DIO E IL LINGUAGGIO
22 febbraio 2000
Questa sera come abbiamo stabilito il titolo è: Dio e il linguaggio. Un titolo un po’ folcloristico però ci serve per approcciare una questione tutt’altro che semplice, l’altra volta abbiamo accennato ad alcune questioni logiche che ci hanno condotti in effetti alla questione religiosa, intendere di cosa si tratta e come funziona. Dunque la questione religiosa intesa qui in accezione molto ampia ovviamente, non ci riferiamo a delle dottrine in particolare, né ai monoteismi né ai politeismi, sapete che i monoteismi sono tre: il cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo, però non ci interessano adesso, dunque in accezione molto ampia, vale a dire, come già abbiamo accennato la volta scorsa, intendiamo con discorso religioso qualunque discorso che si fondi sulla supposizione che si dia un qualunque elemento fuori dal linguaggio, adesso vedremo meglio come funziona perché il discorso religioso ha una struttura che è particolare, è una struttura anche logica per qualche verso, se considerate infatti, per esempio, ciascuno di voi da piccolino sarà andato a prendere lezioni di catechismo, e lì vi hanno insegnato delle cose e soprattutto ad una certa domanda cioè "chi ci ha creati?" la risposta era dio. Giusto? Esatto. Ora vi invito a riflettere non tanto sulla risposta ma sulla domanda, questa domanda presuppone tutta una serie di questioni tutt’altro che semplici sulla quale si fonda buona parte del discorso occidentale, domanda che può essere riassunta molto semplicemente in questo modo, se si dà un effetto allora necessariamente c’è una causa, così funziona il discorso occidentale, ora chiaramente addestrando le persone a pensare in questo modo cioè che se c’è qualcuno allora qualcun altro lo ha creato, si struttura un modo di pensare sul quale poi si costruirà tutta l’esistenza della persona però se ci riflettete bene questa domanda è almeno capziosa in quanto presuppone che se c’è qualcuno… dà per acquisito che se c’è qualcuno allora un altro lo ha creato, cosa che potrebbe non essere così automatica. Il rapporto causa effetto, di cui vi dicevo, in effetti non ha nessun fondamento logico, intendo dire che non è provabile in nessun modo è soltanto una regola grammaticale, come dire che ha un senso unicamente all’interno di una struttura che è quella del linguaggio, esattamente come se dico "dopo" per esempio alludo all’eventualità di un "prima" che nulla ha a che fare con questioni ontologiche intorno al tempo, ma semplicemente con delle strutture grammaticali. Questione non semplicissima da intendere però tant’è che questa idea che se c’è un effetto allora ci sarà una causa, comporta soltanto e unicamente una sorta di procedura del linguaggio, le procedure sono quegli elementi che fanno funzionare il linguaggio e senza i quali non funziona, abbiamo evocato già tempo fa alcune procedure fondamentali, quelle che già Aristotele aveva intraviste, forse la volta scorsa abbiamo accennato per esempio a uno dei tre principi, che Aristotele pose come principi, ma in realtà non sono altro che procedure attraverso le quali il linguaggio funziona, pensate al principio del terzo escluso, che si enuncia logicamente con A oppure non A, non si dà una terza possibilità, questa procedura linguistica, per poco ci pensiate è una delle procedure che fanno funzionare il linguaggio, se non ci fosse questa procedura allora qualunque elemento linguistico sarebbe qualunque altro, il che comporterebbe l’impossibilità di utilizzare il linguaggio e pertanto l’impossibilità di pensare e per questo l’indicavo come procedura e cioè uno di quegli elementi che fanno funzionare il linguaggio, se il linguaggio non funziona voi non pensate, perché con che cosa pensate? Allora la stessa supposizione che dato un effetto si dia una causa potremmo considerarla un aspetto di una procedura linguistica, che fa funzionare il linguaggio e lo fa funzionare attraverso quella forma che è nota come implicazione, implicazione che è una cosa che funziona nel linguaggio e dice che se A allora B, per esempio "se piove allora prendo