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21-11-2002

 

Beatrice Dall’Ara

 

L’ambizione della depressione

 

I pensieri che dissolvono la depressione

 

Sono Beatrice Dall’ara, psicanalista, mi sono formata con Luciano Faioni e proseguo la formazione nella Scienza della Parola, Associazione culturale che ha come obiettivo quello di formare Analisti,  in prima istanza. Di questo abbiamo già parlato negli incontri precedenti e avremo l’occasione di parlarne ancora, adesso comincerei a leggere. Questo scritto segue a una storia, a un racconto quello di due giovedì fa,  a  un racconto  che  ci si  può trovare  ad ascoltare in una analisi:  Ricordate il racconto della Signora, quella dei grandi sentimenti ai quali non poteva rinunciare? Sentimenti di bontà, di giustizia, sentimenti del bello….per questi grandi sentimenti, queste grandi emozioni di cui andava fiera, di cui era ambiziosa,  era costretta a mantenere il   sacrificio dei figli, il suo bene più profondo, per questa Signora era impossibile metterlo in gioco, non poteva esprimere il suo sapere, non poteva metterlo in gioco perché metterlo in gioco era la messa in atto, l’attuazione  di quel sacrificio, era la parola magica o le parole magiche che lei non poteva mai pronunciare perché se no accadeva ciò che lei immaginava che accadesse cioè la distruzione dei suoi figli, come una buona  madre sa, come tutte le madri sanno e allora era costretta a mettere in scena, a proiettarsi quei filmini per poter dimostrare la propria incapacità, perché  al momento in cui verificava lo scampato pericolo allora poteva incolparsi cioè accollare su di sé e il biasimo per quel sacrificio che lavava, che toglieva azzerando tutto, dimostrandosi, dimostrando a sé  che era incapace, che non sapeva, che non capiva, come dire che la sua incapacità era data dal poter dimostrare a sé e a quel dio da cui discendeva che il suo sapere non valeva niente. Come dire che ad un tempo si puniva e a un tempo esaltava il sapere di quel dio che solo poteva decidere come e quando fare accadere le cose, quelle cose che erano le sole che lei conosceva, quelle cose che il suo mondo permetteva, quel mondo in cui vigeva la legge del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del bello….come dire che per provare quei grandi sentimenti la Signora poteva solo amare, poteva solo porgere l’altra guancia,  poteva solo sottomettere e sottomettersi a quel sapere che era a sua disposizione, messo a sua disposizione dalla grandiosità del suo dio, che era tutto, era infinito e quindi intelligente e quindi sapeva, lei usufruiva di questo sapere ma non poteva dirlo perché era la parola di dio, era la parola di dio quella che lei proferiva, e lui poteva aversene a male e quindi per non rinunciare alla protezione di quel dio, per non rinunciare al sapere del dio era costretta a subire, a mettersi in ginocchio a piangere e a pregare, era costretta a rimanere in quella  posizione (posizione di cui sappiamo) era costretta a interpretare quella telenovela una di quelle che vanno per la maggiore alla televisione, ma non poteva interpretare, non poteva chiedere perché, non poteva chiedersi il perché   continuava a ripetere quel gesto, quella scena, sapeva solo che le cose stanno così, che non poteva osare di pensare, lei non capiva, non poteva. Aveva imparato così e ciò che aveva imparato da suo nonno, a scuola o al catechismo era il sapere, un sapere tramandato in cui i valori sono ciò che conta, ciò che rende grande e robusto, non poteva ammettere il suo sapere o meglio non poteva dirlo perché dire il suo sapere equivaleva ad ammettere che se c’è il giusto è perché c’è l’ingiusto, c’è l’inganno, c’è chi inganna, questo la Signora sapeva, sapeva dell’inganno, sapeva che accanto al bene c’è il male, sapeva che poteva utilizzare sia il bene che il male, ma lei utilizzava solo il bene. Il male era escluso dal suo discorso, non poteva odiare perché non poteva essere lei ad odiare, non era responsabile del suo odio, non poteva ammettere di invidiare perché ciò che aveva era tanto e quindi nel suo mondo non c’era invidia e se qualcuno rubava lo faceva perché aveva bisogno di mangiare, doveva dar da mangiare ai suoi figli perché lei donava, lei proteggeva quei figli  era una madre, doveva coltivare l’incapacità per poter continuare a donare, doveva salvare, lei sapeva che al mondo  occorre  soffrire per guadagnarsi il paradiso. Costruire l’incapacità in un giro vorticoso per cui l’attesa è per il paradiso, per un mondo migliore in cui non ci siano vincitori e vinti, perché non ci sia più il colpevole che inganna, il colpevole che inganna e colpisce all’improvviso, che spunta dal nulla perché non lo conosco, per non vederlo, perché colpisca a mia insaputa, perché non possa accorgermi che sono io il colpevole. Ma questo è il sapere? Il sapere di tutta una tradizione? Il saggio sapere di come stanno le cose? Quello che tramanda la religione, ciò per cui cerca la verità la scienza , scienza che afferma di non cercare dio, perché dio non c’è ma cerca la verità per sconfiggere le malattie , perché c’è la malattia si tratta di cercarne il farmaco, cercare il farmaco adatto oppure di arrivare in altri mondi, mondi sconosciuti, o costruire la bomba che rende innocuo il nemico, o trovare l’immortalità, ridotto all’osso questo è il sapere di cui andare fieri. L’ambizione della depressione è di poter utilizzare questo sapere, fisso immobile che è un sapere consacrato dal tempo ma soprattutto dalle voci più autorevoli, dalla storia, dalle istituzioni che si pongono al posto di dio e che come quella madre, come le madri sanno quali sono i pericoli  che sono costrette a