Torino, 21 ottobre 2008
Libreria Legolibri
Eleonora de Gasperi
LA PSICANALISI
Bene allora possiamo iniziare questa seconda serata questa sera il tema è la psicanalisi e ci sarà un intervento di Eleonora Degasperi che si sta laureando in filosofia e si sta formando come psicanalista, quindi è la persona più adatta per parlarvi della psicanalisi.
Intervento di Eleonora Degasperi
Spesso ci si trova a chiedersi il perché delle proprie azioni, a cercare di capire il significato di un pensiero, a cercare di scoprire cosa possa esserci dietro un sogno, a tentare di spiegarsi un proprio malessere, come mai nella propria vita molte cose abbiano avuto la stessa fine, le stesse conseguenze. Nella psicanalisi la ricerca delle risposte a questo genere di domande rientra in quello che si può chiamare un percorso intellettuale compiuto sul proprio discorso. L’interesse verso il proprio pensiero e l’esercizio della propria intelligenza, nella psicanalisi, si pongono come il percorso che l’analizzante può compiere per riuscire a carpire quali idee e pensieri lo muovono nel corso della sua esistenza. Quindi, una definizione che si può dare di analisi può è che questa, è il percorso intellettuale che una persona compie sul proprio discorso; un percorso che prevede di analizzare e dl mettere in gioco le proprie convinzioni, idee e azioni, con l’obiettivo di riuscire a capirle, dargli un perché, contestualizzandole all’interno del proprio sistema di vita.
In una psicanalisi si crea un binomio essenziale: l’analizzante è narratore e racconto. Narratore in quanto parla della propria storia di vita, racconta il proprio vissuto, i propri pensieri, ciò in cui crede, dandone motivazioni a prima vista razionali e scientifiche; ed è racconto in quanto quello che viene analizzato durante un’analisi è se stessi, la propria storia intesa come narrazione, come successione di eventi. Quello che l’analisi consente di fare è quello di riuscire ad ascoltarsi come storia, scindendo gli avvenimenti da quello che è il nostro metro di giudizio, dal nostro pensiero.
Il suo intento si può riassumere in questo: ascoltare chi ha voglia parlare di sé, della propria vita, dando la capacità, successivamente, di riuscire ad isolare ciascun elemento da un contesto generale, per coglierne le informazioni principali, quelle che si possono chiamare le idee primitive, per poi ricollegarle al discorso generale, a quella che si potrebbe chiamare la trama del proprio racconto.
La capacità dell’analista sarà, quindi, quella di rintracciare quelle idee primitive che da sempre sono e sono state motore di ogni agire dell’analizzante. Sono quelle idee originarie che si sono sedimentate nelle credenze e nelle convinzioni di ogni persona, apprese da piccoli, quando ancora si è spogli di ogni sapere e di ogni informazione sociale, e quindi, più facilmente suscettibili e impressionabili perché ancora da plasmare a modello universale. L’analisi sà però quanto è difficile mettere in discussione tutto quello che è stato imparato e ritenuto vero nel corso della propria vita, sa che è molto più facile continuare a ritenere vero quello che da sempre si è appreso come tale, piuttosto che ritenerlo arbitrario.
Ogni persona, se ci si pensa bene, difficilmente riesce a mettere in discussione quello che ritiene giusto, buono e vero. Quelle sue convinzioni fanno parte dell’armamentario di conoscenze, di principi, di valori e della morale di tutta una vita, che non possono essere messe in discussione. Non si potrebbe pensare infatti ad una vita fatta senza simili credenze, perché le nostre uniche sicurezze risiedono nel condividere ciò in cui crede la maggior parte. Ognuno di noi è strettamente legato a quello che si è sempre ritenuto ed accertato come vero, anche grazie alla propria esperienza.
Si tende molto spesso a dare un grande peso alle esperienze di ciascuno, a quello che si è riscontrato come esistente ed evidente. Si dice che ognuno di noi agisca sulla base della propria esperienza, che questa è fondamentale perché non si commettano gli stessi errori, che è l’unico criterio di valutazione degli eventi e dei nostri pensieri, perché l’esperienza reale non la si può contestare o dubitare. Certo che la possibilità che molti eventi ripetano le stesse conclusioni è altamente probabile, e che le proprie esperienze seguano un simile percorso a quelle precedenti è possibile.
Compito dell’analista e obiettivo della psicanalisi è proprio quello di rintracciare nel discorso dell’analizzante gli elementi predominanti e primordiali che guidano la persona nelle sue scelte e nelle sue considerazioni e capire su quali elementi il suo discorso si fissa.
Ognuno di noi, se prendesse in esame il proprio discorso si accorgerebbe che nel suo svolgersi, la maggior parte delle trame di ogni storia si assomiglierebbero, nel senso che rimanderebbero allo stesso comune denominatore. Un comune denominatore che è quello che fa da conclusione ad ogni passaggio da una premesse ad un’altra. Ogni nostro pensiero si forma sulla base di altri pensieri e questi non sono altro che scene che vanno a ripetersi e immagini che continuamente creano altre immagini. Chi ha, come predominante nel suo discorso, una fantasia come quella dell’ abbandono svolgerà il suo racconto seguendo lo stesso schema che seguono gli altri racconti; ci sarà sempre una scena dominante che reggerà la costruzione di altre scene e di altri eventi. La scena più comune sarà pressoché simile a quella in cui la persona si sentirà sola, ogni azioni o gesto lo interpreterà a suo svantaggio, si sentirà inadeguata alle situazioni, spesso sconfitta o non considerata. Il suo comportamento ci saranno buone probabilità che sarà rivolto a ricercare tutte quelle cose, tutti quei particolari che nella sua fantasia principale sono predominanti: come, per esempio la mancanza di considerazione da parte degli altri, la condurrà, nella vita quotidiana, a ricercare negli altri la loro attenzione e se questa non dovesse trovarla, potrebbe diventare motivo di disagio e malessere. Oppure si pensi alla reazione che questa persona potrebbe avere se il suo partner le dicesse di volerla lasciare. In quel momento tutte quelle che nella sua fantasia sono le emozioni più travolgenti si manifesteranno realmente: senso di solitudine, sconfitta, abbandono, senso di disprezzo dell’altro nei propri confronti, senso di inadeguatezza. La manifestazione di tutte queste emozioni, è probabile che diventi il segnale di un malessere, in tutte quelle occasioni in cui eventi simili si ripeteranno, in tutti quei momenti in cui la scena reale verrà interpretata secondo quella fantasia, con lo scopo di ricercare, per riprovare, tutte quelle emozioni che si sono immaginate, e che danno tanto da pensare e riflettere.
