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Torino, 20 ottobre 2009

 

 

FORMAZIONE DELLO PSICANALISTA E METODO PSICANALITICO

 

Libreria Legolibri

 

 

Sandro Degasperi

 

LA FORMAZIONE DELLO PSICANALISTA

 

 

La questione della formazione dello psicanalista è una questione molto importante, importante perché nel discorso comune lo psicanalista viene quasi sempre affiancato alla figura dello psicoterapeuta. Questa vicinanza è stata favorita dal discorso medico e da quello della psicologia nel tentativo, perpetrato sin dai tempi di Freud, prima dalla medicina e poi dalla psicologia, di avere un monopolio sulla psicanalisi. Pertanto, è importante la questione della formazione perché ciò che ci proponiamo di promuovere come Associazione, che tra le altre cose si è data come compito anche quello di formare analisti, è quello di sottolineare la distanza tra la psicanalisi e la psicoterapia, per cui la formazione non può riguardare la formazione dello psicoterapeuta, come invece si trovano a fare la più parte delle scuole di psicanalisi, ma riguarda la formazione dello psicanalista come intellettuale.

Questo è un discorso che è specifico della nostra Associazione, un discorso che sono ormai vent’anni che stiamo portando avanti, un discorso che pone al centro della psicanalisi la questione intellettuale, la psicanalisi come ricerca intellettuale, come un percorso intellettuale e non come un metodo di cura.

La sottolineatura che volevo dare sin dall’inizio di questo incontro è proprio questa: la formazione dello psicanalista è la formazione di un discorso intellettuale, di un discorso che tende alla ricerca, alla indagine, intorno al pensiero e intorno al linguaggio.

Una cosa intorno alla quale riflettevo, lungo la preparazione di questa conferenza, è questa: non esiste, per quanto io ne sia a conoscenza, e comunque credo di conoscere abbastanza bene quanto accade nel mondo della psicanalisi, non esistono conferenze, convegni, seminari, incontri, che non sottolineino l’aspetto del disagio, della sua terapia, tutto è incentrato sulla questione del disagio, ovviamente portando avanti quel discorso per il quale il compito principale, lo scopo della psicanalisi è quello terapeutico.

Nel lavoro che abbiamo fatto in questi ultimi venti anni abbiamo avuto modo di sviscerare e di compulsare tutte le teorie psicanalitiche, almeno quelle più importanti, e ci siamo accorti come la ricerca in queste teorie è finalizzata se non esclusivamente per lo più alla terapia. Sembra che la ricerca sia rimasta ferma al primo Freud, il quale ha inventato la psicanalisi alla fine dell’800 mentre stava cercando di trovare una soluzione ai problemi della nevrosi e della psicosi. Ebbene, sembra proprio che si sia rimasti fermi a questo punto dimenticando, invece, quello è stato poi il percorso del secondo Freud, che era giunto a un certo punto di dimenticarsi persino della questione della terapia per dedicarsi esclusivamente alla ricerca intellettuale, alla questione del linguaggio, che ha incominciato a interrogare, magari senza portare certe questioni alle estreme conseguenze, ma che comunque ha inaugurato un modo nuovo di indagine intorno al pensiero, al pensiero in generale e non solo per quanto riguarda il disagio, la nevrosi, la malattia, che sono solo un aspetto marginale della questione del pensiero.

La formazione dello psicanalista, torno a ripetere, è la formazione di un intellettuale ed è soprattutto la formazione di un discorso.

Nelle varie scuole di psicanalisi prevale la differenziazione tra analisi personale e analisi didattica. L’analisi personale è allora quella che una persona fa per affrontare i suoi problemi, per trovare una soluzione, una risposta alle sue questioni. L’analisi didattica, invece, è quella che è finalizzata alla formazione del professionista, dello psicanalista come professionista. Già Lacan aveva messo in discussione, in crisi, questa distinzione affermando che ciascuna analisi è didattica. Quello che noi oggi affermiamo è che ciascuna analisi deve portare al discorso dell’analista, nel senso che la persona che si trova in analisi ad un certo punto occorre che si trovi a praticare il discorso dell’analista. Con questo intendo dire che non è necessario che la persona pratichi come analista, che abbia cioè uno studio, dei clienti, ecc., può accadere certo, ma non è tanto questo ciò che importa, ciò che importa è che si trovi a praticare il discorso dell’analista, e cioè che si trovi al di là delle superstizioni del discorso comune.

