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BIBLIOTECA CIVICA di Torino

 

L’apertura di Freud alla questione del linguaggio.

La straordinaria portata linguistica del testo di Freud e la svolta sociale della sua invenzione

 

Luciano Faioni

 

21 novembre 2014

 

 

Il lavoro di Freud ha dato un contributo notevolissimo alla questione del linguaggio. Abbiamo accennato le volte scorse alla teoria di Freud come una teoria semantica, teoria semantica straordinaria mai fatta prima, per cui ciò che faremo questa sera è portare la cosa ancora oltre, oltre a ciò che Freud ha potuto fare con i mezzi che aveva ovviamente, molte discipline non erano ancora state inventate o comunque venivano inventate in quegli anni, mi riferisco alla semiotica in particolare, alla filosofia del linguaggio, ecc., basta considerare i cosiddetti tre saggi linguistici di Freud che sono L’interpretazione dei sogni, Il motto di spirito, La psicopatologia della vita quotidiana. La portata di Freud è stata essenzialmente incominciare a cogliere quanto le fantasie degli umani fossero importanti nella loro esistenza, nelle loro decisioni, nelle loro scelte, nella loro vita in generale. Ed è questo che distingue, anche ma non solo, la psicanalisi dalla psicologia per esempio, la psicologia si occupa del “mentale”, cioè dei processi mentali, la psicanalisi si occupa di fantasie, quindi potremmo dire a questo punto di processi linguistici, si occupa di fantasie e le fantasie non sono altro che discorsi, racconti, discorsi che la persona si crea a partire da altri, possiamo indicare la fantasia come un discorso che ha come premessa altre fantasie e conclude con altre fantasie, cioè altri discorsi. L’importanza di tutto questo è che Freud ha aperto una via straordinaria ponendo l’accento proprio sul linguaggio, ha aperto la via nel senso che è come se, anche se non lo ha fatto, avesse indicato l’urgenza di una riflessione intorno al linguaggio, intorno al discorso, intorno alla narrazione, operazione che altre discipline hanno fatto ma non con l’attenzione di Freud all’aspetto fantasmatico, cioè alle fantasie. Le fantasie sono, come dicevo, discorsi, quindi, pensieri, questi pensieri, che di fatto hanno l’unico scopo di produrre altri pensieri, cioè altri discorsi, sono costituiti in modo tale da riprodurre la struttura stessa del discorso, la struttura stessa del linguaggio. Ma andiamo per ordine, perché ciò che dicevamo nel primo incontro intorno alle pulsioni può risultare importante da riprendere, e cioè la considerazione che faceva Freud, sia nel saggio sulle pulsioni, sia nell’Al di là di principio di piacere, della necessità per il parlante di gestire una situazione ingestibile. Si parla di trauma, il trauma è noto che è un evento generalmente o spesso violento ma in particolare è un evento che la persona non controlla e sembra quasi che Freud suggerisca che sia proprio questa la questione, cioè l’essenza del trauma, il fatto di trovarsi in una situazione non gestibile. Sono moltissime le situazioni non gestibili, per esempio un terremoto, un incendio, un maremoto, ma più semplicemente nel caso di Freud una guerra, dicevamo l’altra volta, una guerra dove ciò che accade costituisce un evento di per sé assolutamente non controllabile. E, allora, l’ipotesi di Freud, che a mio avviso è straordinariamente interessante, è che la ripetizione di questo trauma abbia questo obiettivo, e cioè la riproduzione economica del fatto, economica, cioè gestibile, gestita. Questa riproduzione economica è quella che consente, se volete dirla così, una conclusione differente. Si può intendere meglio la questione se si riflette sulla questione della tragedia, come dicevamo anche nel primo incontro. Già da Aristotele la tragedia è la riproduzione economica di un fattaccio, economica nel senso che, riproducendola, le persone che assistono alla tragedia se ne stanno tranquille sedute sulla poltrona e non corrono alcun rischio, quindi la situazione è gestita, gestita perché non comporta nessun pericolo, essendo scritta ad hoc. In genere, la tragedia viene scritta da un romanziere o chi per lui, c’è un finale che Aristotele chiamava la “catarsi”, cioè quel momento in cui ci si riscatta e ogni cosa torna al suo posto, ogni cosa trova cioè la sua conclusione. Concludere qualcosa, dopotutto essere in condizioni di gestire qualcosa significa essere in condizioni di manipolare l’evento in modo tale che la conclusione di tale evento sia quella che io voglio, a questo punto se ho la possibilità di controllare l’evento, cioè di farlo andare nella direzione in cui io voglio che vada, ne ho il totale controllo. Dopotutto, il potere consiste in questo, il potere nell’accezione più ampia del termine, cioè come l’esecuzione o l’attuazione della messa in atto della propria volontà su altri o su altro, “io voglio che le cose vadano così e le faccio andare così”, se ho questa possibilità ne ho il potere, ho il potere di farlo. Freud non ha mai considerato la questione del potere in modo molto articolato, lo fece Adler ma in modo molto confuso e incerto, la “questione del potere”, perché il controllo è il potere. La questione del potere non è stata sicuramente posta per la prima volta da Freud, altri prima di lui l’hanno messa in evidenza, il famoso Etienne de la Boétie, ma Machiavelli soprattutto, lo stesso Marx, che in modo implicito hanno sottolineato la portato di questo aspetto presso gli umani, ma chi l’ha fatto in modo più esplicito e diretto è stato sicuramente Nietzsche, l’ha detto in modo inequivocabile quando diceva “badate che tutta la ricerca della verità per gli umani da sempre non è una ricerca così pura e disinteressata ma è una ricerca del potere, nient’altro che questo”. Il problema è intendere come ciascuna fantasia sia riconducibile a una fantasia di controllo, di conseguenza di potere. Consideriamo, intanto, le cosiddette “fantasie ad occhi aperti”, quelle che uno si fa quando se ne sta tranquillo in poltrona a fumarsi la sigaretta, cosa si costruisce? Si costruisce una scena dove il personaggio è lui ed è al centro di tutto, tutto ruota intorno a lui e le cose vanno esattamente come vuole lui. Certo, in questo caso è come se si costruisse un film del quale è regista, protagonista, sceneggiatore, ecc., quindi è ovvio che lo costruisce esattamente come lui vuole che le cose vadano… e nelle altre fantasie? Beh, occorre valutarle attentamente, qualunque tipo di fantasia, anche una fantasia di abbandono, una fantasia sessuale, qualunque tipo di fantasia, occorre verificare se ciascuna di queste fantasie è strutturalmente una fantasia di potere, e cioè una costruzione dove il personaggio, cioè l’autore che è anche attore, è colui che ha il controllo totale della situazione cioè, per dirla in termini più semplici, è colui che è in condizioni di fare in modo che le cose