costruire e a mantenere per godere di ciò che sanno e che devono tramandare. Nel discorso occidentale così come è strutturato è necessaria la costruzione della sofferenza, quindi la costruzione della colpa perché senza tale costruzione sarebbe impossibile il governo, la governabilità, è necessario costruire il male, ciò che non va, per continuare a parlare, è necessario per tramandare il sapere, è necessario che esista il male e quindi la paura del male e quindi l’attrazione per il male, perché il discorso, un qualunque discorso può parlare, dire del bene solo se sa di che cosa è fatto il male e viceversa, se non sapesse che cosa è il male non avrebbe la necessità di parlare di ciò che è bene, la questione non si porrebbe, non lo interesserebbe  e quindi potrebbe divertirsi con altro, dire altro, fare altro. Ma il sapere questo fisso e intoccabile, in alcuni casi indicibile è un sapere che travalica il discorso di cui è fatto, travalica il proprio dire è un sapere che non può essere messo in gioco perché se no chiede immediatamente  di essere provato, e qui può essere difficile compiere una operazione di questo genere,  per esempio,  se la depressione potesse chiedersi “come so che le cose vanno a catafascio? che succederà la tale sciagura?che rimarrò senza soldi e morirò di fame?” e potesse rispondersi che non è necessario, certo  possibile,  e potrebbe aggiungere chissà quali altre possibilità, dipende dalla fantasia, dalla fantasia che possiede perché potrebbe anche essere tagliato a pezzettini e condito con sale e pepe oppure vincere un biglietto della lotteria, possibile ma non necessario; si accorgerebbe ponendosi questa domanda sul suo sapere se è necessario quello che sa, si accorgerebbe delle infinite possibilità e quindi di quante direzioni può incontrare il suo discorso solo che lo voglia, solo che voglia fare un altro discorso, perché non è l’unica direzione non è una costrizione logica per cui la strada è segnata ma occorre che lo voglia, occorre solo che possa fare un piccolo passo, voglia incominciare a pensare e incominciare a pensare significa semplicemente far funzionare il discorso, il discorso in cui si trova e che utilizza in una sola direzione come se qualsiasi altra direzione fosse bandita, fosse chiusa perché non sa cosa dire, perché non trova nulla da dire, come se non ci fosse un rinvio, un rimando come se da quella parte non fosse possibile passare e non può passare perché ciò che sa glielo impedisce, perché la possibilità è bandita. Ma se potesse mettere in gioco questo sapere sarebbe  costretto a subire una parte che non vuole giocare? Perché lui non vuole giocare questa parte, ma perché la gioca? Uno dei modi per continuare a mantenere questo sapere fisso e immobile nei millenni è non poter considerare che è qualcosa che si dice e che si può utilizzare parlando, se non potesse dirsi, raccontarsi , come lo saprei? Come potrei sapere della sua esistenza, dell’esistenza di questo sapere? Sapere dell’esistenza del bene o del male, del patire o del gioire, come potrei sapere per esempio, che la sofferenza è necessaria, come potrei attendere la salvezza , aspettare che qualcosa si sveli se non potessi trarlo, se non potessi concludere cioè inferire che deve esistere qualcosa al di là del bene o del male, se il bene o il male deve la sua esistenza ad un discorso un discorso che lo costruisce, perché è l’unica cosa di cui ha da dire, ma se potesse dire altro se la strada non le fosse preclusa se potesse interrogarsi su ciò che  è necessario, su quella verità che il linguaggio cerca per poter proseguire e trovasse la verità, una verità assoluta perché il suo discorso che interroga se stesso non la può negare, esisterebbe l’attesa di un mondo migliore? Questa presunzione  e questa distruzione di tutto ciò che fa esistere? E trovata questa verità che è l’unica affermabile e quindi l’unica percorribile, una costrizione logica,  che ha l’unico scopo di interrogare il discorso, quale discorso? Il mio in prima istanza. Perché ciò che so non è distinguibile da ciò che credo se ciò che credo è che tutto ciò che sta avvenendo o che può avvenire sia fuori dal discorso che io in prima istanza sto facendo, e lo sto facendo perché esisto, esisto parlando, traggo la mia esistenza unicamente perché c’è una struttura che chiamo linguaggio che mi permette l’affermazione che qualsiasi cosa è un gioco linguistico. Struttura che mi permette anche di apprezzare ciò che faccio dicendo,  perché posso apprezzare qualsiasi cosa se e solo se lo posso inferire  cioè posso concludere, posso concludere anche le cose, posso concludere e vedere quel fiore, posso apprezzare il suo profumo… senza questa struttura in cui le cose avvengono nulla sarebbe, persino il nulla di cui sto dicendo non avrebbe un’esistenza, non potrei affermarlo, non esisterebbe il nulla e non è una contraddizione, ma è vero,  perché il nulla è una costruzione linguistica, un gioco linguistico che trova applicazione per esempio, nel discorso della depressione. Non è una contraddizione se posso considerare che l’unica contraddizione e quindi l’unica via non praticabile, perché non porta a nulla è che io affermi che non sto parlando, visto che lo sto facendo, e questo non va senza conseguenze perché credendo di raccontare certe storie se non sto parlando allora queste storie sono vere e visto che la mia esistenza la devo a ciò che dico se non mi interrogo su ciò che dico non mi accorgo che sto dicendo e allora subisco, subisco quel discorso che io vado facendo perché ci credo, credo che sia l’unico discorso possibile, un mezzo per descrivere una realtà che io ricomincio che riprendo e che non posso che ripetere.