Cosa deve sapere uno psicanalista? La questione della formazione riguarda il sapere dello psicanalista, quindi, quello che deve conoscere. Quello che deve sapere uno psicanalista lo può solo apprendere lungo un percorso analitico e qui colgo l’occasione per riprendere il discorso intorno alle scuole di psicoterapia e di psicanalisi. Mi è capitato di conoscere alcuni psicoterapeuti che non hanno mai fatto una seduta analitica e questa è una cosa alquanto discutibile perché uno psicanalista avvia la propria formazione nello stesso momento in cui avvia un’analisi. Non c’è formazione al di fuori dell’analisi, non è assolutamente possibile, perché l’analisi è quel percorso in cui la persona avvia una ricerca intorno al proprio discorso , quindi, intorno al proprio pensiero e giunge a conoscere perfettamente il funzionamento del pensiero e quindi del linguaggio. Giungere alla conoscenza del funzionamento del pensiero comporta l’abbandono di tutta una serie di certezze, di credenze, di superstizioni, di fantasie, che prima erano ritenute necessarie ma che attraverso un percorso di analisi si scopre appunto che non erano altro che superstizioni, cose assolutamente non necessarie, arbitrarie, e che quindi si possono tranquillamente abbandonare. È evidente a questo punto che se una persona non ha mai avuto la possibilità, o meglio, l’occasione di fare un percorso analitico, utilizzerà le sue superstizioni in quell’attività di ascolto che è specifica dell’analista, come dire che ciò che ascolta è filtrato dalle sue fantasie, è interpretato dalle sue fantasie, il che non porta a nulla se non a un girare in tondo, in una sorta di continua proiezione. Quindi, in definitiva, ciò che è assolutamente necessario per una formazione è questo percorso analitico. Oltre l’analisi, chiaramente ci sono attività di studio, ci sono corsi, seminari, la nostra associazione mette a disposizione di chi vuole partecipare dei corsi per la formazione. Analisi e studio, non lo studio meticoloso, accademico, universitario. Anche qui è opportuno aggiungere qualche altra cosa, per esempio che la formazione non è assolutamente di tipo universitario. È una questione questa che Freud aveva già affrontata a suo tempo, in un suo scritto dal titolo L’analisi condotta dai non medici, titolo tradotto così da Musatti, il titolo tradotto letteralmente sarebbe La psicanalisi laica. In questo scritto dice chiaramente che la psicanalisi non può essere insegnata nelle università, perché l’università non offre un percorso di studi adeguato alla formazione dello psicanalista, un po’ perché da una parte insegna delle cose non assolutamente necessarie e dall’altra perché non insegna ciò che invece è necessario. Freud in questo caso faceva riferimento per lo più al discorso medico, lui era assolutamente contrario all’idea, che stava in qualche modo diventando prevalente in quel periodo, idea caldeggiata per lo più dalla psicanalisi americana, Freud contestava il fatto che la pratica analitica potesse riservarsi ai soli medici che, diceva, sono costretti a studiare tutta una serie di discipline che non servono assolutamente a nulla per la formazione di un analista, mentre occorrerebbe un percorso di studio diverso, che prevede discipline differenti, tanto per citarne una minima parte, e che sono insegnate nei nostri corsi, può essere la logica, la retorica, la filosofia del linguaggio, la linguistica, insomma tutta una serie di discipline che affrontano la questione fondamentale in una psicanalisi, che è quella del linguaggio.

La questione del linguaggio è fondamentale non solo perché, come è noto, in una analisi si parla. Certo, il fatto che lo strumento utilizzato sia la parola rende la questione del linguaggio molto importante ma non è solo questo. Essendo l’analisi, come dicevo prima, un’indagine, una ricerca intorno al pensiero e al suo funzionamento, il linguaggio ha una posizione centrale, fondamentale, perché intanto se non esistesse il linguaggio non ci sarebbe la possibilità di pensare, per esempio. Provate a immaginare l’assenza di linguaggio, ammesso che sia possibile, quale contenuto può avere il pensiero a questo punto, cosa potrebbe significare? Occorrerebbe a questo punto precisare e dire come funziona un pensiero. Un pensiero funziona così: si parte da un’idea qualunque e attraverso una serie più o meno lunga di passaggi, possibilmente coerenti tra loro, si giunge s un conclusione. Questo è il modo con cui si pensa che è esattamente il modo con cui funziona il linguaggio, cioè si parte da una premessa, dei passaggi inferenziali e si giunge a una conclusione. Questo è nella sua essenza il funzionamento del linguaggio.

