HOME

 

 

LA MAGIA, LA RELIGIONE, LA SCIENZA

 

Considerazioni sul discorso occidentale

 

Abbiamo dato un bel titolo per questa sera: "La magia, la religione, la scienza. Considerazioni sul discorso occidentale". È uno strano accostamento in effetti. In genere si accostano la magia e la religione, oppure si contrappongono la magia e la religione alla scienza. In genere avviene così. Si considera che la scienza non abbia a che fare con la magia e nemmeno con la religione, anzi per lo più, il dibattito avviene tra questi termini in quanto contrapposti tra loro. Questa sera ci chiederemo se è proprio così, se questi aspetti del pensare debbano proprio, necessariamente, essere considerati contrapposti oppure no. Prendete la nozione di segno. Antichissimo il segno, da sempre non è altro che un rinvio, o più semplicemente qualcosa che significa qualche cos'altro per qualcuno. Da sempre l'idea è stata che qualche cosa avesse la possibilità di illustrare il significato di qualche cos'altro in modo inequivocabile, per cui se accade questo, allora questo significa quest'altro. Come un rinvio necessario. Se la lucertola sale sul letto del malato, allora il malato guarirà, se invece si affaccia una civetta, o un gufo, allora morirà. Insomma la struttura è questa, se si da un certo fatto, allora necessariamente accadrà quell'altro. Uno potrebbe, così, incautamente dire: è una fesseria. È possibile però (rumore di libri che precipitano) allora se Giancarla butta giù i libri, allora il signor Pes si arrabbia, ecco. Allora dicevamo di questa sorta di esigenza, chiamiamola così, che non sorge tanto come necessità di prevedere il futuro, quanto di prevedere il presente, in un certo senso, cioè dare a ciò che accade un significato. Come quando uno si chiede: perché ho male qui? E l'altro dice: è perché hai questo. Ah, ecco, allora va bene. Lui è più contento. Ha male lo stesso chiaramente. Dunque il segno, la magia come è intesa comunemente, è praticata da sempre, ha costituito e costituisce a tutt'oggi una delle principali forme di attribuzione di significato a qualcosa. Ma che cosa garantiva la magia fino dagli albori? Perché è antichissima la magia, come la religione, che cosa garantiva la necessità di questo segno? Occorreva trovare qualche cosa che impedisse, come quando affermo che se la lucertola sale sul letto allora il malato guarisce, qualcosa che impedisse dunque che l'altro possa dire che sto dicendo delle fesserie. E quindi una garanzia assoluta, precisa e soprattutto indubitabile. Ecco la necessità di reperire una fonte autorevole, che possa garantire la necessità di questa connessione, e allora la necessità di trovare una legge superiore, che può chiamarsi dio, oppure legge universale, oppure armonia cosmica, oppure quello che ciascuno preferisce, ma in ogni caso una legge superiore. Pensata la cosa in questi termini, si innesta una questione che è stata ed è, a tutt'oggi politica, cioè quella dell'interprete: chi interpreterà correttamente i segni che la natura o dio, o chi per lui, ci invia? Perché qualunque cosa può essere segno, ma se non lo so interpretare, è niente. Da qui la necessità della presenza del sacerdote, di colui che interpreta, dell'aruspice, del vate, di chiunque insomma, in qualche modo, per qualunque motivo, sia preposto alla traduzione di questi segni. Allora ecco, se il sole è velato in un certo modo, allora vuol dire che vinceremo la battaglia, se il mio gatto si inciampa, vuol dire che perderemo. Perché? Perché questo è un segno. Durante il periodo...per esempio, nel medioevo, l'aspetto mistico era un po' più di adesso preso in considerazione, ed erano moltissime le persone che parlavano con dio direttamente, che erano ispirate direttamente da dio, e quindi ricevono i segni: questa notte dio mi ha parlato e mi ha detto che...no, non a me Maria Grazia, dicevo così, se mai sono io che parlo a lui Dunque la persona che ha ricevuto la parola, il verbo, e che sa tradurre il segno. La magia è una teoria dei segni, è una semiotica e anche un'ermeneutica, perché fa la stessa cosa che cerca di fare l'ermeneutica, utilizzando la semiotica, e cioè cerca di cogliere tutti gli elementi che sono necessari per potere stabilire la corretta interpretazione del segno. Se il fegato dell'oca è ricoperto di grasso, allora l'inverno sarà rigido. Ecco, quindi, accostando la magia all'ermeneutica non facciamo nulla di terribile, anzi, sembra quasi inevitabile. La religione ha sempre tentato di prendere le distanze dalla magia, pur avendo, come impianto di base, la stessa questione, e cioè la supposizione che le cose accadano per una volontà esterna a me, ma tuttavia riconoscibile, da chi la vuole riconoscere, naturalmente, da chi la sa riconoscere, è sempre stata una battaglia tra la magia e la religione, per il possesso della verità e, in definitiva, il modo migliore di interpretare il segno. La religione, per esempio quella cattolica, visto che qui è la più diffusa, la religione cattolica, non può tollerare pratiche magiche. Qualcuno potrebbe obiettare, ma anche la religione cattolica è una pratica magica, si, però, è una magia che da significato, cioè spiega le cose in un modo differente, spiega in un modo differente, perché immagina, la religione cattolica, che le cose accadano per la volontà di uno, e trino, e non di leggi universali o cosmiche che trascenderebbero addirittura questo dio, quindi...accade una disputa piuttosto violenta. Ciascuna religione è, per definizione, intransigente, non può tollerare altre religioni, anche quelle