l’ombrello" questa è un’implicazione cioè se si dà un antecedente allora si dà un conseguente e viceversa, però sono regole logiche e quindi linguaggio, che come dicevo prima fanno funzionare il linguaggio, nient’altro che questo e cioè ancora affermare quindi che se c’è un effetto allora c’è una causa non è altro che enunciare una delle regole del linguaggio, ché il linguaggio funziona così; torniamo alla domanda "chi ci ha creati?" ecco a questo punto, come dicevo, non è tanto la risposta che ci interessa ma la domanda, perché questa domanda pone la relazione causa-effetto non come una procedura linguistica ma come un dato di fatto, un fatto naturale potremmo quasi dire, per cui, torno a ripetere, se c’è qualcuno allora qualcun altro lo ha creato, sarebbe sufficiente che voi vi chiedeste perché dovrebbe essere così automatico? Ovviamente non lo è, però il discorso occidentale è retto e quindi il discorso religioso da questa supposizione che questa relazione tra causa ed effetto sia naturale e non una regola del linguaggio. Su questo semplice fatto si sostiene ogni possibilità di pensare religioso, togliete questo elemento e crolla qualunque possibilità di pensare in termini religiosi, religiosi nell’accezione che indicavo prima, perché in questo caso il discorso religioso pone questa relazione fuori dal linguaggio ovviamente e cioè come un dato necessario come un dato naturale, sarebbe come pensare che il fatto che esista un soggetto, un verbo, un complemento ecc. … sia un fatto naturale, qualcosa di ineluttabile, qui già molti sarebbero propensi a pensare che forse non lo è, ché sono elementi linguistici, per esempio esiste il complemento di moto a luogo, taluni sono concordi nel pensare che non siano un fatto naturale ma semplicemente una regola del linguaggio, la questione è che non soltanto queste sono regole del linguaggio ma molte altre cose che non si pensa affatto che lo siano, così come il rapporto causa-effetto, allora dunque questo modo di pensare religioso che è sicuramente molto antico, ma non per questo più attendibile, è un modo in cui si pensa generalmente e che porta inesorabilmente ad un'altra serie di considerazioni , cui già abbiamo accennato la volta scorsa ma che riprendiamo, 0 la questione per esempio del dato di fatto come la realtà. Che cos’è la realtà nel luogo comune? È ciò che è vero, ciò che è necessariamente vero, tant’è che quando qualcuno chiede: è vero oppure no? Si intende generalmente una cosa reale oppure no? Ciò che è reale è vero, ciò che non è reale non è vero, è aleatorio, fittizio, ingannevole, e dunque questa nozione di realtà, come verità ovviamente ha degli effetti nel pensiero e quindi anche nell’azione, se io ritengo che una certa cosa sia la realtà, ritengo che sia necessariamente vera, se è necessariamente vera, per esempio, questa necessità diventa costrittiva anche per altri, non è più come generalmente si dice, così come "captatio benevolentiæ" una mia opinione e no, la realtà non è una mia opinione anche se magari dico, come si suole dire "io la penso così"… se ciò che penso, penso anche che sia la realtà delle cose, questo mi indurrà inesorabilmente a comportarmi di conseguenza, pertanto se io penso una certa cosa e penso che sia la realtà delle cose allora chi non pensa come me, erra e come si diceva tempo fa va educato o punito a seconda dei casi. Pensate ad un evento tra i più naturali, dico naturale perché esiste da quando esiste l’uomo, ed è prodotto dall’uomo che è un elemento naturale, anche la donna inesorabilmente, tutti i prodotti della natura, la guerra…. è un fatto naturale, prodotta da elementi della natura contro altri elementi della natura, la guerra è uno scontro di opinioni, cioè di realtà, con tutto ciò che ne segue, ma non soltanto le guerre ovviamente, cose di minori dimensioni, non è causale che dal medioevo in poi tutte le guerre siano state apertamente e dichiaratamente guerre di religione, occorre riflettere sul fatto che ciascuna guerra sia necessariamente una guerra di religione, cioè una guerra di verità contro verità, per cui si sarebbe indotti a