HOME 

 

 

21 gennaio 1994

 

Desidero dire alcune cose di introduzione a questa serie di incontri e dire qualcosa anche intorno all’Associazione Scienza della Parola che ha organizzato questi incontri.

L’Associazione si prefigge di leggere, di studiare, di discutere testi di psicanalisi e non soltanto ma anche testi di linguistica, di logica, di retorica, di filosofia, di poesia, di letteratura, di tutto ciò che, in definitiva, attiene al pensiero. Questo perché la psicanalisi, che comunque occupa gran parte del nostro lavoro, tiene conto di tutto ciò che accade a livello intellettuale e teorico. In ciascuna pratica analitica una persona parla, racconta, tenendo conto di una quantità notevole di elementi e di aspetti. Parla attenendosi a una logica, parla spesso in modo poetico, che lo sappia o no, che lo voglia o no. In definitiva ciascuno parlando si trova a esplorare aspetti che concernono, direttamente o indirettamente, la linguistica, la poetica, la letteratura, la logica, la retorica, ecc. Oltre al fatto che queste discipline hanno dato e danno un contributo tutt’altro che marginale al pensiero.

L’Associazione è nata un anno fa, è giovane. Sta organizzando dei seminari, degli incontri, dei dibattiti dove avviene questo: si legge un testo e a partire da questo testo si dicono delle cose. Sono testi i più disparati. È una lettura che ovviamente è differente da quella fatta nelle scuole, una lettura “analitica” che tiene conto dell’insegnamento di Freud. È una lettura che non spiega il testo, non lo analizza, ma accoglie le istanze che mano a mano incontra e le elabora portandole alle estreme conseguenze. Si tratta dunque di proseguire in altri termini il messaggio di Freud, cioè questo invito alla ricerca teorica.

Questo è ciò di cui l’Associazione soprattutto si occupa, di ricerca teorica.

Dunque, non c’è un testo da commentare, da tramandare o da divulgare o a cui attenersi, sia esso di Freud, di Jung, della Klein, che si ripete all’infinito e che si spiega e si divulga. No, non è questo ciò di cui si occupa. Si occupa della ricerca, è quindi un itinerario intellettuale sempre in atto, dove ciascuna volta si incontrano delle questioni, si discutono, si dibattono per reperire ciascuna elementi inediti. In questo senso non è scolastico, non è accademico, non è un’operazione di mantenimento, di divulgazione. Possono esserci effetti per cui alcune persone vengono a conoscenza di elementi nuovi, ma non è un’operazione di mantenimento di un testo che in quanto tale diventa sacro. Come avviene. Così come è avvenuto per la bibbia e per il testo di Freud che di fatto non veniva letto e gli analisti si formavano sui commentatori di Freud. Leggere Freud e leggere i suoi commentatori consente di verificare la distanza immensa tra lui e gli altri. Nel senso che nel testo di Freud c’è un messaggio e una ricerca in atto che mostra i suoi risvolti, mostra ciò che mano a mano incontra e che elabora, che esplora. I commentatori si limitano a spiegarlo, a supporre di dire ciò che lui ha veramente voluto dire.

A noi questo non interessa, il sapere che cosa qualcuno abbia voluto veramente dire, anche perché non lo sapremo mai, ma ci interessa proseguire un gesto, un messaggio.

Ciò che sto dicendo incomincia a illustrare il tema generale di questa serie di incontri “Dalla psicanalisi alla scienza della parola” che indica già una sorta di itinerario che muove dalla psicanalisi, non arriva alla psicanalisi. La psicanalisi in un’accezione differente da come viene comunemente intesa. Dico questo perché il più delle volte con psicanalisi si intende una sorta di psicoterapia. In psicoterapia si tratta di una traduzione di ciò che viene detto in un’analisi muovendo dalla supposizione che ciò di cui si parla è un messaggio, un dire che è stato distorto per vari motivi e che si tratta di raddrizzare. La psicoterapia fa proprio questo.