 

Bene, c’è qualcuno che così d’acchito vuole intervenire? Vuole aggiungere qualche elemento oppure vuole obiettare a qualche mia affermazione, a tutte le mie affermazioni, a quello che io mi sono trovata a dire. Qualche domanda, per esempio, a proposito del linguaggio visto che ciò di cui io ho parlato, ciò che mi ha permesso di fare tutte le affermazioni che questa sera mi sono trovata a fare, affermazioni che non sono necessarie in quanto sono negabili, sono qualcosa che io ho affermato per raccontare, per dire di una certa storia e le storie che ciascuno conosce sono tante e quindi questa non è l’unica storia,  ma l’unica cosa che io ho affermato e che non posso negare è che c’è una struttura che mi permette di esistere,  per esempio, di dire che sto esistendo….

 

Intervento: scusi la struttura quale sarebbe il linguaggio?

 

Sì quella struttura che io chiamo linguaggio

 

Intervento: perché lei prima ha detto “sono ciò che dico” cosa vuol dire?

 

Vuol dire che io trovo la mia esistenza, posso affermare che sono Beatrice Dall’ara e   che sono una psicanalista, perché c’è questa struttura che sta funzionando e che mi permette di distinguermi e quindi di affermare che sono Beatrice Dall’ara e quindi di differenziarmi, di trovare una differenza e quindi di trovare un’altra direzione,  di trovare un’altra strada

 

Intervento: e se questo linguaggio funziona poco

 

Come è possibile che il linguaggio funzioni poco? Il linguaggio (magari funziona ma io divento più silenziosa) diventa più silenziosa? Ma questo non vuol dire che il linguaggio non stia funzionando, il silenzio di cui dice questa persona, di cui sta affermando questa persona, questa qualità tutto sommato che enuncia questa persona  silenziosa non è al di fuori di una struttura linguistica che permette la “silenziosità” questa qualità, questa categoria, assolutamente il linguaggio  è ciò che permette che esista il silenzio, per esempio, senza questa struttura non ci sarebbe silenzio e quindi la Signora non potrebbe  essere  una persona silenziosa, per esempio. Quando noi parliamo di linguaggio non ci riferiamo alla verbalizzazione ci riferiamo a quella struttura che pone in atto, fa accadere qualsiasi cosa. Fa accadere qualsiasi cosa perché funziona in un certo modo, funziona in un certo modo,  come dire che pone degli elementi e questi elementi, per esempio, non può porli tutti assieme cioè deve distinguere ciascuna volta quello che afferma, ciò che dice,  deve trovare la sua esistenza nel discorso proprio perché il linguaggio non esisterebbe se non avesse la possibilità di poter considerare ciascuna volta quello che afferma cioè l’esistenza del linguaggio, il linguaggio funziona perché utilizzando un certo termine esclude tutti gli altri termini che sono a disposizione e utilizzabili da questa struttura, ma in quel momento sta dicendo quello e quindi perché esista il linguaggio, una delle condizioni è proprio che esistano delle regole per cui se dico che una persona è silenziosa sto dicendo  e sto escludendo, per esempio che la persona stia  a dire continuamente un sacco di cose, è una qualità in quel momento della persona quella che io sto affermando, è quello che voglio dire quindi per dire questo devo escludere, il linguaggio deve escludere per esempio il suo contrario, che la persona invece parla tanto. In quel momento sto facendo un certo gioco, gioco che vuole affermare che la tal persona è silenziosa per cui per potere fare questa operazione il linguaggio non fa altro che chiudere tutte quelle porte che non permetterebbero  questa affermazione, chiude tutte quelle porte che escludono che io possa dire altro da quello che sto dicendo. Ma  se la persona è silenziosa  non per questo il linguaggio  non funziona, solo che crede in qualche modo di essere silenziosa perché crede di non stare dicendo questa cosa  ma sta affermando questo, la chance è che si accorga che sta affermando di essere silenziosa a quel punto potrebbe chiedersi come mai è silenziosa e quindi chiedersi se è proprio questo ciò che le piace, a quel punto si accorgerebbe di parlare e quindi  avere  molte più chances. Ecco.

 