della New Age, o religioni più o meno americanizzanti, quelle dell'armonia cosmica o dell'unione di tutte le religioni, fantasia ancora più religiosa, come dire che ciascuna religione in qualche modo prega un suo dio ma, tutti questi dei messi assieme, sono sempre lo stesso unico dio. Che differenza fa? Non sembra di andare molto lontano. Perché è quello che sostiene esattamente qualunque religione, il cristianesimo immagina che il suo sia meglio degli altri, il buddismo anche, ecc. Come dire un monopolio sulla verità, per questo dicevo che strutturalmente non è possibile che una religione conviva pacificamente, è sempre, se non proprio una guerra fredda, una pace calda. Perché se io credo che sia vera necessariamente una certa cosa, e il mio vicino pensa (e crede), che sia necessariamente vera la cosa opposta, ogni volta che chiacchieriamo insieme si andrà a cadere proprio su questo, a meno che non parliamo di questo, ma se non parliamo di questo, comunque sappiamo perfettamente che ciascuno di noi crede esattamente il contrario e, pertanto, il dialogo potrà soltanto costituire una sorta di tregua momentanea, appunto una pace calda. Però, se ciascuna volta ciò che è in gioco è il monopolio sulla verità, (intendiamo qui con verità un criterio di interpretazione), poiché se io riesco a ottenere questo monopolio, allora qualunque cosa sarà interpretata in quel senso, nel senso che intendo io. E se uno non lo farà, allora saprà che erra, saprà che sbaglia, e quindi sarà sempre più o meno persuadibile, perché sa già comunque di sbagliare. Uno che sa già di sbagliare è già persuaso di che cosa sia la retta via. Ecco, la religione tenta di avere il monopolio sulla verità, perché suppone di avere saputo, di sapere, qual è il fine ultimo delle cose, e il fine ultimo delle cose è il loro significato. Ultimo, finale, definitivo. Qualunque significato può essere provvisorio in attesa...in attesa di che? Di scoprire qual è l'ultimo, il definitivo, cioè quello per cui ciò che io so, risulta definitivo, risulta esattamente così. Perché le tesi che sostengono la probabilità sono finte, come spesso avviene oggi, anche nella filosofia della scienza, cioè l'idea che la verità non esista in quanto tale, e la realtà nemmeno, ma ciascuna cosa è probabile, è possibile o, come direbbe Popper, è falsificabile. Dicevo che questo non sposta di molto la questione, se dico che qualcosa è probabile, che cosa sto dicendo? Sto dicendo che è possibile costruire una proposizione che prova ciò che dico. E qual è la proposizione che prova quello che dico? Ci sarà una proposizione costruita in un certo modo, che afferma che se mi attengo ad un certo criterio, allora posso trarre una conclusione, che rispetto agli assiomi da cui sono partito, risulti vera. Va bene. C'è un problema però che incontra la scienza, contrariamente alla magia e alla religione, la magia e la religione non hanno bisogno di fare prove, perché immaginano queste prove già date, già acquisite una volta per tutte, e perché esiste questo? Perché credo che la madonna di Civitavecchia pianga? Perché l'ho vista. Possono i miei sensi ingannarmi? No, quando mai? Non mi hanno mai ingannato, i sensi. Ecco, sembra una cosa molto banale questa. Potrebbe non esserlo. Perché questa persona che afferma questa proposizione, è assolutamente sicura che i suoi sensi non la stiano ingannando, non lo hanno mai fatto, perché dovrebbero proprio in quel momento? E poi anche i sensi di tutti gli altri che sono convinti che la madonna stia piangendo? Allora sono tutti matti? C’è questa eventualità, dice lui, certo, non possiamo escluderlo a priori, ma dicevo questo non tanto per richiamare il vostro assenso, rispetto alla madonna che piange, ma rispetto a un'altra questione che è quella che riguarda la cosiddetta prova. Uno può provare delle cose, per esempio che facendo una certa mossa la regina si mangia il pedone, i giocatori di scacchi sono abilissimi in queste cose, e sanno che facendo in un certo modo, accadrà con buona probabilità quella cosa. Cosa dovremmo trarre da questo? Una qualche prevedibilità, e cioè che all'interno di un gioco sia possibile costruire un certo numero di proposizioni, possiamo considerare una mossa del gioco degli scacchi come una proposizione, perché no? Una proposizione logica che afferma che se si dà questo, allora si dà quest'altro. Fin qui non c'è nessun problema. In effetti la logica funziona così, stabilisce delle regole di inferenza, delle procedure, esattamente come si costruiscono le procedure del funzionamento del computer, allo stesso modo, cioè impone delle procedure: ogni volta che accade questo, allora deve accadere quest'altro. Funzionamento straordinariamente semplice. È il funzionamento, come dicevamo prima, della magia, è un'implicazione: se questo allora quest'altro, necessariamente. Stiamo parlando della struttura del discorso, non del suo contenuto, che cosa contenga, per il momento non ci interessa, ci interessa soltanto come funziona, come si muove, quali sono le inferenze attraverso cui può farsi, e l'implicazione è una delle inferenze più note e più irrinunciabili, quella che consente di stabilire che se una cosa allora un'altra, se...allora. Dicevamo della probabilità o del probabile, quando una cosa è probabile? Quando può provarsi, evidentemente. La proposizione che afferma l'esistenza di dio è una proposizione che non è scientificamente provabile, perché non può costruirsi una proposizione, come vorrebbe Popper, che possa falsificarla, non saprei da che parte incominciare, così