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Torino, 22 marzo 2011

 

Libreria LegoLibri

 

INTRODUZIONE ALLA PSICANALISI

Seconda lezione

 

Luciano Faioni

 

 

Questa sera parleremo della tecnica psicanalitica, che procede ovviamente dalla teoria psicanalitica. La volta scorsa, lo dico per le persone che non c’erano ovviamente, abbiamo fatto un accenno alla teoria che ha inventata Freud e in particolare a quel concetto che lui chiama apparato psichico, composto da Es, Io, Super-Io. Freud ci ha detto che buona parte dei problemi che gli umani incontrano sorge dal fatto che le cosiddette pulsioni incontrano il Super-Io, che è quell’istanza che lui chiama morale sessuale civile e che soprattutto impedisce alle pulsioni sessuali di raggiungere la loro meta e, quindi, attraverso un processo che Freud chiama di rimozione, sposta la meta da una posizione inaccettabile per il Super-Io a una soluzione invece accettabile, costruendo quella che, sempre Freud, chiama formazione di compromesso. Ora, dicevamo che tale Super-Io è fatto di divieti, di proibizioni, quindi, in definitiva, di discorsi, di racconti, di parole. Freud ha posto l’accento fortemente sulle parole, sui discorsi e sui racconti, mostrando una sorta di priorità, anche se non spinta alle estreme conseguenze, delle parole. Buona parte dei suoi scritti sono una analisi del modo in cui le parole e i discorsi si connettono fra loro, Freud descrive che cosa queste parole possono costruire, addirittura diceva che quella cosa che lui chiama nevrosi sorge proprio dall’incidenza del Super-Io che, come dicevamo, è fatto di parole, per cui eravamo giunti a concludere la volta scorsa, sempre per le persone che erano assenti, che in assenza di parole, quindi di discorsi, di racconti, non ci sarebbe nessuna nevrosi, ovviamente. Come dire che c’è nevrosi perché c’è la parola, perché le persone parlano, raccontano, pensano, immaginano, insomma fanno tutte quelle operazioni che li caratterizzano come tali, cioè come umani. Questa priorità, dicevo ancora non spinta fino alle estreme conseguenze e che pone in atto Freud rispetto alla parola, è comunque un’indicazione. Il fatto che lui l’abbia posta come indicazione oppure no è irrilevante, ma per soffermarsi di più sul modo in cui le parole funzionano, i discorsi, i racconti. Che cosa c’è in questi racconti, in queste parole? Come sapete, Freud era solo un medico, quindi non sapeva nulla né di linguistica né di retorica, né di logica, né di filosofia del linguaggio, cionondimeno con gli strumenti che aveva a disposizione ha fatto un lavoro di un certo interesse, ha soprattutto indicata una direzione su cui lavorare, riflettere, elaborare, che è quella delle parole, dei discorsi, dei racconti. Ecco, la volta scorsa, proprio parlando di teoria psicanalitica abbiamo portato questo gesto, questa indicazione di Freud, alle estreme conseguenze giungendo a considerare la centralità e la priorità presso gli umani del linguaggio, che è ciò che costruisce, come sappiamo, le parole, i discorsi, i racconti, le fantasie, tutto ciò che avviene generalmente agli umani. Ora, questo ci ha condotti ad un certo punto ad affermare che se non esistessero, se non fossero mai esistite le parole, i discorsi, i racconti e quindi il linguaggio, gli umani non sarebbero niente, sarebbero alla stregua di una scolopendra. Sapete cos’è una scolopendra? È una bestiaccia orrenda, una specie di vermone lungo una ventina di centimetri, pieno di zampe, antenne, una roba orripilante. Senza il linguaggio, dicevo, gli umani sarebbero grosso modo una cosa del genere. In effetti, ciò che li distingue è il fatto di trovarsi a parlare, quindi a pensare, quindi ad avere programmi, progetti, desideri, aspettative, sofferenze, gioie, tutto quell’apparato che è prodotto dai loro pensieri, dalle loro fantasie, questo più o meno dicevamo la volta scorsa. C’è tuttavia in ciò che dice Freud, riguardo sempre a questa istanza che lui chiama Super-Io, un dettaglio sul quale lui non ha posto una particolare attenzione, né lui né tutti quelli che gli hanno fatto seguito, e cioè perché il SuperIo funzioni, vale a dire, perché induca la persona a muoversi in un certo senso, in una certa direzione, e cioè questi divieti, questi impedimenti, ecc., è necessario che dalla persona siano considerati tutti veri. È un dettaglio che potrebbe apparire irrilevante ma che se solo ci si riflette un po’ meglio appare determinante, perché una qualunque cosa, se ritenuta falsa dalla persona, non viene perseguita e molto spesso le sue decisioni, le sue scelte, anche di vita naturalmente, dipendono da ciò che ritiene vero, e così anche il suo umore, la sua condotta in generale. Tant’è che se qualcuno dicesse per esempio a Laura che le hanno rubato la macchina incomincerebbe ad agitarsi, a preoccuparsi, se invece la stessa persona le dicesse poco dopo che stava scherzando cesserebbe immediatamente di agitarsi e di preoccuparsi, perché a questo punto l’informazione precedente verrebbe considerata falsa e quindi di nessun interesse. Dicevo che questo dettaglio può apparire invece di notevole importanza perché gli umani hanno una prerogativa fra le altre, e cioè seguono ciò che ritengono essere vero mentre abbandonano al suo destino tutto ciò che ritengono essere falso. Sì, funziona così e non da oggi ma da un sacco di tempo. Ora, pochi si sono domandati perché avviene una cosa del genere, pochi, anche fra i filosofi del linguaggio, fra i logici, che tutto sommato dovrebbero essere le persone più attente a questi dettagli, ma, sia come sia, rimane il fatto che questo dettaglio, e cioè credere qualche cosa vero oppure falso, appare essere determinante nella scelta, nelle decisioni, in definitiva nella condotta delle persone. Se qualcosa spaventa, preoccupa, come nell’esempio che ho fatto prima, è perché questa cosa è ritenuta vera o, sotto altre forme, importante, per qualunque verso; se, invece, venisse considerata totalmente irrilevante o addirittura falsa non creerebbe nessun problema. Come dire, in altri termini ancora, perché qualcosa incominci a creare qualche problema occorre in prima istanza che sia considerata essere vera. Però, in base a quale criterio? Tutto ciò che la persona costruisce, i suoi pensieri, le sue fantasie, le sue fantasticherie, i suoi progetti, i suoi programmi, tutto questo non procede ovviamente da nulla, procede da tutto ciò che la persona ha acquisito, da una quantità notevole di informazioni ovviamente, da una serie di