Intervento: una questione a fianco di quanto è stato detto che riguarda la connessione tra il linguaggio e la depressione una connessione che non sempre può apparire così evidente, però in effetti una persona afferma di sé di essere depressa oppure altri lo affermano quando generalmente perde l’interesse  per il mondo che lo circonda, una perdita di interesse considerata non legittima, perdendo interesse ovviamente anche la sua condotta segue questa direzione e cioè ciò che si manifesta è la sua assenza di attività per esempio, stare fermo immobile guardare il soffitto o qualunque altra cosa, ma  questa perdita di interesse ci sono buone probabilità che segua a qualche altra cosa, anziché venire dal nulla. L’interesse per qualche cosa lo si perde o può essere perso per una serie di motivi, nel caso della depressione il motivo principale è la constatazione della assenza di senso delle cose che la circondano che ad un certo punto non hanno più senso, è chiaro che una qualunque persona di fronte alle cose che non hanno alcun senso si astiene dal farle, dal pensarle, dal dirle ecc. in modo assolutamente legittimo, però la depressione fa questo in modo che appare non legittimo. Ma dicevo della connessione con il linguaggio perché lo stabilire che nulla ha interesse, nulla ha valore come dicevo segue a un’altra serie di considerazioni, una serie di pensieri  e la conclusione ovviamente è fatta di una serie di passaggi ma questi passaggi come qualunque argomentazione, di qualunque tipo muove da una premessa, attraverso una serie di passaggi, e giunge alla conclusione e la conclusione è che nulla ha valore, ma qual è la premessa? Questa è una questione che può porsi, da dove muove una cosa del genere? Questa premessa come diceva prima Beatrice è sostenuta ovviamente da altre argomentazioni, per l’effetto o la conclusione di altri discorsi, che la persona si è fatta più o meno consapevolmente ma non può giungere a nessuna conclusione se non c’è una argomentazione che glielo consente. Ora intendere quali sono le premesse o se preferisce le cose in cui crede necessariamente per potere concludere ciò che conclude, questo potrebbe essere di notevole interesse. Come dire a quali condizioni io posso affermare, per esempio, che nulla ha valore? Occorrono delle condizioni ovviamente, la prima fra queste è che esista un valore, la seconda che questo valore sia necessario, terzo che se non c’è il valore allora nulla interessa e poi altre considerazioni ancora. Ora la depressione, diceva giustamente Beatrice, come sa tutte queste cose? Chi gliele ha insegnate? Da dove vengono? Ovviamente fa parte di una conoscenza che è praticata comunemente, di una serie di luoghi comuni, luoghi comuni che sono presenti nella più parte delle persone, la differenza è che nel così detto depresso accade li prenda con maggiore serietà cioè ci crede di più, in effetti prendete una qualunque cosa, una qualunque affermazione, quella che vi pare e incominciate a considerare che valore ha, una volta risposto a questa domanda incominciate a chiedervi perché e andate avanti così fino ad esaurimento, ciò che trovate è assolutamente nulla e pertanto il depresso, la depressione in generale non ha torto a considerare che le cose non hanno nessun valore , non ha neanche ragione anche perché qualcuno potrebbe obiettare perché dovrebbero averne uno? Per esempio, chi l’ha detto? Ecco allora che la così detta depressione si mostra come una sorta di costruzione teorica, come una teoria non è casuale che taluni magari un po’ affrettatamente abbiano accostata la depressione al nichilismo per esempio, la corrente filosofica, che ha i suoi fondamenti, legittimi come qualunque teoria filosofica e anche la sua contraria, ciascuna di queste è assolutamente legittima anche la depressione, ha fondamenti assolutamente legittimi, ora la questione che può porsi è perché il depresso è così fortemente attratto da questi pensieri o perché un cristiano è così fortemente attratto da altri pensieri o un comunista da altri pensieri …perché c’è l’eventualità che la struttura sia la stessa, c’è questa eventualità, una sorta di attrazione per un pensiero, le cose vanno male, per esempio dice la depressione, che problema c’è a stabilire una cosa del genere e trovare infinite conferme a questa affermazione, non c’è nessun problema, se invece volete affermare che le cose vanno bene allora potete farlo e avrete infinite argomentazioni per poterlo fare. Ora ci si chiede ovviamente rispetto alla persona depressa come fare per farla uscire dalla depressione, è una richiesta legittima così potrebbe essere  quella che chiede come fare a fare in modo che una persona credente cessi di credere, e in alcuni casi c’è anche la stessa difficoltà è un pensiero ad un certo punto in base alle informazioni che ha acquisite e in base a ciò che ritiene più opportuno, o a ciò che più gli piace giunge a certe conclusioni alle quali rimane fortemente e saldamente ancorato. Ora si potrebbe domandare perché fare in modo che una persona abbandoni una proposizione del genere, forse perché abbandonando un pensiero così stabile così fisso magari può divertirsi di più, cercare di fare altre cose, però in realtà le cose che pensa dicevo sono pienamente legittime, è vero: non c’è nulla che abbia nessun valore, sbarazzatevi della nozione di valore e bell’è fatto, non c’è nulla che abbia un valore, le cose vanno male e non c’è nessuna salvezza, ci sono miliardi di persone che pensano una cosa del genere in modo assolutamente legittimo così come è assolutamente legittimo pensare esattamente il contrario. Però la questione molto precisa su cui si è soffermata Beatrice riguarda in effetti il modo di pensare, il modo di pensare quello più comune, più corrente che si fonda trae le proprie certezze da luoghi comuni, ora questo modo di pensare comporta ovviamente dei contraccolpi, è inevitabile, e allo stesso tempo Beatrice indicava anche una alternativa: imparare a pensare. Non è semplicissimo, non è semplicissimo perché per farlo occorre avere gli strumenti sapere cioè quando una affermazione è verificabile oppure no, oppure assolutamente arbitraria,  sapere per esempio che se afferma che tutto va bene o che se afferma tutto va male entrambe le affermazioni sono altrettanto arbitrarie, e se sono arbitrarie diceva giustamente Beatrice non sono necessarie, se non sono necessarie allora sono io responsabile di ciò che affermo, se affermo che tutto va male e che nulla ha valore l’unico responsabile sono io, come dire l’affermo perché mi piace così. È chiaro che una persona non può affermare una cosa del genere cioè dire affermo questo perché mi piace ma è questo ciò a cui occorre che giunga, perché a questo punto non funziona più, questo gioco cessa di funzionare, crolla non sta più in piedi, diventa ridicolo, risibile.

 

Intervento: si potrebbe affermare che uno psicanalista è un prestigiatore della parola?

 

Certo occorre che lo sappia fare un analista (….) non le piace la cosa? Preferisce soffrire, preferisce subire un discorso? Preferisce credere al bene  e al male? Chiaramente questo può se lo vuole (…) lei pensa, immagina che in una analisi si faccia l’analisi di qualcos’altro che non sia parola?

 

Intervento: vorrei fare una domanda:  la qualifica di psicanalista…

 

Da chi è attribuita? (la qualifica è autorizzata dallo stato?) intanto già Lacan diceva che l’analista si autorizza da sé, lo psicanalista si autorizza da sé perché se è autorizzato dal governo o dallo stato non è più uno psicanalista perché deve predicare ciò che lo stato conclude, ciò che lo stato stabilisce e allora come fa a fare l’analista o lo psicanalista? (….) lei cerca una “purgazione” in qualche modo (….) lei immagina che un analista o uno psicanalista una volta stabilito che il bene o il male sia una costruzione del linguaggio, che è stata costruita all’uopo da “potenze”, lei immagina che lo psicanalista si interessi a quel punto di questo gioco che è prodotto dal bene o dal male, l’analista ha altro da fare e assolutamente non gliene importa nulla di giocare con le passioni e quindi di giocare agli indiani, di fare il gioco del bambino ha altro da fare lo psicanalista per cui questa censura che lei immagina debba esistere sicuramente …

 

Intervento: diversi anni di analisi…

 

Come decide che si possa analizzare altri se non è la persona stessa che ad un certo punto ha gli strumenti per poter analizzare il suo discorso, è questa la difficoltà estrema, lo psicanalista non è colui che analizza o psicanalizza l’altra persona ma fa in modo che l’altra persona possa fare l’analisi del suo discorso, possa compiere questa operazione, perché se no è ancora una volta un attribuire all’altro quelle che sono le proprie credenze, così come avviene per lo più, così come fa il sacerdote, così come fanno i sapienti che professano questo sapere di cui parlavo che è necessario per la costruzione continua e infinita della sofferenza, per esempio, per un mondo migliore, ché non puoi mai apprezzare quello che stai facendo dicendo lì in quel momento mentre costruisci, che dici quello che puoi dire, quello che vuoi dire, quello che ti interessa dire.