Conoscere il funzionamento del linguaggio è importante, è fondamentale nell’ascolto, vale a dire, in quell’attività che è specifica dell’analista, che è l’ascolto. Come sapete, le varie scuole di psicanalisi offrono dei metodi soprattutto di interpretazione per cui se io dico una certa cosa uno psicanalista freudiano, per esempio, dirà che vuol dire una certa altra cosa, uno psicanalista junghiano dirà che ne vuol dire un’altra ancora, e così via di seguito, ciascuno secondo quello che ha imparato, ciascuna teoria offre dei criteri di interpretazione differenti, si ascolta sulla base di questi criteri, sta poi alla persona accogliere o meno queste interpretazioni ed eventualmente farle sue. Dico queste cose in modo molto semplice, anche rozzo se vogliamo, chiaramente si può dire che le cose non sono così semplici, considerate nella loro sostanza, il tutto si riduce a questo, non è che ci sia granché d’altro. La questione del linguaggio si pone in termini molto differenti. Prima ho detto come funziona il pensiero, come funziona il linguaggio e allora che cosa ascolta un analista? Ascolta certamente un racconto, un racconto che è strutturato in quel modo che ho appena descritto, quindi, con delle premesse, una serie di passaggi, per giungere poi a delle conclusioni. Per esempio, una persona racconta la storia della sua vita, una storia fatta di insoddisfazioni, di ostacoli, di grandi o piccole tragedie, e conclude per esempio di essere un fallito, che la sua vita non è altro che un fallimento. Questa affermazione di essere un fallito è sostenuta ovviamente da tutto il discorso precedente, e se lo afferma è perché crede fortemente a questa cosa, ma questa credenza, cioè il fatto che questa conclusione sia accolta come assolutamente vera, come accade? Perché questa cosa è creduta vera? È creduta perché è sostenuta da qualcosa, è sostenuta dalle premesse del suo discorso. È come se il discorso di una persona si svolgesse nello stesso modo in cui si svolge il discorso di una teoria. Una qualunque teoria è organizzata in questo modo: ci sono degli assiomi, delle premesse, dei principi, sulla base di questi principi ci sono delle argomentazioni, delle considerazioni, che comportano il raggiungimento di conclusioni, cioè di affermazioni che sono ritenute vere e che fanno di quella teoria quella che è. Ma la verità di queste conclusioni è sostenuta dalla verità delle premesse, come dire che tutta la teoria di Freud è sostenuta su delle premesse che sono credute vere; per esempio, una di queste premesse, uno di questi principi fondamentali, è l’esistenza dell’inconscio, e poi della rimozione, della resistenza, o di concetti come il transfert, ecc. Se a un certo punto fosse possibile confutare nella maniera più assoluta l’esistenza dell’inconscio, è chiaro che tutta la teoria di Freud crolla come un castello di carte. E allora, perché queste teorie si sostengono comunque? Perché si sostengono su dei principi che non sono dimostrabili. È un po’ come nella religione, l’esistenza dell’inconscio è dimostrabile oppure no? L’esistenza di dio è dimostrabile oppure no? In entrambi i casi ci troviamo di fronte a degli indimostrabili, al punto tale che se io sono convinto dell’esistenza dell’inconscio o di dio lo affermo per il solo motivo che ci credo, esclusivamente per questo, per un atto di fede. Dicevo, dunque, che il discorso di una persona possiamo vederlo appunto come una teoria, come la sua visione del mondo, afferma determinate cose, qualunque cosa, ma l’affermazione di queste cose, e quindi il ritenerle vere, è strettamente condizionata da quelle che sono le premesse del suo discorso, dai suoi principi, dai suoi fondamenti. Il discorso di una persona è come se fosse una sorta di edificio, le cui fondamenta sono i principi generali, quelle cose che per il discorso funzionano come dei pilastri fondamentali, dei principi assoluti, ai quali la persona crede fortemente e ci crede, potremmo dire, in modo “ingiustificato”, nel senso che non è che si preoccupi di verificarne la verità, anche perché per la persona sono le cose più scontate, ovvie, e non ha alcuna esigenza di metterle in discussione. La conoscenza del funzionamento del linguaggio ci ha consentito proprio questo, di intendere che cosa ascoltare in un discorso, in un qualunque discorso, anziché interpretare, offrendo così alla persona una sorta di traduzione, per cui una certa cosa vuol dire qualche altra cosa, così come non si tratta di confutare o di sostituire o di modificare quelle che sono le conclusioni che una persona trae. Riprendendo l’esempio di prima, se una persona dice “io sono un fallito” sapete benissimo, perché vi sarà capitato, che se lo voglio convincere del contrario, cioè che certo alcune cose possono avere avuto un esito infelice ma tantissime altre invece no, non ci riuscirò, sarà sempre convinta di essere la rappresentazione del fallimento e da lì non la si scuote, non ci sono santi. E allora non si tratta di persuadere che le cose stanno in un modo piuttosto che in un altro ma si tratta di incominciare a interrogare quelle che sono le premesse del suo discorso, come dire che le sue conclusioni, alle quali la persona è così affezionata, reggono fino a quando reggono le premesse che le sostengono. Questo è lo stesso metodo, e qui riprendo la questione iniziale, che abbiamo utilizzato rispetto alle teorie psicanalitiche, e cioè non abbiamo confutato le conclusioni, le affermazioni cui giungevano mano a mano, ma abbiamo sottoposto a verifica le premesse su cui si sostenevano, cioè la condizione che consentiva di affermare quello che affermavano. Abbiamo in qualche modo provocato una sorta di crisi dei fondamenti, quella stessa cosa che era avvenuta nei confronti della matematica nei primi anni del ‘900, come dire che queste teorie possono essere sostenute e credute unicamente per un atto di fede, perché ci si crede, che è poi quello che fa ciascun psicanalista, un freudiano crede alla teoria di Freud, non la può dimostrare, ci crede. E rispetto al discorso di una persona che avvia un’analisi è proprio questa crisi dei fondamenti del suo discorso che occorre attuare. Giungere al fondamento, vale a dire, giungere a quei principi, che sono le cose che mano a mano ha imparato, le cose per cui è stato addestrato, le cose che in qualche modo ha sempre saputo, ma che sono esattamente quelle che pilotano il suo discorso e quindi la sua esistenza, perché se io credo vera una certa cosa mi comporto di conseguenza anche. È come la paura, la stessa paura si appoggia su una credenza, io non posso avere paura dei fantasmi se non ci credo, così come non posso continuare ad avere paura di sbagliare se non credessi di essere, per esempio, un incapace. E allora si tratta di incominciare a interrogare queste cose in cui si crede e che si credono vere, perché sono queste che pilotano tutta l’esistenza di una persona, sono quelle cose che fanno sì che il discorso si sia costruito in un certo modo. Quando, per esempio, si ascolta un racconto si percepisce che ci sono degli elementi che ritornano, che si ripetono, questi elementi costituiscono una sorta di indizio delle cose che la persona ritiene importanti, assolutamente vere, queste cose non sono nient’altro che le sue certezze. Certo, nel discorso comune si dice in modo innegabile che occorrono dei punti di riferimento, che è necessario avere dei valori, che occorrono certezze, come se le persone non ne avessero già abbastanza di certezze, ne hanno fin troppe, e che sono esattamente quelle che prima o poi producono delusioni. Conoscere queste certezze, venire a sapere di che cosa sono fatte, incominciare a interrogarle, a metterle in discussione e accorgersi poi che non sono assolutamente necessarie, che sono delle costruzioni linguistiche e che proprio per questo sono assolutamente arbitrarie. Non sto dicendo che sono false perché, in effetti, l’analista non deve dimostrare che è falso ciò che una persona pensa vero, no, non è necessario questo, è necessario invece che mostri da dove vengono, che cosa le ha costruite, che dietro certi pensieri ci sono altri pensieri, dietro le parole ci sono solo parole.