Stiamo avanzando una nozione differente di psicanalisi che non ha nulla a che fare con la psicoterapia, ma è più prossima a un itinerario intellettuale, a un itinerario culturale, dove le nozioni di male, su cui si fonda la psicoterapia, di guarigione, ecc., vengono messe in discussione perché non vanno affatto da sé.

Ciò di cui ci occuperemo sarà la questione morale. In un modo molto particolare, esplorandone il termine, le fantasmatiche, le connessioni logiche che si pongono laddove si pone una questione morale, che oggi è peraltro in atto in vari settori, ma in atto moralisticamente.

Questa serie di interventi, che durerà fino a giugno, segue un lavoro che dura da anni anche se prima queste persone che lo stanno compiendo non si erano organizzate in un’Associazione. L’organizzarsi come Associazione vale come strumento per avvalersi di istituzioni, di agevolazioni; alcune persone possono muoversi più agevolmente se si pongono come Associazione anziché come singoli.

Dicevo, dunque, che questo lavoro è in atto da anni, ha comportato la lettura e la rilettura del testo di Freud, altri testi di psicanalisi, di retorica, di logica, ecc., vale a dire tutto ciò che concerne la parola.

Di che cosa si tratta in una psicanalisi? Della parola. Di fatto un analista non ha altri strumenti se non la parola, la parola che ascolta e che dice. Pertanto, occorre cominciare da una riflessione intorno alla parola, come funziona la parola. In altri termini, riflettere intorno a ciò che accade parlando. Difficilmente si presta attenzione a questo, a ciò che avviene mentre parlo. Cosa accade? Accade che c’è una voce con cui occorre che mi confronti, ci sono delle fantasie che intervengono, c’è qualcosa di assolutamente imprevedibile, c’è una logica che si struttura mentre parlo e che non controllo. Tant’è che il discorso che faccio mi porta là dove non sapevo o non volevo andare. Mi ci porta seguendo una logica che ignoro, di cui però posso venire a sapere qualcosa lungo un’analisi. Ecco allora l’importanza di confrontarsi, intanto con tutto ciò che gli umani hanno già detto e riflettuto intorno a questo, perché le considerazioni cui sto accennando sono considerazioni che già gli antichi si erano poste. Avvalersi di tutto ciò che è stato detto o riflettuto consente di avere a disposizione una quantità notevole di materiale per potere proseguire. Materiale che viene preso non in un modo “rispettoso”. Quando viene preso in modo rispettoso? Quando si suppone che il tale autore abbia voluto dire questo, soltanto questo, e quindi devo attenermi a questo perché questo è ciò che ha voluto dire. Tuttavia, io ho sotto mano ciò che ha detto, ciò che ha voluto dire non lo so e mi attengo a ciò che ha detto. Mi attengo nel senso che da qui posso muovere per dire altro da quanto ciò questo autore promuove o suggerisce, delle altre questioni che sono aperte, tutt’altro che chiuse, tutt’altro che definite. Per questo dicevo leggere senza rispetto, che è il modo attraverso cui è possibile acquisire degli elementi. Acquisire e quindi poter giocare con questi elementi reperendone altri.

Prendete, per esempio, un testo di Freud. Se lo leggete senza aver mai saputo nulla di Freud, ne trarrete delle considerazioni, magari anche interessanti. Se lo leggete dopo aver letto i commentatori di Freud, c’è l’eventualità che siate invogliati a vedere in Freud cose che vi hanno suggerite. Nulla di male in tutto ciò ma è come se in questo caso ci fosse una sorta di lettura pilotata. Ora, evidentemente, ciò avviene laddove si suppone che il commentatore abbia capito ciò che Freud intendeva veramente dire. Il che non va affatto da sé. E se non avesse capito? C’è questa possibilità. Allora si può provare a leggere il testo di Freud e accorgersi delle infinite questioni, delle infinite sfumature, degli infiniti elementi, che nel suo testo restano tutt’altro che definiti, delimitati, ma sono questioni aperte, questioni con cui si è confrontato e a cui non ha dato nessuna soluzione. Semplicemente, ha detto: “Ecco, c’è una questione”. Occorre lavorare, occorre riflettere. Senza dunque voler giungere a una spiegazione. In effetti, questo è uno degli elementi che “insegna” un itinerario analitico, che non c’è spiegazione ultima che possa chiudere il discorso. Che è un modo un psicologistico, trovare la causa che chiude la questione e che spiega tutto: non c’è nulla che spieghi alcunché. Ciascuna volta ciascuno trova un elemento che rinvia a un altro elemento e che consente si aggiungere. E aggiungendo elementi, le cose in cui crede, le cose su cui si fonda, non sono più le stesse, incontra altro.

