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21-10-2004

 

Libreria LegoLibri

 

A CHI INTERESSA PENSARE

 

Beatrice Dall’Ara

 

Allora riprendiamo gli incontri sospesi per l’estate, per il caldo dell’estate, in cui si parlava appunto di psicanalisi. Questa sera il titolo è “A chi interessa pensare?”, viste le poche persone che sono qui pare che il pensiero non abbia un grande interesse, comunque… il pensiero come si sa è un valore e quindi è qualche cosa di importante nel il discorso occidentale, è importante perché con il pensiero si giunge a concludere, a intendere che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, che cosa è vero tutto sommato. Il pensiero è importante e ha questa funzione: giungere a far intendere, serve a questo, che cosa è vero e di conseguenza fare muovere in questa direzione, la direzione che si sa essere giusta. La psicanalisi come ciascuno di voi sa nacque un centinaio d’anni fa e Freud chiamò questo percorso, il percorso che sorse, che iniziò da una domanda che lui in prima istanza ha posto a sé: “come so che le cose stanno proprio così, come le vedo, come le sento, come le immagino, come credo che siano?” nacque per questo la psicanalisi, se non ci fosse stata l’esigenza di questa ricerca la psicanalisi non sarebbe nata e la chiamò, chiamò questo percorso, trovò questo nome: psicanalisi. Nacque con un intento particolare, nacque per il pensiero, doveva intendere come funzionava una struttura psichica, non nacque per altro, ma per lo studio del pensiero che, come si sapeva, come si sa, nasce dal cervello, un pensiero che nasce da una struttura fisica dal cervello, dai gangli cerebrali, questo era il compito dell’analisi e la chiamò psicanalisi perché il pensiero è l’anima dell’uomo è ciò che lo fa muovere, se voi leggete l’Interpretazione dei sogni, lì spiega come funziona l’apparato psichico, lo costruisce l’apparato psichico che nasce da un cervello ché lui era un medico ed era interessato al funzionamento del corpo, corpo che si muove spinto da ciò che pensa. “Psiche” anima, l’anima dell’uomo, la cosa più preziosa che l’uomo ha, una trait d’union in qualche modo fra dio e l’uomo, questo tesoro ma questo gesto iniziale dello studio del pensiero e come funziona, questa grande apertura proseguì per alcuni tempi finché abbastanza presto non si chiuse con delle risposte che vennero in parte anche da Freud ma soprattutto dopo di lui dalle varie scuole che nacquero da questo percorso. Nacquero molte scuole di psicanalisi ciascuna delle quali con la sua teoria e quindi con la sua verità, la conferma del funzionamento della teoria era data dal benessere e soprattutto dalle persone che continuavano a praticare queste analisi. Si chiuse abbastanza presto la domanda sul pensiero forse proprio perché era stabilito che partiva da un organo fisico e il compito spettava alla scienza medica, spettava alla scienza e tutto sommato del pensiero non importava granché a nessuno e quindi tutte queste scuole con le varie teorie diverse… è curioso come ci possano essere varie verità riguardo al funzionamento del pensiero, se vogliamo continuare questo discorso. Teorie in molti casi abbastanza rozze e abbastanza banali anche perché erano favorite da quelle istituzioni che le lasciavano lavorare, basti pensare che nacque una scuola di psicanalisi cattolica, così come ci sono filosofi cristiani… questo per dire della libertà di pensiero però importante a questo punto era il discorso del benessere che nasceva da un percorso, la questione importante quella che contava e che doveva imporsi non più il funzionamento del pensiero interessava ormai ma quello che veniva detto del benessere o del malessere. Nacquero anche delle altre scuole anche abbastanza elaborate, anzi molto elaborate alle quali collaborarono anche dei linguisti perché ci si accorse del ruolo importante, della centralità della parola e una psicanalisi, come ciascuno sa, è un percorso di parola, un percorso che avviene grazie alla parola, grazie al proprio racconto, grazie alle storie che intervengono in questo percorso e quindi questa centralità della parola era stata perlomeno notata e come dicevo, queste scuole con teorie molto, molto elaborate che andavano a leggere tutti i testi più importanti, nacquero, dicevo, anche con la collaborazione di linguisti Jakobson per esempio… c’erano e ci sono ancora queste scuole, l’infinito della parola viene raccontato in quegli enunciati che si ascoltano, che si sentono, che rimano che non tutto può dirsi e quindi per questo la parola continua e occorre continuare e occorre parlare e occorre esprimersi qualsiasi cosa va bene, qualsiasi cosa e il suo contrario chiaramente. Occorre parlare, non importa come, non importa che cosa e questo comporta benessere, comporta un grande benessere. Gli enunciati sono frasi e sono atti in molti casi a produrre stupore perché se non si conosce la teoria, generalmente, non si sa intendere, capire quello che dicono, devono produrre effetti di senso, questo sarebbe un predicare l’A cultura, la cultura, qualsiasi cosa va bene come la sua contraria, in più siamo e più ridiamo, cose di questo genere, chiaramente ciascun enunciato è un passo di una certa teoria, però io li utilizzo in questo modo. In più siamo e in più ridiamo l’importante è dire è continuare a dire e da questo non possiamo che trarre benessere, felicità e quindi esprimersi, continuare a dire… beh, che la parola, parlare comportasse benessere questo non l’ha inventato la psicanalisi, no, la chiesa già qualche centinaio di anni fa ha istituito il sacramento della confessione per cui sa cosa produce una confessione produce benessere. Una persona va lì, scarica le sue pene, le sue colpe ed esce tutta contenta, sta bene e può poi ritornare ancora, ancora… magia della parola, dio! Non l’ha inventata la psicanalisi, la parola ha anche questo risvolto produce benessere e la chiesa lo sa e questo è quello che le è valso anche milioni di fedeli. La questione della confessione in qualche modo già Freud l’aveva svolta in quel suo saggio “Delinquenti per senso di colpa” in cui pone la questione e dice “ ma le persone costruiscono, inventano la colpa