elementi che funzionano come delle premesse, premesse a tutti i suoi discorsi, i suoi racconti. Queste premesse che intervengono nel suo discorso sono ovviamente la conclusione di altri discorsi fatti in precedenza, che la persona ha considerato veri, veri perché non contraddicono, per esempio, le cose che sa o che ritiene di sapere, perché è stato detto da una persona di cui si fida, o qualunque altra cosa, fatto sta che queste premesse, considerate vere, costituiscono la base da cui muoversi per costruire altri pensieri, altre fantasie. In fondo, sono teorie, anche una fantasia è costruita come una teoria, allo stesso modo, e cioè muove da qualcosa che si suppone essere vero, perché sappiamo che da qualcosa che sa essere falso non si costruisce nulla, e attraverso una serie di passaggi, che dovrebbero essere coerenti, giunge a una conclusione. Anche una fantasia, come appunto una teoria, è costruita così, non ci sono altri modi per costruire dei pensieri se non questo: muovere da una premessa, passaggi, conclusione. Qui risulta ovviamente determinate qual è la premessa, perché talvolta la premessa appare persuasiva, appare verosimile ma non necessariamente vera. Vi faccio un esempio antico: Pietro e Paolo sono apostoli, gli apostoli sono dodici, Pietro e Paolo sono dodici, ecco e bell’e fatto. Perché non funziona questa sequenza? È talmente evidente la sua strampaleria che nessuno crede effettivamente che Pietro e Paolo siano dodici, eppure, muovendo da una premessa che si ritiene essere assolutamente vera, e cioè universale, possono trarsi delle conclusioni assai bizzarre. Il fatto che Pietro e Paolo fossero stati apostoli ai loro tempi non è una premessa universale, non vale per sempre e per chiunque, è qualcosa che Aristotele definiva contingente, specifico di una certa situazione, e da qualcosa di particolare non può trarsi una conclusione universale né una conclusione vera in generale se non all’interno di un gioco specifico. Ma questo lo vedremo tra poco. Questo modo di pensare il più delle volte costituisce il metodo - e tra poco parleremo del metodo della quasi totalità delle teorie che gli umani hanno costruite da quando esistono, da quando c’è traccia di loro almeno circa tremila anni, prima non abbiamo molte informazioni - e cioè si parte da un asserto che appare vero ma… appare vero in base a che cosa? In base all’esperienza, per esempio. L’esperienza è un criterio, uno dei più praticati anche se offre un certo numero di obiezioni, perché l’esperienza di qualcuno non necessariamente collima con l’esperienza di un altro e dalle stesse cose persone differenti possono trarre conclusioni differenti; oppure, queste premesse sono tratte da esperimenti cosiddetti scientifici, che lasciano il più delle volte il tempo che trovano. Come sapete, molto spesso tali esperimenti vengono contraddetti e confutati da altri esperimenti, come accade molto spesso, oppure dalla deduzione, però in questo caso si ricade nella questione di prima e cioè anche la deduzione per essere corretta deve muovere da una premessa corretta e cioè universale. È quello che cercava Aristotele, che non ha mai trovato in fondo, anche gli umani hanno sempre cercato qualcosa che fosse necessariamente così, che fosse necessariamente quello che è, senza ulteriori indugi, ed è stato arduo naturalmente reperire qualcosa del genere. Però, Freud di nuovo ci ha offerto un’indicazione dicendoci che tutto il pensiero degli umani, tutte le loro storie, i loro affanni, i loro accidenti di vario genere e forma, procedono dal modo in cui pensano: si tratta allora di stabilire perché gli umani pensano nel modo in cui che pensano. A questo punto si apre una questione molto interessante, e cioè la tecnica, chiamiamola così, psicanalitica, che apre a qualche cosa che non riguarda più soltanto la cosiddetta pratica della psicanalisi, così come si intende comunemente, ma il pensiero degli umani in toto, e cioè interroga il pensiero degli umani, perché gli umani pensano nel modo in cui pensano, che è quello che grosso modo ho decritto: muovono da una premessa, attraverso dei passaggi giungono a una conclusione e questa conclusione deve essere vera, non ci sono santi. Dicevamo anche la volta scorsa che taluni obiettano che si può anche pensare per immagini, sì, certo, le immagini intervengono ma queste immagini se non inerissero a un discorso, cioè se non fossero inserite all’interno di un discorso, non sarebbero niente. E così anche le emozioni, molti si aggrappano alle emozioni immaginando che siano un qualche cosa che procede così ex nihilo, dal nulla, mentre non è esattamente così, come ciascuno sa talune cose emozionano una persona lasciando quell’altra totalmente indifferente, come avviene questo fenomeno? Perché per una persona ciò che è accaduto ha un valore, e quindi produce una serie di conseguenze che lo porterà a provare quella cosa che chiama emozione perché è inserito all’interno di un discorso, per quell’altra persona, invece, non è inserita in quel discorso e quindi non produce assolutamente niente. Per esempio, il fatto che una squadra di calcio vinca il campionato oppure no è per me totalmente indifferente, per altre persone può diventare una tragedia il fatto che lo perdano. Ecco, dunque, che riflettere sul modo in cui gli umani pensano può avere una portata che va molto al di là di quanto probabilmente Freud stesso immaginasse, ma, come dicevo, Freud era solo un medico e gli strumenti che aveva a disposizione non erano un granché. Alcune cose sono state effettivamente pensate e considerate dopo di lui, cose alle quali ovviamente non poteva avere accesso. Ecco che allora la tecnica psicanalitica a questo punto si espande, si espande al modo stesso in cui gli umani pensano, tenendo conto che pensano sempre comunque allo stesso modo, nella struttura intendo dire, per cui qualunque cosa pensino questo pensiero deve raggiungere una conclusione che per la persona deve risultare vera e su questo mai non deroga. Ed è questo il motivo per cui gli umani tendenzialmente, diciamo la quasi totalità, ama avere ragione dell’altro, avere ragione in tutti i sensi, dialetticamente, economicamente, militarmente, a seconda delle situazioni e delle esigenze e delle vicissitudini, avere ragione dell’altro appare fondamentale e vedremo fra poco anche perché, ma è già implicito in alcune cose. E così accade, per esempio, che perché possa darsi un attacco di panico, adesso dico attacco di panico perché è una delle cose che per il