Dunque, è un procedere per supplementi, per aggiunte.

La ricerca che abbiamo condotto in questi anni ci ha fatto riflettere proprio intorno a queste nozioni di causa, di spiegazione, ecc. Da qui una serie di letture, a partire anche da Aristotele e da altri che sulla nozione di causa si sono molto interrogati, e mano a mano verificare come moltissime persone si sono rese conto che forse non c’è una causa ultima, definitiva. Se non c’è, allora le questioni non si chiudono, non si chiudono perché non c’è l’ultima parola. Che è un po’ ciò a cui giunge Freud. L’interpretazione dei sogni non giunge all’ultima interpretazione ma incontra ciò che lui chiamava ombelico del sogno, dove non c’è più spiegazione possibile ma una proliferazione di spiegazioni che a questo punto non spiegano nulla ma aggiungono.

Ecco la differenza tra la psicoterapia e la psicanalisi. Mentre la psicoterapia muove dalla supposizione che esista l’ultima parola e a un certo punto suppone anche di averla trovata, la psicanalisi considera ciascuna spiegazione che sopraggiunge come un’aggiunta, come un elemento in più. Un elemento in più che non giunge a formare, a un certo punto, un tutto, finale, che non si reperisce mai. Si tratta di un insieme che rimane aperto, che non può chiudersi. Questione che già i linguisti hanno avvertito in modo molto preciso, anche i logici a modo loro.

Non c’è l’ultima parola. Questione questa che può apparire molto banale, molto evidente, ma ci si accorge che non è affatto evidente parlando, raccontando, dicendo. È lì che si incontra la difficoltà nell’accogliere questa considerazione, che non c’è l’ultima parola. Si incontra questa difficoltà, per esempio, quando la si vorrebbe avere l’ultima parola, nei confronti di qualcuno o quando potrebbe risolvere un problema, in quanto ha questo effetto tranquillizzante, cioè ha un effetto di psicofarmaco, cioè per un po’ tranquillizza. Ma lo psicofarmaco ha un effetto molto limitato perché subito dopo qualcosa interviene a mettere in gioco e toglie, dunque, questa tranquillità. In effetti, lungo una psicanalisi si incontra questa inquietudine intellettuale, che non ha nulla a che fare con il malessere, ma che ciascuno incontra parlando e verificando che ciò che dice è differente da ciò che pensa, da ciò che pensava di dire, che non riesce a controllare le parole, che non riesce a farle andare là dove vuole. Anzi, è come se fosse preso dalle parole, a sua insaputa.

Se voi prendete i testi di Freud, anche i più noti come l’Interpretazione dei sogni, la Psicopatologia della vita quotidiana, il Motto di spirito, di che cosa parla Freud ininterrottamente se non delle parole, del modo in cui si piegano, del modo in cui si combinano, del modo in cui si intersecano tra loro, del modo in cui si trasformano. Non fa altro che questo. Occorre tenere conto di questo e degli effetti che tutto ciò produce, effetti in alcuni casi drammatici.

