, generalmente: hanno un problema, si affannano tantissimo fino a che lo risolvono, finalmente non c’è più nessun problema, e adesso che faccio? Ecco che i più si creano un problema, lo costruiscono, o ne trovano uno sotto mano, e c’è sempre qualcuno peraltro che glielo fornisce, se invece nessuno glielo fornisce allora lo produce letteralmente. È la stessa cosa che accade quando una persona non ha niente da fare, una volta i vecchi psicanalisti la chiamavano la “nevrosi della domenica”, uno è lì di domenica, non ha niente da fare, ecco che allora comincia a pensare, ma a che cosa pensa? Sempre a cosacce, chissà per quale motivo?, sempre brutte cose. Le brutte cose, come già sapevano gli antichi, in fondo la tragedia viene da lì, è quella che attrae maggiormente l’attenzione, una persona che sta male attrae più attenzione di una che sta benissimo. Lei incontra un tale, le chiede come sta e lui risponde “benissimo” ed è finita lì. Se invece la stessa persona le risponde “sto malissimo, sapessi cosa mi è successo” ecco che allora comincia a parlare. Nel primo caso non c’è nessuna possibilità di parlare, nel secondo sì, tantissimo. Sarà per questo che gli umani si costruiscono tragedie? È una possibilità, forse in alcuni casi funziona proprio così, come se non potessero non farlo, gli umani, cioè il linguaggio, il linguaggio non può fermarsi mai né può uscire da se stesso, non può farlo. È l’unica cosa che non può fare, uscire da sé, tutto il resto non ha nessun problema.

Dunque, proseguire, proseguire sempre e comunque, proseguire anche producendo proposizioni che affermano che quando sarò morto non parlerò più e quindi non ci sarà più linguaggio. Comunque anche in questo caso ho continuato a produrre proposizioni, anche chiedendomi cosa avverrà dopo, prima, durante, poco importa. L’unica cosa che funziona sempre, ventiquattro ore su ventiquattro, è il linguaggio, non si ferma mai. Gli umani, che non sono nient’altro che questo, non possono che muoversi lungo questo andamento, che non è altro che la sua struttura. Perché cercano la verità, se lo è mai chiesto? Come dicevo all’inizio, perché quando uno afferma qualcosa l’altro gli chiede perché? Come mai? E non è solo da oggi. È perché cercano la verità, questa cosa ultima, così importante.

Il linguaggio non si ferma ma per funzionare deve costruire proposizioni che siano vere. Cosa vuol dire che siano vere? Che consentano di proseguire, semplicemente, ossia, se è vero posso andare avanti, se è falso no. Un po’ come funziona un computer. Chiunque, di fronte a una cosa che si accorge essere falsa, di lì non può andare avanti, non lo può fare in nessun modo.

Intervento:….

Questo è un altro discorso. Lei consideri per il momento soltanto la struttura, poi certo ci sono infinite cose che intervengono, consideri solo la sua struttura, il funzionamento di questo sistema operativo, che funziona così: se può andare avanti da una parte chiama quella direzione vera, in caso contrario la chiama falsa. Che cosa significa che sia vero? Ovviamente, è vero rispetto a delle regole, per stabilire che è vero devo utilizzare un criterio, il criterio non è altro che il potere costruire una proposizione che è coerente con quella che la precede. Quando è costruita una proposizione vera allora prosegue, se no non può andare avanti, come di fronte a un paradosso, ricorda Epimenide e gli antichi?, cioè una proposizione che afferma di sé di essere vera se e soltanto se non lo è, a questo punto il discorso si blocca, non c’è soluzione. Certo, ci sono soluzioni, come la teoria dei tipi, ma non sono una soluzione in quanto tale, semplicemente spostano la questione. È come se io,per indicare una direzione, indicassi due direzioni diametralmente opposte, questa informazione è assolutamente inutilizzabile, falsa, e quindi non utilizzabile dal linguaggio, quella vera è utilizzabile e di lì può andare avanti. Pertanto, il linguaggio deve costruire proposizioni vere e pertanto ciascuno cerca di sapere qual è la verità, perché senza accorgersene è soltanto da lì che può proseguire, cioè può costruire altre proposizioni, che è esattamente ciò che non può non fare. Se invece è falso di lì non può andare avanti e quindi cercherà altre proposizioni. Tutto qui.

Intervento: Questa centralità del linguaggio a che cosa è funzionale?

Non è funzionale a niente, in realtà, è semplicemente una costrizione logica, come dire, non può essere altrimenti che così.