pensare che senza religione non ci sia guerra, parrebbe…..affermazione che può apparire curiosa dal momento che come sapete ciascuna religione invoca la pace, generalmente non tutte ma qualcuna, però questa pace è sempre messa in atto, ovviamente, eliminando ciò che impedisce la pace, da sempre, da quando esistono le guerre ciascuna guerra è sempre l’ultima, cioè viene fatta perché non ci siano più guerre, questo dalla guerra di Troia, forse anche da prima, allora dunque questo significante dio che poi ha preso il posto di infinite cose e infinite cose prendono il suo posto non è altro che una sorta di necessità retorica, la necessità cioè di stabilire un qualche cosa che garantisca che esista una verità, una realtà, magari non presente, non evidente come fa il discorso scientifico, però c’è ed è da raggiungere, se la raggiungeremo… per il momento ancora non c’è però come dicono …."stiamo lavorando per voi"…ecco una necessità retorica dunque di trovare quell’elemento che soddisfi l’impossibilità di gestire il linguaggio. Gestire il linguaggio, immaginare qualcosa o qualcuno che garantisca che c’è un elemento che è padrone di tutto, ci sono buono motivi per pensare una cosa del genere, motivi fantasmatici però, sia come sia, però così funziona, funzionando in questo modo ciò che importa in una società, in una istituzione, non è tanto che le persone apprendano delle cose anzi non è affatto necessario che sappiano molto, tecnicamente sì certo, però non è affatto necessario che si pongano molte domande, meno se ne pongono e meglio è, l’importante è che credano alcune cose, una fra queste, può apparire così banale, è appunto che se c’è un effetto allora c’è necessariamente una causa, per cui credono una cosa del genere come un dato di fatto, un evento naturale e non una procedura del linguaggio, una regola grammaticale. Porre l’accostamento fra dio e il linguaggio, dicevo prima, è un titolo un po’ folcloristico però in effetti questa esigenza retorica di cui dicevo di supporre un qualcuno o un qualche cosa, che può benissimo essere una verità scientifica intendiamoci bene, una verità politica, una verità sociale, qualunque cosa non ha nessuna importanza, che lo si chiami dio o Allah o Peppino non cambia niente importante è che come si va dicendo negli ultimi anni ci siano questi valori a cui la gente crede, senza questi valori non è possibile ammazzarsi l’un l’altro, ci vuole un credo molto forte da difendere, pensate all’eventualità che ciascuno non abbia nulla da difendere, è improbabile sia che aggredisca, sia che difenda qualcosa, e non ha neanche da aggredire ovviamente, pare che l’aggressione avvenga sempre per difendere qualcosa dall’onore fino al potere economico, politico, a seconda dei casi, ma c’è sempre qualcosa da difendere, ci si ritiene minacciati, pensate invece all’eventualità che non ci sia nulla da difendere, chi aggredire e perché? Non ci sarebbe più questo evento naturale noto come guerra. Pare che tutto ciò sia stato costruito, tutto ciò che funziona fra gli umani… (….) ecco dicevo se pensate al discorso occidentale è una costruzione straordinaria, enorme, faraonica, di proporzioni bibliche fondata su niente, come spesso accade, fondata su affermazioni, su proposizioni, che hanno la stessa consistenza di Cappuccetto Rosso, nulla contro Cappuccetto Rosso …ma non utilizzerei Cappuccetto Rosso per indirizzare la mia esistenza…ecco dicevo la stessa consistenza, la stessa provabilità, certo si può credere anche a Cappuccetto Rosso, perché no? Però non porta molto lontano, ed è un aspetto curioso, in effetti il fatto di credere in una qualunque cosa non ha importanza in che cosa, perché appare che nel discorso degli umani questa credenza è come se fosse inesorabile ma lo è in buona parte per come si viene addestrati all’uso del linguaggio e cioè come l’uso di uno strumento che serve ad indicare, a esprimere cose che con il linguaggio non hanno niente a che fare, questa è la struttura del discorso religioso. L’affermazione che dice il linguaggio è una cosa e la realtà è un’altra è il fondamento del pensiero religioso, senza