vadano nel modo in cui vuole lui. Certo, già Freud si era accorto rispetto al piacere che non è esattamente quello che gli umani cercano ma effettivamente poi aggiusta il tiro e si accorge che è il controllo che vogliono gli umani, cioè il potere, il potere sulle cose non soltanto su qualcuno ma anche sulle cose, sugli eventi, la scienza serve a questo, ad avere il controllo sulle cose. Ecco, dicevo, una qualunque fantasia, prendete per esempio la fantasia di abbandono, apparentemente potrebbe non essere o non apparire una fantasia di potere però, se voi considerate bene la questione, vi rendete conto che se ciò che io temo maggiormente è di essere abbandonato e ritengo questo evento inevitabile per qualche motivo allora, in prima istanza, questo abbandono evidentemente ha un tornaconto, questo lo diceva già Freud, e il tornaconto è un’altra forma di controllo. Ma, soprattutto, nel caso che io costruisca la fantasia di abbandono sono io che la costruisco, costruendola la gestisco e cioè costruisco la cosa nel modo in cui io voglio che vada. Per quale motivo? Lungo l’analisi lo si può intendere molto bene ma la cosa importante è che io la costruisco per lo stesso motivo per cui, cosa che sorprendeva Freud, i soldati ricostruivano quella scena traumatica, per esempio l’esplosione di una granata. Tutto questo ci conduce a una considerazione più attenta della questione del controllo e del potere e ci induce a considerare, almeno provvisoriamente, che una qualunque fantasia è costruita all’unico scopo di configurare una scena della quale io ho il controllo. Come dicevo, molti altri anche prima di Freud, direttamente o indirettamente, parlavano di una cosa del genere ma ciò che è sempre mancato è sapere perché, perché gli umani cercare il controllo, il potere, a che scopo? Non è mai stata fatta nessuna considerazione di qualche interesse a questo riguardo se non considerare che fa parte della “natura” dell’uomo e con questo non si è detto nulla, ovviamente, però Freud apre una via a questo riguardo a mio parere di straordinario interesse, indicando il linguaggio come ciò che costruisce le fantasie, le assembla letteralmente. Allora, forse, la risposta a questa domanda, cioè perché gli umani cercano il controllo, il potere, al di sopra di qualunque cosa al punto da essere disposti per questo a perdere la propria vita con estrema facilità o, più propriamente e più facilmente, quella altrui, che è sempre meglio se si può, però avere il potere, in questo caso nell’accezione più ampia del termine, può essere per esempio fare valere la propria opinione o una propria religione. Perché uno dovrebbe mettersi la cintura, dieci kili di C4 e farsi saltare in aria se non perché è convinto che questa operazione giovi alla sua causa, cioè alla sua verità? O i martiri del cristianesimo che si facevano sbranare dai leoni … Ecco, per dire che cosa gli umani sono disposti a fare pur di mantenere il loro potere, cioè le loro certezze, le loro credenze, per mantenere intatto e diffondere nel mondo la loro fede in definitiva, può essere la fede in una religione ma anche in un discorso teorico, in un discorso scientifico, un discorso economico, anche se alcuni discorsi sono meno adatti a sacrificare la propria vita. Dicevo, dunque, che occorre volgersi alla struttura del linguaggio per intendere una cosa del genere, perché dire che gli umani cercano il potere, cioè il controllo, è come dire che cercano la conclusione di una sequenza, di un discorso che sia congeniale al loro discorso, che concluda nel modo in cui vogliono, che questa cosa concluda e il linguaggio, in effetti, funziona proprio così. È questa la trovata straordinaria, cioè che il linguaggio funziona così, e cioè a partire da elementi, da premesse giunge a una conclusione, ciò che non è possibile per gli umani è lasciare in sospeso una conclusione. Vedo di illustrare meglio questa cosa. Lasciare in sospeso la conclusione non è nient’altro che il trovarsi di fronte a una situazione che non si è stati o non si è in condizioni di gestire, gestire, come dicevamo prima, l’evento e dare a questo evento la conclusione che io voglio che abbia. Cosa succede quando non c’è una conclusione, qualunque essa sia? Succede che tutto ciò che è stato fatto prima è come se non avesse senso, non avendo senso non è utilizzabile, non è utilizzabile per costruire altri discorsi, altre fantasie. Premessa, passaggi, conclusione, il linguaggio funziona così, qualunque discorso è costruito così, qualunque storia, qualunque narrazione, qualunque novella, qualunque teoria è costruita così, se non giunge a una conclusione rimane inconclusa, incompleta, insoddisfacente. Prima vi dicevo della scienza, la scienza è da sempre quell’insieme di teorie, di conoscenze, che hanno lo scopo di dare un senso agli eventi, dando un senso a un evento si presume di essere in condizione di prevedere quell’evento e avere il controllo su qualcosa, prevede anche molto spesso la possibilità di potere prevedere un evento. Prendete, per esempio, il concetto di “normalità”, rappresenta quella condizione in cui ciascuna cosa che accade è prevista, è prevedibile, questa è la nozione più comune di “normalità”, cioè non c’è nulla che intervenga a variare il corso prevedibile degli eventi. Infatti, qualunque cosa che non sia prevedibile e che accade all’improvviso toglie la normalità, diventa una variante, un eccezione, un trauma. Il trauma non più nella fantasia ma nel linguaggio, avviene esattamente nello stesso modo, e cioè quando interviene un qualche cosa all’interno di una sequenza a impedire che la sequenza possa concludersi, cioè possa essere gestita… Ora lasciamo da parte tutti i discorsi che possono farsi intorno al fatto che qualunque cosa non è gestibile, i discorsi che sono stati fatti e che vengono fatti. Per il momento non ci interessano, anche perché tutte queste ipotesi di non gestibilità in assoluto di alcunché procedono dal fatto che è stata costruita una teoria, e cioè sono state stabilite delle conclusioni che affermano in modo universale che qualunque evento non è prevedibile. Ma adesso non ci interessa questo, ci interessa il fatto che all’interno del linguaggio può essere indicato come “trauma” tutto ciò che impedisce la sequenza di concludere e quindi lascia la sequenza in sospeso. Una sequenza in sospeso è ciò che, a parte creare disagio nel parlante, quindi nel discorso, perché il parlante è il discorso che sta facendo, non è altro che questo, un disagio notevole tanto che il più delle volte la persona cerca una conclusione purché sia, basta che soddisfi la sequenza in un qualunque modo, ma la sequenza non può rimanere in sospeso, è come se dovesse ricondurre una sequenza, cioè il discorso, a una normalità dove ciascuna conclusione accade in modo prevedibile e se non è prevedibile deve essere ricondotta in un qualche modo