HOME

 

 

22-10-2011

 

Libreria LegoLibri

 

Dal bisogno alla domanda all’ascolto

 

In preparazione del convegno Perché Freud ancora? Per una politica della psicoanalisi

 

Intervento di Luciano Faioni

 

 

Dal bisogno alla domanda all’ascolto, è un bel titolo perché tratteggia il percorso analitico. Dal bisogno, potremmo intenderlo anche come il luogo comune, la superstizione, e la domanda invece che inserisce la parola fino all’ascolto, che mostra come praticare la parola. Ma incominciamo dal bisogno. Il bisogno è considerato generalmente qualcosa di naturale, che appartiene alla natura e la natura è qualche cosa di innocente, qualche cosa che obbedisce a delle leggi. La questione della natura, della naturalità, merita di essere considerata perché ciò che si intende generalmente con natura è una sorta di grado zero della civilizzazione, la natura che è muta, non parla, semplicemente agisce. La supposizione è che ci sia una natura che muove gli umani e che i bisogni cosiddetti naturali siano quelli essenziali, ma è proprio così? In effetti il concetto di natura è in prima istanza un concetto, da quel momento in cui gli umani hanno incominciato a parlare, da quel momento, ha incominciato a esistere la natura, ha incominciato, l’umano, cioè il parlante, a interrogarsi, proprio perché è parlante, su che cosa c’era prima, su che cosa costituisce l’origine e il principio, cosa c’era prima? L’idea riguardante il che cosa ci fosse prima si configura come una specie di età dell’oro, il paradiso perduto, il paradiso terrestre, insomma a seconda dei miti poi veniva inteso in vario modo, ma un qualche cosa comunque di innocente. Dopo, gli umani hanno incominciato a parlare e allora hanno perso l’innocenza, da quel momento in cui si sono distaccati, è una formulazione abbastanza paradossale, però dal momento in cui si sono staccati dalla natura, in quel momento la natura ha incominciato a esistere, perché qualcuno ha incominciato a pensarci, qualcuno l’ha costruita. La natura è una costruzione, letteralmente un artefatto, cioè un concetto costruito ad arte, ma da chi? Dai parlanti ovviamente. Per un leone che scorazza nella Savana non c’è la natura, non c’è neppure lui, per gli umani sì, per gli umani, dopo che hanno costruito il concetto di natura, perdendola, in quel preciso momento hanno posto quel luogo dell’innocenza, quel luogo originario, quel luogo non ancora contaminato, appunto dall’uomo, ma perché l’uomo l’avrebbe contaminato? Perché parla, fa costruzioni, costruisce rappresentazioni cioè si rappresenta per esempio qualcosa che gli manca, può rappresentarselo e quindi può pensare di domandare qualcosa, di desiderare qualcosa. Per desiderare qualcosa occorre che ci sia una costruzione che dice che manca qualche cosa, qualunque cosa sia non ha importanza, se no non manca niente, non può mancare niente, e allora ecco che si formula la domanda, la domanda che non è già più innocente. Ma la domanda è nella parola, perché nella natura, come dicevo, non c’è parola, la natura è muta, non dice, e il fatto che sia già nella parola ha delle implicazioni: innanzi tutto il fatto che una parola non va da sé, cioè non è da sola, una parola è inserita all’interno di una rete di relazioni, per questo non è innocente, perché si porta appresso una serie di altre parole, di altri discorsi, di rappresentazioni, di immagini e quindi di attese, di aspettative, di desideri che non potrebbero esserci in assenza di questa cosa che chiamiamo “parola”. La domanda non è più innocente, dal momento in cui gli umani hanno incominciato a parlare è cessata questa innocenza perché il linguaggio non è innocente, il linguaggio rappresenta, il linguaggio costruisce, costruisce una realtà che di fatto risulta virtuale, sempre e comunque, un artefatto cioè costruita ad hoc letteralmente, costruita dai parlanti che se la rappresentano, la si immagina a seconda dei modi che si ritengono più opportuni, ma dire che la parola non è più innocente comporta che la domanda sia inserita all’interno di una rete di connessioni, di relazioni. Quando chiedo un bicchiere d’acqua, che è la cosa più banale che si possa immaginare, chiedo soltanto questo? C’è soltanto questo? La risposta è no, non c’è soltanto questo, c’è anche questo eventualmente, ammesso che io abbia sete, ma c’è anche dell’altro. Apro una brevissima parentesi per indicare come di fatto ciascuna parola non esiste da sola, ma sia presa all’interno di un sistema, come diceva De Saussure, di una struttura, come hanno detto più tardi. Una struttura è una rete di relazioni entro la quale, variando un elemento, variano tutti gli altri, non rimangono immutati, se si cambia un elemento o si aggiunge o si toglie, cambia, si riassetta tutta la struttura. Prendete la parola “mare”, è una parola semplicissima, ma non esiste da sola, messa lì nel nulla, senza nessuna relazione non sarebbe assolutamente niente, esiste in quanto provvista di un significato cioè di un uso di quella parola, per esempio “una distesa salata che circonda tutte le