un’affermazione del genere non c’è religiosità di nessun tipo. Mi rendo conto che ciò che sto dicendo è piuttosto insolito ma tant’è…. sono considerazioni che se si capita di considerare, che giungono inesorabili, che cos’è la realtà? Esattamente ciò che io penso che sia, né più, né meno. Una mia fisima, quello che io decido di volta in volta che sia, e in effetti cambia, cambia con le usanze, cambia con i costumi, cambia con le mode, cambia e anche abbastanza rapidamente, però chiaramente ciascuno che si trova a nascere in questo pianeta viene addestrato in un certo modo perché tutte le persone che lo circondano sono addestrate in un certo modo, così come avviene naturalmente e quindi è inesorabile trovarsi a pensare che il linguaggio non sia altro che quello strumento che serve a descrivere, a illustrare, a comunicare informazioni che sono fuori dal linguaggio, solo che mettersi a considerare con attenzione una cosa del genere comporta giungere inesorabilmente a considerare che qualunque cosa io immagini fuori dal linguaggio, propriamente posso considerarlo solo attraverso il linguaggio e poi considerare quali implicazioni ha una cosa del genere, ecco che allora vi trovate a riflettere su queste stesse cose su cui vi sto invitando a riflettere questa sera e cioè che la religione cioè il modo di pensare particolare non ha a che fare tanto con la chiesa cattolica o qualunque altra chiesa ma con un modo di porsi nei confronti del linguaggio, con tutto ciò che questo comporta ovviamente, abbiamo detto della guerra ma è soltanto uno degli elementi più marginali, tutto un modo di pensare, tutto ciò che è costruito da voi, dal vostro pensiero va in questa direzione. Potete immaginare anche, facevo questo discorso agli amici la settimana scorsa, a questo modo di pensare che indicavo come discorso religioso, possiamo anche dargli un nome se volete, ma è abbastanza prossimo comunque a una forma di religione, come una sorta di virus, avete presente i computer? Ogni tanto entrano dei virus, questi virus impediscono l’accesso per esempio a dei programmi, impediscono di fare, di compiere delle operazioni, il discorso religioso fa esattamente la stessa cosa impedisce di compiere una operazione che è quella di considerare che qualunque affermazione, che qualunque proposizione, che in definitiva qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico e non c’è via di uscita, se voi impedite l’accesso ad una cosa del genere ecco che si installa il discorso religioso, molto semplicemente. Tutto ciò è molto semplice da intendere e risulta come già dicevamo la volta scorsa molto difficile da praticare, talmente semplice che in alcuni casi risulta arduo da porre in atto, perché ciascuno è addestrato e non a caso utilizzo questo termine, addestrato, a pensare le cose in un certo modo, a vederle in un certo modo, nel modo in cui vi sto illustrando ovviamente le cose cambiano radicalmente, intendo dire che ciascun atto, ciascuna gesto, ciascuna azione, si struttura come un gioco linguistico, ma un gioco che ha delle regole, che lo fanno funzionare ma niente più di questo, esattamente come il gioco del poker funziona con delle regole particolari, e non con altre, ma ciascuno sa che è un gioco, provate ad immaginare che la religione sia esattamente la stessa cosa, soltanto che qualcosa è barrato e cioè l’accesso alla proposizione che considera che è un gioco, come qualunque altro…
Intervento: i linguaggi poetici, il linguaggio del mistico, o del bambino non conoscono il terzo escluso o il principio di non contraddizione, lo eludono