Cosa importante da sottolineare è che ogni pensiero, azione, credenza o principio è la conclusione di una serie di discorsi e pensieri, che a loro volta sono essi stessi conclusioni di altre precedenti informazioni, deduzioni o premesse. Quando, infatti, noi ci raccontiamo o raccontiamo ad altri quello che è la nostra vita, o quella che è stata una nostra esperienza o un nostro pensiero, non facciamo altro che prendere in considerazione esclusivamente la conclusione di una serie di passaggi, alcuni dei quali spesso sfuggono alla nostra attenzione. Quello che l’analisi fa è chiedersi il perché di quella o questa conclusione, ripercorrendo a ritroso tutti i passaggi che sono stati creati, anche inconsapevolmente, dall’analizzante; quindi dopo avere fatto attenzione al come si è concluso un determinato evento piuttosto che un altro, si prendono in analisi gli elementi che hanno fatto si che quella conclusione o quella manifestazione si sia realizzata.
Ognuno di noi è condizionato da quello che fin dall’inizio si fissa nel proprio pensiero come fantasia primordiale, una fantasia che condizionerà l’esperienza di tutta la vita, perché sarà il criterio di valutazione di ogni cosa. Il gesto di un amico, di un genitore, di un fidanzato, sarà valutato sempre sulla base di una qualche idea che fa da modello rispetto alle altre. Idee che spesso sono collegate anche a questioni sociali, a virtù sociali e morali, a modelli che rimandano a credenze religiose o semplicemente a credenze popolari. Saper valutare la propria esperienza prendendo in esame quello che muove le considerazioni e le valutazioni di ogni evento può però essere dato solo dall’analisi. Infatti, per quanto ci si possa mettere in discussione si sarà sempre portati a riflettere e ragionare sulle nostre azioni attraverso elementi e criteri che si sono dati per veri. Quello che serve è mettere in discussione gli stessi mezzi, gli stessi elementi, che utilizziamo per giudicare e valutare.
Quelle stesse fantasie che guidano la persona nelle sue azioni, sono anche quelle fantasie che condizionano i sensi di colpa. Il senso di colpa è molto importante in analisi, è quell’aspetto del pensiero e del discorso che si manifesta più concretamente, grazie al quale si possano capire ciò che muove quella persona. I sensi di colpa hanno un forte effetto sul discorso; creano un disagio tale per cui la persona ne viene travolta totalmente, comportano lo psicotizzarsi su quell’elemento che può anche crea malessere.
Il problema nasce quando il discorso si blocca, si interrompe davanti ad un bivio, le cui due strade costituiscono elementi fondamentali del suo discorso e quindi tutte e due insostituibili. Da una parte c’è ciò che la persona prova, il sentimento più profondo, quello nascosto e che si tiene per necessità nascosto; dall’altra c’è quello che si può chiamare il sentimento morale, che non si può abbattere, perché vero e condiviso da tutti.
Il senso di colpa quindi perché nasce? Quando quello che si è da sempre imparato, quello che è sempre stato ritenuto eticamente corretto e quindi vero, si scontra con quello che invece si pensa, con quello che si ritiene altrettanto vero, ma che è in conflitto con quelli che sono i propri principi. In poche parole, il senso di colpa nasce quando non si accetta che un proprio pensiero vada contro quello che sono i principi morali di un etica onesta, quando non lo si accetta perché ritenuto malvagio o umiliante. L’aver desiderato vendetta contro una persona che si è sempre reputata importante, alla quale si è sempre voluto bene, potrebbe creare sensi di colpa, e la prepotenza con cui gli effetti si realizzano sulla persona è devastante. Capita spesso che il senso di colpa non si manifesti come tale nella persona, ma anzi, che questo venga nascosto, non venga accettato neanche da chi l’ha prodotto. Il disagio o la malattia, in questo caso, potrebbero esserne il riflesso; più una persona si indebolisce nei confronti di questa emozione, più l’emozione ha il sopravvento sul suo discorso. Il pensiero si fossilizza sulla stessa storia che ogni giorno si ripete. La capacità di affrontare la questione sarà sempre più ridotta man mano che da senso di colpa si trasformerà in un determinato mezzo con cui questa colpa potrebbe annullarsi, ma che allo stesso tempo servirebbe come punizione nei confronti di pensieri così tanto impuri e immorali. Nel senso di colpa c’è un elemento che mantiene attivo il risentimento, che lo alimenta di giorno in giorno; c’è sempre una scena che si ripete, che mantiene viva l’emozione. Ed è anche la solita scena che fa parte del discorso, che si trasforma in paura, un’angoscia che la persona si porta dietro x tutta la vita; dietro il pensiero del senso di colpa c’è sempre quello della punizione. E questa idea di punizione è l’elemento che alimenta il seno di colpa. L’immagine che si realizza è strettamente collegata con quella che è la fantasia fondamentale della persona.