perché sono colpevoli, perché c’è una realtà dietro tutto questo o diventano colpevoli per potere confessarlo?” ma… la psicanalisi, la parola come un mezzo per esprimere e quindi per dire quello che io sento, quello che mi fa soffrire, quello che mi fa subire, una serie infinita di affermazioni a descrivere delle emozioni o delle sensazioni che percepisco, una serie sterminata di affermazioni promulgata da chi sa come stanno le cose, perché occorre intendere i motivi, intendere perché la persona sempre di più soffre, subisce e il timore la paura è quella di reagire. Ma cos’è la psicanalisi? L’analisi a questo punto. La psicanalisi è un percorso teorico atto a far intendere alla persona che compie questo percorso come funziona il linguaggio. L’analisi dicevo, qui parliamo di linguaggio a questo punto, sono molti anni che parliamo di linguaggio, ho riassunto prima la questione delle scuole di psicanalisi è proprio un piccolo riassunto ma tutto questo potete trovarlo su Internet, ne abbiamo parlato dettagliatamente questa primavera, dicevo che noi parliamo di linguaggio, come funziona il linguaggio. Non parliamo di strutture psichiche, di strutture fisiche da cui nasce il pensiero, parliamo del pensiero ma continuiamo inesorabilmente a parlare di linguaggio. Abbiamo iniziato questo percorso con una domanda che è quella che ci ha dato l’accesso ad un itinerario analitico “come so che le cose stanno proprio così come credo che siano?” e di lì abbiamo continuato portando qualsiasi questione che si poneva alle estreme conseguenze, con molto rigore perché ci interessava compiere questa operazione, se no qualsiasi cosa valeva quanto la contraria, come la sua contraria e allora che interesse doveva avere tutto quanto? Quindi parliamo di un percorso che deve portare a, comporta intendere come funziona il linguaggio. Perché linguaggio? perché molto semplicemente ciascuno lo può provare al momento in cui si trova ad affermare qualche cosa e molto semplicemente sempre portando avanti quella domanda, il pensiero così come ciascuno lo utilizza quando si trova a parlare non potrebbe darsi senza una struttura, una struttura linguistica quella che chiamiamo linguaggio. Linguaggio che funziona in un certo modo, se non si desse questa struttura quella che appunto chiamiamo linguaggio e che è linguaggio e che ha sempre funzionato da quando esistono le cose, come dicevo se non si desse questa non si darebbe il pensiero, né una struttura psichica, né una struttura fisica, né dio che ce l’ha donato, non vale il contrario cioè che con la struttura psichica c’è linguaggio, no: senza linguaggio, il pensiero, questo termine in prima istanza non significherebbe nulla per nessuno e se non significasse nulla per nessuno non esisterebbe, molto semplicemente. Il pensiero che cos’è? Oltre che un termine che posso significare? Per rendere più semplice la questione che è abbastanza complessa, il pensiero non è altro che il discorso che si può ascoltare in una analisi ma soprattutto quel discorso che ciascuno fa, si fa, quello che domanda, si domanda, quello che si risponde, quello che interroga, quello che gioisce, questo è un discorso e il pensiero non è altro che il discorso che ciascuno si fa. Si potrebbe pensare che il pensiero sia qualcosa di molto più veloce, sì in alcuni casi è velocissimo ma non è nient’altro che il discorso che ciascuno si fa e per questo può interrogare, porsi delle domande, affermare delle questioni e dicevo che tutto questo può esistere solo e grazie a una struttura linguistica, a una struttura inferenziale. La struttura linguistica è la condizione del pensiero ma che cos’è una struttura linguistica? La struttura linguistica è un insieme di elementi in relazione fra loro, elementi linguistici chiaramente, parlati, ciascuno dei quali deve la propria esistenza a ciascun altro elemento della struttura, al momento in cui varia un elemento variano simultaneamente tutti gli altri elementi, questa è la struttura del linguaggio. Si può uscire da una struttura linguistica? Quella struttura, quel sistema che permette qualsiasi cosa? No, non si può uscire da questo sistema, si può pensare, si può affermare, si può affermare dicendo che le cose esistono al di là di quello che io ne dico, si può fare ma compiendo questa operazione cosa ho fatto? Ho costruito una stringa di elementi linguistici, connessi tra loro tali per cui possano continuare il discorso e quindi dire, per esempio, che c’è una struttura psichica ecc. ecc. ma facendo questo non fanno nient’altro che funzionare, sono degli elementi linguistici, non c’è modo di uscire da questo sistema questo è l’unico limite del linguaggio posso pensare di uscire dal linguaggio solo compiendo un atto di parola. Può sembrare oziosa una questione di questo genere però l’analista quello che ha compiuto questo percorso non può in nessun momento “dimenticare” dimenticarsi di questa questione cioè che nulla può darsi fuori da una struttura linguistica, dal linguaggio da ciò che chiama linguaggio, potrebbe anche chiamarlo in un altro modo ma c’è già questo temine, utilizziamo questo termine e quindi è possibile credere di uscire da una struttura linguistica senza poterlo fare, illudendosi, con un atto di fede… sì, questo sì crediamo che sia così. A questo punto possiamo porci delle altre domande per esempio “qual è lo scopo del linguaggio?” e “come funziona?” . Beh, lo scopo del linguaggio, l’unico scopo che sia di qualche interesse e che non si abbandoni immediatamente all’atto di fede e quindi di lì parta una serie lunghissima di proposizioni vere, possiamo dire che l’unico scopo del linguaggio è quello di continuare a prodursi all’infinito deve continuare a funzionare, non può non farlo, possiamo pensare, è una nostra fantasia all’interno sempre di questo sistema, possiamo pensare che il linguaggio termini ma come dicevo è una fantasia il linguaggio funziona in continuazione e produce delle proposizioni. Delle proposizioni ma è chiaro che queste proposizioni che produce non sono proposizioni qualsiasi perché se no sarebbero una sfilza di proposizioni e non potrebbero significare nulla… il linguaggio costruisce proposizioni: e questa