momento sembra avere più successo, va di moda insomma, è necessario per la persona che alcune cose siano ritenute assolutamente vere. In effetti, proviamo a costruire un attacco di panico, no, non si spaventi, lo costruiamo così senza… Supponiamo che ci sia una persona per la quale è importantissimo, anzi, è determinante, irrinunciabile, sentirsi importante per qualcuno, sentirsi amata, sentirsi stimata, sentirsi di valore. Supponiamo che il discorso di questa persona abbia costruito questa necessità, che è abbastanza diffusa però può essere un po’ meno evidente, supponiamo che nella nostra persona abbia raggiunto una notevole forza questa necessità, perché sentirsi amata, importante e stimata dà sicurezza, fa sentire protetta al sicuro, ma al sicuro da che? Nemmeno la persona lo sa dire naturalmente, né sa indicare quale minaccia, quale pericolo eventualmente possa incombere su di lei, cionondimeno ha paura, ha paura nel momento in cui per qualche motivo talvolta anche irrilevante acquisisce la certezza che questo amore, questo affetto, questa sicurezza, che immaginava di avere per qualche motivo, viene meno, allora si affanna a cercare qualche altra cosa che la sostenga ma, nell’ipotesi in cui le appaia che non ci sia più nulla su questo mondo che possa darle la sensazione di essere amata, considerata e stimata, ecc., in quel momento perde, questo è quello che avverte, perde totalmente il controllo della situazione. E, allora, avviene quel fenomeno, che già Freud aveva considerato nel suo saggio che si chiama Lo Straniante, lo trovate tradotto con Il Perturbante generalmente, dove anche le cose che generalmente apparivano come familiari, tranquillizzanti e portatrici di sicurezza diventano invece appunto stranianti, foriere di pericolo, di minaccia, una minaccia indefinita perché in realtà non c’è nessuna minaccia reale da parte di nessuno, almeno il più delle volte, però la perdita totale del controllo sulla situazione produce panico, che poi si manifesta nel corpo, come quasi sempre avviene. Ciò che la persona pensa ha delle ripercussioni sul suo corpo e, allora, ecco la bocca asciutta, le mani sudate, il cuore a mille, questo generalmente avviene. Uno dei modi in cui si manifesta oggi l’attacco di panico riguarda per esempio la paura di volare, che è relativamente recente perché sono relativamente recenti gli aeroplani, prima non esistevano, la paura di volare o più propriamente l’aeroplano costituisce oggi uno dei modelli di ingovernabilità, di ingestibilità assoluta, diciamo il prototipo dell’ingestibilità, una persona che sale su di un aeroplano, a meno che non sia un pilota, è completamente nelle mani del suddetto pilota, non può scendere, non può fare niente, può solo stare lì dentro, chiuso. Se voi provate a domandare alle persone che hanno paura di volare, nel caso fossero loro a pilotare l’aeroplano avrebbero ancora paura? Vi risponderanno sempre e comunque di no. In effetti, come dicevo anche qualche giorno fa, i piloti non hanno paura di volare, quelli militari possono avere paura che gli sparino addosso, ma questo è un altro discorso che non c’entra con la paura di volare, e cioè la persona, se suppone di avere il controllo della situazione, cessa di avere paura, tant’è che le compagnie aeree, che sono le più interessate alla paura di volare naturalmente, hanno approntato una serie di cose per fare passare la paura di volare ma quella che ha avuto più successo è stata quella di mettere la persona all’interno di un simulatore di volo e farla pilotare, per finta ovviamente, perché pilotare un aereo comporta un addestramento notevole, farla pilotare fornendo a questa persona alcune informazioni. Naturalmente, questi simulatori di volo sono fatti molto bene e quando si è lì dentro appare proprio di essere in volo anche se si è imbullonati per terra, e questa sembra una delle vie preferenziali che hanno utilizzate le compagnie aeree: la persona immediatamente si tranquillizza, la paura cessa, è tutto sotto controllo, sotto il suo controllo, naturalmente. Ora, perché le persone abbiano tanto bisogno di avere le situazioni sotto controllo questo lo vedremo tra poco ma è una delle cose più importanti che gli umani incontrano nella loro esistenza. Ora, facciamo qualche passo indietro, vi dicevo che perché una persona stia male, abbia paura, abbia panico, angosce, fobie, qualunque acciacco di qualunque sorta, è necessario che consideri questa cosa che teme o la situazione in cui si trova e che è foriera, per esempio, di ansia, per questa persona sia vera, ma in che senso vera? Beh, è sufficiente che abbia considerato che se avviene una certa situazione comporterà necessariamente per esempio una catastrofe, se si verifica questo allora mi succederà quest’altro, è una sorta di magia, però molto spesso funziona e allora si considera vero il discorso che ha costruito questa connessione, che sia stato considerato vero, allora anche l’implicazione, cioè la sua connessione, sarà vera ed è questa la condizione perché possa per esempio avere paura, se la considerasse falsa o di nessun interesse cesserebbe come d’incanto di avere paura. Facevamo l’esempio la volta scorsa, se avessi buone ragioni per pensare che qualcuno all’interno di questa stanza sia imbottito di esplosivo e sia pronto a farsi saltare per aria sarei legittimamente preoccupato, se sapessi invece che tutto ciò è falso non mi preoccuperei minimamente, come per esempio accade in questo istante. Da questo possono trarsi naturalmente molteplici conseguenze. Una di queste è che gli umani si muovono in una direzione solo se ritengono questa direzione vera se no no: perché fanno questo? Nessuno li costringe di fatto. Perché da sempre inseguono la verità? La verità sotto tutte le forme naturalmente, non mi riferisco soltanto a quella dei filosofi o dei matematici, ma sapere se una cosa è buona o cattiva, se è giusta o sbagliata, farò bene? farò male?, in fondo è sempre una richiesta di verità, perché? Da dove arriva questa esigenza che, di fatto, condiziona l’esistenza di ciascuno da quando incomincia a parlare fino a quando cessa, tutti i suoi pensieri, le sue costruzioni, le sue fantasie, i suoi dubbi, i suoi dolori, le sue paure, tutte queste cose sono condizionate dal fatto di ritenerle accreditate oppure no, vere oppure no, attendibili oppure no, importanti oppure no, che sono tutti modi di esporre la stessa cosa. Quindi, la domanda, a questo punto, come dicevo prima, sul perché avviene una cosa del genere, perché?