Si pensi all’esempio di prima, della persona che ha creato una fantasia predominante nel suo discorso: quella dell’abbandono; dicevo che spesso questa scena è legata anche ad un’altra scena, alla voglia e alla ricerca di attenzione da parte degli altri, amici o parenti. Se questa attenzione, che si è scelta come mezzo per giudicare il mio rapporto con gli altri, venisse meno, potrebbe causare, inizialmente, sensazioni di dispiacere, ma se protratta nel tempo, potrebbe dare luogo anche ad un desiderio di vendetta, voluta in quanto si è stati feriti da un persona per noi molto importante. Ma il desiderio di vendetta contro chi si è sempre reputato fondamentale per la nostra felicità nasce già in contrasto con la morale, con quello che siamo disposti ad accogliere. Chi si sente nella posizione di chi è stato tradito, inizia ad architettare delle rivendicazioni rivolte contro quello che x lei è traditore; a poco a poco però, sembra che questo desiderio di vendetta, prenda un’altra forma; il senso di colpa può essere così forte che quello che era stato architettato si realizzi; inizialmente il gesto compiuto sembra non aver avuto conseguenze, ma è probabile che affioreranno quei sensi di colpa che porteranno la persona a bloccarsi; l’attenzione però si sposta su un altro elemento: si allontana il senso di colpa per concentrarsi su un altro tipo di pensiero, che avrà, appunto, la funzione di sostituire questa sensazione sgradevole; ovvero, la persona si fisserà su quell’idea che avrà una funzione punitiva nei suoi confronti. Nella maggior parte dei casi la conseguenza più comune è il punire se stessi per quello che non è stato corretto fare o pensare. L’aver desiderato un crimine comporta una autopunizione. Per esempio la persona può cadere in depressione, oppure può sentire sempre un disagio che da psichico si trasforma in fisico. La persona inizierà sentirsi malata. Per chi si sente così diventa facile avere uno scudo che protegge dai sensi di colpa; chi sta male non può essere punito, provoca al massimo compassione nel prossimo. Quello che ha in comune il sintomo del disagio col senso di colpa è l’influenza della stessa fantasia di abbandono, solo vista da due facciate opposte: chi si sente in colpa per qualcosa si punisce per aver desiderato punire altri, un desiderio nato dalla mancanza di ciò che ricercava; chi si sente a disagio immagina che tutti possano in questo modo stare vicino al lui, pensare a lui, ricordarsene e parlarne. È consapevole che per questioni morali, il malato non può essere abbandonato; mentre chi ha desiderato vendetta o tradito concretamente sì. In questo modo è come se volesse assolversi dal peccato di aver odiato. Un atteggiamento molto cristiano, se si considera che: chi l’ha detto o dove sta scritto che è il male è la vendetta o l’odio? Non c’è nessuna regola che impone il nostro modo di pensare. Noi scegliamo cosa credere, a cosa portare fede sulla base di una scelta collettiva, la quale allo stesso modo non da garanzie di verità.
I modi per affrontare un malessere sono diversi, però è importante capire quanto sia importante conoscere quello che si ritiene vero e il perché, di modo che si riescano a capire i processi del nostro discorso. E questo lo si capisce solo affrontando un percorso che diriga il nostro pensiero in una direzione più efficace per la comprensione e l’esercizio della nostra intelligenza. Gli strumenti che fornisce un’analisi sono solo più completi di quelli che si usano giornalmente. Spiegano il perché di ogni nostra idea e convinzione, prendendo il concetto alla radice, analizzandone le cause e non soltanto considerando l’evento nella sua singolarità e particolarità.
Intervento di Luciano Faioni
Bene, in ciò che ha letto Eleonora c’è quasi tutta la clinica psicanalitica. La Psicanalisi, che è il tema di questa sera, è certamente un titolo molto generico che consente di parlare di molte cose, però ciò che ci premeva dire questa sera riguarda ciò che la psicanalisi di fatto si trova ad avere elaborato, pensato, costruito e Eleonora lungo il percorso che ha fatto e sta facendo si è trovata a considerare le varie tappe, potremmo chiamarle così provvisoriamente, di un percorso psicanalitico e anche a considerare perché la psicanalisi si occupa di linguaggio, della parola. Non è casuale visto che in una analisi di fatto si parla, quindi sapere qualche cosa intorno al funzionamento del discorso può essere utile. Dunque quando Eleonora iniziò un po’ di anni fa, iniziò che era una ragazzina, si trovò come lei stessa ha detto questa sera, a esporre un racconto, il racconto della sua vita, un racconto che la coinvolgeva, a fianco a questo racconto Eleonora seguiva il corso di formazione che teniamo qui a Torino dove si parla della psicanalisi come teoria, come elaborazione teorica oltre che come clinica e naturalmente ha iniziato a seguire un discorso che inizialmente riguardava la psicanalisi più radicalmente e vale a dire una pratica di parola. In una psicanalisi si parla generalmente, si fa questo, è preferibile che si faccia questo, e quindi ha incominciato ad ascoltare delle questioni che riguardavano propriamente il linguaggio, come una persona che incominci a parlare non ha se non il proprio discorso, le proprie parole come strumento non solo per farsi capire ma anche per esporre delle cose, non solo ma queste cose una volta esposte possono modificare la stessa persona, possono modificare quello che comunemente si chiama il suo punto di vista cioè più propriamente il modo in cui pensa le cose. Da qui ha incominciato a considerare la possibilità che le parole possano modificare le persone, naturalmente lungo un percorso di questo tipo le domande che intervengono sono molte, innanzi tutto come può avvenire una cosa del genere e perché, come fanno le parole a modificare le persone? Visto che come considera la più parte delle persone le parole sarebbero soltanto dei mezzi per descrivere la realtà. Considerando a questo punto l’importanza delle parole si è trovata ad ascoltare cose di questo tipo: che la realtà non precede il discorso, per esempio, che è una cosa inverosimile, lo era, lo è stato per brevissimo tempo per Eleonora e allora ovviamente iniziando il percorso, non aveva strumenti ancora, non aveva neanche incominciato l’Università, ovviamente si è trovata a porre quelle obiezioni ingenue, certo e sprovvedute sicuramente, del tipo che la realtà esiste di per sé indipendentemente dal linguaggio e che le cose sono quelle che sono e che il linguaggio non può far altro che descriverle. Sì, certo, obiezioni molto ingenue tant’è che lei stessa iniziando l’Università e