proposizione, e questa proposizione, e questa proposizione, e questa… ma se non potesse concludere a una proposizione vera, concludere la sequenza di queste e…e…e…e… non potrebbe significare nulla, il linguaggio non funzionerebbe, non ci sarebbe significazione cioè non ci sarebbe altra produzione di linguaggio, altre proposizioni, non ci sarebbe nulla non sarei qui a parlare con voi né voi qui interessati al pensiero, per cui il linguaggio deve concludere ciascuna volta, trovare una proposizione vera per poi poter ripartire. È il lavoro del linguaggio, non è poi…è abbastanza semplice… anche se sono moltissimi anni ormai che lavoriamo sul linguaggio… comunque è abbastanza semplice, basta riflettere la questione non è poi così difficile, quindi lo scopo del linguaggio è solo quello di costruire delle proposizioni ma devono essere proposizioni vere. Vale a dire che nel suo percorso che parte da una proposizione, quella che chiama premessa e attraverso una serie di passaggi coerenti tra loro arriva ad un’altra proposizione, questa proposizione la chiama vera, è la conclusione cioè la sua affermazione, è un’affermazione. La conclusione di un’inferenza, perché il linguaggio è un sistema inferenziale, ha la possibilità di passare da una proposizione ad un’altra proposizione, questo sempre per poter funzionare perché se non compisse questa operazione il linguaggio non funzionerebbe e non funzionando il linguaggio nulla significherebbe, non ci sarebbe nessuna significazione cioè nessun senso, nessuna stringa di proposizioni che possono affermare qualcos’altro. Il linguaggio ciascuna volta deve individuare un elemento e partire da lì, da questa premessa e attraverso una serie di passaggi concludere cioè perché possa funzionare deve costruire delle proposizioni vere e basta, e così all’infinito: costruire proposizioni vere, questo per poter funzionare, per poter proseguire e questo è quello che fa il discorso della persona data una premessa che accoglie, che ha imparata parte e comincia a costruirsi da quella premessa costruisce continuamente delle proposizioni vere, questo è il pensiero, il discorso della persona, afferma partendo da una premessa, di cui non sa, afferma continuamente e prosegue e non può fare nient’altro che affermare delle proposizioni vere, delle proposizioni a questo punto che crede, se non può considerare la premessa da cui parte. La premessa da cui parte non la potrà mai considerare se non potrà considerare di che cosa è fatto e come funziona, non potrà mai considerare che è un elemento di questa struttura perché ridotta all’osso la questione, la persona stessa è un elemento di questa struttura, può chiamarsi in qualsiasi modo ma proprio per questo perché può chiamarsi Marco Aurelio è un elemento inserito in una combinatoria, e ridotta all’osso la questione non è nient’altro che un elemento di questa struttura che funziona come questa struttura. Ora se non può considerarsi un elemento di questa struttura può continuare a utilizzare il linguaggio sapendo che sicuramente è una struttura molto complessa fatta in un certo modo, con una grammatica e una sintassi che lavorano e sono fatte in un certo modo ma se non può considerarsi un elemento di questa struttura, non può neanche accorgersi che il linguaggio non è un mezzo per descrivere delle cose, no, e che la descrizione può avvenire per via di un gioco linguistico, quello della descrizione, per cui si possono descrivere delle cose ma che effettivamente in quel momento si stanno producendo delle stringe di proposizioni, delle stringhe propositive e nient’altro che questo. Serve a qualcosa poter considerare che il pensiero può esistere perché esiste una struttura linguistica oppure credere che il pensiero sia l’effluvio e la produzione di un cervello che funziona in un certo modo? Un cervello che può essere simile al cervello delle scimmie e allora si va a studiare il cervello delle scimmie, senza poter considerare la condizione per cui io possa affermare che esiste o che è esista una scimmia ai primordi che poi è diventa uomo, ma a che cosa serve una cosa di questo genere? A che cosa serve alla persona che si trova a descrivere il suo malessere e lo fa cogliendo i più piccoli particolari e trova continuamente delle differenze per cui di lì attacca e lì prosegue, perché da lì nascono tutte le emozioni, le sensazioni, a cosa gli serve se non a continuare a costruire proposizioni vere? Nient’altro che a questo come può accorgersi di essere lei, la persona, che esprimendosi e raccontando il suo disagio, il suo star male, che è lei che lo pone in atto e che lo costruisce, ma se non ha gli strumenti per accorgersi di essere linguaggio come può cambiare discorso? per esempio, accorgersi che può farlo, accorgersi che ciò da cui parte è ciò che gli permette di costruire queste stringhe di proposizioni vere ma che sono assolutamente arbitrarie, in quanto ingranaggi di un sistema, come può fare una cosa del genere? Non lo può fare è ingannata dal suo stesso parlare, dal suo stesso dire, dal suo stesso credere di pensare, perché ovviamente crede di pensare, si dà da fare, si danna l’anima come diceva un mio amico ma tutto ciò è assolutamente inutile, continuerà a farlo e a pensare che ci sia un mondo esterno che deve subire e non si accorge che è lui che lo costruisce questo mondo esterno, ché non si da una chance e non può darsela perché, perché considera che il linguaggio sia un qualcosa che serve a dire delle cose che quelle cose non sono neanche tanto importanti, si possono raccontare ed è assolutamente marginale, ma è la sostanza di ciò che si dice che è importante…ingannati, ingannati da una realtà che credono di poter descrivere e che non possono assolutamente considerare un concetto, un concetto una serie di proposizioni che devono la loro esistenza ad un sistema linguistico che non ha nessun altro scopo che quello di costruire delle proposizioni vere e non ci sarà verso se non compiono questo passaggio, pensare significa compiere questo passaggio in prima istanza, accorgersi di che cosa è fatto il pensiero, dopodiché , dopodiché penso che per il momento possa bastare. Ci sono delle considerazioni?