Una delle cose con la quale ci si confronta sempre in un’analisi è questa idea di qualcosa che si subisce, lo stesso disagio è qualcosa che la persona subisce, come se fosse qualcosa che si impone dall’esterno al discorso. In un’analisi ci si accorge che non c’è nulla di esterno al discorso, tutto è costruito dal discorso, o meglio, tutto è costruito dal linguaggio ed è lì che si tratta di riportare la questione.

La formazione è la formazione del discorso, ne segue che ogni analisi è un percorso di formazione e che, pertanto, ogni analisi occorre che giunga al discorso dell’analista. Il discorso dell’analista è quel discorso che è consapevole che tutto ciò che sta pensando, sta dicendo, ha il suo fondamento nel funzionamento del linguaggio, senza andare a cercare cose strane, fuori dalla struttura del linguaggio. La formazione riguarda la formazione del discorso, non riguarda la formazione professionale di una persona che vuole praticare come analista, questa è solo un’eventualità, così come è accaduto a me e ad altri ma non è questa la questione in gioco quando si parla di formazione. La questione è avere la piena consapevolezza di come sta funzionando il proprio pensiero, sapendo che tutto ciò che si pensa non è assolutamente necessario ma sono giochi linguistici, giochi che come tutti i giochi hanno ovviamente le loro regole. Non c’è nulla, non c’è l’anima, la psiche, non c’è l’inconscio, non c’è nulla che possa spiegare come funzionano i pensieri, solo il linguaggio ce lo consente.

Perché poniamo il linguaggio come la priorità, come l’unica cosa necessaria? Per una semplice considerazione, basti pensare a tutto ciò che hanno fatto gli umani, da sempre, è stato consentito dal semplice fatto che sono esseri parlanti. Se gli umani non parlassero, se non avessero per l’appunto il linguaggio, se non potessero pensare, cosa consentita dal linguaggio, non potrebbero intanto inventare nulla ma soprattutto non saprebbero di essere tali, per l’appunto esseri umani, non avrebbero la possibilità di pensarlo. Ecco perché l’unica cosa necessaria è, come dicevo, il linguaggio, perché tutto è costruito dal linguaggio, qualunque cosa, può essere una teoria scientifica, può essere un’emozione, può essere una disperazione, una tragedia, qualunque cosa trova la sua condizione, il suo fondamento, nel linguaggio, il linguaggio è il fondamento. Verrebbe da ricordare tutta la ricerca millenaria della filosofia intorno al fondamento, la metafisica, l’essere, qual è il fondamento di ogni cosa. Il fondamento sta nella possibilità, o meglio, in ciò che consente di pensare che esista un fondamento, senza il linguaggio la questione del fondamento non potrebbe porsi, il fondamento non esisterebbe.