 

Intervento: economia di tempo?

 

Beh, ci sono persone che hanno tanto tempo a disposizione, cionondimeno non si sottraggono affatto a una cosa del genere. A questo punto ci torna utile ciò che abbiamo detto la volta scorsa riguardo alla struttura che chiamiamo linguaggio e al fatto che, come Freud ci ha indicato, gli umani parlano e quindi tutto ciò che pensano, costruiscono, ecc., è vincolato al modo di funzionare di ciò che permette loro per esempio di pensare, di trarre delle conclusioni. Facciamo un ipotesi per assurdo, perché è anche difficile a pensarsi: se il linguaggio fosse strutturato in tutt’altro modo tutto sarebbe totalmente differente, compresa quella cosa che gli umani chiamano realtà. Considerato che il modo in cui gli umani pensano è il criterio attraverso il quale valutano, giudicano, stabiliscono qualunque cosa, e questo modo è vincolato alla struttura che consente questa operazione in definitiva, come forse abbiamo appena accennato la volta scorsa, se si conosce esattamente come funziona il linguaggio allora si conosce esattamente come pensano le persone, come pensano naturalmente riguardo alla struttura. Può apparire strano dire una cosa del genere data l’enorme complessità del pensiero degli umani, in effetti è complicato a volte, apparentemente molto tortuoso, però il metodo, e qui arriviamo al metodo che usano per pensare, è sempre esattamente lo stesso, né potrebbero fare altrimenti. Per esempio, la persona non può credere vero ciò che sa essere falso, non lo può fare, il linguaggio glielo impedisce, non può trarre una conclusione che contraddice la premessa da cui è partito, non può fare nemmeno questo il linguaggio, la sua struttura, la struttura del linguaggio, glielo impedisce né potrebbe parlare se ciascuna parola significasse simultaneamente tutte le altre, anche in questo caso non potrebbe fare nulla. Il fatto di essere vincolato a quella cosa che lo fa poi in definitiva essere un cosiddetto essere umano è importante. Dicevo, gli umani pensano in un certo modo e costruiscono le loro teorie esattamente così come le loro paure, le loro angosce, esattamente sempre allo stesso modo: muovono da qualcosa che ritengono essere vero, costruiscono dei passaggi e giungono ad una conclusione, sempre, comunque e necessariamente. Come diceva giustamente Wittgenstein: o si pensa così o non si pensa affatto. Non aveva torto, il pensiero è questo.