come se io affermassi che questo orologio qui è dio. Nessuno di voi può dimostrare che non lo sia, ma nemmeno io posso dimostrare che lo sia. Perché è considerata una proposizione non scientifica. Sapete che Popper considera che una proposizione sia scientifica, quando è falsificabile, cioè quando è possibile costruire un'altra proposizione che la falsifichi, tuttavia anche in questo caso, per quanto accreditato sia Popper nel pensiero contemporaneo, rimane una questione, e cioè se la falsificabilità sia falsificabile oppure no, perché se non lo è, non è scientifica e pertanto non è un criterio applicabile in nessun modo, se invece è falsificabile, allora c'è l'eventualità che questo criterio sia totalmente falso così come ce l'ha di essere vero, e dunque utilizzo un criterio che è simultaneamente vero e falso. Allora che me ne faccio? Ma una qualunque proposizione che si affermi come probabile, che cosa afferma esattamente? Che cosa crede? Alla possibilità che sia provata, vera o falsa? Che sia provata vera, perché se fosse necessariamente falsa, non potrebbe nemmeno essere probabile. E allora c'è l'eventualità che dicendo che qualcosa è probabile, dia già per acquisito, nella formulazione stessa di questa proposizione, l'esistenza di un criterio verofunzionale. In assenza di un criterio verofunzionale, dire che qualcosa è probabile non significa assolutamente niente. Come dire che è bello. Va bene, uno guarda e dice, bene, mi piace. Ma non è soltanto questo che si pretende da una proposizione che si vuole provabile, si pretende qualcosa di più, e cioè che ci sia l'eventualità di provare che sia vera. E come? Evidentemente, esistendo questa possibilità, esiste, come direbbero i logici "un mondo possibile", cioè è possibile costruire una proposizione che la dimostri vera. Ma torniamo alla questione di prima, questa proposizione dice qualcosa di più di quella che afferma che la regina si mangia il pedone, oppure no? Se si, in che modo? Perché se no, allora enuncia semplicemente l'eventualità dell'accadere di un fenomeno in seguito ad una certa procedura, come dire che muovendo in un certo modo, se l'altro fa le mosse che io immagino che farà, allora la regina mangerà il pedone. Cioè si verificherà questa previsione. La previsione si verifica all'interno del gioco che io credo, dicevamo l'altra volta, non c'è più quel ragazzo...c'è stato un periodo non lontanissimo, in cui si verificavano una quantità sterminata di fenomeni curiosi, religiosamente spiegabili, il Nuovo Testamento racconta di morti che sono risorti, di ciechi che hanno visto, di zoppi che hanno camminato, e quali altri sortilegi? Già i morti che risorgono mi sembrano sufficienti...ecco esatto, quelli che hanno camminato sull'acqua, queste cose vengono credute come reali, con buona pace di alcuni teologi, Bultman sostiene che è una sorta di allegoria, tutto questo non è realmente accaduto, però...Cosa vuol dire che non è realmente accaduto? Niente. Dunque se io credo questo, allora effettivamente tutto ciò è accaduto, e può ripetersi? Certo. Non solo può, ma si ripeterà, necessariamente. In ogni caso può ripetersi in qualunque momento, appena dio lo voglia. E questa cosa è stata verificata da uno solo o da molti? Da moltissimi, centinaia di migliaia di persone. E allora è un fatto scientifico? Si intende generalmente con fatto scientifico qualcosa che io posso riprodurre qui, e che altri con le stesse condizioni possono riprodurre a Detroit, allo stesso modo. E se la madonna di Civitavecchia piange qui come a Detroit, allora è un fatto scientifico? Oppure no? Perché accade sempre quello che io temo che accada? Perché accadono sempre cose così? Perché quando mi aspetto che accada una cosa, poi succede? Ho sognato una palla di fuoco, vuol dire che sarò felice per tutta la settimana, e sono stato felice per tutta la settimana. Ho sognato invece la lucertola, che scendeva lungo un sentiero, vuol dire tristezza per tutta la settimana e infatti, sono stato triste per tutta la settimana. Queste proposizioni come si distinguono da quelle che affermano che se un grave lasciato andare cadrà? Perché è questo che ci sta interessando. Parrebbe che ci sia una distanza immensa. Un esperimento scientifico, per essere tale, occorre che sia verificabile anche da altri. Non c'è nulla di più ingenuo. Quando il sacerdote alza il calice...l'ostia, dove si tiene l'ostia? Dentro un contenitore particolare. Il piattino, come si chiama? Pisside. Non andate mai a messa voi? "Gente sanza dio" Ostensorio? Quanti anni è che non va in chiesa? Dal 1912. Parlavano ancora il greco, neanche il latino, l'aramaico forse...Allora il prete quando alza il calice e il vino si trasforma nel sangue di Cristo, questo procedimento di trasformazione, o transustanziazione, per usare un termine più appropriato, ha moltissimi testimoni, da sempre, da almeno 2000 anni, che sono lì, che testimoniano di ciò che accade. Provate a chiedere a un presente se è sicuro che sia avvenuta questa transustanziazione. Oppure è una sciocchezza? No quello che è dentro il calice è il sangue di Cristo. Come dire che la comunità di coloro che certificano l'esperimento è una comunità di credenti. Che credono cioè la stessa cosa. Questo potrebbe gettare qualche ombra di dubbio sull'eventualità della loro assoluta obiettività. Che differenza c'è fra il chiedere al credente se è veramente avvenuta la transustanziazione o chiedere a dei fisici se è effettivamente avvenuto quel fenomeno? Un'altra bella questione. Adesso non ci occuperemo di questo ma, giusto