Tutto ciò ha delle implicazioni notevolissime perché a questo punto ci si potrebbe dire “ma se è così allora tutto ciò che ho non è altro che la mia parola, il linguaggio, non ho altro”. Tutto ciò che esiste perché è il linguaggio che lo fa esistere, lo fa esistere attraverso dei giochi linguistici, come dicevamo prima. Fuori da questa struttura non esiste assolutamente nulla e non esiste nulla per questo semplicissimo motivo, che è impossibile uscire dal linguaggio, anche se volessi uscire dal linguaggio con che cosa lo potrei fare? Solo con il linguaggio, comunque. Le implicazioni sono anche per quanto riguarda la clinica, ho accennato prima alla questione dell’ascolto, un conto è ascoltare un discorso intendendo come si è costruito, su quali premesse si è costruito, quali inferenze si è trovato a compiere per giungere alle conclusioni cui è giunto, altra cosa è immaginare che dietro il racconto che si sta ascoltando ci sia qualche cos’altro che racconto non è, perché a quel punto ci si può inventare di tutto e inventandosi di tutto si dicono cose che, come direbbe Popper, non sono falsificabili e pertanto non resta che credere. Il fatto stesso che nella psicanalisi esistano decine di teorie dimostra che ciò che viene affermato non sono nient’altro che delle opinioni, delle pure ipotesi il più delle volte, e come abbiamo detto in altre occasioni delle ipotesi che non sono verificabili non servono a niente, non hanno alcuna utilità. È stata questa idea che ci ha pilotato in questi anni, l’idea di dare un fondamento necessario alla psicanalisi, trovare qualcosa che fosse necessario, certo, sicuro, inconfutabile. E l’abbiamo trovato, anziché attardarci nell’inventare qualunque cosa abbiamo trovato l’unica cosa che non può non essere, necessario infatti è ciò che non può non essere perché se non fosse quella cosa allora non sarebbe né quella cosa né nessun’altra, e pertanto l’unica cosa necessaria è quella struttura che mi consente di farmi queste domande. È evidente allora che ascoltando un discorso non devo andare a cercare nulla da nessuna parte, ma intendere il modo in cui si struttura, sapendo che il fondamento di quel discorso è il linguaggio, non c’è altro, con i suoi giochi linguistici che ha prodotto e che continua a produrre, tra i quali anche la nevrosi, la depressione, la gioia, l’entusiasmo, qualunque cosa.

Bene, per il momento mi fermo qui.

 