 

Intervento: la questione di cui parlava il signore è una questione che era già stata affrontata con Freud in un   saggio che non è molto conosciuto ma estremamente importante, Freud diceva che le persone meno indicate per praticare come analisti erano appunto i medici non dando però delle indicazioni particolari per quanto riguarda invece chi fosse possibilmente eletto a praticare come psicanalista. La questione dell’autorizzazione…Lacan diceva che si autorizza da sé e, aggiungeva lui, non chiunque. Precisazione non da poco, questa. La questione dell’autorizzazione è importante perché è un termine che ha una sua valenza ben precisa in una analisi, e in effetti questa questione dell’autorizzazione riflette esattamente, possiamo prendere ad esempio il caso di questa sera della depressione, laddove il depresso non si autorizza mai, è sempre in attesa di qualcosa che autorizzi, come dire questo che immaginare che esista lo stato o qualunque istituzione che sia depositaria di un sapere, esattamente di quel sapere di cui parlava Beatrice,  prima, un sapere che deve essere immobile, depositario di questo sapere  lo stato, l’università qualunque istituzione …con quale pretesto? Questo,  che il cittadino è un incapace, che il cittadino ha bisogno di protezione comunque di tutela, e questo è esattamente il cammino opposto a quello che sta facendo la psicanalisi, esattamente il cammino opposto laddove il luogo comune individua il cittadino, il suddito o comunque il soggetto che comunque è sempre in attesa di autorizzazione e quindi sempre incapace,  la psicanalisi ha questo obiettivo, non tanto di rendere capace la persona,  non si tratta di capacità,  ma di porlo nella condizione che il problema di essere capace o incapace non esista più, in effetti tutta questa struttura  dell’autorizzazione …a parte che Freud faceva una piccola precisazione ma molto importante laddove parlava   di  queste persone come diceva lei che ad un certo punto si autorizzano, dei ciarlatani…l’autorizzazione che cosa fa?  Autorizza la ciarlataneria ché a questo punto è sufficiente un’autorizzazione per cui anche il meno capace in quanto autorizzato è esso stesso tutelato, perché in effetti la questione dell’autorizzazione non tutela il cittadino, tutela chi fa questo mestiere e che lo mette al riparo, tutti gli ordini che sono stati costituiti  delle professioni non sono a tutela del cittadino, sono a tutela degli iscritti all’ordine, perché li mette al riparo da qualunque possibile rivalsa da parte di qualcuno che può avere subito un danno, per esempio, questo direi che è estremamente importante, questa cosa,  perché mette in gioco anche tutto un modo di pensare, per esempio, tutta la questione del diritto politico, politica intesa in senso generale, intesa,  per esempio,  come organizzazione sociale, come organizzazione sociale quindi incominciare intanto questo rispetto alla psicanalisi, lei diceva “al di là del bene e del male” e l’incapacità mi pare di ricordare che è sempre stata ritenuta dal discorso occidentale una forma del male, quindi se si vuole andare al di là del bene e del male occorre che si incominci a intendere la questione al di là della capacità o dell’incapacità, se mai,  di accogliere esattamente ciò che il discorso occidentale ci addestra a non fare: accogliere il desiderio, perché è esattamente questo la preoccupazione somma di tutto il discorso occidentale, perché si è effettivamente strutturato in questo modo,  in modo tale che ciascuno sia in condizioni di non riconoscere il proprio desiderio e quindi di trovare ciò che lo soddisfa, in qualcosa che è fuori dal linguaggio e di cui è in qualche modo titolare l’istituzione. Se è titolare l’istituzione diventa intoccabile. Era solo per dare una breve risposta perché chiaramente la questione solleva moltissimi altri aspetti, però questo non è un aspetto semplicemente a fianco è un aspetto quello di cui ha parlato lei essenziale proprio anche nella struttura dell’analisi stessa.

 

Intervento: sì ma allora il discorso è a doppio taglio perché allora voi stessi potete avere bisogno di una garanzia, di essere tutelati da concorrenti ciarlatani o cialtroni…

 

 

 

             Questo se lo era posto anche Freud, in un certo senso, non c’è modo di tutelare nessuno, CAMBIO CASSETTA       ciò che mi garantisce è semplicemente ciò che faccio, ciò che garantisce, se vogliamo portare all’estremo la cosa, l’unica cosa che garantisce ciò che faccio è la ricerca quindi la necessità di proseguirla questa ricerca…

 

Intervento: …io vorrei dire riguardo all’intervento precedente, certo che la psicanalisi si pone un obiettivo estremamente ambizioso che è quello di liberare la società da tutta una serie di vincoli, da tutta una serie di costrizioni, da tutta una serie di …..cioè da liberare l’uomo dai dogmi ma intanto lo vedo una cosa utopistica e poi da un certo punto di vista mi spaventa, mi spaventa perché, sì lei ha detto bene che ci sono delle normative, ci sono dei punti di riferimento che ognuno di noi ha,  a cui è ancorato, non ha senso dire sbagliati o positivi o negativi, si possono rivelare poi anche negativi, il problema è che vivere senza punti di riferimento, vivere così nell’incertezza lo vedo estremamente gravoso, estremamente limitante cioè alla fin fine perché gli individui si sono aggregati in società, si sono aggregati in una struttura organizzata che può essere la tribù, la nazione o lo stato?  per avere la sicurezza, per avere certezze, di essere protetti insomma, di ritornare a una protezione a cui tutti aspiriamo che è quella del bambino che viene protetto dai genitori

 