Siamo stati condotti a considerare la portata della parola in seguito a alcune considerazioni, che muovevano certamente da letture, ma soprattutto da questa riflessione, cioè che non c’è uscita dal linguaggio. Non c’è uscita dal linguaggio - come anche Wittgenstein, a modo suo, aveva avvertito - dal momento che qualunque operazione io voglia compiere per uscirne avviene attraverso un linguaggio. Qualunque cosa io voglia stabilire, affermare, negare, dire, avviene in un linguaggio, cioè lo dico. Posso dirlo anche tra me e me: lo dico comunque. Anche una sensazione che io avverto non è fuori della parola, nel senso che di questa sensazione non ne so nulla finché non ne dico, finché non la volgo in parole. Allora ne so qualcosa di ciò che provo. In questo ci ha dato una mano de Saussure molti anni fa quando considerava che il pensiero è di fatto assolutamente inconoscibile. Non so assolutamente nulla di ciò che penso fino al momento in cui questo pensiero non si volge in parole. Allora ne so qualcosa, altrimenti non se so assolutamente nulla. Forse, non so nemmeno di pensare.

Considerazioni tutt’altro che marginali che ciascuna volta hanno insistito nel soffermarci intorno alla parola e alla sua struttura. Che cos’è una parola? Da dove vengono le parole? Come funzionano? Che portata hanno? visto che qualunque cosa che diciamo, che affermiamo, che neghiamo, avviene attraverso delle parole. Questo può avere degli effetti tutt’altro che marginali, cosa che spesso non viene moto considerata. Soltanto alcuni si trovano a considerarla e per motivi di lavoro e cioè i traduttori. Loro devono tradurre da una lingua a un’altra e quindi devono rendere degli effetti di senso che il suono ad esempio di una parola tedesca rende in tedesco e che non è trasmissibile in italiano perché ha un altro suono e quindi quell’effetto di senso deve essere reso con una parafrasi o con una perifrasi, ma è comunque un’altra cosa.

Che sia un’altra cosa non va senza effetto anche perché cosa avviene quando ciascuno ascolta un’altra persona che parla? O c’è trasmissione diretta, telepatica, da inconscio a inconscio, oppure c’è una sorta di traduzione che avviene. Traduzione che comporta un tradimento: ciò che io ascolto è accolto all’interno di una combinatoria che mi riguarda, che tiene conto della mia vicenda, della mia storia, anche del suono della mia voce, che non è quella di chi mi parla. Insomma, tiene conto di una quantità enorme di elementi. E, quindi, c’è già un tradire inevitabile: ciò che la persona mi dice viene accolta in un’altra forma, non è ciò che la persona esattamente mi dice. Considerazione che non va senza conseguenze, senza implicazioni, dal momento che pone un’obiezione, tutt’altro che marginale, alla supposizione di una comunicazione totale, completa, possibile, ma che anzi fa supporre che la comunicazione, in quanto tale, non sia possibile.

Questo per accennare a alcune fra le considerazioni che abbiamo incontrate e su cui ci siamo soffermati in questi ultimi anni e che proseguiremo lungo questo modo di considerare le cose e cioè tenendo conto che di qualunque cosa stiamo parlando in prima istanza ne stiamo parlando, con tutto ciò che questo comporta. Considerazioni che, evidentemente, sorgono dalla pratica analitica, in prima istanza, e cioè dalla difficoltà, che lungo una pratica analitica si incontra immediatamente, di fronte alla “necessità” di dover spiegare, di far capire a altri una propria impressione, un proprio pensiero, una propria sensazione, di fronte al verificare incessantemente l’impossibilità di togliere questo impedimento che c’è continuo e che riguarda appunto le parole. Mancano le parole, le parole sono inadeguate, le parole non dicono quello che vorrei dire, oppure “come avrà inteso l’altro ciò che ho detto?”.

L’Associazione fornisce un supporto a questa ricerca, fornisce le occasioni per confrontarsi, le occasioni per un dibattito, le occasioni per esporsi, per scrivere, per discutere, organizzando anche conferenze in libreria e in altri posti. La partecipazione a questi incontri è gratuita. L’intervenire a questi incontri non presuppone alcuna conoscenza specifica. Non occorre avere letto Freud, né conoscere la logica, la retorica, la linguistica, ecc. Non occorre conoscere tutto ciò. Tutto ciò lo si incontra mano a mano e mano a mano avremo modo di discutere, di ridiscutere, perché non c’è una cosa che è stata definita in modo conclusivo per cui da quel momento è stabilito che è così e quindi ci atterremo a questo. No, ciascun elemento è sempre in gioco, è sempre in discussione, è sempre da rielaborare, ciascun libro è sempre in lettura, non è mai letto l’ultima volta. Freud può leggersi decine di volte: ciascuna volta s’incontrano altre cose, ciascuna volta è un altro libro. E questo per un motivo molto semplice: mano a mano si acquisiscono elementi di cui ci si può avvantaggiare in ciascuna lettura.