per incominciare a riflettere sull'eventualità che la magia, la religione, la scienza, parafrasando un linguista danese, tale Hjelmslev, abbiano forma del' espressioni differenti ma sostanza del contenuto identico. Nel senso che tutte tre queste forme di pensiero muovono da assiomi la cui necessità è dovuta semplicemente al fatto che io credo che sia così. Colui che crede alla magia non è meno fortemente convinto di ciò in cui crede, di quanto lo sia un prete della sua religione, o un fisico degli esperimenti che va facendo, il grado di certezza è lo stesso. E l'attendibilità? Ciascuno, rispetto al gioco che sta giocando, direbbe Wittgenstein, è perfettamente legittimato a credere ciò in cui crede. Non si capisce perché qualcuno dovrebbe esserlo di più, in base a che cosa? La legittimazione viene da ciò che credo, da ciò che credo vero. Le cose che abbiamo dette negli incontri precedenti hanno aperto uno spiraglio su questa questione, che posta in questi termini sembra un po' strana, considerando che in tutti e tre i casi si tratta ciascuna volta di proposizioni che affermano qualcosa, pertanto, ciascuna volta ciò che credo o spero, è una proposizione, una proposizione che afferma che se la lucertola sale sul letto, il malato guarirà. Dunque questa proposizione è esattamente ciò che viene creduto, perché il fatto in quanto tale, cioè che il paziente guarisca...Ecco, questo che cos'è, un fatto o una proposizione? Una domanda non del tutto marginale e che coinvolge buona parte di ciò che riguarda tanto la magia quanto la religione e la scienza, e cioè che necessariamente queste tre forme di pensiero si avvalgono di una struttura linguistica per potere compiere le rispettive proposizioni. In tutti e tre i casi, ciò che si suppone è che queste proposizioni illustrino, esprimano, mostrino una realtà che va al di là di queste proposizioni, che non è contenuta nelle proposizioni, è fuori da queste proposizioni. Cosa lo fa pensare? Cosa può indurre a pensare una cosa del genere? Curiosamente sempre queste proposizioni e dico curiosamente perché in effetti ciascuna di queste tre forme di pensiero immagina un qualche cosa che sia fuori dalla parola. C'è un problema però che immediatamente, appena immagino qualcosa fuori dalla parola, nel momento stesso in cui cerco di giustificare l'esistenza o di certificarla o di dire che è proprio così, mi trovo preso in una regressio ad infinitum senza nessuna possibilità di venirne fuori; in effetti la formulazione di ciascun paradosso indica sempre, dal paradosso di Epimenide fino al paradosso degli insiemi di Russell, che qualunque cosa dica, questa non può provare se stessa, ha bisogno di altro per essere provata. E quest'altro? Ecco la necessità di espungere da tutte e tre queste forme l'eventualità che si possano mettere in dubbio i criteri che di volta in volta vengono adottati, che si possano mettere in dubbio non tanto come regole o procedure linguistiche, ma che venga messo in dubbio che siano appunto soltanto procedure e non delle proposizioni che esprimono qualcosa che necessariamente è, da qualche parte, in qualche "mondo possibile", perché posta la questione in questi termini, non è possibile dire niente, se non appunto credere che sia così, cioè ci credo, come fa il prete o come fa la magia, credo che sia così. Naturalmente adduce un sacco di prove, l'ho provato mille volte, l'ho esperito, ho avuto una visione oppure ho visto questo oggetto cadere mille volte, oppure: prova che tutto ciò che esiste non abbia una causa, non abbia un'origine. Noi abbiamo dato così, per gioco, la più formidabile dimostrazione dell'esistenza di dio. Ciascuno occorre che sappia almeno dimostrare l'esistenza di dio, per poter argomentare se no, non trova argomenti. Enrico, vuol conoscere la prova dell'esistenza di dio? Immagini dunque Enrico, di pensare l'assoluto, uno può pensarlo, e neanche riferito a qualche cosa di preciso, perché può pensare al bene assoluto, al bello assoluto, alla giustizia assoluta, alla verità assoluta, ma l'assoluto in quanto tale, può pensarlo. Dice di no? Eppure se Lei ci riflette ci sta pensando, in qualche modo, e se Lei ci pensa, pensandoci, questo assoluto esiste, esiste in ciò che pensa, visto che ci sta pensando non possiamo non dire che lo stia facendo esistere, dunque per quanto in modo impreciso, inadeguato, incerto, balbettante, eppure Lei pensa l'assoluto. Adesso qui assembliamo le prove di esistenza di dio di Agostino, Anselmo e Tommaso. Lei può provare questo assoluto? No. Questo non può farlo, eppure esiste. A questo punto Lei ha in mano due argomenti formidabili: qualcosa esiste, perché la pensa, quindi esiste almeno nel suo pensiero, e non è provabile in nessun modo. Quindi è possibile che esista ciò che non è dimostrabile. Chiamiamo questa idea di assoluto dio, noi abbiamo provato che può esistere l'assoluto e non essere dimostrato, può Lei confutare questo? Abbiamo utilizzato Anselmo anche, Elisabetta, che la sapeva lunga. Risulta molto difficile. Ma risulta molto difficile perché si immagina che questa nozione di assoluto esista di per sé, da qualche parte fuori dalla parola. Lei consideri questo assoluto come un significante, un elemento linguistico, e il problema è belle e risolto. Lei può pensare l'assoluto semplicemente perché sono dei significanti che le consentono di pensarlo, delle procedure linguistiche. Tutto qui. E dio si dissolve di nuovo. Eppure senza questa precisazione, questa prova dell'esistenza di dio risulta molto difficilmente confutabile. Nel discorso