alla prevedibilità, cioè al controllo. Tutto questo che vi sto dicendo apre alla questione sociale. Certo, detto così significa poco, però pensate in termini strutturali al linguaggio, cioè alla necessità di una qualunque proposizione, e tenete conto anche che gli umani sono fatti di linguaggio, di qualunque proposizione di concludere. Concludere comporta che questa conclusione abbia una particolarità, e cioè che sia riconosciuta come vera all’interno del discorso perché se è riconosciuta come falsa non viene accolta, deve essere riconosciuta come vera senza il più delle volte porsi particolari criteri di verità se non che, grosso modo, non contraddica le premesse da cui è partita. Dunque, deve concludere con un’affermazione e questa affermazione è necessario che sia vera per poter essere utilizzata, utilizzata per costruire altre proposizioni, se è falsa il discorso non la può utilizzare, quindi una sequenza che conclude con un’affermazione vera, questa affermazione vera viene intesa dal discorso come la descrizione di uno stato di cose, questa affermazione vera, questa conclusione dice che le cose stanno così. Quale migliore forma di controllo se non potere stabilire che le cose stanno così come io dico che stanno? Non c’è una migliore forma di controllo se non la possibilità appunto di descrivere, di dire, stabilire come stanno le cose, e questo è il linguaggio, la sua struttura, che obbliga a farlo, il linguaggio funziona così: premessa, passaggi conclusione, la conclusione deve essere riconosciuta vera per potere essere utilizzata per costruire altre sequenze. Questo è il funzionamento banalissimo, semplicissimo, saputo da sempre, non c’è nulla di strano in tutto ciò, quello che invece può apparire strano è che gli umani stessi funzionano così in tutto ciò che fanno, ogni costruzione che viene fatta dagli umani, cioè ogni fantasia appare mantenere questa struttura, e cioè un discorso che deve concludere con un’affermazione che dice come stanno le cose. In ogni ambito, nei campi più disparati, in situazioni politiche, economiche, religiose, sentimentali, ovunque, ovunque gli umani parlino accade questo, e ciò che sto dicendo fra le righe, ma neanche tanto, è che non può non accadere inesorabilmente, e cioè sto dicendo che gli umani non possono fare altrimenti. Questa apertura che Freud ha proposta senza seguirla ovviamente per motivi vari che adesso non ci interessano, è qualche cosa che rende conto finalmente del perché gli umani pensano nel modo in cui pensano e fanno le cose che fanno, prima di questo e cioè in assenza di Freud tutto questo non sarebbe stato possibile. Perché pensano nel modo in cui pensano? Perché essendo fatti di linguaggio non possono non mettere in atto ciò di cui sono fatti e cioè questa struttura che segue un andamento che è sempre lo stesso, non può essere altrimenti, la costruzione cioè di sequenze che devono concludere con un’affermazione vera. Questa affermazione vera, essendo utilizzata per costruire altre sequenze, viene intesa come un’affermazione che stabilisce come stanno le cose, una descrizione di uno stato di fatto, quindi, non possono non pensare in questo modo, non possono farlo, dovrebbero trovare un’altra struttura per pensare che non sia il linguaggio. Non dico che sia impossibile ma dico che è straordinariamente difficile trovare un’altra struttura per pensare quindi per dire che non sia linguaggio, un’altra cosa completamente differente, quale? È complicato, però, non poniamo limiti alla provvidenza. Sappiamo, quindi, come pensano, di conseguenza sappiamo perché fanno quello che fanno e cioè perché sono costretti incessantemente non soltanto ad affermare cose che ritengono essere vere ma a cercare di imporre sul pianeta, a seconda delle proprie possibilità ovviamente, la propria verità, la propria conclusione, cioè quell’affermazione che dice come stanno le cose, in una parola a imporre il proprio potere, mantenerlo, diffonderlo, soprattutto imporlo. Questa è una banalità, è ciò che gli umani sanno da sempre, chiunque ha del potere cerca di mantenerlo e incrementarlo, chiunque per qualche motivo non ritiene di avere potere cerca di averne a qualunque costo. Non si è mai saputo perché avvenisse una cosa del genere, magari fra un po’ vi diranno che è da qualche parte nei geni oppure nel risvolto della giacca, che non è molto diverso in teoria. Ma la questione è molto più semplice, riguarda cioè il modo in cui gli umani sono fatti, è il modo in cui pensano e, di fatto, il modo in cui non possono non pensare. Per pensare in un altro modo dovrebbero avere un’altra cosa che non sia linguaggio per farlo ma non c’è. Pertanto, Freud aveva visto bene, le fantasie sono ciò di cui gli umani vivono ma il passo in più che possiamo fare possiamo farlo grazie a lui, se Freud, come dicevo prima, non ci fosse stato non sarebbe mai neanche venuta in mente una cosa del genere, se non avesse detto in modo esplicito che gli umani sono fatti di fantasie, dunque, dicevo, a questo punto è possibile sapere perché gli umani pensano quello che pensano ma soprattutto il modo in cui pensano e che qualunque fantasia venga costruita ha questa struttura inesorabilmente perché è costruita dal linguaggio e il linguaggio deve concludere con un’affermazione che dice come stanno le cose. È come se una qualunque affermazione non potesse darsi se non in forma universale, dopotutto la scienza in buona parte ha sempre cercato affermazioni universali, perché? Per un motivo molto semplice, perché il linguaggio è fatto così, il linguaggio deve stabilire come stanno le cose e come stanno le cose deve essere in forma universale, cioè deve stabilire come stanno le cose non adesso qui in questo istante ma come stanno sempre, necessariamente, cioè come non possono non stare. Questo anche nelle teorie scientifiche più recenti comunque funziona, anche nelle teorie linguistiche che apparentemente appaiono meno metafisiche, come la semiotica per esempio; le stesse teorie psicanalitiche più recenti appaiono essere lontane dalla metafisica ma non è esattamente così. La metafisica dopotutto non è nient’altro che il supporre che ciò che accade mentre si pensa abbia una ragione di esistere che è al di fuori di ciò stesso che l’ha creata, cioè del linguaggio. La metafisica non è nient’altro che questo, però non ha torto nel senso che se un’affermazione non ha un carattere universale non è utilizzabile, potrebbe, certo, essere utilizzata come ipotesi, ma un’ipotesi che non ha possibilità di verifica, tutte le teorie basate su ipotesi in effetti ad un certo punto per potere funzionare, cioè per potere continuare a costruire affermazioni, devono abbandonare l’idea che sia soltanto un’ipotesi ma porla come un universale e cioè come un’affermazione che dice come stanno le cose. È possibile trovare aspetti metafisici nella teoria di Freud, è