quindi incominciando alcune letture dagli antichi fino ai contemporanei si è accorta che le cose non stanno proprio esattamente così, soprattutto considerando alcuni personaggi che si sono occupati di filosofia del linguaggio e cioè quelle persone che si sono occupate del linguaggio, di capire come funziona e cosa fa, perché c’è? Da dove arriva? Vale a dire quei personaggi che hanno considerato il linguaggio non uno strumento al pari di un cacciavite ma qualcosa di più tant’è che, questo è noto già da moltissimo tempo, gli umani amano distinguersi da tutto il resto dell’universo proprio per questa particolarità, e cioè che parlano, chiacchierano fra loro e parlando si modificano e questa è una questione fondamentale, ma come dicevo prima pone una questione: perché la parola può modificare una persona? Come fa? Perché addirittura una persona può ammalarsi per qualcosa che ha sentito come la stessa Eleonora rilevava prima, questione che non è nota solo da oggi, Aristotele già lo sapeva perfettamente e lo sapeva perché glielo avevano già detto già da prima che per esempio una persona di cattivo umore, triste e sconsolata è più facile ad ammalarsi di quella che invece è serena, tranquilla, sicura di sé. Naturalmente non sapeva perché esattamente, però è una cosa che ciascuno da tremila anni a questa parte ha rilevato con estrema facilità, torno a dirvi pur non sapendo perché e invece per la psicanalisi è importante sapere il perché visto che si occupa di parole, sapere per quale motivo esercitano tanto potere sugli umani, anche questa cosa nota fino dai tempi di Gorgia. Nulla di nuovo dunque ma la psicanalisi ha fatto qualche cosa di nuovo, cioè ha interrogato queste cose note da sempre e ha chiesto se era possibile sapere perché avvengono questi fenomeni, tantissime persone si sono accorte, come Wittgenstein per esempio, della priorità della parola o Austin e infiniti altri, naturalmente parlare di priorità della parola va inteso, perché priorità, in che senso? Cioè prima di che? Cosa c’è prima della parola? Domanda alla quale a molti è parso molto difficile rispondere perché innesca una sorta di circolo vizioso. Per rispondere a questa domanda occorre naturalmente porsi o individuare qualcosa che è prima del linguaggio, cosa che potrebbe essere complicata, prima o fuori dal linguaggio, se è fuori dal linguaggio con che cosa la considero? Con niente? E dal momento in cui la considero è già presa nella parola, con che cosa la considero? Con i miei pensieri, e i miei pensieri come funzionano? Ecco, sono questioni tutt’altro che semplici e alle quali per altro molti hanno già risposto e forniscono molto brevemente una risposta: il pensiero ha la stessa struttura del linguaggio, il pensiero, quindi il linguaggio è tutto ciò che gli umani hanno, non hanno nient’altro, tutto ciò che possono vedere, sentire eccetera lo vedono, lo sentono per via di questo linguaggio. Queste persone non è che fossero sprovvedute, hanno considerato molto bene la questione e vale a dire anche le obiezioni che loro stessi per primi si sono posti “le cose esistono prima del linguaggio” per esempio, ma come lo so? Perché me lo hanno raccontato. Non c’è nessuna altra risposta, nessun altra risposta degna di essere accolta, “perché altri me l’hanno raccontato” e io ho creduto loro. Come diceva Wittgenstein per esempio, come so che esiste l’America se non ci sono mai stato? Per esempio “me lo hanno detto” bene, o molto più banalmente come so che questa è la mia mano? C’è un punto oltre il quale le cose si fanno complicate, per diventare dopo straordinariamente semplici, però c’è quel punto in cui appaiono incredibilmente complicate e in cui ci si accorge che tutto ciò che si è acquisito nel corso degli anni di fatto ha una struttura che potremmo dire che è quella della superstizione se volessimo essere più precisi diremmo quella dell’entimema che è un particolare tipo di sillogismo dove la premessa maggiore, quella che sostiene tutta l’argomentazione di fatto non c’è, perché non c’è? Perché non è sostenibile. La questione diventa ad un certo punto incredibilmente complessa, le domande, le questioni che si incontrano sono notevoli però o si passa questo scoglio o non si va da nessuna parte cioè si continua a girare in tondo utilizzando superstizioni più o meno acute, più o meno divertenti, più o meno simpatiche ma sempre superstizioni sono, cos’è una superstizione? È una proposizione che afferma qualcosa con assoluta certezza senza potere in nessun modo provare quello che sta affermando, se considerate questa definizione di superstizione vi accorgete che questa definizione può, volendo, essere applicata alla quasi totalità del sapere umano, anche alla scienza, non c’è nessun problema. Ma torniamo alla questione fondamentale di cui vi dicevo e cioè del linguaggio di cui Eleonora prima ha accennato qualche cosa lasciando poi a me il compito di essere più preciso, visto che la psicanalisi si occupa del linguaggio, vale a dire del discorso di ciascuno in definitiva, si può porre la questione come una semplice domanda e cioè perché le persone pensano le cose che pensano? Perché? Perché glielo ha detto la mamma, sì questo è un altro ottimo motivo ma potrebbe in alcuni casi non essere sufficiente “potrebbe” poi perché in realtà non è così di fatto le cose avvengono sempre e comunque nello stesso modo non l’ha detto la mamma ma qualcun altro ma la struttura è la stessa. Diceva prima Eleonora, in modo molto preciso, che le persone creano delle storie e poi si attengono a queste storie scrupolosamente, religiosamente, per tutta la vita il più delle volte, ora queste storie hanno un andamento, come tutte le storie muovono da una premessa, chiamiamola così e poi attraverso un certo numero di passaggi giungono alla conclusione. Ovviamente tutto è retto dalla premessa da cui si è partiti. Ciò che rileva la psicanalisi lungo il suo percorso, lungo il discorso di ciascuna persona è che quella premessa sulla quale la persona ha costruita buona parte della sua esistenza e che ritiene incrollabile, sicura, certa, definitiva e inattaccabile è arbitraria, è totalmente arbitraria e quindi non ha nessuna necessità di attenercisi di conseguenza, può non avere più la necessità di avere paura, di credere cose strane, di temere qualunque cosa, come diceva Eleonora ciascuno si crea una storia e ci si attiene, bella o brutta che sia è irrilevante però di fatto vive di questa storia, è la sua stessa vita con tutto ciò che questo comporta ovviamente, e con tutte le conseguenze. Eleonora faceva l’esempio della fantasia di abbandono, è una storia al pari di qualunque altra né