La tecnica dunque, la tecnica come metodo, un metodo per pensare, per pensare in modo più efficace e più rapido, più efficace perché riconduce qualunque cosa accada, qualunque pensiero, là da dove arriva, e cioè alla struttura che l’ha costruito e con un certo esercizio può farlo anche molto rapidamente. Cosa comporta questo? Che può con estrema facilità verificare, considerare, interrogare quegli asserti, quelle premesse, da cui il suo discorso muove e su cui è costruito, che ha costruito qualunque tipo di teoria, compresa per esempio la paura di volare o di nuotare, c’è anche la paura di nuotare, qualcuno ha paura anche ad allontanarsi dalla riva per esempio, ma anche lì cosa succede? Che sotto non vede… se avesse la possibilità di vedere, di sapere esattamente cosa c’è lì sotto, la paura cesserebbe, è l’idea di non sapere, quindi di non controllare la situazione, ma che cosa significa controllare la situazione? A questo punto possiamo affrontare la cosa con qualche elemento in più, avere il controllo significa semplicemente questo, che io conosco le cose, so come stanno le cose o per altro verso, ma è una variante, le cose vanno come voglio io. Questo è avere il controllo della situazione: le cose sono come dico io, basta avere il potere. Ricordo la battuta di un film di anni fa dove qualcuno diceva, un potente, la verità è quello che dico io. Naturalmente, bisogna avere i mezzi per poterla imporre ma si può fare, è stato fatto e continua a farsi con relativa facilità. Dunque, il controllo della situazione appare così importante per gli umani, qualunque tipo di situazione, badate bene, una situazione affettiva, amorosa, economica, politica, personale, esistenziale, non importa di che tipo sia, l’importante è averne il controllo, cioè sapere o credere di sapere, che a questo punto sono la stesa cosa, esattamente come stanno le cose. Che cosa vuol dire sapere esattamente come stanno le cose? Non è difficile a questo punto rispondere a questa domanda: sapere quali sono quelle vere e quali quelle false e, soprattutto, pensare di avere un criterio sufficientemente valido per poterlo stabilire, ovviamente. Tutto ciò che importa in questo metodo è reperire nel racconto della persona… la persona inizia un analisi raccontando delle cose, raccontando di sé, della sua vita in generale; in questi racconti che va facendo lì incominciano a porsi tutte quelle cose che per la persona sono importanti, i suoi valori, quelle cose che deve difendere, per esempio, o quelle cose sulle quali non transige. In fondo, tutto ciò che indicavo prima come premesse, come asserti, sono quelle cose che comunemente si chiamano valori e costituiscono la premessa per tutto ciò che ne segue, e i valori, si sa, sono importanti per la persona, molti sono disposti a sacrificare la propria vita, magari quella altrui preferibilmente se è possibile. Ma un valore che cos’è? Torniamo alla questione di prima, potrebbe un valore, o qualcosa che per me supponiamo rappresenta un valore, essere una qualunque cosa che io ritengo falsa e irrilevante? Potrebbe essere un valore? È piuttosto improbabile, deve essere importante e se è importante è necessariamente vera. Questo è ciò che il funzionamento del linguaggio impone per così dire, non è che lo imponga, è una metafora. Come dicevamo la volta scorsa, questo linguaggio di cui parliamo in realtà non è nient’altro che una brevissima sequenza di istruzioni, queste istruzioni costruiscono proposizioni, le proposizioni costruiscono i discorsi, i racconti, le fantasie, le teorie, tutto. Si ricorda l’esempio che facevamo a questo riguardo? Facevamo l’esempio del Dna: sono delle semplicissime istruzioni che con quattro proteine costruiscono tutto, dalla zanzara al dinosauro a lei, è il modo per illustrare questo funzionamento, delle semplici istruzioni che costruiscono ogni cosa. Il metodo in che cosa consiste? Consiste nella possibilità di ricondurre, di risolvere, ma nell’accezione di riportare ciascuna cosa là da dove arriva, e cioè a quella struttura che l’ha costruita. Questa struttura di per sé non è né vera né falsa, è un po’ come nel gioco del poker, che due assi siano superiori a due sette di per sé non significa niente ma naturalmente all’interno del poker significa qualcosa. Allo stesso modo queste istruzioni costruiscono quelle sequenze che poi serviranno per giocare, e cioè per costruire anche un criterio verofunzionale, ma queste istruzioni sono semplicemente al di qua, sono la condizione per costruire le proposizioni e quindi discorsi ecc., ecc. Come siamo giunti a una cosa del genere? Sembra abbastanza singolare in effetti ricondurre una cosa così complessa, così straordinariamente complicata come il pensiero degli umani a delle semplicissime istruzioni, però anche il corpo degli umani, degli animali è molto complicato eppure sono quattro stupidissimi aminoacidi, eppure... Il modo cui siamo giunti a questo costituisce effettivamente il metodo, ma qui occorre fare una precisazione perché non basta interrogare le cose per vedere se quello che trovo, quello che incontro, coincide, collima oppure no, con quello che io credo essere vero. Si tratta di interrogare quello che io credo essere vero e interrogare l’interrogazione stessa, e cioè arrivare alle estreme conseguenze: una certa teoria afferma una certa cosa, benissimo, perché? E se fosse il contrario? Per esempio, Freud afferma che l’intervento del Super-Io è la condizione della nevrosi con tutto ciò che comporta e tutti i procedimenti, ecc., perché? Perché l’ha sperimentato? Su che cosa? Nelle persone, gli è parso di vedere una cosa del genere? È una sua esperienza? Beh, io ho esperimentato altrimenti e mia nonna ha esperimentato in modo ancora diverso, e allora? Talvolta, accadrà a una studentessa di sentire “Lacan afferma …” e allora? Che ce ne facciamo? E allora, la persona è in condizioni di dire perché accoglie come vere le affermazioni di Lacan oppure le ha date per buone? È problematico interrogare, interrogare al di là di ogni possibile immaginazione, come dicevo interrogare l’interrogazione stessa, e cioè chiedere all’interrogazione da dove viene e perché c’è per esempio, e sapere che cosa faccio quando mi do una risposta, una qualunque risposta, e perché accolgo quella risposta anziché una qualunque altra. È come se a quel punto ci si trovasse in totale assenza di riferimenti, l’unico riferimento che permane è quella stessa cosa che ci sta consentendo in quel momento di continuare a pensare e quindi a interrogare di conseguenza. Ecco come si arriva al linguaggio, tutto il resto è una costruzione che può essere interessante, divertente, piacevole o irrilevante ma una costruzione, fatta da quella cosa che chiamiamo appunto linguaggio, che è solo una sequenza di istruzioni, nient’altro che questo. Eppure, in queste poche istruzioni è stato possibile costruire tutto ciò che gli umani hanno costruito, quindi, pensato, detto, immaginato elaborato, sperato, disperato, tutto, da quando esistono. Ecco perché questo metodo è importante: perché conduce al punto in cui non è più possibile andare oltre, è come se, per usare una sorta di allegoria, il linguaggio costituisse le colonne d’Ercole. Come una volta si pensava le colonne d’Ercole erano il punto oltre il quale non era possibile andare, come dice lo stesso Dante, e in effetti non è possibile andare oltre, uno può anche domandarsi: il linguaggio da dove arriva? Al di là del fatto che potrebbe essere una questione marginale, c’è però un problema, e cioè che occorrerebbe andare al di là del linguaggio e quindi trovarsi in una zona che non è più linguaggio: con che cosa compio questa operazione se sono a questo punto fuori del linguaggio? Con che cosa? È per questo che, come abbiamo detto varie volte, chiedersi se le cose, per esempio, esisterebbero comunque anche se non ci fosse il linguaggio di fatto è un non senso, non significa niente, è una domanda che non ha nessuna risposta e non ha nessuna risposta proprio per la struttura del linguaggio che impedisce di uscirne, una volta che si è dentro non c’è più uscita, funziona così. Possiamo rilevarne il funzionamento e, una volta rilevato il funzionamento, intendere perché gli umani pensano in quel modo e considerare anche che tutti i vari problemi che hanno comunque procedono da questa struttura, sono costruiti da questa struttura.

C’è qualche questione intanto, qualche domanda, dubbio, perplessità? Mi rendo conto che non sono questioni semplicissime anche se possono apparire semplici nella loro configurazione, però incominciare a interrogare, a riflettere sulle cose al di là di ogni possibile immaginazione, non è semplice perché ci si trova per un momento, come dicevo prima, in una totale, assoluta assenza di riferimenti, non c’è più niente, nulla cioè che possa essere utilizzato, tutto appare come superstizione, fantasie, costruzioni assolutamente risibili, qualunque teoria appare come il racconto di cappuccetto rosso, ha la stessa struttura, ha la stessa attendibilità, e quindi non c’è più nessun appoggio se non appunto quella stessa cosa che sta consentendo in quel momento di fare queste considerazioni, non c’è più nient’altro che questo. È a quel punto che si è arrivati a fine corsa, oltre non si può andare, però se è tutto ciò di cui gli umani dispongono in effetti non è poco, è tutto ciò che gli ha consentito di fare tutte le cose che hanno fatte e di continuare a farle, continuare a pensare, a vivere, se no non si accorgerebbero nemmeno di vivere, non lo saprebbero, come una scolopendra, dicevo prima. Un metodo, un metodo notevole, certo. Detta così può apparire semplice per alcuni aspetti poi, ovviamente, non è così semplice, e questo già Freud l’aveva inteso, perché una persona, nonostante quello che dice al suo analista del caso, in realtà non vuole affatto abbandonare i suoi così detti sintomi, è questo che Freud aveva rilevato con una certa sorpresa allora “come mai viene da me, paga pure per sbarazzarsi, che ne so?, di una fobia, un accidenti qualunque, e invece magari proprio nel momento in cui la cosa si fa interessante, incomincia ad accorgersi di qualche cosa, ecco che molla tutto”; poi ha articolato la questione, almeno fino ad un certo punto. Ma potremmo dirla così in un modo molto, anzi, straordinariamente semplice: una persona non abbandona le sue certezze per nessun motivo anche se queste certezze lo portano alla morte. Pensi ad un fondamentalista islamico, non le verrebbe mai in mente a lei qui di mettersi una cintura di esplosivo, perché? C’è un sacco di cose interessanti da fare ma lui crede fortemente a questa cosa e credendoci fortemente si comporta di conseguenza facendosi saltare per aria. Le persone, dunque, non abbandonano le certezze, non le abbandonano perché le cose che ritengono essere certe, vere, ecc., sono quelle che consentono alla persona di costruire tutti i suoi discorsi, tutte le sue storie, le sue fantasie, le sue, potremmo dire, teorie, perché sono teorie, né più né meno. Una fantasia qualunque, anche la più bislacca, rimane pur sempre una teoria, un racconto e tutti i racconti, da che mondo è mondo, hanno sempre la stessa struttura, sempre e comunque, c’è un percorso da fare da un punto all’altro e in mezzo c’è un ostacolo da superare, è tutto qui e cioè una sequenza deve proseguire per raggiungere la verità ma qualcosa lo “impedisce”, nel senso che occorre fare una serie di passaggi per arrivare alla conclusione. E questa conclusione serve perché varrà poi come premessa per costruire altre cose e sappiamo benissimo che da una conclusione che sappiamo essere falsa non si può costruire nulla, proprio per il modo in cui funziona il linguaggio. Qualche domanda intanto?