Intervento: …

Lo considero così come lo considero perché ci ho riflettuto. Ho considerato che, in assenza del linguaggio, allora io non potrei sapere di esistere, non potrei sapere nulla, non potrei pensare nulla né concludere nulla e il suo contrario. Lei provi a pensare senza il linguaggio, senza un sistema inferenziale, può farlo, può pensare, con che cosa?

Intervento: …

Con linguaggio intendo esattamente questo, un sistema, quindi un insieme di elementi interdipendenti tra loro, questi elementi sono: un principio di identità, di vecchia data, e cioè occorre che ciascun elemento sia possibile individuarlo, pertanto distinguerlo da qualunque altro; un sistema inferenziale, la possibilità di inferire un elemento da un altro elemento. Con questo mattoncino Lei può costruire qualunque cosa, è esattamente questo che intendo con linguaggio. Se vuole farla brevissima, il linguaggio non è niente altro che ciò che le consente di porsi questa domanda “che cos’è il linguaggio?”, questa come qualunque altra. È una struttura, molto semplicemente. Quindi, nulla a che fare con la distinzione tra verbale e non verbale, ecc., è la struttura che è la condizione per potere pensare qualunque cosa e il suo contrario, non ha nessuna importanza.

Intervento: …

Tenendo conto, come dicevo prima, che queste considerazioni è sempre il linguaggio che ci consente di farle, al di là di questo ciò che Lei dice che non è consapevole in effetti segue una condotta o, come insegna la psicanalisi, il lapsus per esempio, la dimenticanza, ecc. Lei sa che tutto questo non è casuale, segue un andamento che è consequenziale a qualche cos’altro. Il fatto che sia consequenziale lo inserisce all’interno di un sistema inferenziale senza il quale non c’è nessuna conseguenza, ciascun elemento sarebbe completamente disgiunto da qualunque altro e quindi non è individuabile, non è coglibile, non è pensabile. Ecco che allora ci si può accorgere, come diceva Freud, che un lapsus segue a tutta una serie di considerazioni per cui se casualmente distruggo una statuetta posso considerare che magari la persona che me l’ha regalata mi è diventata antipatica, questo per dire delle banalità. Ma segue anche ciò di cui non sono consapevole e in ogni caso sarebbe interessante sapere perché non sono consapevole, magari potrei esserlo. È come se in alcuni casi non si dovesse sapere cose che in realtà si sanno, però intervengono altre considerazioni che, per esempio, barrano l’accesso a tutta una serie di pensieri, ma tutto questo avviene e può avvenire soltanto all’interno di un sistema inferenziale, cioè ciascun elemento è consequenziale ad altro. In ogni caso tenga presente che Lei può sì immaginare che qualcosa esista fuori dal linguaggio ma che è sempre lui che le sta consentendo di fare questa considerazione, da lì non esce, non c’è nessuna possibilità. Come dicevo prima, anche il considerare che anche un solo elemento è fuori dal linguaggio mi costringe per poterlo provare a utilizzare ciò stesso che intendo negare. Ora, se qualunque considerazione che Lei fa, per esempio affermare che qualche cosa è inconsapevole e quindi che è extralinguistico, questa affermazione che Lei ha fatto, oltre che essere fatta di linguaggio, come sappiamo, che cosa significa esattamente, che cosa vuol dire? Vuol dire qualcosa o vuol dire nulla? Vuole dire qualcosa ovviamente, cioè significa. Da qualunque parte Lei si giri troverà sempre il linguaggio, un sistema inferenziale, questioni di senso, di significato, di rinvii, nient’altro che questo, sempre, continuamente, qualunque cosa pensi e il suo contrario.

È questa la portata dei sofisti, è un gesto inaugurato dai sofisti che forse è interessante riprendere.

Intervento: ….

Ho detto poco fa cosa intendo con linguaggio, una struttura fatta di procedure e di un sistema inferenziale. Un sistema inferenziale, se A allora B. Senza questo mattoncino non c’è la possibilità di pensare a niente. È ciò che connette un elemento linguistico a un altro, il linguaggio funziona così, attraverso la connessione di elementi linguistici.