occidentale tutto ciò che non è confutabile rischia di essere vero, tant'è, lo sapevano benissimo anche i retori, gli oratori antichi, mettendo l'altro in difficoltà se non, addirittura, nell'impossibilità di confutare una loro obiezione. In un processo, se io faccio un'affermazione che nessuno riesce a confutare, la mia affermazione è vera. Purtroppo è così, risulta vera, cioè da quel momento è vero ciò che è affermato, e se ci pensate bene, la stessa cosa funziona nel discorso di ciascuno. Qualcuno "si fa un'idea", come suol dirsi, rispetto a qualche cosa, fatta questa idea, la raffronta con le altre nozioni che ha, se non riesce a confutare quello che ha pensato, la sua idea diventa vera, e se diventa vera, quindi creduta, allora questa persona si muove necessariamente tenendo conto di ciò che ha pensato, perché ciascuno si muove rispetto a ciò che ritiene vero. Non aveva torto Kant, ciascuno fa sempre necessariamente il bene, ha dimenticato di aggiungere quello che di volta ritiene tale, evidentemente. Da qui un certo interesse a riflettere sulla nozione di etica, per esempio. Etica, come ciò che ciascuno incontra necessariamente parlando rispetto al senso che ciò che dice va prendendo, e prendendo questo senso, lo farà muovere in un certo modo. Dicevamo forse nella conferenza inaugurale di questa serie di incontri, se io credo una certa cosa mi muoverò tenendo conto di questo, facevamo l'esempio più banale, quello dell'integralista islamico, qualunque cosa faccia, terrà conto di questa sua fede. Qualunque cosa io faccia terrò conto di ciò in cui credo, e proverò, qui inseriamo un elemento straordinario, proverò la verità di ciò che credo. Come dire che tutto ciò che faccio, conferma continuamente ciò che credo, ma non perché io trovi chissà quali conferme particolari, perché gli altri non si accorgono minimamente di queste conferme ma, come dicevo prima, se io credo una certa cosa, questa cosa avviene continuamente. Per dirla in termini molto banali, se io credo che una persona sia antipatica, questa sarà sempre antipatica, e ogni volta mi darà le prove della sua antipatia, a meno che qualche cosa intervenga a cambiare la mia opinione e allora crederò che sia altrimenti, come accade. Come ha indicato un tale Thomas Khun, quando cambia una teoria scientifica? Ad un certo punto uno dice a quell'altro: smettila di dire cretinate. Come cretinate? Sono cose scientifiche. No, tu hai detto questo, ma le stesse premesse dicono quest'altro, quindi quest'altro è vero. Già. Allora c'è un certo tracollo, così come quando mi accorgo che una persona che io credevo amica si manifesta nemica: come, io mi fidavo di te e tu mi volgi le spalle? Sono costretto, da questo momento, a pensare a quella persona in un altro modo. Con una rapidità sorprendente. Ci sono situazioni in cui ciascuno si trova a cambiare il modo in cui pensa con una velocità sorprendente. Ed è curioso come questo possa accadere. Però questo ci occuperà nell'ultimo appuntamento intorno alla logica del linguaggio, quanto abbiamo detto fin ora in definitiva ci suggerisce di riflettere intorno a ciò che si crede, forse è qualcosa di molto più potente, molto più importante di quanto generalmente si immagina che sia, potrei dirla addirittura così, ciascuno è quello che crede, perché dirà, penserà, e si muoverà esattamente secondo il criterio con cui crede. E se uno non credesse in nulla? Che fa? Non si muove più? Si muove lo stesso, naturalmente, ma in un altro modo: cessare di credere è sicuramente la cosa più difficile. Più difficile in quanto impone ciascuna volta la necessità non soltanto di rimettere in discussione qualunque cosa, ma di riflettere anche sul criterio attraverso il quale io metto in discussione qualcosa. Cosa che può essere ardua, anche perché quali strumenti ho per accorgermi del criterio che sto utilizzando? Come faccio a sapere che è un criterio anziché la constatazione di fatti, la realtà che mi circonda, che differenza fa? Nessuna, per chi si trova a pensare così. Dice: questo non è un criterio, un criterio personale, questa è la realtà delle cose. E se fossero la stessa cosa? C'è questa eventualità. Se fossero la stessa cosa allora la cosa si fa ancora più difficile, perché in che modo posso venirne fuori? Quali strumenti ho a questo punto? Nessuno. Apparentemente è così, in effetti. Però c'è un'eventualità, chiamiamola ginnastica intellettuale, che consiste in questo, nel volgere ciascuna affermazione in interrogazione, cioè non so se è così, mi chiedo se è così e immediatamente sorge un'altra domanda, con che cosa mi chiedo se è così? Questa è una bella domanda. Con quali strumenti? Ecco, forse incominciare ad accorgersi di quali sono gli strumenti che ciascuno mette in atto ciascuna volta in cui valuta, constata, certifica, afferma, non tanto ciò che afferma, ma come lo afferma. Cioè a partire da che cosa, attraverso che cosa, utilizzando che cosa. Questo intendo con ginnastica intellettuale. Ora che questo sia facile o difficile farsi, è un'altra questione. Sembra che sia molto difficile, all'interno della struttura di questa credenza, reperire le condizioni per poterla mettere in gioco senza che altri mi facciano notare questo. Dico difficile perché c'è una sovrapposizione tra il criterio che uso e la realtà che mi circonda, immagino che siano la stessa cosa. Cioè io affermo questo non perché è il mio criterio particolare, ma perché non c'è altro da aggiungere. Già. Ecco, intanto se qualcuno vuol fare qualche notazione a fianco a ciò di cui sto dicendo, può farlo.