 

Intervento: Quindi anche l’inconscio a questo punto è una costruzione fra le tante …non lo so e se così è, però dico dove volevo arrivare, in questa evoluzione della psicanalisi che ruolo iniziano ad avere i sogni, che avevano un ruolo importante prima d’ora? E se inconscio e sogni non hanno più tanto ruolo perché continuare a chiamarla psicanalisi sembra più vicina alla filosofia del linguaggio o a ….?

 

Cominciamo dall’ultima questione, cioè perché continuare a chiamarla psicanalisi. In effetti, non c’è un motivo particolare. “Psicanalisi” è il termine che gli ha dato Freud e il termine psiche tra l’altro è abbastanza singolare, significa un po’ tutto e niente, dentro ci si può mettere qualunque cosa e il suo contrario. Rimane comunque un metodo che è quello che ha inventato lui per incominciare a interrogarsi e sapere perché si pensa quello che si pensa, qualunque cosa sia; poi, che Freud l’abbia utilizzato in occasione di alcuni disturbi, chiamiamoli così o di fobie, angosce, ecc., va bene, però non necessariamente. Abbiamo visto che la cosa può estendersi molto più in là di quanto lui stesso aveva immaginato, lui aveva proposto questa nozione di inconscio, inconscio dove come sapete sono presenti tutte le pulsioni dell’Es e tutto ciò che viene rimosso. Ma è così oppure no?

 

Intervento: È linguaggio, no? nell’inconscio non ci sarebbe la parola …

 

Sì, c’è qualche cosa che se noi volessimo potremmo anche piegare e fare dire a Freud quello che noi vogliamo, come è stato fatto con Freud e con infinite altre persone. Come sapete, se una persona è sufficientemente abile può far dire a chiunque quello che vuole. Lei dice che nell’inconscio non ci sono parole. In effetti, non ci sono proposizioni, non solo, non c’è il tempo, non solo, non c’è contraddizione, non c’è il vero e il falso,  e questo non è esattamente ciò che abbiamo detto del linguaggio definendolo come sequenza di istruzioni? Le istruzioni di per sé non sono né vere né false, non c’è neanche il tempo perché non c’è ancora il concetto di tempo, che deve essere costruito ovviamente, non ci sono le parole perché le istruzioni sono soltanto degli strumenti per costruirle le parole e, quindi, se volessimo, potremmo anche dire che Freud ci ha anticipati avendo così il conforto dell’autoritas di dovere, ma non ci interessa minimamente, non sappiamo quello che Freud ha volto dire, sappiamo quello che ha scritto, nient’altro. Lei parlava di inconscio, è una nozione, certo, che Freud ha inventata, che a lui è servita per procedere nella sua teoria. Si tratta di vedere nelle teorie, quante cose in queste teorie vengono immesse per confermare di fatto quella teoria, per evitare per esempio questioni imbarazzanti. Si sa, funziona così: esperimenti o esempi che vanno in contraddizione, così come vengono fatte per esempio le statistiche, nella migliore delle ipotesi sono pilotate, nella peggiore inventate. Questo me lo disse una volta una persona che era primario nel reparto di oncologia alle Molinette di Torino, le statistiche venivano fatte così, ma anche nel caso fossero fatte correttamente, comunque fino a che punto sono attendibili? È un discorso molto difficile che comporta molto spesso la fede, perché la fede guarisce? Lo sapeva? Guarisce, certo. Una persona, per esempio, che abbandona la fede per un’altra fede, cioè un neofita di una certa fede, ne ha un vantaggio immediato, subito sta benissimo, è felice e contento, perché? Perché ha trovato la verità o suppone di averla trovata naturalmente e questo ha sempre un effetto giubilatorio, un effetto gioioso di grande sollievo, leggerezza e forza, stabilità e sicurezza di sé, togliete questo e togliete tutto, togliete la sicurezza, la stabilità, la forza. Non so se ho risposto alla questione che aveva posta?

 

Intervento: Il ruolo dei sogni mi interessava, il ruolo dei sogni se c’è ancora …

 