No, moltissime persone non hanno perfettamente in mente che cosa sia propriamente il principio di non contraddizione….ecco la sua domanda mi consente di fare una precisazione e cioè che cosa intendo cosa intendo con linguaggio, da tempo abbiamo riflettuto intorno ad una eventuale definizione di linguaggio che come lei può facilmente immaginare non è semplice, anche perché per definire il linguaggio è costretto a utilizzare ciò stesso che deve definire e questo logicamente può portare qualche complicazione ma se lei considera il linguaggio come quella struttura che le consente di porsi questa domanda, di fare una affermazione o qualunque altra cosa al mondo, ecco che allora ha un’idea abbastanza precisa di che cosa sia, è una struttura che ha delle procedure che consentono…. una di queste è il principio di non contraddizione, e dicevo prima che ci sono molte persone che ignorano il principio di non contraddizione e così ignorano chi l’abbia formalizzato, Aristotele, ciononostante chiunque pensi qualunque cosa e per qualunque motivo, e in qualunque circostanza, lo utilizza, lo utilizza perché utilizza il linguaggio e il linguaggio è fatto anche di questo, se non lo utilizzasse, provi a immaginare il linguaggio senza il principio di non contraddizione, allora come dicevo prima, un qualunque elemento vale un qualunque altro, come dire che un qualunque significante è qualunque altro, e immagini che immediatamente il linguaggio si dissolva, cioè il linguaggio non è più utilizzabile, perché non ci sono più differenze e il linguaggio è fatto di differenze ciascun elemento occorre che sia distinguibile da ciascun altro, se no, non funziona più niente cioè io con la parola pane indico a questo punto qualunque cosa e il suo contrario, capisce che il linguaggio cessa di funzionare, ora lei si chiedeva il bambino…un’altra questione, a che punto incomincia il linguaggio? Non lo saprà mai perché dal momento in cui è nel linguaggio, non può più pensare come se non lo fosse, è una sorta di processo irreversibile, è come se le si chiedesse di pensare senza il linguaggio, come fa? con cosa pensa? Con quale strumento? Come sapete il pensiero funziona attraverso il linguaggio cioè compie delle inferenze, una delle quali è se questo allora quest’altro, e altre procedure senza le quali non può funzionare quindi non può pensare in assenza di linguaggio ora torno a ripetere intendo linguaggio qui in accezione straordinariamente ampia cioè come quella struttura che mi consente di chiedermi che cos’è? Per esempio, quindi qualcosa che è ancora al di qua del linguaggio poetico o di altri tipi di linguaggio, non è neanche propriamente un meta linguaggio, è proprio una considerazione al di qua cioè si pone una domanda circa le condizioni del pensiero, a quali condizioni posso pensare? che ci sia una struttura che mi consente di farlo; posso anche dire, sì, posso pensare "se ho la lingua in bocca, perché con la lingua parlo e dico" oppure posso pensare "se ho un cervello nel cranio" ma in ogni caso faccio queste considerazioni, se e soltanto se, + una struttura mi consente di farlo se no non esiste né il cervello né il cranio, né nessuna altra cosa, non esiste neanche la stessa esistenza ovviamente e tutto ciò che ne consegue, quindi ecco linguaggio in questa accezione. Quella proprio più ampia che si possa immaginare come la condizione per potere fare una qualunque considerazione, porsi una qualunque domanda….
Intervento: la mia domanda era se non ci fossero già dei linguaggi che non fossero già di per sé delle contestazioni ai principi di autorità, per esempio se il linguaggio poetico non sia già con la sua non obbedienza alle norme, qualcosa che funziona già…
Sì, ci sono forme di linguaggio che alludono a una cosa del genere e cioè a una sorta di disgregazione di strutture linguistiche, la questione è che qui, come dicevo prima, siamo ancora al di qua di questo e cioè alla considerazione che per potere compiere questa operazione sono necessarie strutture grammaticali, se no, non può fare niente. Anche per decostruire, per usare un termine caro ai francesi, per decostruire una struttura o un modo di pensare, una struttura linguistica, immaginate una struttura di potere, devo utilizzare comunque una struttura organizzata in un certo modo, per cui non posso affermare una cosa e il suo contrario, a meno che non sia una figura retorica, la quale essendo una variante necessita di un’invariante per potere variare, anche una figura retorica, certo pensi all’ossimoro, cioè la giustapposizione di due termini che sono antonimi, cioè che sono contraddittori, come la neve è bollente, ecco