Intervento:… mi sembra che la psicanalisi tenda, è nata anche per una considerazione intorno alla difficoltà, intesa nei modi più disparati dal fisicalismo… che immagina una sorta di mal funzionamento, la mia è una domanda per dire qualcosa intorno alla difficoltà perché in effetti la considerazione che si può fare è che chi si rivolge a uno psicanalista generalmente pone questa questione la difficoltà di condurre il proprio pensiero a una conclusione

La persona che si rivolge alla psicanalisi ha già considerato molte altre strade, ha già considerate molte questioni prima di compiere quel passaggio che la porta al percorso analitico c’è qualcosa che la disturba, molto probabilmente non riesce ad intendere bene che cosa la disturba però tutto sommato se si rivolge a un analista dà in prima istanza e per molto tempo, delega l’analista a risolvere quella difficoltà, di cui non sa per questo ci si rivolge all’analista e il compito dell’analista è proprio quello, parlando chiaramente, non c’è altro modo, di volgere, lasciandola raccontare, di fare trovare a lei il modo per concludere, quindi per aggiungere degli elementi e proseguire. È chiaro che la difficoltà può anche essere una chance quella che fa intraprendere un percorso di pensiero, la psicanalisi è nata per il pensiero ma questa è la chance, al momento in cui qualcosa mi è difficile occorre che mi dia da fare per risolverla e quindi per continuare il discorso sempre di più, parlandone la questione si individua e quindi si specifica e a questo punto si dissolve.

Faioni, vuole intervenire per rendere più semplice quello che andiamo dicendo?