Infatti parlavo della madre,  questa metafora…sì lei parlava dell’ambizione  della  psicanalisi e direi che più che ambizione è una scommessa perché vede,  lei diceva che occorre essere sicuri del punto di partenza, di ciò su cui si poggia il piede,  per poter in qualche modo affermare qualcosa e diciamo così che la psicanalisi, questo percorso iniziato tanto tempo fa che ha proseguito la sua domanda, la sua interrogazione  può compiere questo miracolo, in qualche modo, questo è il suo obiettivo, questa è la scommessa, la scommessa che parte appunto dal suo sapere, è un sapere necessario, l’unico sapere… l’unica cosa che sa la psicanalisi, che c’è solo qualcosa di assolutamente necessario, assolutamente necessario è che io parli, che ciò che dico avvenga e intervenga attraverso un discorso, questo sa,  questo è ciò che rende assolutamente sicura la psicanalisi e quindi ciò che deve fare lo sta costruendo,   sta costruendo pezzo per pezzo quelle che saranno le regole, le regole che permetteranno al linguaggio di proseguire e di non fermarsi su quelli che sono i dogmi stabiliti da qualcuno che crede o immagina di essere altro di una produzione linguistica. Diciamo che la sicurezza della psicanalisi è quella di ascoltare un discorso in prima istanza e quindi di agire su un discorso e intervenire su un discorso, non su quello che io immagino voglia dire quel discorso o credo o interpreto, sapendo che l’interpretazione che da una psicanalisi è una stringa di proposizioni che non è, come le altre cose,  assolutamente necessaria, perché l’unica necessità logica, l’unica costrizione logica è quella che io possa affermare che sto parlando, al momento in cui io tento di negare questo che sto parlando, non faccio nulla  e a quel punto accolgo qualsiasi luogo comune, posso parlare della madonna o dei marziani, posso parlare di qualsiasi cosa il mio discorso parte di lì ma non fa nulla, assolutamente nulla, è solo interrogandomi a questo punto sul funzionamento di questa struttura che posso modificare, variare il modo di pensare perché il pensiero avviene solo perché c’è questa struttura, il pensiero è parola in atto, discorso in atto, il pensiero è una struttura inferenziale  che conclude da un elemento a un altro elemento e al momento in cui mi trovo ad avere a che fare con una struttura linguistica e quindi logica sintattica a questo punto sono sicura che è questo il mio obiettivo, l’obiettivo di cambiare un discorso se è possibile, di farlo proseguire,  ma  non di intervenire su gli ineffabili o su delle passioni ma   nei dei giochi, certo sono tutti giochi linguistici che produce questa struttura, questo motore immoto, per utilizzare una metafora, ma contro il sentire, contro le passioni se la persona non vuole pensare non c’è nulla che possa compiere questo miracolo, chiaramente stiamo lavorando anche per questo è solo questo il nostro obiettivo, la scommessa. Poter portare avanti una ricerca infinita, poter costruire mondi possibili, giochi linguistici ma soprattutto  poter cominciare a pensare, cambiare modo di pensare, ché noi in prima istanza siamo analisti, analisti della parola ed è con questo che facciamo i conti, solo con questo, occorre non sbagliarsi perché è con un discorso che si ha a che fare in prima istanza e anche in seconda, con una struttura….(ci sono persone non capaci di questo scambio civile che arrivano alle mani) di questo parlavamo a proposito del nemico   e di cui Cesare parlerà fra quindici giorni ….

 

 

Intervento: fra depressione e linguaggio che rapporto c’è?

 

C’è un rapporto sì: il linguaggio è l’unica cosa che non possiamo negare al momento in cui neghiamo il linguaggio non possiamo più fare nessuna affermazione al momento in cui neghiamo la depressione, non c’è nulla che lo vieta, la depressione è una costruzione linguistica, è una moda, è un discorso, che non è inteso come discorso ma è un discorso quello della depressione. Se la depressione potesse accorgersi di essere un discorso allora non avrebbe più motivo di esistere, il linguaggio non lo utilizzerebbe più e la depressione non sarebbe mai esistita, non solo non esisterebbe ma non sarebbe mai esistita, solo negando il linguaggio è possibile la depressione, al momento che questa depressione è una costruzione linguistica a questo punto posso giocare altri giochi, fare altri giochi non mi interessa più perché se è una costruzione linguistica ed esiste quel discorso che pratica questa costruzione credendo di raccontare delle cose,  al momento in cui è il linguaggio che produce la depressione e io sono linguaggio e produco questo discorso, e sono l’artefice della depressione, non mi diverto più a giocare con la depressione, proprio mi è barrato, non sono più interessato,  il mio discorso non si interessa più alla depressione, non la utilizza più, ci sono immediatamente altre cose che lo interessano di più (…..) se  è la realtà che il depresso descrive credendo che sia al di fuori del discorso che si trova a ripetere, dicevo se questa realtà è quella, la verità ed è fuori dal discorso allora tutti dovremmo essere assolutamente depressi, perché quella realtà uccide  se è fuori da un discorso, perché non si può mutare, anzi curioso che ci sia qualcosa al di fuori del discorso della depressione, curioso che non ci sia solo depressione, paura, strage se questa verità che viene descritta da un depresso è una descrizione quindi è fuori da un discorso….curioso che invece ci siano persone che fanno altri discorsi se la realtà è fuori dal discorso, è fuori dal linguaggio, la chance è che la realtà è all’interno del linguaggio,  e quindi una costruzione linguistica…dica

 

 

Intervento: ho trovato interessante il discorso però mi sto chiedendo come sia compatibile quanto lei ha detto, con quanto ha detto Freud, sul fatto della depressione come un momento in cui l’io è vittima del super io. Un super io particolarmente arcaico e severo, il soggetto in qualche maniera come fa ad uscirne? Bisognerebbe spazzare via quel super io…

 

 