migliore né peggiore, però nessuno costringe una persona a pensarsi continuamente abbandonata, perché lo fa? Perché si attiene così scrupolosamente a qualcosa che la persona stessa ha costruita, perché non la vuole abbandonare per nessun motivo? Perché gli umani non abbandonano le loro storie, le favole, che sono come quelle che si ascoltano da bambini, rimangono per tutta la vita e la storia è sempre la stessa naturalmente, c’è qualcuno che deve raggiungere un obiettivo, questo obiettivo è impedito quindi deve superare della prove, la struttura è questa, illustrata da Propp e Bremond che si sono attardati sulla struttura del racconto e della fiaba considerando che in fondo la fiaba come dice Propp è monotipica, è una, è sempre la stessa, c’è un percorso da fare e un ostacolo da superare, tutto qui. Qualunque storia voi leggiate, qualunque film voi vediate ha questa inesorabilmente struttura. Dunque la fantasia di abbandono è una storia al pari di qualunque altra, come intendere, come elaborare una fantasia del genere? Eleonora ci ha spiegato che è costruita dal discorso della persona, allora sarà lo stesso discorso della persona a eliminarla, cioè a fare in modo che questa fantasia di abbandono non sia più necessaria, non sia più usufruibile, e quand’è che una cosa non è più usufruibile? Quando cessa di essere interessante, se non interessa più allora si abbandona, ma finché è interessante non la si abbandona, non ci sono santi. La psicanalisi fa in modo che questa fantasia cessi di essere interessante portando la persona a intendere perché per lei era così importante, così interessante al punto di dedicarci buona parte della propria esistenza e non per una questione morale fa questo, ciascuna persona è libera di fare ciò che ritiene più opportuno, se vuole continuare a pensare di essere sempre abbandonata può farlo, non è proibito, se però a un certo punto si stufa di pensare una cosa del genere e vuole pensare ad altro allora lo può fare perché nulla al mondo se non la persona stessa la costringe a continuare a pensare una cosa del genere, è questo che fa la psicanalisi e per potere fare questo ha dovuto occuparsi come dicevo prima del linguaggio, cioè di che cosa costruisce la fantasia, di che cosa è fatta, ed è fatta di parole ovviamente. Di parole, di emozioni, che cos’è un emozione? È una conclusione: una certa cosa conclude in un certo modo, una certa cosa che io mi attendo con una certa ansia se conclude in un certo modo mi produce quella sensazione che comunemente si chiama emozione, non è casuale che le persone provino emozioni per cose differenti, come mai? Dovrebbero provarle per le stesse cose e invece no, perché per una certa persona la storia si è configurata in un certo modo e di conseguenza saranno certe conclusioni a dare quella sensazione e non altre ma occorre che ci sia una conclusione, che qualcosa si compia perché ci sia quella emozione che pertanto rientra all’interno di quella struttura di cui dicevamo prima e che si chiama linguaggio. Forse si sarà inteso che con linguaggio non intendo ovviamente la verbalizzazione di qualche cosa ma quella struttura che consente agli umani di pensare, di trarre delle conseguenze, di giungere a delle conclusioni, di fare delle obiezioni, di pensare che una cosa è vera, che quell’altra è sbagliata, che è buona o che è cattiva o qualunque altra cosa, senza questa struttura tutte queste operazioni nessuno potrebbe farle né nessuno le avrebbe mai potute fare, di conseguenza non esisterebbero gli umani per esempio, per il solo fatto che nessuno potrebbe dirsi tale né nessun altro potrebbe dirlo, a questo punto dire che gli umani esisterebbero comunque non è nient’altro che un atto di fede “io ho fede che le cose siano così”, certo, conoscevo uno che aveva fede nella madonna di Lourdes, va benissimo, nulla in contrario ma in ambito teorico una cosa del genere non è sufficiente, ci vuole qualche cosa di più per affermare che in assenza di linguaggio gli umani esisterebbero lo stesso. Non ha nessun senso, assolutamente nessuno, tenendo conto tra l’altro che il senso è qualcosa prodotto dal linguaggio ovviamente, togliete il linguaggio e togliete anche il senso istantaneamente, non solo il senso ma la possibilità che qualcosa ne abbia e in ultima analisi che qualcosa esista. Trovando queste cose Eleonora è arrivata a considerare le cose che abbiamo dette questa sera in ambito clinico certo, ma che presuppongono anche una base, un fondamento molto solido e cioè la conoscenza del funzionamento del linguaggio cioè di quella cosa che è la condizione perché ci sia per esempio, quella che Freud chiamava nevrosi, occorre che, come diceva giustamente Eleonora, che ci sia una sorta di conflitto di giochi linguistici perché si produca una nevrosi se no non si produce assolutamente niente, occorre che ci siano dei giudizi contraddittori, contrastanti tra loro allora è possibile un disagio, se no non c’è niente, assolutamente niente non più di quanto disagio provi una pietra se le date una pedata, soffre? Se ci piace pensare che soffre allora soffre, se ci piace pensare che non soffre allora non soffre. È abbastanza semplice e in effetti le cose ad un certo punto, lungo questo percorso le cose diventano estremamente, straordinariamente semplici ed è anche facilmente comprensibile: se la persona e cioè il suo discorso, che poi la persona non è nient’altro che il suo discorso, cioè se sono le cose che dice, che pensa, a produrre certe condizioni, certi eventi allora questo discorso ha sicuramente gli strumenti per modificarli con estrema facilità. La realtà esiste anche senza linguaggio, dicevano i bambini piccoli, certo si può affermare questo o qualunque altra cosa, la questione è che non la si può provare in nessun modo ecco perché è un atto di fede: “credo quia absurdum” “credo perché assurdo, perché non ha nessuna ragione d’essere” e più è assurdo e più lo credo, così pensano gli umani da sempre. La psicanalisi ha aperto uno spiraglio, facendo intravedere che forse non è proprio così, forse le cose sono più complesse e se qualcuno ci presta attenzione può trarne un enorme vantaggio, cioè anziché subire le cose agirle, che può essere utile in molti casi, ma poi in definitiva ciascuno fa ciò che ritiene più opportuno come abbiamo detto all’inizio. Abbiamo soltanto voluto mostrare che la psicanalisi offre un’opportunità, opportunità di pensarsi e di conseguenza di pensare con una differenza e cioè sapendo perché si pensano le cose che si pensano e da dove vengono queste cose che si pensano, come sono state costruite e perché. A questo punto non c’è più nulla che faccia paura.