ovvio, ha dovuto nonostante tutto, ciò che stava facendo avrebbe potuto suggerirgli che ciò che stava costruendo era un possibile gioco linguistico al pari di qualunque altro. Tutta la sua teoria è fondata in buona parte sull’osservazione e l’osservazione si sa che è sempre parziale e, quindi, tecnicamente non può essere utilizzata come universale, anche perché la mia osservazione è finita, è un insieme finito di osservazioni, di considerazioni, anche se aggiungo quelle di tutte le altre persone, tutte quelle che ci sono state, quelle che ci sono e quelle che ci saranno, sarà comunque sempre un insieme finito e, quindi, tecnicamente non universale. Quindi, occorre fare un passo in più, occorre fare come se fosse un universale, che è quello che non solo ha fatto Freud ma che fa chiunque per potere costruire una teoria se no non la costruisce, se no costruisce degli eventi parziali, come dire “adesso in questo istante è successo questo”, poi dovrebbe dire “adesso in questo altro istante è successo questo” e così via all’infinito. In questo modo non è possibile costruire nessuna teoria, cioè nessuna prevedibilità, e una teoria che non sia costruita per la prevedibilità di eventi, di fatti, non è una teoria, può essere semplicemente una sequenza di fatti ma non organizzati, per organizzarli occorre una teoria che tragga da tutti questi particolari un universale. Un modo induttivo, quindi, se è successo sempre così allora succederà questo, se da quando si conoscono gli umani la mattina è sempre sorto il sole, ci sono buoni motivi per pensare che succederà anche domani. Certo, ciascuno organizza la sua esistenza tenendo conto di questo ma di fatto non è sicuro, non è una certezza, quindi la teoria, e non solo quella di Freud, deve utilizzare un aspetto che possiamo indicare come metafisico, almeno parzialmente, e cioè deve considerare un’affermazione come un’affermazione universale che dica che le cose stanno così. Il passo che la metafisica non ha fatto, e non può fare, è che dice che le cose stanno così non perché questa è la realtà delle cose ma perché serve per potere procedere, questo è l’unico motivo, perché se non compie questo, se non fa questo passo, non costruisce una teoria, costruisce appunto, come dicevo prima, una infinita sequenza di eventi particolari che se non sono organizzati in una teoria non significano niente: “adesso è successo questo”, “adesso è successo questo”, “adesso è successo questo”, però nulla toglie che invece là succeda un’altra cosa, che scombina tutto. Per teorizzare la nozione di “inconscio”, di “rimozione” o qualunque altra cosa, è stato necessario inesorabilmente compiere affermazioni universali, però l’insegnamento di Freud, anche se lui stesso ha utilizzato questo sistema, è importantissimo e determinante perché, torniamo alla questione delle fantasie, lui ci ha detto che di fatto gli umani vivono di fantasie. Una costruzione teorica è una fantasia, se io stabilisco come stanno le cose questa affermazione che dice come stanno le cose è una fantasia, non è un’affermazione su una realtà che sarebbe fuori dalla fantasia, non lo è, questa la via di uscita che propone Freud alla metafisica tradizionale. La quale, poi, è costretta, tutto sommato, a dire che un’affermazione dice come stanno le cose in modo universale, però immagina che questo universale sia supportato dalla realtà, cioè da un qualche cosa che funziona da garanzia, e questo in Freud, se seguiamo il suo discorso e cioè seguiamo la sua indicazione a considerare ciò che gli umani sono come fantasie, fatti di fantasie, cioè di linguaggio, allora questo universale ha un’altra accezione, quanto meno è sì universale, dice che le cose stanno così, ma dice che le cose, cioè le parole, badate bene, le cose, cioè le parole, stanno così al solo fine di potere proseguire, non c’è nessun altro obiettivo. Questa è la portata straordinaria delle teoria di Freud, che non dice propriamente queste cose. Certo, io sono partito da lì, da Freud, dalle cose straordinarie che si trova a scrivere, e dalle aperture, dalle direzioni, che apre di volta in volta, ne apre tantissime, io mi sono limitato ad alcune. Posta la questione in questi termini, appunto sto ponendo un’affermazione universale, allora tutto cambia. Ma tutto cosa? Beh, il modo di pensare degli umani, si tratta di tenere conto di quello che fanno e di tenere conto di perché lo fanno soltanto per avere il controllo, cioè il potere su qualcosa o su qualcuno, e questo non possono non farlo essendo fatti di linguaggio, non potendo non farlo sono travolti continuamente da questa necessità, è ciò che li fa muovere. Potremmo considerare il primum movens degli umani il potere, la ricerca del potere, e cioè la ricerca o l’assoluta necessità di dovere concludere un discorso con un’affermazione che appare vera. Questa struttura del linguaggio è quella che rende conto del funzionamento degli umani, senza intendere come funziona il linguaggio, cioè ciò di cui sono fatti gli umani, non si intende niente degli umani e si continua a brancolare nel buio immaginando cose strane che li muovono per natura, senza tenere conto che la stessa natura è un’invenzione, è una fantasia al pari di qualunque altra. Gli umani hanno costruito questo concetto di “natura” per potere rendere conto di alcune cose che altrimenti non trovavano nessuna spiegazione, prima c’era la mitologia, poi è stata la religione, poi la scienza, ma il ceppo da cui parte tutto ciò è sempre lo stesso, questo lo notava anche Koyré: la religione e la scienza sono la stessa cosa solo che ad un certo punto si sono biforcate, l’una, la religione, ha considerata la verità come data e da mantenere e da difendere, l’altra, la scienza, ha considerato la verità come fosse da trovare ma che ci fosse comunque, è soltanto da trovare, ma il ceppo da cui partono è lo stesso, cioè la necessità di trovare qualcosa che renda conto delle cose, dia un senso. Tutta la ricerca filosofica è una ricerca del senso, l’ontologia, la metafisica, la filosofia del linguaggio, la stessa logica, in un certo qual modo, sono tutte teorie che puntano al raggiungimento del senso, del significato, cioè quella cosa che rende conto del perché avviene qualcosa. Nessuno ha mai saputo perché esiste negli umani una cosa del genere, anche Aristotele se ne accorge nelle prime righe della Metafisica, di questa tensione che hanno gli umani verso il sapere, verso il conoscere. Dopotutto, anche la ricerca di Freud è partita da lì, cioè sapere perché per esempio Anna O aveva il braccio fortemente indolenzito, seduta a fianco del letto di morte del papà, lui si è chiesto perché, è sempre la stessa domanda, “perché?”, e questa domanda è possibile grazie a questa struttura di cui gli umani sono fatti. Il “perché?”, cioè una ricerca di una connessione, di un collegamento che renda conto di qualche