Intervento: …

È una possibilità, ciò nondimeno è una costrizione logica. Vede, è qualcosa a cui si conduce il pensiero quando incomincia a porsi delle domande intorno alle condizioni di se stesso, gli antichi la chiamavano teoresi. Quando costruisco una teoria io penso, ovviamente, e cioè costruisco questo pensiero, qualunque esso sia, in un certo modo. Quali sono le condizioni per potere pensare, per potere affermare qualunque cosa? A me era parsa una buona domanda, le condizioni, senza le quali io non potrei pormi nessuna domanda, fare nessuna affermazione, né a favore né contro qualunque cosa. E allora si considera delle condizioni, beh, sì, certo, teorie ce ne sono quante ne vogliamo e allora si cominciano a considerale le varie teorie, una, dieci, cento. Si comincia a considera da dove ciascuna teoria muove, muove da un elemento ovviamente, da qualcosa che dà per acquisito, ma se ci si muove con una certa attenzione ci si accorge che c’è sempre qualche che è dato così per buono senza che sia provato, così come l’esperienza per esempio, che è data per buona senza che sia provata la sua assoluta veridicità, cioè la necessità di utilizzare l’esperienza come criterio di prova per esempio. I logici si sono avvicinati, alcuni tra i più attenti come Wittgenstein, il quale diceva che dopo che avremo provato qualcosa, qualunque cosa, cosa avremmo fatto esattamente? Nient’altro che il potere compiacersi di avere eseguito correttamente il compito che ci siamo prefissati con delle regole prefissate, cioè abbiamo seguito delle procedure stabilite. Non abbiamo fatto nient’altro che questo. E allora, le condizioni per potere pensare da dove arrivano, di che cosa sono fatte? E poi, andando avanti lungo questo pensiero chiaramente c’è l’eventualità di accogliere delle proposizioni come vere per procedere lungo una teoria. Bene, le accogliamo come vere, ma in base a quale criterio? C’è il rischio di una sorta di regressio ad infinitum senza potere arrestarsi mai. A meno che io non consideri ciò che di fatto sta avvenendo qui mentre mi sto chiedendo quali sono le condizioni per potere pensare. E allora ci si accorge che erano lì, proprio sotto gli occhi…. È una struttura che mi consente di concludere da un elemento a un altro attraverso certe regole, cioè attraverso certi meccanismi di esclusione per cui, in ambito teoretico per esempio, escludo delle conclusioni squinternate. Se il linguaggio è la condizione di qualunque cosa allora quel registratore è fatto di marmellata: questa conclusione è esclusa dal gioco che sto facendo, non è consentita, e cioè considera che per pensare questo, cioè ciò stesso che sto pensando, mi occorrono delle regole, per cui alcune affermazioni, alcune conclusioni, vengono escluse e altre accolte, in base a che cosa, quali criterio utilizzerò? Mi è parso una buona utilizzare quello stesso strumento che mi consente di pensare, però, per utilizzarlo come criterio verofunzionale occorre intendere come funziona. Come funziona? Beh, lo spiegato prima, è un sistema inferenziale con delle regole di esclusione, come qualunque altro gioco, alcune mosse sono consentite altre no. Diceva de Saussure che nel linguaggio non vi sono che differenze, elementi linguistici distinguibili e differenziabili tra loro. Questo è fondamentale perché se solo una parola significassi simultaneamente tutte le altre io cesserei di parlare, non potrei più parlare, si fermerebbe tutto. Occorre quindi che sia possibile distinguere. Accorgendomi che riflettendo intorno al linguaggio sto utilizzando ciò stesso su cui sto riflettendo, mi sono chiesto se era possibile riflettere utilizzando un altro strumento. È stato un problema perché qualunque altro criterio io avessi inventato comunque avrei sempre utilizzato il linguaggio e allora perché non attenersi al linguaggio visto che è il criterio fondamentale. E poi mi chiesi anche se era possibile uscire dal linguaggio, e di nuovo tornai a domandarmi con che cosa. Ecco perché giunsi alla conclusione che affermare “qualunque cosa è un elemento linguistico” non è il risultato di una teoria, è una costrizione logica, come dire che se non fosse così né questa affermazione né qualunque altra potrebbe darsi, esistere. Ecco perché ho posto questa, come dice Lei, centralità del linguaggio, non ho potuto fare differentemente, nonostante ci abbia provato, per anni ho cercato di smontare questa posizione. Se qualcuno riesce a farlo… non è che ci sia particolarmente legato, però non ne ho trovato di migliori, di più potenti. Oggi si parla di pensiero debole, beh questo è il pensiero più potente che si riesca ad immaginare, è qualcosa che può affermare con assoluta certezza ciò che gli umani cercano da sempre, la verità, e cioè qualcosa che è necessario che sia, che non può non essere, perché se non fosse allora né questa né qualunque altra cosa sarebbe. La verità è che qualunque cosa è necessariamente un elemento linguistico. Non è negabile in nessun modo, perché per negarlo devo utilizzare ciò stesso che voglio negare e questo il linguaggio lo vieta, è una formulazione paradossale, quindi non può farsi. Perché non può farsi? Per lo stesso motivo per cui ciascuno dei presenti non crede qualunque cosa che sa essere falsa, perché non la crede? Per una questione grammaticale, linguistica, non può credere vero ciò che sa essere falso, può mentire ma questo è un altro discorso, ma non lo può fare, il linguaggio glielo vieta.