Intervento di Luciano Faioni:

Affermare, come è stato fatto, che se si da una qualunque cosa, in qualunque modo e per qualunque motivo questa è necessariamente un elemento linguistico è una considerazione piuttosto complicata, per usare un eufemismo, in realtà è inaccessibile. Inaccessibile pur essendo allo stesso tempo una considerazione assolutamente banale, e quindi è banale e inaccessibile allo stesso tempo. È inaccessibile perché nessuno è in condizione di pensare in questo modo e cioè che mentre sta vivendo, usiamo pure questo termine, la sua esistenza non è nient’altro che un elemento linguistico e cioè una sequenza di proposizioni. Qui intendiamo con linguaggio l’accezione più stringata e più essenziale e più potente, e cioè una sequenza di istruzioni per la costruzione di proposizioni. Nient’altro che questo. La banalità di affermare questo e cioè che qualunque cosa questo è necessariamente linguaggio viene dalla considerazione che qualunque cosa io consideri, valuti, queste considerazioni, queste valutazioni sorgono dalla possibilità di pensare, questa possibilità di pensare è quella stessa possibilità, come diceva Beatrice, di trarre delle conclusioni, quindi di giungere a qualche cosa, partendo da qualche altra, ora il passo successivo è molto semplice e potete anche prendere la via del luogo comune, quella che dice che il linguaggio non è altro che un mezzo per descrivere cose e quindi assemblarle, cose dunque che linguaggio non sono, ma se tutto ciò che io avverto, esperisco, considero è frutto del mio pensiero cioè ha come condizione il fatto che io possa pensare, allora anche questa considerazione e cioè che il linguaggio è un mezzo ha come condizione l’esistenza del linguaggio, e questo complica le cose. Come dire che è questo stesso “mezzo” che mi consente di formulare questa affermazione che il linguaggio è un mezzo, e se io volessi per diletto considerare che c’è qualche cosa che non è linguaggio allora, come diceva giustamente Beatrice, lo posso affermare, certo, però c’è un problema e cioè che non lo posso dimostrare in nessun modo. Ora questo come abbiamo detto tantissime volte non preoccupa nessuno ma cionondimeno rimane una questione, una questione che si incontra proprio nel momento in cui si incomincia a considerare come funziona il pensiero cioè in definitiva come funziono io stesso, visto che sono fatto di questo. Ora la domanda, che è anche il tema di questa sera, è a chi interessa pensare? A nessuno in generale, d’altra parte perché mai dovrebbe interessare? In fondo ciò che importa ai più è raggiungere conclusioni delle quali immaginare di avere la certezza per potere costruire altre proposizioni delle quali immagina e continua ad immaginare di avere la certezza, da qui parte per costruire altre proposizioni delle quali ancora immagina di avere la certezza e così via all’infinito e in questo modo passa la sua esistenza. Ciò che abbiamo fatto in questi anni è intendere questa sorta di marchingegno che conduce gli umani a compiere esattamente quell’operazione di cui vi dicevo, e considerare l’eventualità di accorgersene, almeno questo, che già è un passo notevole però non è semplicissimo perché ciascuno è stato addestrato fin dai primi vagiti a pensare in un certo modo, incominciare a pensare altrimenti è straordinariamente complicato, però ci è parsa la condizione per potere cominciare a considerare il funzionamento delle cose e di conseguenza, considerato il funzionamento del linguaggio, il funzionamento degli umani. Se ciascuno non è altro che il discorso di cui è fatto, se ciascuno avesse l’occasione di sapere come funziona il linguaggio che fa funzionare il discorso allora saprebbe come funziona anche lui, e non potrebbe non saperlo, cioè non potrebbe non sapere perché pensa le cose che pensa, questo è il vantaggio, ed è per questo che un’analisi posta in questi termini funziona, ed è l’unica che sia in grado di funzionare e cioè di evitare di spostare la questione da un atto di fede a un altro come avviene generalmente, per questo non ha bisogno che si creda, non ha bisogno di un atto di fede, non ha bisogno di niente, soltanto che qualcuno la voglia fare, e ciò a cui giunge è propriamente questo: la irreversibile consapevolezza del modo in cui funziona il proprio pensiero e quindi sapere esattamente perché pensa le cose che pensa, in definitiva non è nient’altro che questo, con tutte le implicazioni che ha una cosa del genere ovviamente. La prima è cessare di avere bisogno di avere paura, la prima considerazione, e a seguire infinite altre. Accorgersi in definitiva che cose che appaiono incredibilmente complicate in realtà sono straordinariamente semplici, perché il funzionamento del linguaggio è straordinariamente semplice, la difficoltà sta nell’accorgersene. L’analisi fa questo, fa in modo che la persona se ne accorga, si accorga di ciò che non può non essere e cioè che è fatto di linguaggio e pertanto funziona come funziona il linguaggio, dunque dico ancora una volta, se sa come funziona il linguaggio allora sa anche come funziona lui stesso. Vuole aggiungere qualcosa Sandro?