cosa, è la struttura stessa del linguaggio, ciascun elemento del discorso non esiste da sé, esiste in quanto connesso con altri elementi e, se è connesso, necessariamente con altri elementi ciascun elemento è come se “cercasse” l’elemento successivo, e così via all’infinito. Anche tutto ciò che vi sto dicendo rientra all’interno di questo ovviamente, dopotutto non è altro che un chiedersi perché, e una psicanalisi è questo, è il porsi domande, interrogare qualunque cosa, la religione ritiene che a un certo punto questa ricerca debba essere interrotta, la psicanalisi no, questa è una delle differenze sostanziali, fra i due modi di pensare, la psicanalisi non pensa che la ricerca, l’interrogazione debba fermarsi ad un certo punto, è la sua fortuna, la sua chance, la sua ricchezza. Se una psicanalisi ritiene di dovere fermarsi su qualche cosa perché è così allora non è psicanalisi, è una religione, perché la religione fa esattamente questo, ricordate Tommaso e le sue cinque vie, una di questa diceva che non è possibile la regressio all’infinito, da qualche parte occorre fermarsi, il problema è dove. Naturalmente, lui proponeva di fermarsi dove faceva comodo a lui, guarda caso, ecco, la psicanalisi no, è proprio interrogando oltre ogni limite, interrogando oltre il ragionevole che è stata costretta a interrogare ciò stesso che consentiva di interrogare qualcosa, e cioè la struttura di cui è fatta la psicanalisi come qualunque altra cosa, cioè quella cosa che consente agli umani di pensarsi tali per esempio, e insieme con questo pensarsi qualunque altra cosa, ed è quella cosa che comunemente si chiama linguaggio. Da qui l’esigenza di saperne di più, come funziona, perché l’idea, l’origine era questa, se si fosse inteso con precisione il funzionamento del linguaggio, dopo avere inteso a partire da Freud che gli umani sono fatti di linguaggio, allora sarebbe stato molto più agevole sapere perché gli umani pensano nel modo in cui pensano. Qualcuno potrebbe domandare perché porsi una domanda del genere, a che scopo? Perché siamo fatti di linguaggio, non possiamo non fare domande in continuazione a meno che, appunto, ci si fermi su qualche cosa, come voleva Tommaso. Se ci si ferma su qualche cosa allora sorgono problemi, perché questa cosa deve essere protetta da qualunque altra interrogazione, che la minaccerebbe inesorabilmente, e da tutti i suoi nemici e da tutti coloro che non pensano nel modo in cui penso io, Se ci si ferma su qualche cosa allora questo qualche cosa non è più pensato come un elemento linguistico, quindi in continua mutazione, non è più pensato come un’occasione da potere proseguire ma diventa un qualche cosa da difendere, da proteggere, qualcosa che dà una propria identità, che consente un riconoscimento. La nevrosi è esattamente questo e anche la psicosi, ovviamente. A questo punto tutto ciò che Freud ha elaborato intorno alle nevrosi e alle psicosi assume una forma differente, anche molto più semplice, Però, per la più parte degli umani un’indagine di questo tipo comporta dei problemi, e cioè il non potere più esercitare il proprio potere, e a questo gli umani per lo più preferiscono la morte, come accade per altro, per potere mantenere il proprio potere si è disposti a qualunque cosa, mentre se potessero venire poste le cose che ho articolate adesso, è ovvio che non c’è più nessuna ricerca di potere anche se si sa perfettamente che il linguaggio funziona così, cioè che sono costretto per andare avanti a formulare delle affermazioni universali che mi consentono però soltanto di andare avanti, non sono delle verità, come volevano gli antichi verità sub specie aeternitate e cioè delle verità eterne che, se pensate in questo modo, devono essere protette, difese, a qualunque costo. Anche la nevrosi in fondo è una battaglia per il potere, combattuta tra i propri pensieri, per esempio volere qualcosa e il suo contrario, che è una delle cose più comuni, peraltro. Se volessimo sempre attenerci rigorosamente al testo di Freud allora dovremmo domandarci, a proposito della rimozione, perché la persona crede a ciò che, Freud lo chiama Super io, impone alla persona? Perché ci crede? A che scopo? Visto che il crederci comporta una serie di malanni che lo faranno stare male, potrebbe non crederci affatto. Allora, la domanda si sposta su una questione più generale, più importante, e cioè che le persone credono, a ciò che credono in generale. Perché ciò in cui credono è considerato essere vero, è considerato il mezzo, lo strumento per poter essere riconosciuti da altri, per poter essere importanti, per poter essere riconosciuti come importanti. Etienne de la Boétie è molto attento a questo aspetto e lo descrive in modo molto preciso su come funziona la suddivisione del potere a piramide. Se io mi aggrego a una persona, a un gruppo importante, mi posso sentire importante anch’io, essere considerato, avere valore, questo che cosa significa poi alla fine? Significa che le cose che io dirò saranno considerate importanti, cioè vere, e così viene soddisfatto il requisito fondamentale del linguaggio che è quello di costruire proposizioni vere in un modo o nell’altro. Ecco, questo è ciò che a grandi linee intendevo dirvi questa sera, nel frattempo se c’è qualche questione, qualche domanda, qualche perplessità, mi rendo conto che le cose che ho dette non sono così comuni e quindi possono generare delle perplessità… delle domande, dei dubbi, e siccome ciascuno è fatto di linguaggio non può esimersi dall’essere spinto, per usare un termine caro a Freud, non dalla pulsione ma dalla struttura del linguaggio che impone di fare domande e impone di fare domande perché ciò che si ascolta, se non collima con ciò che si sa, rischia o di mettere in dubbio la propria verità e quindi deve essere eliminato, deve essere eliminato o confutandolo o mostrando che è falso o semplicemente considerandolo una sciocchezza, cioè non prendendolo in considerazione. I metodi per confutare e negare un discorso, su questo la retorica la sa lunga, tutti i sistemi possibili e immaginabili, usando per esempio un argomento ad hoc o ad hominem, quello ad hominem è più difficile perché nessuno di voi mi conosce così tanto tranne qualche amico, però si può confutare partendo dalle premesse che sono state utilizzate per costruire il discorso mostrando che le stesse premesse possono giungere a conclusioni opposte; si può partire, invece, dalle conclusioni dimostrandone l’assurdità rispetto a ciò che è considerato normale. I metodi sono tantissimi e la retorica è appunto quel pensiero che ha escogitato e ha trovato, anche perché è molto vecchia più o meno duemilacinquecento anni, e in tutti questi anni ha elaborato molti sistemi per confutare discorsi, per renderli cioè inefficaci oppure per renderli efficaci utilizzando un sistema opposto. C’è qualche domanda, curiosità?