I sogni fanno parte della persona e ciò che la persona racconta lungo un’analisi del suo sogno è un suo racconto. Certo, si possono fare anche delle ipotesi, se volete fare un’ipotesi possiamo anche farla. Nel sonno, come già Freud diceva, vengono meno tutte le difese, tutti gli sbarramenti che durante la veglia invece la persona ha, cioè tutte quelle cose che ha acquisite nel corso degli anni, cioè tutti quei giochi infiniti, giochi linguistici che ha appresi. Per esempio, il gioco del tempo, dello spazio, ecc., nel sogno possono benissimo non esserci perché tolta la veglia vengono tolti tutti quei giochi linguistici che sono stati appresi dal bambino negli anni che hanno seguito la sua infanzia e che hanno determinato il suo vivere comune, civile, consapevole di infinite cose, del tempo, dello spazio, della sequenzialità, che molto probabilmente un bambino che ha appena incominciato a parlare non ha, non ha perché ancora non gli è stato insegnato che esiste un prima, un dopo, un sopra, un sotto, ecc. Però, la cosa che in ogni caso interessa lungo l’analisi riguardo al sogno è ciò che la persona racconta, il suo racconto, ciò che dice. Questo già Freud aveva indicato mettendo anche lì, nell’Interpretazione dei sogni, l’accento sul racconto, sulla parola, sul discorso che la persona costruisce, e cioè mano a mano indicava che il sogno di fatto era ciò che la persona stava raccontando. Di fatto, non c’è nessuna certezza che ciò che la persona sta raccontando sia la esattamente quello che ha sognato per cui ci atteniamo a quello che dice, per cui in analisi è importante ciò che la persona dice, il suo racconto, il suo discorso. D’altra parte, un analista non ha altri strumenti se non ciò che la persona dice direttamente o indirettamente, come diceva qualcuno anche con i gesti, anche i gesti se non fossero inseriti all’interno di un discorso o in alcuni casi di un codice non significherebbero niente, significano qualcosa perché so che cosa la persona vuole dire o in ogni caso lo immagino…

 

Intervento: La questione della verità, sì perché se la intendiamo in questi termini come quelli che lei ha detto giusto per rimanere nel tema (rimaniamoci dunque) la verità può essere qualcosa che deve essere qualcosa che deve essere riconosciuto ( in che senso? ) la verità quando un elemento è riconosciuto universalmente vero cioè che un gran numero di persone gli danno lo statuto di verità...

 

Beh, questo è uno dei modi, certo, lei dice vox populi vox dei …

 

Intervento: Ma questa non è la verità, la verità non è qualcosa di universale, anzi, soprattutto se parliamo di clinica la verità è soggettiva, è la verità del soggetto come diceva lei sulla questione della fobia, ecc., non è importante se rispetto alla realtà quello che io ho detto è vero (certo) importante che sia vero per il soggetto …

Assolutamente sì, certo, è quello che per la persona è vero che funziona in quel modo …

 

Intervento: Perché lei diceva sempre: reputa, crede, concepisce è questa credenza che in realtà sostiene la verità del soggetto …

 

Sì, esatto, come per il fondamentalista islamico il fatto che Allah sia il padrone di tutto, il dio in terra è una verità personalissima che lo porta poi a certe conseguenze. Per esempio, per me non lo è affatto. Ora, la verità in effetti si pone il più delle volte come una direzione tant’è che l’unico modo probabilmente per porla in termini di qualche interesse non è in termini filosofici o ontologici, cioè come l’essere in sé di qualche cosa ma come una direzione. Tenendo sempre conto del funzionamento del linguaggio potremmo dire così: se il linguaggio può proseguire in una direzione, e cioè questa direzione non contraddice le cose che sa, cioè le sue premesse, allora chiama questa direzione vera; se non può proseguire perché contraddice la premessa da cui è partito allora chiama quella direzione falsa. Ma, come lei dice giustamente, costituisce sempre un aspetto particolare ciò che ha carattere universale, infatti l’ho denominato in un altro modo, non come verità ma come necessario, e l’altra volta avevamo dato una definizione di necessario che lei avrà dimenticata che è questa: necessario è ciò che necessariamente è e non può non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella né nessun altra cosa, e l’unica cosa che risponde a questo criterio è il linguaggio, non ce ne sono altre, perché se non ci fosse il linguaggio io non potrei neanche pormi questa domanda né nessun altra, ovviamente. Qualunque cosa il linguaggio costruisca non è necessario che ci sia oppure no, è irrilevante, una persona può credere una certa cosa, non crederci, non per questo smette di parlare, può sperare delle cose, disperarsi, fare tutto quello che gli pare, ma non per questo smette di parlare, continua a parlare, a pensare, a fare cose. Cesserebbe di parlare se cessasse il linguaggio, facciamo questa ipotesi per assurdo, è l’unica condizione, l’unica eventualità che non si verifica, per cui non c’è nessun timore, quindi la verità, certo, la verità riguarda il discorso di ciascuno, è costruita dal discorso di ciascuno, da altre conclusioni che sono state ritenute vere e che poi costruiscono altri discorsi ancora, i quali discorsi se non contraddicono quello precedente saranno ritenuti veri e muoveranno di conseguenza la persona …

 

Intervento: Quindi lo scopo della psicanalisi in questi termini è quello di raggiungere la verità?

 

Può accadere di incontrarla ma è provvisoriamente, la persona si accorge di cosa per lei ha funzionato e magari continua a funzionare come verità per cui l’ha costretta a muoversi in un certo modo, per esempio, avere paura di volare, visto che facevamo l’esempio prima …

 

Intervento: … in fondo non si può mai cogliere …

 

Sì, si può cogliere. In fondo, è ciò in cui la persona crede, i suoi valori, le sue superstizioni, le sue credenze, ciò che per esempio in una teoria sono gli asserti principali da cui muove tutto, sono le sue verità, dà per vero questo, dando per vere queste cose chiaramente ne segue tutta una serie di altri fenomeni e circostanze e considerazioni, ma la verità è sempre particolare, cioè riguarda un certo gioco linguistico ed è ciò che la persona crede vero, né più né meno. Sì, gli umani hanno sempre cercato la verità, quella assoluta naturalmente, quella che avrebbe dovuto piegare le menti di tutti immediatamente… Impresa difficile anche perché, come la retorica ci insegna da tempo, si può anche piegare la mente di qualcuno, il suo pensiero, ma questo non significa che la si sia persuasa, uno può essere convinto da quello che ha ascoltato “mi sembra così, però per me non è così” perché? Non lo sa, però non è così, perché non gli piace, perché va contro tutto ciò che sa, tutto ciò che ha imparato, che la mamma gli ha insegnato, ciò che gli hanno insegnato a scuola, e quindi non può essere così pur non sapendo perché. Se dovesse dire esattamente perché non è così non lo saprebbe fare ciò non di meno continua a dire che non è così, perché? Perché no, punto e basta. In ambito teorico non è un granché come risposta però molto spesso avviene così.

Sì, qualche altro?

 

Intervento: Sul modo con il quale il linguaggio riesce a scoprire la propria verità del paziente?