Se lei immagina che il Super io o l’Io o l’Inconscio, siano delle istanze fuori da un discorso e che non siano delle metafore (il soggetto le vive come qualcosa di concreto) ma certo, per forza non ha chance il soggetto se non è un soggetto grammaticale, non ha chance questo soggetto perché non può che viverle, non può che subirle, è solo al momento in cui lui si pone all’ascolto di ciò che dice che può accorgersi che sta dicendo e quindi sta affermando quelle cose, solo a quel punto ha la chance di poterle confutare, negare, di trovare altre direzioni al suo discorso, di renderle inutilizzabili per il suo discorso solo a quel punto…prima non è un Io non è un soggetto grammaticale che serve al linguaggio  per funzionare e per disporre varie direzioni nel discorso….(è un soggetto assorbito…dovrebbe strutturare un altro io osservante che esca da quel conflitto ….) non è così difficile compiere questa operazione basta che abbia la volontà di farlo, se vuole costruire una cosa di questo genere metta in atto questa costruzione, deve farlo,  è lui l’artefice di una cosa di questo genere, perché a lui serve questa costruzione, nel mio caso non lo trovo così utile e quindi (lei ritiene superato questo discorso) no, io non ritengo superato  il discorso di Freud,   lo ritengo un  discorso, questo io ritengo, un discorso che è stato utilissimo, che ho utilizzato per molto tempo e che ha cominciato a far intervenire nel mio discorso la domanda, ma non lo posso considerare un dio, considero Freud un discorso molto interessante al quale in molti momenti ritorno, poiché tutti sommato non tanti si sono trovati dire delle cose che per me abbiano avuto un certo effetto, per cui posso tornarci ma con l’intento più che di prendere…..cioè partire dalle affermazioni di Freud di confutarle quelle affermazioni di Freud, perché sono ciò che fermano il mio discorso perché “l’ha detto anche lui”,  se credo che Freud sia qualcosa di diverso da una produzione lui stesso, come me, come Lei, una produzione del linguaggio ma questo non è una maledizione, questa è la ricchezza che io ho a disposizione intendendo la struttura del linguaggio,  potendo distinguerli, affermare che li distinguo dal linguaggio  e che mi distinguo dal linguaggio che mi produce perché a quel punto io sono responsabile di quello che vado dicendo, posso a quel punto costruire, sapere che sto costruendo quello che sto dicendo o quello che vorrò dire, il mio discorso non sarà fermo su postazioni che non hanno più alcun senso nel mio discorso, l’unico obiettivo è di continuare una ricerca, ricerca che verte solo, solamente su questa struttura che mi produce e alla quale devo la mia esistenza. Questa è la ricchezza è la chance, è quello che permette al mio pensiero di funzionare, è quello che permette di non credere che le cose stiano in un certo modo, che ci sia un dio che solo ha la possibilità di parola, io ho responsabilità di parola, io sono responsabile di quello che dico perché a questo punto ogni affermazione che interviene nel mio discorso ho la possibilità di confutarla, confutarla fino a che trovo quella proposizione che non posso negare a quel punto ci sarà quell’altra cosa che mi serve per costruire altro (probabilmente bisognerebbe interiorizzare tutta un’altra visione del mondo per eliminare quella precedente del famoso Super io arcaico, io torturato)   vede,  occorre che nel proprio discorso intervengano quelle domande che possano mettere come minimo in dubbio quello che vado affermando, chiedere conto al proprio discorso   quali sono i propri saperi, come fa a sapere che le cose stanno così, provare questo sapere e a quel punto o le cose le accetto così  perché mi si danno, perché lo ha detto Freud, perché le ha affermate Tizio,  Caio, Sempronio…il Papa, il Governo ecc.ecc. oppure comincio a pensare, non c’è scampo. È semplice perché è l’unica cosa che devo sapere che qualsiasi cosa è un gioco linguistico e io esisto perché un gioco linguistico mi permette di affermare che esisto, solo questo, questo piccolo passaggio talmente difficile da compiere, perché pare che tutto un mondo crolli ma non è proprio così, appare, questa è la chance, basta cominciare per compiere questa operazione di responsabilità, responsabilità che non è una responsabilità penale, civile…no, assolutamente ma è poter affermare che l’unica cosa che so è che posso parlare, che parlo, e questo non è poco, è l’essenziale   (probabilmente per le cose più leggere, quelle psicotiche  non so se il soggetto riesce)  vede l’analisi la fa chi vuole farla, se uno psicotico ad un certo momento fosse incuriosito dal discorso dell’analista e volesse cominciare a parlare con un analista, fosse incuriosito…perché no?  Perché Lei vieta allo psicotico, anzi direi che forse solo uno psicotico potrebbe avere tanta forza per portare avanti questa ricerca, comunque se lo vuole, certo se lo vuole. L’analisi occorre volerla non si può raccontare bisogna farla, bisogna confrontarsi con il proprio discorso per sapere quello che credo, quello che io do per scontato, per sapere quello che accolgo dal luogo comune, per essere più smaliziato, perché no? Per sapere risolvere dei problemi, quelli spiccioli, quelli che capitano continuamente fino ad accorgersi che il problema è qualche cosa che serve per continuare a vivere e allora il problema non ha più motivo di esistere, perché è come quando nel mio discorso ci sono molte direzioni  e non è ancora decisa qual è la direzione che io devo intraprendere per arrivare a quello che si pone come obiettivo,  a quello che la  mia ricerca mi pone

 

 

Intervento:  allora per i logorroico può essere più facile?

 

 

Non lo so perché se non incomincia a mettere in gioco quel fiume di parole, non lo so come sia facilitato, qui parliamo di pensiero (……) caro Signore occorre che si interroghi non c’è altro modo per cominciare una analisi (uno parla ma non ascolta) e questo accade molto molto    spesso, una persona crede di raccontare le sue storie e non sa che si sta effettuando in ciò che dice (…)  lo so è molto difficile compiere questa operazione ci vuole molta umiltà, molta umiltà, bisogna arrivare all’umiltà non nel senso di quel umile di cui racconta la religione, no,  umiltà per potere mettersi  in gioco…

 

Intervento: quest’ultima cosa detta per quanto possa risultare banale non lo è perché finalmente siamo arrivati ad un punto che io vorrei che Lei mi chiarisse si parla di linguaggio che rapporto c’è allora fra linguaggio e la comunicazione: parlare per parlare o parlare per dire?

 