Se qualcuno ha delle cose da dire intorno al testo di Eleonora che io ho solo commentato qua e là, può farlo, anzi saremmo lieti di rispondere a qualunque domanda, obiezione, aggiunta, perplessità, accordo, disaccordo, ma a qualunque domanda verrà risposto …
Intervento: mi sto domandando come ….
Sì, il modo di crearle è sempre lo stesso ma ogni persona muove da fantasie che sono leggermente diverse da quelle degli altri anche se poi sono riconducibili sempre grosso modo alle stesse cose, non sono poi tantissime, creare una fantasia direi che è inevitabile, probabilmente è inevitabile trovarsi a credere fermamente qualche cosa che di per sé non significa niente ma che tuttavia è creduto fortissimamente e pilota l’esistenza della persona per cui se non è, prima si parlava di fantasia di abbandono ma può essere qualunque altra, come la fantasia di potere, per esempio, una delle più diffuse: avere potere sull’altro, piegare l’altro alla propria ragione, o al proprio controllo, potere di tutti i tipi, economico, politico, religioso, militare, quello che volete, il problema è che ciascuno, anche le persone che hanno posizioni di potere quindi possono fare un sacco di danni sono mossi, pilotati dalle loro fantasie e non dal bene pubblico, quello lo scrivono sui volantini delle elezioni. Questo rende conto della sequenza infinita di disaccordi. Ciascuno è mosso dalla propria fantasia ma ritiene la propria fantasia assolutamente vera anzi, l’unica realtà pensabile e se gli altri non si accorgono che le cose stanno così come dico io o è perché sono in mala fede o è perché non hanno capito niente, ma in ogni caso vanno raddrizzati, in un modo o nell’altro, le guerre servono a questo, a raddrizzare i torti. Ho dovuto essere molto rapido perché le cose in effetti sono molte, però tutto ciò che vi ho accennato molto rapidamente questa sera procede da un lavoro che è stato compiuto in questi ultimi trent’anni grosso modo a partire dalla psicanalisi, da una formazione psicanalitica, sono psicanalista, faccio questo come mestiere però la psicanalisi così come si è presentata allora non era così entusiasmante nonostante mi fossi avvicinato alle migliori teorie psicanalitiche, eppure c’era qualche cosa alle quali queste teorie non potevano rispondere, né sapevano rispondere, cioè perché avvengono certe cose, certi fenomeni di pensiero, di parola, perché? E allora da qui l’interesse al linguaggio, alla linguistica, alla filosofia del linguaggio alla retorica, alla logica, cioè tutto ciò che riguarda il modo in cui il discorso si costruisce, avviene e agli effetti che produce e interrogando queste discipline ne abbiamo scoperto delle belle, dopodiché siamo andati oltre ovviamente perché ciascuno è settorializzato: il linguista non è uno psicanalista ovviamente, il logico non era un linguista, il retore non era un logico e quindi occorreva sapere tutte queste cose simultaneamente e non è neanche casuale che sia stato uno psicanalista a porre una questione del genere, e vi dico anche il perché: perché lo psicanalista è avvezzo, è stato addestrato ad ascoltare le persone, si trattava di compiere un passo che nessuno ha mai fatto prima e cioè applicare questa stessa tecnica a ciò stesso che mano a mano si andava elaborando, vale a dire chiedere conto, utilizzando l’ascolto, alle cose che mano a mano si ponevano come sicure se lo fossero effettivamente così sicure, utilizzando un sistema che è quello che utilizzano i computer, il sistema ricorsivo. Ogni volta tornare al punto di partenza per vedere se ciò che si è dedotto è coerente con il punto di partenza. Ma il punto di partenza qual era? Ovviamente l’unica cosa che è condizione per potere costruire qualunque teoria, non soltanto, ma per potere costruire qualunque criterio di verità. Gli umani da sempre si sono chiesti che cos’è la verità. Domanda importante, ha occupato molte menti anche robuste in questi ultimi tremila anni, a una domanda del genere però mancava un’altra domanda fondamentale: a quali condizioni posso pormi questa domanda? Cosa mi consente di costruire una proposizione che concluda con la domanda “che cos’è la verità?” perché se c’è qualche cosa che ne è la condizione allora è anche la condizione della verità e sarà questa cosa a stabilire che cos’è la verità, e la risposta a questa domanda molto semplicemente è appunto quella struttura che chiamiamo linguaggio. È ciò che ha reso gli umani tali, quelli che sono, bene o male che siano in ogni caso sono tali perché sono provvisti di linguaggio se non lo fossero continuerebbero a brucare l’erba da qualche parte, forse. L’intelligenza non è altro che la capacità, come è noto da sempre, di legare insieme, come dice l’etimo stesso, legare insieme le cose per trarne altre e cosa consente di compiere questa operazione? Il linguaggio, vale a dire quella struttura che consente di trarre inferenze e cioè conclusioni, deduzioni, induzioni, abduzioni quello che preferite, insomma questa cosa che è nota come linguaggio ci è parsa meritevole di maggiore attenzione di quanto comunemente sia mai stato fatto, i linguisti se ne sono occupati è ovvio e da sempre almeno dal Cratilo di Platone fino agli strutturalisti, però mancava qualcuno che ascoltasse queste, cose pure notevoli, le ascoltasse e le interrogasse esattamente come un analista interroga la persona che sta parlando con lui, allo stesso modo solo che anziché una persona in questo caso è una teoria ma è la stessa cosa. Anche le teorie certe volte si rifiutano di dire perché pensano quello che pensano e perché credono quello che credono, si rifiutano nel senso che non forniscono le premesse da cui partono, leggete qualunque saggio, le prime tre pagine sono sufficienti, e verificate se espone il principio da dove parte oppure non lo espone, se non lo espone potete chiudere il libro perché non vale niente, se lo espone allora avete il diritto di pretendere che ciò che pone come principio sia anche dimostrato, se no richiudete anche quello. A questo punto avete richiuso praticamente tutti i libri che sono stati pubblicati negli ultimi tre mila anni, tranne rarissime eccezioni. Qualcuno che ha voglia di aggiungere qualcosa, chiedere qualcosa? Sono a vostra totale disposizione …
Intervento: Lei crede in dio?