- Intervento: Le cose che sto dicendo erano in me prima, non erano accessibili alla mia coscienza, forse neanche alla coscienza di altri uomini, e pervengono così all'improvviso con un lampo di genio. Da dove attingo queste cose?

Da dove vengono?

- Intervento: Si. Queste intuizioni che non c'erano prima e che a un certo punto hanno preso forma.

Questa è una questione molto interessante. Adesso c'è un aspetto che mi interessava cogliere, e cioè la condizione per cui i pensieri che accadono possano essere accolti, diciamola così, forse un po' semplicemente, senza ricondurli a qualcosa di già noto, di già saputo. Qualcosa avviene. Ora questo è di notevole interesse perché c'è l'eventualità che questa operazione avvenga con una frequenza notevolissima, ben superiore a quella che avviene qualche volta, così, all'artista o al ricercatore, che incontrano qualche cosa di sorprendente. C'è l'eventualità che ciascuna cosa, che si dica possa essere non meno sorprendente, per gli effetti che produce, per le questioni che apre, per le implicazioni che comporta. Certo, occorre lasciare che questa proposizione possa dirsi e possa produrre altre cose, se invece la riconduco immediatamente a qualcosa che immagino già noto o qualcosa di simile, allora verrà mortificata, immobilizzata, bloccata, non avrà null'altro da dire. Dice: Ecco è così. Però questo è quest'altro. Forse effettivamente avviene qualche cosa quando c'è l'opportunità, forse rara, di considerare questo e non trovare l'altro a cui ricondurlo, e quindi dover necessariamente riconfrontarsi con questo. Ecco. Questo sta avvenendo. Ma, dicevo, se questo avvenisse con una grandissima frequenza, direi quasi in ciascun atto di parola, allora cosa accadrebbe? Accadrebbe che ciò che dico, ciò che mi trovo di fronte mentre lo dico, non è più qualcosa che possa ricondursi ad altro, per esempio alla cosiddetta o supposta realtà esterna, che io starei soltanto esprimendo, ma mi trovo effettivamente di fronte a una produzione, cioè sto producendo qualcosa, letteralmente, e questo qualcosa che produco è come se chiedesse di essere ascoltato. In questo senso dicevo lasciarsi interrogare in qualche modo, cioè accogliere le cose che accadono come un'interrogazione, qualcosa che continua a interrogare e, continuando a interrogare, mi costringono a procedere e a proseguire a ricercare...Per cui si, effettivamente è un evento che si considera comunemente un po' insolito, appunto attribuito o al ricercatore che incontra un pensiero che non aveva incontrato prima o all'artista, colui che è chiamato artista generalmente, ma c'è l'eventualità che questo artista, questo ricercatore, possano trovarsi in ciascuno che sta parlando. Questo non significa che debba necessariamente scolpire la Pietà di Michelangelo. Ciascuno si trova in una vicenda che lo riguarda, però ecco, forse è un po' questo che andiamo dicendo ultimamente, porsi come ricercatori, ricercatori nel e del proprio discorso, in prima istanza, con la stessa disposizione di colui che fa ricerca, cioè cogliere le connessioni, cogliere le implicazioni, i risvolti, ciò che si produce , e che può consentire una notevole mobilità di pensiero, è l'accoglimento di ciò che di inedito, ciascuna volta si produce in ciascun atto di parola. Inedito perché ciascuna volta inserito in una combinatoria differente, ed è la combinatoria in cui l'elemento è inserito che produce il significato, cosiddetto.

- Intervento:...

No, non è che taglio corto, semplicemente è una domanda che non posso pormi, non posso pormi per un motivo molto semplice, che mi trovo di fronte a due possibilità, o decido che questo discorso, o il linguaggio stesso, o le parole, vengono da una certa cosa, oppure ne cerco l'origine, e allora posso andare avanti all'infinito, senza che nulla mi arresti, cioè o è una decisione mia, cioè decido che vengono da lì. Va bene. Oppure se innesco un processo di questo tipo, mi trovo immediatamente in una regressio ad infinitum, che non mi porta da nessuna parte. E questo per una questione che Wittgenstein aveva colta, quando si chiedeva: come so che questa è la mia mano? Dice: non posso chiedermelo, perché se mi chiedessi una cosa del genere, allora non saprei più nulla, cioè dovrei dubitare di tutto, dubitando di tutto, non potrei nemmeno più dubitare, nemmeno più il "dubitare" potrebbe esistere. E dunque occorre che io accolga il gioco, per potere giocare, accogliere questo gioco vieta, per così dire, la formulazione di questa domanda, cioè dice che questa domanda non ha senso. Non ha senso in quanto qualunque risposta io fornisca a questa domanda, la stessa domanda continuerà a porsi. All'infinto. Perché l'attenzione non è tanto rivolta sull'origine del linguaggio, ma su come funziona, mentre ne parlo adesso. Come chiedersi da dove vengono le cose, che è la domanda metafisica fondamentale, cioè: perché esiste qualcosa, anziché nulla? Si chiedeva Heidegger.