terre emerse del pianeta”, è una definizione come un’altra, però definisce l’uso di questo termine, come dire che la parola “mare” è anche tutte queste altre parole e ciascuna di queste altre parole è molte altre parole e così via all’infinito. Questo è importante in ambito clinico per non trovarsi in una posizione che definirei ingenua, e cioè nella convinzione che la parola alluda unicamente a una certa cosa, che la domanda sia limitata a ciò che apparentemente chiede, no c’è molto altro, c’è una rete di relazioni, di connessioni che si agganciano ad altre storie, racconti, scene, tutto ciò su cui per esempio Freud ha lavorato, per esempio inventando la psicanalisi. Questa rete di relazioni e di connessioni è ciò che Freud ha chiamato “inconscio”, ma questa rete di cui dicevo è fatta di parole perché i discorsi, la narrazione, le storie e i miti sono fatti di parole, e allora che cosa domanda, direi in prima istanza, una domanda? Cosa chiede? Chiede altre parole necessariamente, non può che chiedere altre parole perché è inserita all’interno di un sistema di rinvii e quindi ciò che chiede sono altre parole attraverso infiniti modi, infinite configurazioni, ma ciò che chiede sono altre parole, altri racconti, altre storie, altre scene, altri miti. È cosa che sanno benissimo i pubblicitari, almeno quelli bravi, sanno benissimo che per vendere qualche cosa occorre inserirlo all’interno di un sistema, di una rete, che consente alla persona, diciamo al destinatario di questo messaggio, di potercisi trovare in questa storia, di potersi pensare personaggio di questo racconto, allora comprerà il prodotto. Dopo tutto la chiesa cattolica per vendere il suo prodotto lo ha inserito all’interno di un mito, un mito colossale, ben congeniato, all’interno del quale non solo la persona ha trovato il modo, il posto in cui collocarsi e l’opportunità di potere raccontare infinite storie, ma lo ha provvisto anche di un senso, di un significato, e infatti ha avuto anche un certo successo. Forse la storia della religione cristiana potrebbe essere studiata meglio da un economista piuttosto che da un filosofo, da uno storico, sicuramente non da un teologo. Ma aldilà di questo, vi trovate di fronte qui a uno scenario che di fatto è quello che c’è, che c’è parlando, che c’è parlando continuamente, è di questo che Freud si è accorto, in moltissimi suoi saggi lui considera la questione del linguaggio, dei racconti, delle storie, si è accorto che era la questione centrale, che tutto giocava lì. Non aveva grandi conoscenze di linguistica, di retorica, di logica, di filosofia del linguaggio, di semiotica, non le aveva, era un medico, cosa poteva fare? Però con gli strumenti che aveva ha già fatto un buon lavoro accorgendosi che lì si gioca tutta la partita, nel linguaggio, nelle storie, nei racconti, in definitiva nelle parole. A questo punto occorre aggiungere un elemento che riguarda il modo in cui queste parole e quindi i discorsi, le storie, i racconti, si connettono fra loro, che, come dicevo prima, è il lavoro che ha fatto Freud in buona parte, non solo, ma anche, che vogliono tutti questi racconti, queste storie, queste scene che vengono costruite? Il linguaggio ha una particolarità: costruendosi deve muovere da una premessa che considera vera e giungere a una conclusione che viene considerata vera dal sistema in cui è inserita, e questo è esattamente quello che fa ininterrottamente, ed è per questo che gli umani da quando esistono non hanno fatto nient’altro che costruire cose che possono e che debbano concludere in modo vero, ed è per questo che gli umani cercano continuamente, anzi, fanno solo questo, di raccontare le loro verità, le espongono e se ci riescono le impongono, in un modo o nell’altro. Questo è importante perché rende conto di che cosa hanno fatto gli umani, e continuano a fare, se non si accorgono di che cosa sono fatti continuano a essere travolti da questa cosa che li costringe a pensare di avere ragione, a pensare che le cose sono così come pensano che siano. Qui, proprio qui, interviene la questione dell’ascolto e della psicanalisi. Una persona è presa in questa fantasia e cioè immagina che le cose che pensa corrispondano, secondo un concetto antico di verità quella dell’orthotes, della correttezza, dell’adæquatio rei et intellectus, come dicevano i medioevali, l’enunciato è vero quando è corretto rispetto a ciò che enuncia, questa posizione è quella che conduce poi a degli scontri, inevitabilmente, perché una verità si scontra con un altra diversa e quindi si scatena la guerra per esempio, ma non soltanto la guerra, perché se c’è un conflitto tra queste verità all’interno di un unico sistema, e cioè di una persona, allora non si scatena una guerra chiaramente, almeno in genere non avviene, ma si scatena quella cosa che Freud chiamava nevrosi, un conflitto, un conflitto tra verità, che una volta si diceva sono incompossibili fra loro, e quindi creano la necessità di trovare quella che Freud chiamava una formazione di compromesso, una soluzione purché sia.