 

Il linguaggio propriamente non scopre nulla, il linguaggio è soltanto una sequenza di istruzioni, ciò che costruisce, ciò che viene costruito da queste istruzioni. Adesso usiamo queste allegorie, per il linguaggio è totalmente indifferente, è un po’ come se lei scrivesse su un computer, che lei scriva cose bellissime o terrificanti per il computer è totalmente irrilevante, non gliene importa niente, il linguaggio non fa niente, costruisce solo proposizioni, è l’unica cosa che sa fare, è l’unica cosa che fa, poi queste proposizioni si connettono fra loro, il linguaggio ovviamente parte da alcune istruzioni. Questa istruzione da cui parte è quella che dà il via a tutto ciò che dopo verrà chiamata esistenza, e cioè una sorta di identificazione di un qualcosa, che è esattamente come si addestrano le macchine in fondo, e costruisce anche dei criteri verofunzionali, quelli che poi decideranno ciò che è vero e ciò che è falso. Di per sé, come dicevamo, il linguaggio non è né vero né falso, assembla degli elementi e costruisce proposizioni, discorsi, tutto ciò che fanno gli umani poi,,,

 

Intervento: Lo psicanalista usa come strumento il linguaggio per aiutare il paziente a scoprire una verità o magari per capire la verità del paziente da aiutare e come lo fa …

 

Il fatto che l’analista usi il linguaggio, beh, sì e no, lo usa nel senso che ci è dentro. Cosa fa l’analista? Lo abbiamo detto in qualche modo prima: attraverso il racconto della persona, invitando la persona a interrogare il suo discorso, lo invita a reperire quelle cose che hanno funzionato e che continuano a funzionare nel suo discorso come delle certezze, delle sicurezze, delle cose fondamentali nel suo discorso tali per cui ci si attiene, si è attenuta, e che comportano delle conseguenze ovviamente. Per esempio, un attacco di panico procede inevitabilmente dalla certezza della persona di dover essere amata, per esempio, a tutti i costi da qualcuno, se questa certezza permane allora, nel caso in cui questa certezza venga messa in difficoltà, ecco che può intervenire un attacco di panico, può, non necessariamente, ma è sempre da certezze che succedono disastri se lei ci pensa bene, come le guerre per esempio sono sempre delle verità assolute,

 

Intervento: Posso? Io su questa questione della verità pensavo, restando sull’esempio dell’attacco di panico, cioè il soggetto quando una persona ha un attacco di panico ti sa dire esattamente quali sono gli elementi che hanno scatenato quell’attacco di panico, quella sensazione negativa, sudorazione. Per esempio, è in mezzo ad una folla, ha paura di essere schiacciato perché un sacco di persone e quindi mi sono spaventato e quindi, di conseguenza, mi è venuto un attacco di panico… Una verità del soggetto di tipo esplicito esiste, io ho la sensazione che nel discorso psicanalitico se utilizziamo il termine verità intendiamo la verità che è un qualcosa di non conosciuto al soggetto dove il linguaggio non fa nient’altro che nascondere questa verità e non scoprirla anzi tutto … dovrebbe praticamente fare in modo che il linguaggio svolga il ruolo di svelamento di questa verità …

 

In un certo senso sì, in un certo senso, però... (Al di là della verità cosciente del soggetto perché parliamo di vero o falso del soggetto che parte dal presupposti veri per arrivare a delle conclusioni è come se rimanessimo sempre nel discorso cosciente, se tutto fosse cosciente non avremmo ragione di esistere né psicologi né psicanalisti …sarebbe tutto molto semplice) Sì, come dice lei, certo, in alcuni casi (Scusi l’attacco di panico quello classico non è l’attacco fobico è proprio una sensazione di malessere grande però assolutamente immotivato quindi l’individuo non sa neppure perché sta male quando già identifica qualcosa già…l’attacco di panico è proprio qualcosa che arriva come un fulmine ) (Ma anche in questa spiegazione c’è sempre dov’è questa verità? ti dà una spiegazione quindi è già una verità) Vede, in questo caso nell’attacco di panico o qualunque altra cosa o come la paura di volare, la persona che ha paura di volare sa benissimo che la più grande percentuale di incidenti avviene per esempio in macchina ma non ha paura di andare in macchina, così come quello che ha paura di essere schiacciato dalla folla sa che la folla non lo schiaccerà perché non ha nessun interessa a farlo e perché non si è mai verificato tranne casi rarissimi, se no non succede, se uno va a passeggio per Piazza Castello che sia schiacciato dalla folla mi sembra piuttosto improbabile e quindi la persona stessa il più delle volte sa che queste motivazioni che dà in realtà non sono così attendibili cionondimeno prova paura, però lei diceva della verità… La verità non è altro che ciò che la persona crede essere tale. Per esempio, se lei ha una sua teoria riguardo a qualche cosa questa sua teoria riguardo a qualche cosa è la sua verità, né più né meno, è una cosa cui lei crede e che meriterebbe di essere interrogata per chiedere a questa verità da dove viene, cosa la sostiene, perché si impone così fortemente in lei anziché no. Per esempio, perché crede quella cosa anziché il suo contrario? Perché? Ecco queste sono le domande più interessanti.

 

Intervento: C’è gente che confonde gli attacchi di panico con quelli di ansia …

 

Questo è irrilevante per il discorso che facciamo questa sera, non è tanto distinguere un attacco di ansia, anche perché questa distinzione che si fa in realtà non è stata fatta da qualcuno che è al di sopra, che è super partes, sono distinzioni che vengono fatti da alcuni per comodità ma poi che si possono sovvertire a piacere perché io posso chiamare una cosa in un modo o nel suo contrario, posso chiamare attacchi di panico attacchi di ansia oppure attacchi di ansi attacchi di panico (…ho constatato che sono diversi) Sì, ci sono alcune manifestazioni differenti ma il modo in cui si chiamano, la loro nomenclatura non è così rilevante, importante è riuscire a riflettere da dove vengono, che cosa li costruisce, perché interviene una cosa del genere, a che scopo? Per esempio, (qual è il tornaconto) Sì, già Freud ne parlava ai suoi tempi, il tornaconto però... adesso sono le dieci passate, la volta prossima continueremo questo aspetto e accenneremo anche alla formazione dello psicanalista e poi naturalmente cercherò di mantenermi un po’ stretto nel racconto in modo da consentire un più ampio spazio al dibattito perché molte questioni sono rimaste in sospeso o male intese o non sufficientemente elaborate, dare più spazio al dibattito perché le vostre domande sono interessanti. Per il momento, vi ringrazio e ci vediamo martedì prossimo.