per accostare questi due elementi devo già sapere una quantità di cose, che se c’è la neve allora c’è freddo, che se c’è il fuoco allora c’è il caldo, e queste sono implicazioni, sono strutture linguistiche senza le quali non posso fare assolutamente niente, senza queste strutture fondamentali, per esempio, l’implicazione, senza il "se…..allora" pensi un po’ al pensiero che non utilizza una cosa del genere, non va molto lontano….oppure, addirittura non utilizzano il principio di non contraddizione, ma non è che lo usa perché lo sa usare, perché ne è venuto a conoscenza, è perché fa parte della struttura stessa del linguaggio e quindi lo acquisisce acquisendo ovviamente il linguaggio, al momento in cui lo utilizza non può più non utilizzarlo e questo viene detto anche che non c’è uscita dal linguaggio, che non riesce a pensare fuori di queste strutture, non ha gli strumenti per farlo, questo dicevo quando dicevo che non c’è uscita dal linguaggio
Intervento:…
sì era De Saussure che aveva fatto il suo famoso schemino il significante e il significato, due facce del segno, ma in effetti se lei pensa al significante senza il significato… è arduo da pensare perché in assenza di significato c’è l’eventualità che renda inutilizzabile il significante, però non ha torto a dire che un significante rinvia ad un altro significante, ché il significato come significante, in effetti, è un altro significante e così lo stesso per il referente, quando dicevamo che non c’è uscita dal linguaggio intendevamo anche questo che ciascun significante, ciascuna proposizione anche, se volete, rinvia ad altri significanti cioè ad altri elementi linguistici, e nient’altro che questo, il significato di un significante è un altro significante, necessariamente, se toglie il significato, ipoteticamente, rende questo elemento non utilizzabile, non ha nessun utilizzo, per cui non può compiere nessuna operazione, può anche per esempio costruire una stringa di significanti assolutamente non soltanto senza nessuna connessione tra loro, ma inventati che non hanno nessun senso…come fece "Alice nel paese delle meraviglie" la questione è che comunque incontra un senso, in questo caso il senso che incontra è quello di un elemento che non ha senso, perché è questo il senso che occorre che abbia se no….e qui c’è stato di qualche utilità Wittgenstein, ché il senso in effetti non è altro che l’uso che ne viene fatto qualunque esso sia. Un uso, per esempio, può anche essere quello di dire che non ha nessun senso, è un uso e quindi un senso, è quasi un paradosso, affermare l’esistenza di un significante senza il significato, però occorre ancora distinguere fra senso e significato, lo faremo magari in altre occasioni, però se pensa il linguaggio nell’accezione che io ho proposta forse molte domande si dissolvono, ché non è altro che questa struttura che consente di compiere qualunque operazione, anche quella più disgregante, quella più decostruttiva comunque che, se per esempio volessi eliminare il principio di non contraddizione occorre che costruisca delle proposizione non autocontraddittorie, se no non elimino niente, rimane tutto così com’è, cioè come dire che se elimino qualche cosa elimino anche la possibilità stessa di eliminarla, per esempio nel caso del principio di non contraddizione se lo elimino, elimino ogni possibilità di eliminarlo, così lo stesso discorso si fece rispetto al linguaggio affermando che qualunque cosa è necessariamente un atto di parola, io non fornisco propriamente, logicamente una prova, semplicemente metto nell’impossibilità di negare una cosa del genere, che è sicuramente la cosa più forte, più potente che si possa fare perché qualunque altra cosa non è praticabile cioè è autocontraddittoria, qualunque affermazione che provi a confutare "qualunque cosa è necessariamente un atto linguistico" qualunque sia questa proposizione è necessariamente autocontraddittoria, potremmo anche vedere i vari passaggi però… e quindi non è praticabile, questa è l’unica dimostrazione che può portarsi……
Intervento: se tutto si risolve nel linguaggio, cos’è la percezione?