Intervento: riprendo la questione della difficoltà di pensiero, tramite l’analisi il sapere perché si pensa quello che si pensa pone in discussione il sapere cioè non sapendo come funziona il linguaggio non si sa per esempio da dove vengono i propri pensieri. Si immagina, c’è un idea in un certo senso che ci sia qualche cosa che ci trascenda mentre pensiamo, che ci sia qualcosa che sia al di là di ciò che si pensa e di ciò che si dice e che sia in qualche modo ciò che governa i nostri pensieri, ovviamente ponendo la questione del funzionamento del linguaggio la conclusione è questa che il proprio pensiero non può che non provenire da altri pensieri, i quali ovviamente avvengono attraverso tutta una serie di rinvii, no? Parlavamo prima della questione inferenziale e produce quello che produce, noi facciamo continuamente delle affermazioni immaginando di descrivere una realtà esterna o anche interna perché no? Comunque di descrivere qualche cosa che avviene senza contare che effettivamente ciò che noi consideriamo essere qualche cosa che va al di là di ciò che noi pensiamo e quindi qualche cosa che va al di là del linguaggio non ne cogliamo la struttura non riusciamo a coglierne la struttura… un po’ come se i pensieri si potessero produrre per una sorta di magia, miracoloso… sì uno può anche dire che effettivamente come diceva all’inizio Beatrice c’è questa idea che alla base del pensiero ci sia un funzionamento… fisico?… a parte che questo tipo di riflessione può produrre fino ad un certo punto dopo di che si blocca… il discorso per esempio il rapporto fra corpo e mente… qual è il salto? (l’anima, dio!) com’è che qualcosa di organico diventa qualcosa di psichico? E qui si blocca… sì le cose si dicono, di cose se ne dicono tante di cose, se ne raccontano tante per arrivare alla questione della coscienza… ognuno dà una sua definizione ma una definizione che comunque rimane sempre comunque arbitraria, ma si parte di lì assolutamente irrinunciabile… senza rendersi conto di quel passo fondamentale che è quello di chiedersi qual è la condizione per cui io possa costruire tutta una teoria…tutto sommato in effetti è la questione fondamentale con la quale ci confrontiamo continuamente è questa che tutto ciò che si dice è assolutamente non provabile cioè assolutamente arbitrario come diceva Faioni, c’è una sorta di omertà come se il problema fondamentale quello di provare ciò che si dice fosse tenuto oscurato, tenuto nascosto ma questo non tanto per una mala fede, non stiamo parlando di mala fede non è questo il punto è se queste teorie, questi pensieri, le visioni del mondo in un certo senso, le religioni, la struttura di questi pensieri non è altro che la struttura religiosa, se portate alle estreme conseguenze mostrano la loro assoluta inconsistenza, è per questo che esistono le mode anche in queste cose perché non c’è nulla che le possa sorreggere nel passo dei tempi, come si usa dire e quindi discute di una certa cosa… ma anche questo qualche cosa deve lasciare il posto a qualche cos’altro ancora, perché? Perché è un po’ come la questione della filosofia si è arrivati fino all’affermazione di Nietzsche che dio è morto ma a questo punto si è abbandonato il discorso della verità nessuno più parla della verità… in quella affermazione è indicato un periodo di… è… più avanti ci ritorneranno, come dire che è un girare in tondo, un circolo vizioso fino a quando non ci si rende conto qual è la condizione di questa stessa ricerca e in effetti è una ricerca che di qualcosa che va al di là di ciò stesso che consente questa ricerca e cioè il fatto che gli umani parlano, pensano mentre cercano che quel qualcosa che sia al di là, la teologia con dio, la filosofia con l’essere, la psicologia con la psiche ecc. qualche cosa che è assolutamente ineffabile, trascendente e che in qualche modo, l’utopia qual è? Quella di potere rendere palpabile questa cosa, di raggiungerla senza rendersi conto che il gioco linguistico che ha creato questa stessa cosa li ha inventati tutti due…

Intervento: non so se dico qualcosa di ignobile, se dico che se cambiamo il modo di costruire il linguaggio cambiamo l’esperienza del soggetto interprete di questo linguaggio cioè invece di lavorare con l’esperienza esterna si lavora con l’esperienza sintattica del soggetto che esprime il suo pensiero e quindi che traduce una sua esperienza e sarebbe una terapia linguistica… io invece ero l’assertore del colpo di martello in testa cioè sono le esperienze traumatiche non linguisticamente connotate e che ci lasciano un segno e un motivo che traduciamo in un certo modo con il linguaggio, ora per esempio chi subisce un abuso, che è stato in un campo di concentramento, chi anche ha occasione di avere un colpo di fulmine ecco in quel momento subisce un trauma emotivo, quindi ha una sensazione che traduce ma questa sensazione c’è, preesiste al linguaggio cioè è un modo di interpretazione, allora se noi, se non dico un eresia, se noi modifichiamo la costruzione linguistica che ha dato senso all’esperienza, noi dovremmo modificare l’esperienza… tanto abbiamo gli stessi recettori il cervello e quindi… se ricordiamo una cosa penosa abbiamo delle reazioni biochimiche fisiologiche simili alla stessa esperienza reale dello stesso stato però qua mi piacerebbe sapere se il fatto di sapere che noi siamo linguaggio significa che neghiamo, a parte l’ipostatizzazione del linguaggio che sarebbe una considerazione da fare in questa sede, il fatto che noi siamo linguisticamente connotati siamo ciò che dichiariamo linguisticamente è come negare un’esperienza cioè dato che l’esperienza è parlata significa che l’esperienza non esiste in quanto tale in quanto fonte di emozioni o di sensazioni, cosa che invece a me sembra nonostante che partecipi assiduamente ai vostri incontri ricavandone senz’altro spunti e lasciamo perdere cos’altro, ecco è questo è un’operazione da fare, si può confutare cioè l’esperienza non esiste in quanto è dichiarata linguisticamente oppure invece esiste ed è l’origine del linguaggio?