Questo è esattamente ciò che può farsi rispetto al proprio discorso, alla propria parola: avvantaggiarsene in modo più efficace. Cosa intendo dire con questo? Che se mi trovo parlando a dire delle cose senza sapere nulla di ciò che sto dicendo, nel senso che sono preso, travolto, da questioni che mi riguardano, da fantasmatiche, da problemi, da ricordi, ecc., non avrò modo di tenere conto di ciò che sto dicendo, non avrò modo di accorgermi della ricchezza che c’è in tutto ciò che dico. Questo perché sarò costretto, senza saperlo e senza volerlo, a significare ciò che sto dicendo, cioè “dico questo e voglio proprio dire questo, niente altro che questo!”. Perché mai escludere che quanto sto dicendo comporti anche altri aspetti, altri risvolti, alluda o suggerisca altre questioni. L’itinerario analitico compie anche questo, cioè pone le condizioni per potere accorgersi di ciò che accade parlando ma anche delle connessioni, delle implicazioni, che parlando di Tizio, di fatto, ci sono anche altri elementi che intervengono e che Tizio forse è soltanto un pretesto per dire altre cose. In questo senso dicevo “avvalersi delle proprie parole”, cioè accorgersi del gioco, di una logica, che intervengono parlando. Posso accorgermene oppure no. Se non me ne accorgo, allora immagino che le cose che io dico siano cose vere e proprie, cose stabili, eterne, fisse, identiche a sé. Il che non è propriamente. Il fatto che non lo sia posso rilevarlo dall’affannarmi a continuare a spiegare e a insistere che è proprio così. Ora questo evidentemente è più facile reperirsi in alcuni casi, laddove per esempio c’è un pensiero, un’idea che ricorre continuamente. Apparentemente è sempre lo stesso, per cui sembra che lì qualche cosa si sia fermato e non potesse significare niente altro da ciò che immagino che significhi. E questo mi impedisce di accorgermi di una quantità sterminata di elementi che ci sono a fianco. Se potessi accorgermene, sicuramente non ci sarebbe il problema, avrei una maggiore mobilità, una maggiore leggerezza. Perché mi spavento di qualcosa? Perché immagino che sia proprio così. Se sapessi, paradossalmente, che non è così, non mi spaventerei.

Questa ricerca, di cui sto continuando in qualche modo a parlare, proseguirà affrontando, all’inizio, la questione morale. Come? Perché ci sono vari modi di affrontare la questione morale. Qui la affrontiamo in un modo particolarissimo. Intanto, distinguendo fra la morale e l’etica, intendendo da dove viene la morale, da dove viene l’etica, qual è il percorso di questi termini, cosa si è inteso e cosa si intende con questi termini, cosa comportano, vale a dire cosa implicano, come cioè questi termini siano giunti a un certo punto a avere una certa connotazione e a questo punto interrogarli. Interrogarli per vedere cosa hanno da dire.

Affrontare la questione morale in questi termini è già dire che una questione pone l’accento sul fatto che qualcosa interroga, interroga rispetto a questo termine e che, quindi, non va da sé.

Come intenderne, dunque, qualcosa di più? C’è una via che è possibile seguire, che ci dice che un elemento linguistico, un termine, segue un certo itinerario che lo conduce, a un certo punto, a porsi come un elemento rispetto a cui si esige il consenso, cioè si esige che si intenda una certa cosa. Questo spesso in modo molto terroristico per cui se si dice a qualcuno che occorre che abbia un’altra morale, che abbia una morale quantomeno, si pretende che sappia esattamente che cosa deve fare o che cosa deve intendere con questo. Perché? Come avviene tutto ciò?