Perché mai dovrei credere in un dio? A che scopo? No, certo che no, è ovvio, non credo neanche a paperino, non credo a tante cose e neanche in un dio, non credo che sia stato topolino a costruire l’universo se è questo che voleva sapere, né lui né altri. Soddisfatto della risposta? Perfetto!
Intervento: il desiderio di molte persone di ubbidire ai capi, cosa ne pensa? Cioè dio è un capo … cioè questa piccolezza di essere appoggiati da un potente per appoggiare il più piccolo, cosa ne pensa?
È una struttura piuttosto comune fra gli umani quella di appoggiarsi a qualcuno che si ritiene potente in modo da utilizzare il suo potere per schiacciare qualcun altro, è una delle cose più antiche del mondo. L’obiettivo principale di ciascuno in un modo o nell’altro è sempre quello di avere ragione e cioè di potere pensare che le cose che pensa lui siano quelle vere, questo da sempre in tutti gli ambiti naturalmente, tant’è, è un inciso, che una delle cose peggiori che a una persona possa capitare è che qualcuno gli dimostri che ha torto, per esempio, è una cosa che irrita terribilmente, non lo irriterebbe se non fosse una cosa così importante ma sarebbe totalmente indifferente e invece crea dei grossi problemi e allora ecco che diventa prioritario per moltissime persone piegare l’altro alla propria ragione, convincerlo che le cose stanno proprio così. Può essere difficile e allora ci si appoggia a qualcun altro che si ritiene magari più forte, più capace, esattamente così come una piccola nazione si aggancia a quella più grossa, mettiamo l’Italia si appoggia agli Stati Uniti per avere una protezione o il piccolo imprenditore si appoggia al mafioso importante per avere anche lui la protezione cioè qualcuno che comunque sappia fare valere le sue ragioni, è questo il motivo prevalentemente per cui si compie un’operazione del genere. È molto diffusa ma non è così interessante. Se riflettete sul funzionamento del linguaggio arrivate anche a sapere perché gli umani fanno una cosa del genere, perché da sempre, da quando esistono non fanno nient’altro che questa operazione che adesso si diceva e cioè cercare di piegare l’altro a tutti i costi, chi li costringe a fare questo? Apparentemente nessuno eppure lo fanno da sempre, da quando c’è traccia di loro. Che cosa costringe dunque ciascuno a partire da qualche cosa e giungere a una conclusione e cercare in tutti i modi che questa conclusione sia vera? È il linguaggio, e essendo gli umani fatti di linguaggio non possono non farlo, non sono fatti di nient’altro e devono attenersi continuamente a questa struttura di cui sono fatti perché non possono pensare in un altro modo, ne sono sempre vincolati necessariamente, è l’unico modo che hanno per pensare. Potremmo dire che il linguaggio comporta una situazione bizzarra: non c’è uscita dal linguaggio in nessun modo perché per uscirne comunque devo usarlo, quindi è un sistema al tempo stesso chiuso e aperto, è chiuso perché non consente uscita, aperto perché all’interno del linguaggio è possibile costruire un numero infinito di proposizioni …
Intervento: io volevo porre una domanda, Lei prima parlava delle fantasie di potere e delle fantasie di abbandono in qualche modo scindendole, mi chiedevo se sia possibile scinderle mi pare che siano funzionali l’una all’altra proprio per il modo in cui viene esercitato il potere che è potere sull’altro, mi chiedevo appunto se non siano complementari …
Sì, se una persona mi abbandona perdo il potere che ho su quella persona …
Intervento: però anche la fantasia di potere se io impongo il potere io ho bisogno di imporlo a qualcuno per cui è ovvio che l’abbandono è importante perché anche se avviene poi fantasmaticamente ma per definizione non posso imporre il potere a me stesso devo avere qualcuno su cui imporre …
Intervento: quindi se uno ti abbandona è perché non avevi nessun potere è questo il problema …
È dopo che l’ha abbandonata che non ha più potere. Facciamo il caso di una coppia, è il caso più semplice: una persona può immaginare di avere l’altra in proprio potere, per esempio la fanciullina che seduce il fanciullo, lo seduce e da qual momento in poi immagina di averlo in pugno, adesso è mio, si dirà, ora questo potere che ha su di lui non è così stabile né così duraturo e se arriva un’altra fanciullina? Allora questo potere è sempre minacciato in qualche modo, certo una persona fa di tutto per evitare che la persona sfugga però è un’operazione che come tutte le fanciulline sanno non è così sicura. La questione del linguaggio vi appare chiara? Qualche dubbio, qualche perplessità? È la questione centrale in una psicanalisi, per chi si forma come psicanalista intendere il funzionamento del linguaggio è fondamentale, se non si intende questo come dicevo all’inizio non si va da nessuna parte, si gira in tondo, si lavora solo con la fede …
Intervento: per esempio quando si parla di programmazione neurolinguistica cosa vuol dire?