Lei parlava di modificare il linguaggio, visto che siamo linguaggio quindi di modificarlo in modo che quell’esperienza, ha parlato di esperienza, quella del trauma è un’altra questione come se in un certo modo questa esperienza potesse anche evolvere in un certo modo, potesse anche significare altro visto che il linguaggio laddove trova un trauma, laddove trova qualcosa che rende fisso il suo discorso non evolve, riprende sempre da lì, diciamo che quella proposizione diventa una proposizione vera e di lì trae tutte le altre proposizioni, lei dice di modificare il linguaggio

Intervento: se questa terapia basata sul linguaggio è una terapia linguistica che costringe la persona a prendere cognizione del suo modo di costruire le proposizioni allora si può presumere che modificando il suo modo di concepire il pensiero attraverso il linguaggio modifica anche l’esperienza traumatica che ha prodotto la nevrosi o…

Vede al momento in cui la persona, come lei diceva può considerare che è linguaggio, che è un elemento di questa struttura che costruisce qualsiasi cosa che permette l’emozione, la sensazione, l’esperienza al momento in cui sa che è linguaggio a quel punto non può più farsi condurre da un gioco linguistico, si interroga su quel gioco linguistico che il linguaggio costruisce a quel punto si interroga sul suo funzionamento, sulle regole del gioco e di come funziona all’interno di una catena segnica quel gioco, a quel punto sta lavorando sul linguaggio e chiaramente al momento in cui sa che qualsiasi cosa è un elemento linguistico non avrà più bisogno di impostare l’analisi o la sua vita come terapia, non è più una terapia, il linguaggio al momento in cui funziona, il pensiero al momento in cui è libero e non è fermato da credenze non ha bisogno di terapie cioè di star bene, non gliene importa assolutamente niente, il linguaggio non è altro che un sistema è questo che è importante e che si deve intendere, cosa diciamo quando parliamo di linguaggio al momento in cui la persona attraverso un percorso, non avviene così automaticamente come diceva Faioni prima, è complessa la questione ma è banale allo stesso punto, non è percepibile ma al momento in cui è arrivato e arriva ad intendere di essere un elemento della struttura linguistica ha sbarazzato la credenza nel bene nel male, non si interessa più di queste cose…

Intervento: l’esperienza… è importante intendere… io prendo questa cosa, la lascio andare: cade. Cosa ho fatto? Ho compiuto un’inferenza “se la lascio andare cade” se A allora B. Senza questa possibilità, cioè senza questa possibilità di costruire, cioè di inferire, costruire questa inferenza non si darebbe esperienza… on è che l’esperienza sia fuori dalla struttura linguistica ma l’esperienza è comunque frutto di processi inferenziale, ma è linguaggio… quando si dice che fuori dal linguaggio non c’è esperienza diciamo che senza la possibilità di costruire inferenze non c’è esperienza. Solo questo (diciamo che non c’è significato linguistico) sì però se non c’è significato non esiste (l’aspetto somatico dell’esperienza) l’aspetto somatico non esiste se non esiste possibilità di significarlo, se io non posso significare non esiste (come dicevamo altre volte se un bambino piccolo piange il dolore lo sente) ma è la stessa identica cosa se lei lascia cadere un bicchiere e si rompe, sente male il bicchiere? Lei dice il bambino dimostra un effetto: piange. Il bicchiere fa rumore…

Intervento: questa cosa che l’esperienza è dicibile solo in virtù di categorie che…

 

Intervento: ma non è solo questione di essere dicibile, è questione di dire che l’esperienza esiste, senza questa possibilità di costruire inferenze l’esperienza non esiste…

Intervento: non ho capito a cosa mi serve capire questo… l’aspetto teorico va benissimo non è questo, quando lei Dall’Ara dice “non ha più bisogno di…”