Ecco questa è una bella domanda, uno volta mi posi la questione "che cos’è….?" non ricordo più cosa fosse l’oggetto, però poi mi sono chiesto immediatamente "che cos’è il che cos’è?" ora se io mi chiedo che cos’è la percezione? Ovviamente qualunque cosa io mi dica, qualunque cosa e il suo contrario, saranno una serie di proposizioni, queste proposizioni hanno, come si diceva prima, con l’amico di cui non conosco il nome, hanno come referente? qualcosa che è nel linguaggio o che è fuori dal linguaggio? Se è nel linguaggio allora la proposizione è esattamente ciò che io stabilisco che sia, di volta in volta e posso anche cambiare umore, e cambiando umore cambia anche la definizione, se è fuori dal linguaggio allora devo provarlo e qui può diventare complicato ma lo stesso discorso può farsi per qualunque cosa, ovviamente, non solo per la percezione anche per i sentimenti che forse sono ancora più ardui a trattare, il sentimento è ciò che io costruisco, è ciò che io penso che sia, nient’altro più di questo, certo poi può anche essere bello e piacevole pensare che nascano dal cuore, tutta una serie di cose anche molto belle molto piacevoli, però un conto è costruire una poesia o una dichiarazione d’amore altro è costruire un ragionamento logico, sono giochi diversi che si attengono a regole differenti, se costruisco una argomentazione logica allora molte cose che sono anche molto belle e molto piacevoli non sono più utilizzabili. Quando lei stabilisce una definizione e stabilisce che cos’è una certa cosa, in realtà che cos’ha fatto esattamente? Ha costruito delle altre proposizioni e queste altre proposizioni, come dicevo prima, denotano qualche cosa, che non siano ancora altre proposizioni? Il gioco che fa la logica è molto rigoroso, non consente molte vie di uscita….sì?
Intervento: …
Lo è, lo è in quanto non c’è uscita, ma è anche aperto in quanto può costruire una quantità infinita di proposizioni, senza limiti per cui si può considerare un insieme chiuso in quanto non c’è nessuna uscita possibile, né pensabile, aperto in quanto non c’è un limite alla sua espansione, è espandibile all’infinito…qualcuno che vuole ancora aggiungere degli elementi intorno a quanto andiamo dicendo? La questione del linguaggio è molto importante, in effetti pareva l’uovo di colombo, perché nessuno ci ha pensato prima in termini così spinti, molti chiaramente hanno riflettuto intorno al linguaggio già da Socrate, almeno dal Cratilo in poi, ma prima ancora Parmenide, parliamo di 2500 anni fa, fino a Austin, fino a Wittgenstein eppure, eppure manca sempre la considerazione inesorabile e cioè che qualunque cosa faccia questa è necessariamente un atto linguistico, e però trarne tutte le conseguenze, questo non era stato fatto, porta un modo di pensare sì, totalmente differente però sembra inevitabile anche perché poi si costruisce questa sorta di gioco, chiamiamolo pure col suo nome, il che consente da questa prerogativa di accorgersi che ciascun altro atto, ciascun altra azione , ciascun altro agire, ciascun altro evento, è un altro gioco e quindi toglie, forse dicevamo la volta scorsa, non tanto la credenza ma la possibilità stessa di credere in qualunque cosa, esattamente così come ciascuno di voi ha cessato da tempo di credere, che ne so? Alla fata turchina, può pensarci ancora così con affetto, con simpatia ma non ci crede cioè non organizza la sua vita in base a questi elementi, perché sono diventati inutilizzabili, è questo che porta una struttura del pensiero come questo cioè rende moltissime proposizioni sulle quali si fonda tutto il discorso occidentale come non utilizzabili, se non all’interno di giochi particolari, ma sapendo perfettamente che sono dei giochi, e nient’altro che questo….nessuno vuole intervenire? Magari un’obiezione…no neanche un’obiezione non ci sono più considerazioni intorno alle cose bizzarre che vi ho detto? Rimane la questione interessante da considerare come mai gli umani credono anzi che no? Strano, mica l’ha ordinato il medico? Eppure come sapete praticamente ciascuno crede in qualche cosa….