Luciano Faioni

Vorrei riprendere una questione: cosa vuole dire analisi laica? Non religiosa, e la religione di che cosa è fatta? La religione, religione in senso molto ampio, non soltanto religioni ufficiali, il cristianesimo, l'ebraismo, il confucianesimo, il buddismo con tutte le loro varianti delle quali cose non ci interessa assolutamente nulla, ma la religione come struttura e cioè come discorso che muove da qualche cosa in cui si crede e che in nessun modo può essere dimostrato, e da lì si costruisce il proprio modo di pensare, costruito sul "credo quia absurdum" di antica memoria. La psicanalisi è l'analisi del discorso religioso, in questa accezione naturalmente, se c'è religione non c'è psicanalisi e viceversa, necessariamente, questo significa che non soltanto nella sua struttura teorica la psicanalisi non può essere religiosa ma che conduce la persona che si rivolge all'analisi ad abbandonare la sua struttura religiosa che è fatta di tutto ciò che la persona crede, crede per qualunque motivo, adesso questo è irrilevante, ma ci crede fermamente, possono essere questioni etiche, morali, politiche, estetiche a seconda dei casi ma in ogni caso ci crede fermamente senza sapere esattamente perché, perché se la persona si interroga e questo avviene necessariamente in una analisi non sa dire perché crede in questa cosa, arriva al punto che dice "è così perché è così" "perché a me piace così" e cioè si riduce a una questione estetica "mi piace pensare questo e tanto basta". Così pensano gli umani generalmente, non hanno altri modi; la psicanalisi è l'analisi di questa struttura religiosa in cui ciascuno si trova, eliminata la struttura religiosa si elimina anche la morale, non essendoci morale non c'è neanche la possibilità di provare paura, angoscia, sofferenza, tutte cose che sono impiantate sulla morale, Freud la chiamava la morale sessuale civile, la chiamava così però si può anche ampliare la questione, che cos'è la morale? La morale non è nient'altro che il credere che qualcosa sia bene e qualcun'altra sia male, come ciascuno sa una cosa del genere non è sostenibile in alcun modo se non appunto perché piace così e tanto basta, eliminando la morale si elimina la possibilità stessa di provare angoscia, paura, ansia e tutta una serie di malanni compresa la depressione per esempio, ma questa amoralità di cui sto parlando coincide con l'assenza totale di religione nel proprio discorso: se una persona non è più religiosa, non c'è più la morale perché il compito della religione è fornire la morale, torno a dirvi perché è importante, non mi sto riferendo alle religioni ufficiali che abbiamo qui o altrove ma a qualunque discorso che sia fondato su qualcosa in cui si crede senza che questo possa essere in nessun modo provato essere vero. Togliere la religione è anche togliere i cosiddetti valori, cioè togliere tutto ciò per cui gli umani combattono, lottano, si uccidono gli uni con gli altri generalmente, togliere in definitiva tutto ciò che produce sofferenza direttamente o indirettamente, compresa la paura o la sofferenza connessa con l'abbandono, per esempio, uno pensa che magari non ci sia connessione tra l'abbandono e la religione o la moralità e invece c'è, Elisa perché c'è? Perché prima di soffrire occorre avere un quadro ben preciso di cosa è bene e cosa è male e naturalmente una volta stabilito questo allora c'è un'implicazione fra il male e la sofferenza, una persona che per esempio non conosce il bene e il male, non può né essere in colpa, non può sentire angoscia, non ha la possibilità in altri termini di usufruire di questi valori, non avendone la possibilità non sta di fatto né bene né male, semplicemente fa le cose che gli piacciono fare e senza riferire tutto ciò che fa o non fa al bene o al male, senza riferire cioè a una religione ma è libero assolutamente, totalmente e irreversibilmente libero, libero dalla religione. La religione, adesso mi riferisco a quella che c'è qui, quella cristiana, è uno dei poteri più forti, potere economico, politico soprattutto e anche il più antico, il più antico potere che esista sul pianeta, esista da 2000 anni abbondanti, nessun altro potere può vantare tanta anzianità di servizio e in tutti questi anni che cosa ha fatto esattamente? Come ciascun potere ha fatto di tutto per mantenere il proprio potere eliminando tutto ciò che poteva minacciarlo; una persona fa esattamente la stessa cosa, le cose in cui crede, qualunque esse siano, le deve difendere da qualunque minaccia, deve mantenerle, deve consolidarle, mantenerle lì assolutamente, difenderle, una persona che non ha più nessuna religione non ha da difendere niente e quindi non ha neanche da aggredire, insomma può, se non ha più da difendere, da lottare contro il prossimo, dedicarsi a sé effettivamente, al proprio pensiero, al proprio discorso arricchendolo, interrogandolo e scoprendone le infinite ricchezze che questo produce, mentre la religione induce e conduce gli umani unicamente alla difesa strenua dell'unica verità annunciata, non fa nient'altro che questo, mantenere il suo potere a qualunque costo, come qualunque potere d'altra parte non ha nessun altro obiettivo che questo. L'analisi laica è l'analisi del discorso religioso che conduce alla dissoluzione del discorso religioso e quindi della morale sessuale civile per fare un omaggio a Sigmund Freud

Sandro Degasperi

Io all'inizio ho parlato dello psicanalista come intellettuale, ci tenevo a questa definizione in un certo senso proprio perché sottolinea anche un altro modo di essere intellettuale perché l'intellettuale generalmente veste una casacca, una casacca ideologica in qualche maniera ma non sto parlando solo in senso politico ma in senso ideologico in senso religioso. La questione della religiosità, la questione di questo intellettuale irreligioso è un intellettuale che si pone in un modo molto differente, per esempio, rispetto alla questione della psicanalisi, anche le scuole psicanalitiche si comportano come una sorta di chiesa dove addirittura c'è anche il discorso del potere, ci sono quelle che cercano di avere in qualche modo una sorta di monopolio sulla psicanalisi, di essere quelle più potenti per avere più potere ... ecco l'unico potere cui si affida invece lo psicanalista, quello che stiamo delineando come figura, è quello che si affida al potere della parola, è l'unico che offre una sorta di potere assoluto ...

Intervento: si parla giustamente di linguaggio ma l'essere umano, l'uomo prima di arrivare al linguaggio cos'era? un grugnito, dicono, prima del linguaggio ...questo passaggio come viene analizzato? Prima del linguaggio il nostro atteggiamento era simile cioè si è cercato il potere oppure il potere è nato con il linguaggio come noi oggi lo conosciamo?