Programmazione neurolinguistica? Hanno messo insieme un po’ di cose raffazzonate qua e là per potere vendere dei master, però di fatto non c’è a fondamento nessuna teoria, non c’è nulla di sostenibile sono, un’insieme di argomentazioni raffazzonate un po’ qua e un po’ là. Ho letto qualcosa di programmazione neurolinguistica ma non ho trovato nessun interesse perché non c’è nessun fondamento teorico, solo cose basate sul buon senso, il buon senso non è sempre un buon consigliere, talvolta è pessimo, altre volte no, è difficile valutare però ci sono altre discipline, molto più robuste, e molto più antiche, molto più solide come la logica formale, la retorica, la linguistica compreso lo strutturalismo che hanno forniti ben altri strumenti, anche alcune discipline attualmente molto in voga, ne parlavamo con gli amici qualche tempo fa come lo Storytelling. Sono così versioni edulcorate, sfrondate e rese quasi irriconoscibili di teorie molto antiche. Per esempio alcuni si sono accorti, sembra una grande novità, che gli umani sono affascinati, avvinti dalle fiabe, dai racconti, dalle storie, cosa antichissima naturalmente, il problema è che nessuno di costoro sa perché mentre una riflessione più attenta sulla struttura del linguaggio cioè di ciò di cui gli umani sono fatti rende conto anche di questo, del perché gli umani sono così attratti e così affascinati dalle storie al punto che per sedurre, attrarre le persone è sufficiente raccontare storie, non necessariamente fandonie, storie, novelle racconti che esercitano sempre un’enorme attrazione perché? Chi ve lo sa dire? Nessuno, ma io sì.
Intervento: a me è piaciuto prima quando Eleonora ha definito la psicanalisi come un binomio tra la persona che parla e il racconto … è un’altra possibilità di pensarsi discorso, di pensarsi racconto quindi pensarsi in modo diverso anziché come una sequenza di eventi che si sono vissuti come una serie di eventi che si sono pensati e condotti in modo spesso non consapevole ma che comunque sono la traduzione di quello che si è pensato e questo sottolinea bene quello che è la psicanalisi, pensiero …
Intervento: a questo proposito mi veniva in mente Feyerabend un filosofo della Scienza che diceva che le teorie scientifiche vincenti sono quelle che retoricamente che riescono a esporre meglio le ipotesi dei propri risultati … quello che dice appunto Feyerabend che teorie vincenti sono quelle che decidono del futuro della scienza ovviamente perché da lì poi si parte per altri percorsi ma che dipendono comunque dal fatto che le teorie siano risultate vincenti e questo accade anche per la persona del come si costruisce la sua storia e come “sceglie” tra virgolette quegli elementi fondamentali di cui parlava prima Eleonora che sono quelli che decidono della propria storia, che sono quelli che decideranno poi di come dovranno andare le cose, per dire che la storia non è semplicemente il racconto di ciò che è accaduto come se fosse una sorta di decalogo degli eventi successi quell’eccitazione …. ma è il modo in cui si racconta la storia che decide come questi eventi accadano, quindi è la storia che decide in qualche modo quella che deve essere la realtà ecco perché pensavo prima così a una definizione come se la realtà fosse una sorta di struttura … e non fosse semplicemente una somma di cose, di eventi … ma esattamente la storia che decide cosa deve essere la realtà tanto che rispetto a un “evento” tra virgolette ciascuno di noi lo descrive in modo assolutamente diverso immaginando di parlare della stessa cosa ma ciascuno di questi racconti racconta in modo assolutamente differente perché? Perché dipendono da quella che è la storia di ciascuno, ciascuno predilige alcune cose, crede altre cose e quindi costruisce un altro racconto e in effetti l’unica testimonianza di questa realtà non è altro che il racconto c’è solo quello immaginarsi che esista una realtà al di fuori di questo racconto è come immaginarsi che al di fuori di questo mondo esista dio che governi tutto …
Intervento: allora è come dire che ci sono tante verità …
Intervento: sì diciamo così ciascun racconto in qualche modo segue una sua verità la quale è tale appunto ma all’interno di quel racconto naturalmente funziona come verità (o sono dei racconti messi insieme ) questa è un po’ la concezione di Vattimo che dice la verità non esiste ma è soltanto l’accordo di tutti questi rapporti … ma non è proprio così il discorso della verità sarebbe un po’ complicato …. certamente la verità per ciascuno è assolutamente importante … non passiamo un momento in cui non ci chiediamo se facciamo bene o se facciamo male, se è giusto o se è sbagliato in questo senso parliamo di verità ed è estremamente importante per ciascuno intendere proprio il funzionamento del linguaggio in quanto ha bisogno il linguaggio costruendo proposizioni che queste proposizioni siano vere per proseguire, altro discorso invece immaginare che esista una sorta di verità assoluta cioè l’idea di realtà come è nel discorso comune è un’idea di verità assoluta perché la realtà è qualche cosa che nel discorso comune deve essere assolutamente incontestabile cioè è quello e non può essere diversamente quindi dicendo questo parlo di qualche cosa che funziona come verità assoluta parlando appunto della verità che è costruita dal racconto, dalla storia (allora ce ne sono tante, ci sono tante verità) beh può anche metterla così ma è messa molto male perché in effetti questo va al di là di tutta la costruzione del linguaggio … c’è una verità assoluta adesso magari Faioni prosegue questo discorso perché riguarda il funzionamento del linguaggio …
Non è necessario. Piuttosto volevo dire le cose che abbiamo accennate questa sera procedono lungo un lavoro che è sempre in atto e che non è mai concluso. Questo lavoro lo compiamo da molto tempo e si svolge nella sede dell’Associazione che è in via Grassi 10 e mi piaceva questa sera invitare ciascuno dei presenti a venire a trovarci mercoledì, ciascun mercoledì, e chiunque sia interessato o anche solo incuriosito dal lavoro che stiamo facendo può venire a trovarci e sarà sempre il benvenuto. Ringrazio ciascuno di voi e vi auguro buona serata.