Intervento:
non è rivolta a me? Cioè come avviene una cosa del genere? Dicevo forse l’altra volta non ricordo mai quello che dico, ma per esempio un’analisi non è altro che un percorso che porta a considerare qual è l’aspetto chiamiamolo religioso del proprio discorso, cioè in che cosa una persona crede, e considerare come le cose in cui crede l’hanno condotta e la conducano ad avere tutta una serie di problemi, angoscia, affanno, depressione, anoressia, malinconia, e tutti gli acciacchi di cui soffrono gli umani….sì
Intervento: è un bisogno credere!
Sì in effetti viene proprio enunciato così, come un bisogno, però ci si chiedeva come mai questo bisogno? (per aggrapparsi) certo ma perché mai aggrapparsi, qual è il pericolo, qual è la minaccia? Uno si aggrappa a qualcosa se ha paura di cadere, generalmente, se no, non si aggrappa e qui qual è il pericolo? La questione che lei pone in effetti è interessante, perché è vero sembra che gli umani abbiano questa necessità e cioè che in definitiva siano spaventati, strutturalmente spaventati. Spaventati da che? Apparentemente da tutto, però, da alcune cose in particolare, reperire queste cose è rispetto alla singola persona il compito per esempio di un’analisi, che cosa spaventa una persona? Perché uno abbia paura di una certa cosa occorre che creda in questa certa cosa, è una sorta di circolo, ho paura di una certa cosa quando questa certa cosa per me esiste ed ha una certa consistenza, però in molti casi questa cosa per dirla in termini molto rozzi, questa cosa magari non esiste e io per tutta la vita ho una paura terribilissima di una cosa che non solo non esiste ma non è mai esistita, e ho costruito tutta la mia esistenza su questo terrore. E non è una cosa insolita la più parte degli umani vive esattamente così e cioè difendendosi da un pericolo che non è mai esistito, costruiscono la loro esistenza intorno a questa minaccia inesistente, assolutamente inesistente che è stata creata da una serie di fantasie, e immagini però così funziona …certo la religione quella conosciuta ha questa funzione che utilizza, sfrutta alcune paure a proprio vantaggio. È paradossale, per esempio nella chiesa cattolica visto che qui è quella che ha maggior successo, la chiesa ogni tanto si scaglia contro i falsi profeti, quali falsi? E quelli veri chi sono? Cioè è abbastanza curioso, la prossima volta affrontiamo il tema del pensiero in modo più radicale, più logico, anche se il titolo è l’arte del pensare, perché per un verso può anche considerarsi come un’arte, anche se l’arte generalmente è più associata alla retorica, l’arte del persuadere abbiamo parlato nella retorica varie volte, l’arte del persuadere oppure l’arte del costruire argomentazioni belle, sì dei bei discorsi. Come sapete i bei discorsi sono più credibili di quelli brutti, funziona in modi strano ma è così, come ben sapevano gli antichi retori, infatti anche se voi volete persuadere qualcuno cercate di usare delle parole ben fatte e ben costruite mica un discorsaccio raffazzonato….sì per lo stesso motivo….
Intervento: la lode
Per alcuni discorsi sì, per altri no, dipende da discorso, se lei loda per esempio una persona che si trova nel discorso isterico, questa persona immediatamente si monterà la testa e sarà felice delle cose a cui crederà immediatamente, se invece loda una persona che si trova in un discorso ossessivo, questa non crederà ad una parola di quello che dice, anzi penserà che la stia prendendo in giro, quindi dipende, anche le lodi vanno fatte in modo mirato conoscendo perfettamente..(….) esatto, solo che per esempio nei confronti di una persona che si trova nel discorso ossessivo la lode non è mai credibile, anzi è una presa in giro, se invece loda una persona che si trova in un percorso paranoico, dipende se lei è una persona che il discorso paranoico ha in grandissima stima, allora accetterà le lodi, se no, le lodi per lui vengono da nulla e quindi…anzi…il discorso schizofrenico è assolutamente indifferente….va bene, certo quindi anche la lode va fatta a seconda dei modi, delle persone che ci stanno di fronte, non è così automatico che la lode sortisca gli effetti…..va bene, va bene…il titolo della volta prossima sarà "L’arte di pensare". Buona notte e grazie a ciascuno di voi.