Intervento: ho ascoltato le ultime cose che lei ha detto, la questione del linguaggio soprattutto, gli umani non lo sanno, a parte gli addetti ai lavori e forse neanche loro sono giunti alle conclusioni cui siamo giunti, che possono essere i semiotici, i linguisti, gli umani non sanno di essere linguaggio che sta funzionando, non sanno nulla di linguaggio, non è stato insegnato loro quello che lei andava dicendo, e quindi avviene proprio questo, queste informazioni vengono rigettate come delle cose “irreali” fra virgolette, ed è questa la paradossalità perché se viene detto alle persone che sono fatti di cellule, e di tutte le altre cose che sono state inventate, non ultimo che discendono dai pesci, dalle scimmie eccetera, queste cose vengono credute, queste cose sono la verità, se invece si parla del linguaggio che è ciò che ci consente di sapere che siamo fatti in un certo modo, che consente il sapere, se si parla di linguaggio che è una questione semplice tutto sommato, estremamente semplice ma il fatto che tutto questo non ci sia stato insegnato la rende paradossalmente “difficile” e soprattutto non credibile, e per lo più proprio per le questioni di cui parlava questa sera e che hanno a che fare con il potere, con la questione del controllo del sapere, anche la questione del potere, gli umani credono che il potere sia per lo più lontano da loro, non sia qualcosa che li riguarda ma qualcosa che subiscono e non possono accorgersi che questo sta funzionando nel loro discorso, anche una semplice, per esempio, depressione, non c’è un discorso meno dedito al potere che quello della depressione, di una persona depressa che impone a tutti i costi il suo disagio, il suo star male, vuole essere capita, vuole essere amata, vuole essere al centro ….(vuole avere potere) certo è questa la questione, per cui si immagina che il potere sia qualcosa che non “mi” riguarda ma riguarda sempre altri ….