Intervento:… era riferito al fatto di trasformare il linguaggio ma il linguaggio è una struttura logica e retorica che è il discorso di ciascuno… quello che interessa rispetto ad un’analisi non è tanto quello di trasformare ma quello di considerare che le cose che si stanno dicendo non rappresentano nulla che sia fuori dal linguaggio. una persona che prova un’angoscia, una paura ecc. subisce questa cosa come se fosse un elemento estraneo, qualcosa che non capisce e che immagina sia un elemento estraneo che esiste di per sé. Il fatto stesso che l’angosce, le fobie vengano considerate come malattie, allo stesso modo in cui si piglia un’influenza… come se un elemento estraneo fosse intervenuto a modificare il regolare funzionamento di una macchina e che quindi di conseguenza deve essere curato, con gli psicofarmaci, la questione è che il disagio come l’abbiamo individuato è una costruzione del linguaggio cioè una produzione dei pensieri di quella persona, quando si dice produzione dei pensieri si dice che l’origine, la causa, il motivo di un malessere è un qualche cosa che esiste in funzione di un certo percorso anche inferenziale e che quindi non si tratta tanto di modificare il senso morale, il modo di parlare di questa persona si tratta di far giungere alla considerazione che queste fobie, paure, ansie ecc. sono state costruite dal suo discorso per alcuni motivi, che la persona può non conoscere ma che attraverso l’elaborazione può intendere, perché se l’ha fatto avrà avuto i suoi buoni motivi… Freud parlava del famoso tornaconto della malattia, c’è bisogno d ella malattia e quindi se l’ha fatto avrà avuto i suoi motivi, i suoi vantaggi per fare questo ma rimane all’interno del discorso ha solo bisogno di diventare consapevole di se stesso nel senso che trova anche un’altra responsabilità, è lui che ha costruito queste cose, è il suo discorso che ha costruito tutto ciò che sta subendo se l’ha costruito si tratta di verificare quali sono questi motivi, ma è solo nei suoi pensieri che trova l’origine, prima parlavo che si cerca sempre di sapere cosa c’è al di là, questo al di là sono altri pensieri che non sono consapevoli ma sono pensieri. Possono essere qualunque cosa ovviamente sono credenze, certezze e sono talmente così radicate che non li considerano neanche più.

Anche il motivo è linguaggio, una serie di inferenze, di proposizioni. Io volevo soltanto aggiungere questo: prima il signore parlava del trauma che si ripete. Il trauma che si ripete non ha nessun altro motivo, scopo di ripetersi nella persona, e questo la persona può giungere ad intenderlo e ad intendere che è responsabile di questo trauma proprio perché continua in questa descrizione infinita che ne fa senza accorgersi di quello che sta facendo, continua a descriverlo e in questo modo a costruire quelle emozioni che trae dal ripetere. Quando la persona attraverso l’analisi, può cominciare ad accorgersi di quello che sta dicendo e di quello che sta dicendo, prende in considerazione le affermazioni che avvengono giorno dopo giorno in questo percorso, quando la persona si accorge che lo sta costruendo “pezzo per pezzo” volta per volta il trauma lì in analisi e questo le serve per continuare a dire e per stare male, a quel punto ha l’occasione e l’opportunità di accorgersi che è l’artefice di questo trauma che per lui, che per lei produce tutto quel dire, tutte quelle emozioni e sensazioni e a questo punto e solo a questo punto si disinteresserà a questo gioco che ricostruisce, il suo pensiero potrà effettivamente essere libero, e chiedersi qual è il vantaggio, perché il vantaggio sicuramente c’è per compiere questa operazione che non ha nessun altro scopo che costruire delle proposizioni. Se poi uno immagina che sia per qualcos’altro… è ovvio che non è così automatico e così semplice perché si parla di malattia, si parla di trauma e lo si considera fuori dal linguaggio che lo descrive in continuazione e lo utilizza. Ora l’analista della parola in prima istanza non può che accorgersi di qualcosa di cui tutti possono accorgersi di fronte alle proprie affermazioni, in prima istanza che cos’è quello che sto dicendo? Sono delle proposizioni. Solo delle proposizioni quindi è linguaggio che sta funzionando e l’analista sapendo e non potendo non saperlo che questa è l’unica necessità, lavora perché la persona individuando sempre di più il suo discorso e quindi rendendosi conto sempre di più delle proposizioni, delle connessioni che intervengono a richiamare un certo termine, ad avvicinare un certo fatto che interviene in relazione al trauma, fa rendere conto alla persona di come funziona e di come è travolto dal suo discorso, questo deve avvenire perché la persona si accorga di costruire il trauma volta per volta, perché per lui è la cosa più “bella” è quella che gli dà più da parlare ed è estremamente interessante considerare questa questione perché gli umani credono di fare le guerre perché è naturale, non sanno che fanno le guerre perché parlano e questo produce un mare di proposizioni che interessano, che attraggono gli umani. (che attraggono il linguaggio) Ne dicono bene e ne dicono male, quello che vogliono, ma ne dicono, e se immaginano e se sanno e non pensano che ciò che dicono è ciò che li porta a dire, e a continuare a dire gli umani non rinunceranno a questi divertimenti. Come togliere ai bambini il divertimento di giocare agli indiani, quando terminano i bambini di giocare agli indiani? Quando sanno di essere grandi e quindi possono giocare un altro gioco e allora fanno la guerra, quando invece questo si può intendere come gioco linguistico costruito dal linguaggio che non può fare altro che proseguire… non da dio o dalla natura o dal destino ma da tutto quello che hanno inventato gli umani per continuare a dire allora a quel punto si agisce sul linguaggio non ci si interessa più di stupidaggini ma questo è fondamentale da intendere è ovvio che non è semplice sono vent’anni che stiamo lavorando in questa direzione, non vogliamo salvare nessuno non è questo che interessa ad un analista, interessa all’analista che intervengano certe questioni, portarle avanti, parlarne, continuare a dirne finché non ci si accorge di questo particolare. La settimana prossima interverrà Sandro Degasperi: “La responsabilità dello psicanalista”, grazie a tutti e buona notte.