Luciano Faioni

Lei vuole sapere quando è cominciato il linguaggio, potrei dirle 127.000 anni fa, il 27 di aprile alle 17,30, è una data precisa, naturalmente non lo posso provare, tutte le disquisizioni intorno a ciò che era prima del linguaggio di fatto sono soltanto ipotesi, forse era così, si suppone, si pensa, si crede. Ciò che sappiamo è che gli umani sono provvisti di linguaggio, non solo, ma che nel momento in cui la persona incomincia a parlare cioè a intendere il linguaggio questo percorso ha una sola direzione cioè non c'è la possibilità di tornare indietro, come dire in altri termini che non c'è uscita dal linguaggio, come fare a pensare come si penserebbe senza linguaggio? È una contraddizione in termini, come faccio a pensare senza pensare? Diventa complicatissimo, per cui ciò che c'è fuori dal linguaggio o ciò che esisteva prima del linguaggio costituisce una domanda che non ha nessuna possibile risposta perché per rispondere come dicevo occorrerebbe uscire dal linguaggio o essere stati presenti prima che esistesse, entrambe le cose non sono fattibili e allora non ci interessa a questo punto cosa fosse prima, interessa cosa è adesso, che è molto più interessante, d'altra parte se anche lo sapessimo che il linguaggio è nato nella data che le ho indicata non cambierebbe assolutamente niente, non ce ne faremmo assolutamente nulla di questa informazione perché in ogni caso da quel momento in poi c'è stato il linguaggio, prima non possiamo sapere perché non possiamo pensare in assenza di linguaggio e quindi la cosa non ci riguarda, però adesso c'è, nel momento in cui si avvia il linguaggio così avviene anche non soltanto nella filogenesi ma anche per l'ontogenesi, per il singolo avviene la stessa cosa, a un certo momento parla, incomincia a parlare, da quel momento in poi incomincia a esistere, non soltanto lui ma esistere per lui il mondo che lo circonda, perché può incominciare a considerare il mondo che lo circonda, se non lo considera non possiamo neanche parlare di esistenza, se vogliamo possiamo anche parlarne ma non significa niente. Questo per indicare come dal momento in cui si avvia la struttura del linguaggio le cose incominciano di fatto a esistere, per questo dicevamo che non c'è esistenza fuori dal linguaggio, perché è da quel momento che l'umano diventa tale, incomincia ad accorgersi di ciò che lo circonda, comincia a pensare, a fare connessioni insomma a fare tutte quelle cose che lo caratterizzano ...

Intervento: se mancassero queste preposizioni "prima" e "dopo" ecco che non si potrebbe porre questa domanda ...

Anche questo sì. Qualcun altro intanto che vuole aggiungere e fare qualche domanda anche? mi rendo conto che non sono cose semplicissime ...

Intervento: a me interesserebbe, prima si parlava del pensiero, di come è fatto il pensiero e come funziona, funziona come diceva Sandro attraverso giochi linguistici però al momento in cui l'analista nella sua formazione si è accorto del bene e del male che veicola il pensiero del discorso occidentale beh si sbarazza di queste credenze, di queste superstizioni e fa i conti, per esempio, con i giochi linguistici che funzionano nel pensiero fino a costruire, produrre dei conflitti, per esempio la nevrosi è un conflitto fra giochi linguistici, come dire ci sono due verità, due giochi linguistici all'interno di quel pensiero e questo pensiero si blocca, si ferma non può proseguire ed ecco che costruisce la nevrosi ... era questa la mia domanda proprio a partire da quello che dice l'analizzante con quello che ha a che fare l'analista ... quello che ascolta e cioè le parole delle persone che vanno da lui, questi conflitti all'interno del discorso ... conflitti fra giochi linguistici, non c'è più nessuna interpretazione a questo punto, si ascoltano delle sequenze che funzionano in un certo modo ecco volevo che lei ci parlasse di questa questione che mi pare abbastanza importante e inusuale in qualche modo per il discorso occidentale che parla della depressione, per esempio, come qualcosa che capita fra capo e collo e non è un conflitto fra giochi linguistici che attiene alle credenze di questa persona ...

Sandro Degasperi: mi viene da pensare alla questione del conflitto ... adesso al di là della nevrosi il termine conflitto richiama anche a che cosa? che una delle due parti deve vincere ...

Intervento: infatti nella depressione vince la sofferenza, vince il valore ...

Sandro Degasperi: si l'idea è che una delle due parti deve vincere, i due pensieri che entrano in conflitto e che sono assolutamente veri in un modo necessario, per cui due cose vere in conflitto ... se sono vere tutte due in modo assoluto è chiaro che nessuna può sopravanzare l'altra, comunque eliminare l'altra perché l'idea effettivamente è quella di vincere ma vincere che cosa significa? Eliminare l'altra parte invece in questo caso è ineliminabile dal momento che è considerata vera e allora verrebbe da dire che non c'è via d'uscita chiaramente ...

Intervento: è ovvio solo in un'analisi c'è la possibilità di uscirne (il modo in cui l'analisi affronta queste situazioni è quello verificare la verità di queste affermazioni non tanto, appunto come dicevo prima, per dimostrare che sia una vera e l'altra falsa o che siano entrambe false o che siano entrambe vere ) una persona ci deve arrivare a questi conflitti, per esempio la questione della madre che è retta sui valori più sacri del discorso occidentale che in molti casi non può se non cadere in depressione perché si accorge... c'è un conflitto nel suo pensiero, ci sono due giochi che vanno in conflitto, da un lato questo alto valore della madre per cui è la cosa più importante per lei è il bene per i figli e dall'altro quello che per quel pensiero quei figli rappresentano, per esempio, rappresentano un ostacolo, questi due giochi sono quelli che per esempio possono comportare la famosa depressione (c'è una religiosità al momento in cui qualche cosa è ritenuto talmente importante che assume un valore per cui diventa assolutamente necessario ) facevo un esempio, è assolutamente non usuale il fatto di parlare di giochi linguistici, se si va ad ascoltare una conferenza di psicanalisi immediatamente ci si ritrova a fare i conti, io sono andata ad ascoltare qualche volta delle conferenze sul disagio, su queste cose, ci si trova ad avere a che fare con interpretazioni che provengono da teorie che sono assolutamente indimostrabili, nessuno si perita di andare a controllare quello che "si dice" e quindi dei giochi che intervengono nel proprio discorso...