- Intervento: La struttura freudiana io, super io, es, con la psicanalisi, quello che dice, come ci regoliamo?

Già come ci regoliamo? Ma intanto ci chiediamo se proprio dobbiamo regolarci oppure no, magari non è così necessario. Leggendo Freud, quanto può trarsene? Per quanto mi riguarda, è una lettura di grande interesse, e cioè l'avere notata l'esistenza delle fantasie che ciascuno incontra parlando. Ciascuno parlando incontra delle fantasie, incontra dei pensieri, che non può gestire, che non riesce a controllare. Freud ha fatta una lista di queste fantasie, una lista ristretta all'epoca in cui viveva, però coglie dei luoghi comuni che sono presenti da qualche millennio, quindi tutto sommato, tuttora validi. Ora, rispetto alla istanze che Lei ha menzionate, io, super io, l'ideale dell'io, l'io ideale ecc, cosa dobbiamo dirne? Che esistono? E cioè cosa vuol dire? Che sono da qualche parte? Come? Queste istanze o le indichiamo come qualcosa che lui ha chiamate in quel modo, ma che cosa ha chiamata in quel modo? Una struttura psichica, che lui ha reperita. Non vedo perché dovremmo accoglierla a maggior titolo di una legge di gravitazione universale, perché mai? A quale titolo esiste con maggiore certezza una cosa del genere? Possiamo metterla così, queste affermazioni non ci sono di grande aiuto, non ci dicono moltissimo, a meno che io creda, ma se credo allora va bene questa come qualunque altra cosa. Però noi abbiamo preso l'avvio da una considerazione, o meglio da un intento, cioè quello di cercare fino a che punto è possibile non compiere atti di fede lungo questo itinerario, cioè di non credere ciò che non è necessario credere. È necessario che io creda all'esistenza del super io? Perché? Quale struttura, quale procedura mi costringono ad accogliere una cosa del genere? Nessuna. Allora come utilizzo questa cosa? Cosa me ne faccio se non ci credo? Se non ci credo, cioè se non do il mio assenso come se si trattasse di una proposizione che non posso non accogliere. Posso non accoglierla? Certamente, ma allora, in questo senso, non ci serve molto. Dice: c'è il super io, e allora? Allora cosa vuol dire, che esiste una legge, un'istanza superiore per cui ciascuna volta in cui faccio qualche cosa che non va questa mi punisce o mi fa venire il senso di colpa o chissà quali altri malanni? Si, certo, posso pensare questo o qualunque altra cosa, ma non porta lontanissimo la ricerca, la riflessione, dice soltanto che c'è qualcuno che crede questo. Questa è l'unica cosa di cui posso prendere atto, per il momento poi...

- Intervento: non è ignota l'origine dell'intuizione, uno la può chiamare inconscio, ma proviene da lì, era una cosa che c'era prima, quindi...

Si certo, c'è un giochetto che i filosofi del linguaggio fanno, si chiedono: da dove viene l'intuizione? Rispondono: da dove viene il dove viene? E bell'e fatto, la cosa è terminata lì. Terminata lì nel senso che chiedersi da dove viene il "da dove viene", rinvia alla domanda dell'origine. Ma può darsi una ricerca dell'origine molto più radicale, che domanda non da dove viene l'intuizione, ma da dove viene la possibilità stessa di chiedersi da dove viene l'intuizione, ponendo la questione in termini molto più radicali. Come dire che finché non sappiamo rispondere alla domanda da dove viene il "da dove viene", chiederci da dove viene l'intuizione o l'arte non significa niente, assolutamente nulla.

- Intervento: il discorso di cui si diceva del super io, se una persona usa questo discorso allora per quella persona significa moltissimo.

Certo, significa moltissimo. Si, è l'unica via che ha per sapere qualcosa che lo riguarda. Finora ci siamo attenuti soltanto a considerare un aspetto di queste proposizioni, cioè l'aspetto che immagina queste proposizioni come vere, come necessariamente vere...

- Intervento:...

Certo perché poi di fatto ciascuno parla continuamente, non è che dica soltanto cose che non possono negarsi, se no sarebbe un problema parlare, un problema tremendo. Differente è il modo in cui ci si può porre nei confronti di ciò che si dice e di ciò che si fa, dicendo, forse è qui che può cogliersi la differenza. Allora, se una persona racconta di un suo fatto o di una questione che la riguarda, evidentemente per questa persona c'è un senso, un significato ben preciso, che va ascoltato, va inteso, perché può dare molte indicazioni rispetto alle cose che crede, per esempio. Supponiamo che abbia qualche problema, facciamo un ipotesi (o paure), certo, quali sono le cose a cui crede che rendono possibili queste paure, per esempio, e una quantità enorme di altre cose? Certo, tutto il lavoro che viene svolto lungo una psicanalisi verte su questo, in definitiva, con una differenza fra ciò che stiamo facendo e ciò che comunemente passa per psicanalisi, e cioè che stiamo riflettendo sull'eventualità di dissolvere non la paura, né l'angoscia o qualunque altra cosa, ma la possibilità stessa dell'esistenza di queste cose, in termini molto più radicali.

- Intervento:...

E quali effetti? Di non potere più credere? Un ottimo effetto, di impossibilità a dare il proprio assenso a qualche cosa e pertanto non potere mai cessare di trovarsi interrogati da ciò che si dice. E quindi presi in una produzione di elementi sterminata, senza fine, come dire che si innesca una ricerca senza fine e senza la necessità di ancorarla a qualche cosa, se non alle uniche cose a cui non può non essere ancorata, e cioè alle procedure che gli consentono di fare questa ricerca.