Questione tutt’altro che semplice, di cui alcuni aspetti abbiamo cominciato a svolgere qualche tempo fa, rileggendo, per esempio, i Topici di Aristotele, i testi di retorica intorno alla persuasione, come funziona e a che cosa serve, leggendo anche altri che si sono interrogati intorno a questo e hanno considerato come di fatto ciò che conta è la persuasione in definitiva. Se si è persuasi di qualcosa, allora questo qualcosa diventa vero. Questo in vari ambiti, apparentemente fuori dal dominio retorico, come la scienza, come la morale, che invece per alcuni sono tutt’altro che fuori dal dominio retorico. la stessa morale o si considera procedere da un’entità superiore, dio, oppure procede dal consenso che deve funzionare così: io mi accordo su una cosa perché ritengo che l’accordarmi su questo procuri vantaggio a me se tutti quanti gli altri ci si attengono. Questa è la nozione più diffusa di morale, però a questo punto si perde un elemento importantissimo e cioè che la morale, in questo caso, non è più assoluta, cioè il bene di cui si parla non è più assoluto ma è frutto del ghiribizzo del momento, di ciò che si ritiene conveniente al momento. Può essere fondato su questo una morale? No, dicono tutti. E allora, se no, deve essere fondata da dio. O l’una o l’altra.

Questo anche nelle considerazioni anche recenti dei più attenti ricercatori intorno a questo ambito. Considerazioni che, evidentemente, conducono a aporie inarrestabili, insanabili, le stesse aporie che si sono incontrate nel discorso scientifico, nella scienza, le stesse aporie incontrare nella linguistica. Queste aporie sono inevitabili, e questa è una questione straordinaria, ciascuna volta che un percorso viene fatto lungo un linguaggio. Ora, di primo acchito, si è tentato di uscire dal linguaggio. Il primo a compiere questa operazione notevole fu Aristotele, il quale ha inventato la metafisica. E la metafisica è proprio questo: la supposizione che sia possibile uscire dal linguaggio, cioè che ci siano elementi extralinguistici. Ma non ha considerata, o forse sulla questione è scivolato via rapidamente, che questa operazione la faceva lungo il linguaggio, non poteva compiere questa complicatissima e sofisticata elaborazione teorica fuori del linguaggio.

Ecco, dunque, la questione essenziale e straordinaria, e cioè che il linguaggio, laddove un elemento tende a autogiustificarsi, incontra aporie inevitabili e inarrestabili. Da qui paradosso della matematica e altri che hanno creato non pochi problemi a cavallo dell’ultimo secolo. Tutto questo ha un interesse in questo senso: ciascuno parlando, del più e del meno, con gli amici, in famiglia, quando discute di affari, ecc., tiene conto di tutto ciò? Evidentemente no, ha ben altro da fare, ma il linguaggio in cui è preso ne tiene conto, che lo sappia o no che lo voglia o no, cioè la struttura del linguaggio in cui si trova. Che gli impedisce, laddove lo volesse, di arrestarsi, gli impedisce di trovare l’ultima parola, la definizione, gli impedisce di chiudere la questione.

Von Humboldt sosteneva che i greci poterono elaborare le loro teorie, la logica e la metafisica, unicamente perché la struttura grammaticale e sintattica del greco glielo consentiva. Questione che induce a molte riflessioni. Per esempio questa: ciascuna pensa le cose che pensa, può pensare ciò che pensa, a sua insaputa, perché il linguaggio glielo consente. Considerazione molto banale ma tutt’altro che priva di implicazioni.