Parlare in prima istanza per ascoltare che si sta dicendo, che si sta parlando (questo è quello che si sta dicendo fin’ora e questo  io lo comprendo però vorrei capire il passo successivo cioè è importante o è irrilevante lo sforzarsi, il riuscire, l’intenzione di comunicare qualcosa? )   linguaggio intendere che si sta parlando è intendere che quello che sta avvenendo avviene perché una struttura logica sta permettendo ciò che sto dicendo per cui se sto dicendo che sto parlando non sto dicendo che gioco a briscola o vado in bicicletta ma sto parlando ed è con questo che mi devo confrontare perché questo mi permette di fare il linguaggio al momento in cui mi interrogo ed è con questo che mi confronto (ci può anche essere il caso di un parlare senza comunicare o per incapacità o per non volontà di fare questo) fin tanto che il parlare è raccontare continuamente quelle che sono le proprie storie, la depressione fa questo, può parlare anche moltissimo raccontare la sua storia ma  non intendere che sono l’artefice di quello che sto facendo, allora vuol dire che non c’è comunicazione nel discorso,  vale a dire che nel mio discorso io non riesco a parlare neanche fra me e me, perché non riesco ad interrogare il mio discorso, non riesco a intendere quello che vado dicendo, sto proseguendo  l’intervento dell’analista è proprio in merito a questo cioè l’intervento dell’analista è nel linguaggio cioè fare in modo di fare intendere alla persona che sta parlando (….) portare la persona soltanto (si può allora scavalcare il linguaggio si comunica anche con il corpo) si può anche pensare che si comunichi con il corpo, con il silenzio (….) siamo d’accordo ma non è che se danza  o la comunicazione del corpo sia fuori cioè non sia una produzione linguistica che rientra (allora voglio solo capire linguaggio come verbale) no, linguaggio in quanto struttura che mi permette di dirmi esistente (…) sono tutte produzioni linguistiche,  giochi linguistici che il linguaggio utilizza per proseguire (la logorroicità    alla fine  è un linguaggio) non è un linguaggio se non riconosce di esserlo, è un modo, uno dei modi che ha…(se il linguaggio è comunicazione…) bisogna stabilire se il linguaggio è comunicazione dipende dalla definizione che lei dà di comunicazione….il linguaggio è soltanto quella struttura che mi permette di dirmi parlante solo questo (…..il linguaggio uno potrebbe dire sia il versante cosciente che viene espresso sia a quello inconscio che viene comunicato probabilmente lei li intende tutti e due) io intendo che l’inconscio, cosciente sono all’interno di questa struttura e posso utilizzare ciascuna cosa quando mi fa comodo utilizzarla perché sto facendo un certo gioco linguistico, posso utilizzare l’inconscio o il cosciente  ma se non mi interessa giocare questo gioco non lo utilizzo….

 

Intervento:   sì la questione del linguaggio è una bellissima questione  anche perché ha una caratteristica a differenza di altre che per parlare del linguaggio sono costretto a utilizzarlo e questo è un fatto piuttosto bizzarro, in effetti considerando la definizione, le definizioni possibili di linguaggio ce ne sono state date un’infinità ovviamente ma cercando quella più ampia possibile dovremo dire che il linguaggio non è altro che una struttura, quella struttura che consente agli umani di dirsi tali e insieme con questo qualunque altra cosa, una struttura cioè una sequenza che è quella che ciascuno utilizza per pensare se questo allora quest’altro, supponiamo per esempio che io voglia affermare che  non  tutto è linguaggio allora per giungere a una conclusione affermare che non tutto è linguaggio  che cosa avrò utilizzato? Avrò utilizzato delle sequenze,  se questo allora quest’altro ma quest’altro quindi quest’altro, fino a raggiungere che non tutto è linguaggio e cosa ho raggiunto esattamente? Niente, ho semplicemente affermato una certa cosa, l’ho affermata se non sono totalmente ingenuo per usare un eufemismo, avrò potuto affermarlo soltanto utilizzando il linguaggio, ovviamente questa struttura che io pensi, che io parli, che io non parli, che io non pensi qualunque cosa farò sarà vincolata, come diceva giustamente Beatrice a questa struttura molto semplice, una struttura inferenziale che è quella che mi consente da un elemento di inferirne, di concluderne un altro, che è quell’attività che gli umani chiamano pensiero, generalmente e io non posso pensare senza questa struttura, con che cosa penso? Con che cosa raggiungo una qualunque conclusione, una qualunque considerazione? Una qualunque cosa? Tant’è che se per una ipotesi folle, assurda, fantascientifica di colpo cessasse di funzionare il linguaggio allora tutto ciò, gli umani e tutto quanto non solo non esistere  più ma non sarebbe mai esistito perché io posso affermare che qualcosa esiste perché so che esiste questa parola, che c’è che ha un suo significato e posso concludere che qualcosa esiste dicevo per il semplicissimo fatto che questa struttura mi consente di farlo, togliete questa struttura e nessuno sarebbe mai esistito non c’è nessuno per cui esista nessuno che possa affermarlo, la nozione stessa di esistenza che è un elemento che segue ad altre considerazioni, non potrebbe darsi in alcun modo. Potrei parlare a questo punto di esistenza, potrei dire che esiste qualcosa? Se sì,  come? Ecco perché la questione del linguaggio, come abbiamo detto all’inizio è una bella questione perché apre in effetti a una quantità sterminata di altre considerazioni, notevolissime, soprattutto in ambito teorico poiché qualunque teoria come si sa muove  da alcune  considerazioni, alcune osservazioni, il problema di qualunque teoria è come è noto da sempre è questo: gli elementi da cui muove,  i suoi assiomi, i suoi principi sono provabili oppure no. La teoria di Freud si distingue da quella di Cappuccetto Rosso in base a che cosa esattamente? Io posso provare ciò che Freud ha affermato? Se sì, come? È ovvio che può apparire bizzarra una affermazione del genere ma se si considera con molta attenzione lo è molto meno, straordinariamente meno.

 

Bene, grazie, certo la questione del linguaggio non è semplicissima ma occorre sapere questo, è l’unico sapere di cui è possibile, comunque noi saremo qui giovedì con Sandro Degasperi: La nobile menzogna della psicanalisi. Quando la psicanalisi diventa un inganno. È importantissimo proprio per la questione del linguaggio e se qualcuno vuole, è curioso, vuole  saperne di più sul linguaggio Luciano Faioni che è Presidente di questa Associazione c’è ciascun mercoledì alle ore 21, presso la Sede di via Grassi 10,  lì si costruisce tutto quello che è necessario sapere per non essere travolti dal proprio discorso….poi ci sono altri corsi,  il mio per esempio in via Sidoli 1- il lunedì: questo corso è una introduzione al linguaggio con la Seconda Sofistica che è un testo molto utile per ciò che andiamo dicendo, ciò che andiamo affermando e perché è necessario praticare questo gioco; l’altro corso di Sandro Degasperi ciascun martedì alle ore 21 presso il Caffè Culturale Bar della Posta via Arsenale 10. Grazie a tutti buona notte.