Certo, l’esercizio del potere, del proprio potere, delle proprie conclusioni, quindi, delle proprie verità. È qualcosa che avviene comunque sempre, qualunque cosa si ascolti da parte di chiunque comunque c’è questa valutazione, cioè se ciò che si ascolta collima con ciò che si sa oppure no, se collima allora conferma le cose che io so, se non collima allora deve essere eliminato a meno che ciò che si ascolta non abbia così tanta forza o trovi, probabilmente per via fantasmatica, una strada per cominciare a mettere in discussione delle cose però, se qualcosa viene messo in discussione, è sempre perché se ne immagina un vantaggio. Anche su questo Freud aveva ragione, il tornaconto è un’altra forma di potere, uno può ascoltare delle cose e dire “sì, è vero quello che lui dice, che le cose effettivamente stanno così” e nel momento in cui dice “effettivamente le cose stanno così” ha affermato una formulazione di tipo universale, cioè ha saputo o immagina di sapere come stanno le cose e quindi ha potere sulle cose. Ora, non sto dicendo che questo sia male, badate bene, anzi, prima ho detto che è inevitabile, si tratta soltanto di sapere ciò che si sta facendo, ciò che sta avvenendo, tutto qui. È questo che fa la differenza immensa ma è tutto qui. “Sapere che cosa sta accadendo, cosa si sta facendo, cioè, in definitiva, che cosa sta accadendo mentre si parla, si pensa, che è la stessa cosa.