- Intervento:...

Si comporta benissimo, come dovrebbe comportarsi? Come una persona gentile, educata, rimane gentile ed educata. Non è che diventa un gangster.

- Intervento:...

Ecco si trova in una posizione tale da non essere gestibile, da non essere influenzabile, da non avere nulla che possa, a questo punto, distoglierlo dalla ricerca che ha avviata. Cogliere l'aspetto irrinunciabile in ciò che si dice, il più considerevole direbbe Heidegger, trovarsi a faccia a faccia con ciò che ciascuno non può non considerare e cioè ciò di cui è fatto in definitiva. Questo non significa che diventi una persona asociale, rimane esattamente quello che è prima, soltanto, non ha più questa necessità di dovere necessariamente ancorarsi o aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno, solo questo. Non è che avvenga chissà quale...cioè cessa di avere la necessità di dover credere al male, e quindi non ha più nessun motivo per stare male. Potrebbe diventare asociale per un ordinamento istituzionale, politico, perché si tratterebbe di trovarsi di fronte a una sorta di anarchia strutturale, però...si, Lei si preoccupava del comportamento delle persone?

- Intervento:...

È molto più semplice relazionare con il prossimo, è più semplice in quanto può ascoltare quello che la persona dice, senza necessariamente doverla tradurre, ma accoglie dei significanti, e perlopiù si trova in difficoltà se vuole dare un significato o ricondurre ciò che ascolta a qualche altra cosa, questo diventa certamente molto difficile. Però ha l'opportunità effettivamente di potere ascoltare qualcuno, anzi forse è proprio la condizione per potere ascoltare qualcuno.

- Intervento:...

Si ciò che Lei intende fare di ciò che sente, una persona mi dice questo, questa cosa vuol dire qualcosa o non vuol dire niente? Vorrà dire qualcosa. Ma per chi? Per me o per lei? Perché io posso anche tradurre, come fanno i bravi psicanalisti della Spi: vuol dire questo, però, poverino non è ancora bravo abbastanza, non si accorge che invece vuole dire quest'altro, o posso dire qualunque altra cosa, chiaramente se sono uno psicanalista freudiano allora interpreterò in un certo modo, allora per me vorrà dire una certa cosa, se sono kleiniano allora per me questa persona sta dicendo un'altra cosa, se sono ecc.

- Intervento: Prendere atto dei significanti, non vuol dire tralasciare gli altri elementi del messaggio, il tono?

Si, indubbiamente, qualunque cosa certamente, ma siamo daccapo, cosa ne faccio di questi elementi? O semplicemente pongo l'altra persona nelle condizioni di confrontarsi con ciò che sta dicendo, quindi con ciò che sta facendo, oppure io gli ritorno le cose che dice e che fa tradotte in qualche modo. Una persona può fare qualunque cosa, io posso pensare qualunque cosa di ciò che sta facendo, ma che ne so? Cosa mi autorizza a immaginare che una certa condotta significhi quella certa cosa? Nulla, salvo quello che credo io, che ho imparato, che altri mi hanno fatto credere. Oppure, ecco, come dicevo prima, consentire a questa persona di essere interrogata da quello che dice. Ma perché questo avvenga occorre che io, in un certo senso, la lasci sola con le cose che dice, intervenendo laddove il discorso cerca di chiudersi su se stesso, intervenendo perché possa continuare ad essere aperto, e quindi a rilanciarsi, è questo l'intervento che posso fare, non posso fare molto altro, a meno che appunto non immagini di sapere io ciò che l'altro vuole dire, allora a questo punto posso immaginare qualunque cosa e il suo contrario, con altrettanta legittimità. Cioè fare in modo che la persona che sta parlando possa accorgersi di ciò che continua a domandare in ciò che dice, questo.

- Intervento: Lei diceva lasciare sola una persona affinché possa interrogarsi su ciò che dice.

- Intervento: quali sono gli elementi che fanno pensare che il discorso si chiuderebbe se non ci fosse intervento?

Si tratta di questo: il discorso tende a chiudersi laddove ciò che si dice interviene a confermare ciò che si è detto, a trovare conferme, a certificare, questo nel caso più evidente, in definitiva ciascuna volta in cui interviene qualcosa nel discorso per cui, di fatto, viene enunciato che le cose sono così, oppure so che è così, oppure ho capito che è così, non fa molta differenza. Esattamente laddove le cose sono assolutamente evidenti, assolutamente inoppugnabili, assolutamente certe, ecco, lì si tratta di rilanciare la questione, perché la persona non sta dicendo né il bene, né il male, non è questo ciò di cui ci si occupa, non è una lezione di morale ma un modo per instaurare una struttura differente, dove il pensiero incomincia a interrogare ciò che dice, come se non fosse mai soddisfatto, in un certo senso, delle conclusioni a cui giunge...

- Intervento: Non lasciare che la persona arrivi a dire ho capito, è così, adesso metto a posto tutto il quadretto...

Ecco, qualcosa del genere, certo, si a qualunque conclusione essa sia, anche la più evidente, perché non ci interessa che si trovi a credere qualche cosa, ma che si trovi a confrontarsi con una struttura di pensiero, che poi in definitiva è una struttura linguistica, e quindi accorgersi di come funziona il linguaggio, come funzionano le procedure linguistiche, quelle stesse che gli hanno consentito di credere le cose in cui crede. Qualcosa del genere. È tardissimo questa sera. Grazie a tutti e buona notte.