Intervento: esiste una terza scelta nel caso della madre che sente il figlio come ostacolo ma anche come un affetto però per non saper scegliere ha un sintomo e secondo me il sintomo diventa una terza scelta anche se ...

Luciano Faioni: quella che Freud chiamava la formazione di compromesso ...

Intervento: non conosco questa teoria però più o meno ...

Questo è il male minore, il sintomo è un tentativo di guarigione (la nevrosi o la depressione è sempre presa come una soluzione ovviamente, è una sorta di male minore rispetto al male maggiore che è quello che spaventa di più) (l'uccisione del figlio) (allora piuttosto la depressione "sì sto male, però non ho ammazzato il figlio" )

Intervento: io non credo che sia così automatica questa cosa a qualsiasi costo non è che pensa (non lo pensa, non è che si mette lì e dice "sto male piuttosto che uccidere)

Sta male per il senso di colpa "io" per esempio dice la madre "sono una madre e quindi devo amare necessariamente il figliolo" se invece desidero tagliargli la gola allora sarò una madre snaturata ed essendo madre snaturata si sente in colpa, come può aver desiderato una cosa così ignobile, così feroce? e allora questo senso di colpa produce degli effetti (ma è tutto molto rapido non è che scandisce in questa maniera) sì certo però stavo dicendo prima che mi interrompesse "vinceremo" sì la lotta fra il bene e il male, questione antichissima già gli gnostici ne parlavano tanti anni fa (duemila anni fa più o meno ) dunque questa lotta è una lotta morale naturalmente il bene e il male, è anche una lotta soprattutto ponendo la questione in termini radicali fra ciò che è vero e ciò che è falso, infatti il bene è la verità il male, è la falsità ... cosa dicevano già nel medioevo... i medievali del male? Se dio è il bene assoluto come può esistere il male? Da lì, dal fatto che c'è la possibilità di allontanarsi da dio e quindi il male non è altro che l'allontanarsi mano a mano dalla verità e più ci si allontana e più si è nell'errore fino ad arrivare a distanze infinite cioè la catastrofe totale ecco quindi la lotta fra il bene e il male che come dicevo può essere radicalizzata e intesa in modo più efficace come la lotta fra il vero e il falso e qui si pone ovviamente il funzionamento del linguaggio, cui Sandro ha accennato, bisognerebbe adesso riprendere la questione se avete un altro paio d'ore io ve la espongo ... ecco se qualcuno è interessato a saperne di più naturalmente può venire a trovarci all'associazione che si trova in via Grassi n. 10 e lì, lì dove abbiamo elaborato e continuiamo a elaborare questioni fondamentali, perché dire che tutto si riduce alla lotta fra il bene e il male in sé non significherebbe niente se non si fosse inteso che il bene all'interno del linguaggio non è altro che il vero e il male è il falso quindi una lotta fra il vero e il falso, il vero deve dominare perché il linguaggio funziona così e cioè vengono accolte solo quelle proposizioni che vengono riconosciute come vere, ciascuno può a modo suo valutarlo facilmente considerando che se una cosa è vera la accoglie se è falsa la rifiuta e domandarsi per la prima volta in vita sua perché questo anziché il contrario, perché? E mano a mano che risponde a questa domanda si accorge di come funziona il linguaggio cioè di come funziona il suo pensiero, di come pensa e quindi di come costruisce tutti i suoi pensieri di qualunque tipo, tutti in assoluto ... per esempio domani sera ci troviamo come ciascun mercoledì, come ogni settimana a discutere, a elaborare questioni teoriche l'obiettivo di questa associazione è sia la formazione di analisti, sia l'elaborazione teorica connessa alla psicanalisi in effetti abbiamo elaborato una tecnica, possiamo anche chiamarla così, che è straordinaria, l'unica tecnica psicanalitica che sia efficace, l'unica tecnica psicanalitica che non formi dei ferventi cattolici e credenti di ogni setta e di ogni storia ma dei laici effettivamente, dei laici in condizione di pensare, questo è quello che facciamo, per cui non siamo funzionali a nessun governo, mettiamola così, a questo punto se non ci sono altri che vogliano confutare tutto ciò che ho affermato. Possiamo annunciare l'incontro successivo che sarà martedì 3 di novembre tenuto da Cesare Miorin "Le certezze di chi sta male" ecco riprenderemo ancora la questione religiosa perché per stare male, come già diceva prima Sandro, occorre una serie di certezze se no non si riesce. Vi ringrazio e buona serata.