Nei suoi scritti, l’Interpretazione dei sogni, la Psicopatologia della vita quotidiana, il Motto di spirito, che possiamo indicare come la trilogia linguistica, Freud considera come non posso pensare altrimenti che così, per esempio che qualcuno mi vuole male, cioè non posso non pensarlo per una struttura sintattica in cui mi trovo, perché mancano gli elementi, che mancano non perché deficitario di qualche cosa ma perché degli elementi sono sbarrati. Si tratta ciascuna volta di porre le condizioni perché sia possibile pensare altrimenti da come si pensa generalmente, che è un modo di pensare “metafisico”, cioè che non tiene conto che le cose che dico le sto dicendo, in prima istanza, con tutto ciò che questo comporta. La psicanalisi fa esattamente questo: porre le condizioni perché io possa pensare in un altro modo. Se penso che tutti ce l’hanno con me, altri hanno un bel da fare a convincermi che non è così, con tutte le dimostrazioni, ecc. Non me ne importerà assolutamente nulla, ma anzi non solo mi odiano ma mi prendono anche in giro perché mi fanno tutte queste cose. È come se per me non fosse possibile pensare in un altro modo che in quello. Perché?

Freud si occupa esattamente e è esattamente questo ciò di cui si occupa la psicanalisi: porre le condizioni perché sia possibile pensare in un altro modo, aggiungendo elementi di cui non mi ero mai accorto prima, elementi linguistici non altri. Posso accorgermi che forse le cose non stanno proprio così come pensavo che fossero. E questo potete estenderlo a qualunque aspetto. Le cose non sono mai così come penso che siano, neanche per sbaglio sono come penso che siano, mai. Quindi, è inutile affannarsi a convincersi o a convincere altri.

L’itinerario analitico è un itinerario intellettuale in quanto è una ricerca vera e propria intorno alla parola, intorno alla propria parola: una ricerca scientifica intorno alla mia parola, a come si piega, a come si combina, a come si torce, a come avviene, da dove viene e dove va.

Da qui l’esigenza di acquisire altri elementi, altre informazioni. Per questo c’è una lettura, ci sono dibattiti, confronti. È una ricerca scientifica, né più ne meno. Molto più rigorosa di altre. Più rigorosa in quanto c’è più lealtà, maggiore sincerità, non si nasconde dietro un dito come spesso fa la scienza. Considera e si confronta ciascuna volta con ciò che incontra, qualunque cosa sia, un pensiero, una fantasia, un ricordo, un’immagine. Ne valuta gli effetti, ne considera le implicazioni, le connessioni, tutte le operazioni linguistiche.

Una ricerca scientifica è un itinerario intellettuale. Intellettuale interviene qui in un’accezione differente dalla nozione che comunemente passa come intellettuale di partito, intellettuale organico, intellettuale servizio. Qui intellettuale non ha da difendere o da proteggere alcunché, né da mantenere nulla. È intellettuale in quanto affronta ciascuna volta tutte le questioni, tutte le istanze, che intervengono nel suo discorso e le elabora, le espone al gioco linguistico, anziché immaginarle dei monumenti, dei pilastri o dei cenotafi, a seconda delle circostanze.

La questione morale la affronteremo come punto di partenza, poi discuteremo di altre cose, evidentemente, tenendo conto dell’insegnamento di Freud e di moltissimi altri. La affronteremo in questi termini: che cosa implica, che cosa dice questo termine oggi, intendere se la questione morale attiene al moralismo, moralismo come la supposizione che debba esistere una morale assoluta a cui tutti devono necessariamente attenersi, naturalmente mentendo. Mentendo, perché se esige il consenso non lo può fondare, cioè non può fondare ciò che dice su nulla. Alludere a una morale assoluta o a un bene assoluto comporta il mentire, più o meno sfacciatamente, più o meno spudoratamente, con maggiore o minore successo, però resta che si tratta di una menzogna. Allora, la questione morale va spostata e affrontata in altri termini, volgendola in etica.

Cosa pone in prima istanza l’etica? Da Aristotele in poi, ciò che è desiderabile. Dunque, il desiderio. Il desiderio può essere desiderio di qualcosa oppure no? Questione legittima se si comincia a riflettere intorno a questa nozione. Possiamo porre un’interrogazione, cioè se l’etica, di fatto, non attenga al desiderio in quanto strutturalmente insoddisfacibile.