Intervento: Questa operazione che stiamo facendo è straordinaria anche per un aspetto più generale. Riflettevo intorno alla questione che il principale ostacolo rispetto a un intendimento della questione è che stiamo facendo un po’ piazza pulita del concetto di “psichico”. Più volte abbiamo affermato, parafrasando Wittgenstein, che i problemi psichici non sono nient’altro che problemi linguistici, lui diceva “logici” noi diciamo linguistici….

Lui però si riferiva alla filosofia “non esistono problemi filosofici ma problemi logici” …. Si può parafrasare, certo, in questo modo

Intervento: Infatti, è solo una parafrasi. Comunque, questa è la questione su cui riflettevo e cioè a questo punto cosa ne rimane dello “psichico”? In effetti, Freud ha formulato la sua teoria immaginando un sistema che per lui è un sistema psichico, questo è ciò che fa parte della formazione di ciascun psicoanalista. Parlare di struttura psichica comporta qualche cosa di abbastanza evanescente e che difficilmente può avere un qualche fondamento consistente…

Sì, non solo, Freud stesso nella Metapsicologia mi sembra di ricordare abbia detto che le cose che stava dicendo, facendo, erano provvisorie, chiunque avesse trovato qualcosa di meglio ben venga

Intervento: lui auspicava che si trovasse nell’organico

Aveva una formazione medica, certo, e quindi, soprattutto all’inizio cercava qualcosa di organico. Poi, mano a mano, andando avanti diventava sempre più improbabile e comunque la sua attenzione si era volta verso qualcosa che riteneva molto più importante e cioè appunto le fantasie, il modo in cui si strutturano, si producono, si creano…

Intervento: Questa questione dello psichico e dell’organico è erede di Cartesio…

Non avendo a portata di mano la questione del linguaggio, Freud doveva dare un nome a questa cosa. Ora, il fatto che abbia usato questo termine greco “psiché” rende conto del fatto che non aveva un termine tedesco per indicarla, se no avrebbe usato il tedesco che gli era sicuramente più congeniale del greco antico, e “psiché” è stato tradotto in tanti modi, anima, soffio, addirittura “psichos” erano i morti, quindi, come intendere, perché usare un termine che non viene più usato da duemila anni e di cui si sa il significato parzialmente, come sempre accade rispetto all’etimo? L’etimo è sempre abbastanza incerto, come sappiamo come usassero esattamente? Infatti, ciascun traduttore spesso usa un termine differente e usare un termine greco, così come usare un termine latino oggi all’interno di un sistema filosofico significa che quel termine si lascia così perché non c’è una traduzione appropriata, come se quel termine rimanesse aperto a interpretazioni. Dopotutto, è un sistema che viene utilizzato nei testi anche universitari o nei testi importanti, alcune parole non vengono tradotte appositamente, non è che non vengono tradotte perché il traduttore non era capace, era capacissimo ma ha preferito lasciare il testo originale proprio per la estrema difficoltà o equivocità del termine da tradurre, che può essere tradotto in tanti modi e un modo differente cambia tutto, cambia il significato di tutto ciò che segue e, quindi,si preferisce per esempio lasciarlo in tedesco in questo caso o in greco o in qualunque lingua sia… Il potere, certo, cerca primariamente di mantenere se stesso per citare la famosa frase di Ivan il Terribile nel famoso film di Eisenstein, alla fine gli fa dire che il primo compito dello stato è difendere se stesso dai nemici interni ed esterni, questo è il primo e probabilmente unico compito dello stato. Bene, vi invito a intervenire alla riunioni che facciamo ciascun mercoledì alle nove nella sede dell’Associazione che è in via Grassi 10, perché è in queste riunioni che riflettiamo su tutto ciò cercando di aggiungere, di chiarire, di articolare, di esplorare sempre nuovi aspetti. Uno, infatti, degli aspetti belli del linguaggio è che è al tempo stesso un sistema chiuso e aperto, è chiuso perché non c’è uscita in nessun modo, è aperto perché all’interno del linguaggio è possibile costruire un numero che appare infinito di proposizioni, quindi, di discorsi, quindi, di teorie, di narrazioni e, quindi, ciascuno di voi è invitato se vuole intervenire il mercoledì sera con noi, è assolutamente gratuito. Per il momento vi ringrazio e vi auguro una buona serata.