L’ascolto è ciò che definisce lo psicanalista, lo psicanalista fa questo nel suo lavoro: ascolta un discorso, che non è semplicemente lo stare a sentire ovviamente, non occorrerebbe essere psicanalisti per una cosa del genere. Nell’ascolto c’è un intervento. Quando il discorso si è arrestato attestandosi su una certezza, qualunque essa sia, lì interviene l’analista, come? Il suo compito è spostare la questione, aprirla o riaprirla verso altri scenari, altre storie, altri racconti, fare in modo che il discorso da lì dove si è fermato, possa proseguire, andare avanti, costruire altre cose, manifestare e dimostrare tutta la ricchezza di cui è capace anziché bloccarsi su una questione creduta assolutamente vera e quindi inamovibile. Questo accade nella clinica. Prendete il discorso paranoico per esempio, come sapete nel discorso paranoico non ci sono vie di mezzo, o è tutto bianco o è tutto nero. Supponiamo che la persona sostenga che è tutto bianco, a questo punto si tratta di mostrare che in questo bianco c’è anche una sfumatura, che tende a un grigio chiaro, adesso ve la dico in modo molto banale, ma dice che non è soltanto così, c’è questa piccola sfumatura che comporta già uno spostamento e il discorso ha l’occasione a questo punto, spostandosi, di aprire verso un’altra questione, quella che in quel momento si è posta rispetto a quella sfumatura. O pensate al discorso ossessivo che, come diceva Freud tende ad isolare, a rendere non avvenuto ciò che interviene nel suo discorso, e cioè connesso con qualche cosa che è problematico: questo elemento che tende a eliminare, deve partecipare della struttura in modo che il discorso della persona ne tenga conto, incominci a tenerne conto, tenendone conto avviene uno spostamento, avviene un’altra apertura. Direi che la questione centrale nell’ascolto è proprio l’apertura, adesso qui ci sarebbero facili i riferimenti a Heidegger, ma Heidegger non ci interessa. Ci interessa sottolineare questo aspetto fondamentale dell’analisi, e cioè la possibilità di trasformare delle certezze, delle religiosità: la verità religiosa è quella inattaccabile, quella certa, sicura, che non ha dubbi, si tratta allora di consentire a questo discorso, anziché passare la sua esistenza a combattere contro quelli che non pensano come lui o a difendersi dall’eventualità e dalla possibilità che qualche cosa nella sua verità si incrini, a incominciare a fare altro, per esempio ad ascoltare questo discorso e trovando delle sfumature, trovando degli elementi che non sono più esattamente come si pensava che fossero. È questo che avviene già dall’inizio di una analisi: la persona incomincia ad accorgersi che le cose non sono soltanto come pensava che fossero, non soltanto, c’è qualche altra cosa, qualche altra cosa che gli appartiene, che merita di essere presa in considerazione e una volta che ha incominciato a essere presa in considerazione apre verso altre cose. Il discorso si apre, non è più soltanto così come sembrava che fosse.

Dunque il passaggio dal bisogno alla domanda all’ascolto, tratteggia un percorso di analisi: dalla superstizione che le cose siano proprio così e non ci sia nient’altro e cioè le cose sono proprio così come dico io e, come direbbe il paranoico, non è neanche pensabile che le cose non siano come sta pensando lui, non è pensabile e chiunque lo pensi non ha capito niente, ecco, da questa posizione accorgersi che c’è una domanda, che qualcosa continua a domandare, che la domanda è interminabile, come la parola, e di conseguenza l’analisi è interminabile, e che questa interminabilità è anche la sua chance, la sua occasione, la sua opportunità, la sua fortuna, e giungere all’ascolto, il praticare tutto questo, praticare la parola, il suo funzionamento, la sua struttura, accorgersi che gli umani non hanno nient’altro che questo e non avendo nient’altro che questo è opportuno che se ne prendano cura. Prendersi cura interrogando ciò che dicono, accorgendosi di ciò che sta accadendo mentre parlano, in definitiva intendere perché una persona pensa le cose che pensa, e che non va affatto da sé che pensi in un certo modo, e che non è che pensa così perché le cose stanno così, le cose non stanno né così, né in un altro modo, non stanno, stanno nella sua parola e quindi in relazione con tutto ciò che lo riguarda, con la sua storia, con la sua vicenda. Questo è in parte anche l’insegnamento della semiotica, nel senso che un qualche cosa procede non solo dal significato, dall’uso di questo termine, certo questo consente la possibilità che possa relazionarsi con altri elementi, ma il significato è una relazione con altre cose, con altre storie, con altri elementi, è questo che ha trovato Freud, se no bastava un dizionario, che non è nient’altro che un libretto delle istruzioni, dice cioè come si usano le parole, poi una volta che si sa come si usano, si usano, e cioè si mettono in relazione con infinite altre e lì incominciano a costruire storie, proposizioni racconti eccetera, ma quando queste sono credute vere, allora si crede che le cose siano proprio così e lì incominciano i problemi, guerre incluse.