Non è possibile togliere il desiderio, ciascuno si trova nel desiderio, che forse non è il desiderare qualcosa. Il desiderio è qualcosa di strutturale. Il desiderare qualcosa non è affatto strutturale. Reperire la struttura del desiderio è forse ciò che consentirà di individuare qualcosa di più preciso rispetto all’etica.

Questa ricerca che stiamo compiendo è una ricerca emblematica, in quanto è la ricerca che ciascuno compie in una psicanalisi perché è questo il modo con cui si trova a confrontarsi. Vale a dire, si trova di fronte a un termine e comincia a considerarlo, a esporlo alla parola, a parlarne, a considerarne le implicazioni, le connessioni, le varianti. E così il termine “questione morale”, perché no? La via è la stessa.

Ho fatto questa breve introduzione questa sera appena per darvi delle indicazioni intorno a ciò che faremo e al modo con cui procederemo. Chiaramente, ciascuno può non soltanto leggere mano a mano i libri di cui si parla ma intervenire, perché ci sarà un’esposizione, da parte mia o di altri collaboratori, e poi un dibattito dove si discuteranno le cose che vengono proposte ciascuna volta.

Avrete senz’altro avvertito la distanza che c’è fra questo progetto e la psicoterapia. Dico questo perché talvolta c’è una confusione tra psicanalisi e la psicoterapia. La psicanalisi non ha nulla a che fare con la psicoterapia, muovono da questioni totalmente differenti. Anzi, la psicanalisi è un itinerario che si pone come obiettivo il mettere in gioco, in discussione ciò che la psicoterapia pone come fondamento.

Risulta simile ciò che avviene qui e ciò che avviene in una psicanalisi anche se le condizioni sono differenti. Però, è sempre della stessa questione che si tratta, cioè della parola, del suo piegarsi, delle sue implicazioni, della sua struttura, anche se, come dicevo, in modi e condizioni differenti.

La ricerca non è certamente facile, tutt’altro. Ma non ho trovato mai interesse spiegare il testo di Freud o di altri, mettersi lì a dire che Freud dice questo o quest’altro. No, lo leggiamo e proseguiamo il suo messaggio, proseguiamo le questioni su cui lui pone l’accento, che sottolinea, e che vanno proseguite. Non conserviamo nulla, è un lavoro di ricerca, una ricerca scientifica, non di conservazione. Anche perché un lavoro di spiegazione è sempre molto discutibile, oltreché molto noioso, che generalmente si fa rispetto a persone che sono morte, così non hanno più nulla da obiettare e gli si fa dire qualunque cosa. Se invece è vivo, magari ha da dire qualcosa. È facile, se morto, fargli dire qualunque cosa.

Se leggiamo un testo qualunque, di Machiavelli, di Vico, di Kant, non è che facciamo dire a questi delle cose. Leggiamo ciò che hanno scritto e traiamo delle considerazioni, considerazioni che rilanciano la questione e che non la chiudono. Rilanciano magari la questione, che pone per esempio Platone, in modo più estremo. Abbiamo letto e discusso in varie occasioni il Sofista, emblematico per alcuni aspetti che abbiamo considerato mano a mano, riprendendo varie cose e rilanciando molte delle questioni che pone Platone, cogliendole o no. Non si tratta di accogliere o di rifiutare, non è il consenso o il dissenso che ci interessa ma proseguire una ricerca.

Ciascuna trasformazione che si suppone possa avvenire attraverso rivoluzioni, attraverso trasformazioni politiche, sociali o ambientali, non trasforma assolutamente. Ciascun rivoluzione torna esattamente al punto da dove era partita o, come diceva Tomasi di Lampedusa, cambia tutto perché non cambi nulla, tutto prosegue esattamente come prima. È la trasformazione culturale, intellettuale, che consente la trasformazione, che qualcosa possa darsi e pensarsi differentemente. In caso contrario, le cose proseguono esattamente come prima. Questa è anche la portata politica della psicanalisi: porre le condizioni perché altri possano pensare differentemente, porre le condizioni perché non siano più legati a ciò che non cambia e che non deve cambiare.